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Autore: Screenwriter    11/01/2016    1 recensioni
La vita di Diego è organizzata da timer e promemoria predisposti sullo smartphone. Un giorno, però, una di queste sveglie lo porta nel posto sbagliato al momento sbagliato: si ritrova con un misterioso cofanetto rubato tra le mani e viene scambiato per il colpevole da quello che sembra un agente segreto: da quel momento la sua monotona routine subirà un cambiamento drastico.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Come tutte le mattine Diego uscì di casa presto per andare al lavoro; all'improvviso, però, il cellulare squillò.

Diego Zucchi poteva vantarsi di essere un agente immobiliare sempre puntuale, e grazie tante. Ogni impegno era scandito dal suono di una sveglia predisposta sullo smartphone e tutti i giorni seguivano lo stesso schema, del quale Diego modificava solo gli indirizzi degli immobili da mostrare ai potenziali acquirenti. A detta della moglie Rebecca e del figlio Marco, la sua era una vita monotona e priva di emozioni, ma Diego non li stava a sentire: ormai ne aveva abbastanza di brutte sorprese ed imprevisti, ne aveva già passate di tutti i colori da ragazzo.

Nonostante tutti quei timer servissero a ricordargli i suoi appuntamenti, quello non rammentava di averlo mai preparato. L'ora a cui aveva suonato era giusta, ma l'indirizzo gli era nuovo: “Via dei platani 12”. Diego decise di andarci lo stesso, e anche se probabilmente avrebbe dovuto benedire il giorno in cui aveva deciso di adottare quel sistema per gestire i suoi doveri, un brutto presentimento glielo impediva. Prima che potesse cambiare idea, però, era già arrivato a destinazione: una lunga strada occupata da un mercatino dell'antiquariato, gremito di gente nonostante l'ora. Diego scese dall'auto e cominciò a farsi largo tra la folla, in cerca del numero dodici della via, ma non lo stava aspettando nessuno e la situazione rimase tale anche dopo qualche minuto. Disorientato, Diego si guardò intorno, sperando di riconoscere qualcuno, ma non vide nessun volto familiare. Mentre stava tornando alla macchina, avvertì una strana agitazione alle sue spalle. Fece in tempo a voltarsi che un ragazzino incappucciato che stava correndo a capo chino con un cofanetto sotto l'ascella gli rovinò addosso. Fu un attimo: Diego si ritrovò steso a terra con il cofanetto in grembo, circondato da una folla paralizzata dallo stupore.

«Sto bene... sto bene...» mormorò alzandosi, anche se nessuno aveva tentato di aiutarlo. Massaggiandosi la nuca e spolverandosi la giacca, Diego si guardò intorno in cerca del furfante, che però pareva essersi dileguato.

Improvvisamente, come le acque del Mar Rosso al passaggio di Mosè, le persone davanti a lui si aprirono per far avvicinare un uomo alto e smilzo. Pantaloni, giacca e cravatta erano color catrame, ma la camicia era candida come la neve. Gli scuri occhiali da sole erano impenetrabili, ma il resto del viso magro era bene in vista: i rossicci capelli arruffati, le basette folte e il naso adunco che faceva ombra alle labbra sottili. Quando lo sconosciuto intercettò Diego, queste si incresparono in un ghigno per niente incoraggiante.

«Ma certo...» biascicò «Un bambino non poteva certo sapere... E tu, come lo hai scoperto?»

Indicò il cofanetto che Diego teneva tra le mani, ma lui non aveva idea di come rispondere. L'uomo in nero infilò una mano sotto la giacca e tutti fecero un passo indietro, preoccupati. L'uomo sorrise compiaciuto alla reazione della folla, la mano immersa in una tasca interna della giacca. Poi la tirò fuori, molto lentamente. L'aria tutt'intorno era così carica di tensione che Diego non sarebbe stato sorpreso di vedere scintille incandescenti sprizzare dal nulla. Trattenne il fiato, e benché sapesse di dover scappare, il terrore lo tenne paradossalmente con i piedi incollati al suolo. Non appena vide che la sua mano era stretta intorno a un oggetto scuro, però, Diego trovò la forza di girare sui tacchi e guizzare in mezzo alla gente in cerca della fine del viale. Finalmente raggiunse l'auto, lanciò il cofanetto sul sedile del passeggero e mise in moto. L'uomo in nero si trovava a un metro dalla portiera quando l'utilitaria cominciò la sua sfrenata corsa verso il nulla; il piede tutt'uno con l'acceleratore, Diego non proseguiva mai sulla stessa strada ma svoltava in una vietta laterale ogni cinque secondi.

Mentre guidava, si rese conto di essere stato troppo avventato, solo ora realizzava che l'uomo non aveva fatto altro che estrarre un innocuo portafoglio, probabilmente per mostrargli un distintivo; avrebbe dovuto ragionare con lui e spiegargli tutto quanto: grazie all'appoggio dei testimoni se la sarebbe sbrigata in un attimo. Purtroppo, però, non era riuscito a dominare la vecchia consapevolezza di essersi cacciato in un mare di guai, risalente addirittura ai tempi del liceo. Dopo tutti quegli anni di ordine e pace quell'imprevisto aveva avuto l'effetto di quando per scherzo lo svegliarono rovesciandogli addosso dell'acqua fredda.

La folle fuga si interruppe quando l'auto rischiò di investire un giovane che stava attraversando la strada con una flemma invidiabile. Diego lanciò uno sguardo nervoso alla specchietto retrovisore: non lo aveva seguito nessuno. Tirò un sospiro di sollievo e i suoi occhi intercettarono il cofanetto di legno, caduto sul tappetino davanti al sedile del passeggero dopo la brusca frenata. Mentre lo nascondeva con cura sotto al sedile, Diego non poté fare a meno di interrogarsi sul suo contenuto: al suo interno si celava forse un tesoro? Non pesava e non era grande abbastanza per contenere dell'oro, ma poteva essere comunque qualcosa di prezioso, come una collana, un anello o un diadema. La figura di quella specie di agente segreto che ora gli stava alle costole però non faceva che ricordargli i film di fantascienza e spionaggio che piacevano tanto a Marco, che giravano solitamente intorno ad un'arma che non doveva cadere a qualsiasi costo nelle mani sbagliate. Nel cofanetto doveva celarsi qualcosa di piccolo ma estremamente pericoloso, come...

L'inaspettato suono di un clacson lo fece sobbalzare, distogliendolo immediatamente dalla terrificante idea che gli era appena venuta. Senza degnare nemmeno di uno sguardo lo specchietto, Diego riprese a sfrecciare per le strade della città, e solo quando finalmente realizzò che non era stato pedinato l'inquietante dubbio tornò ad aleggiargli nella testa: e se in quel cofanetto ci fosse stata una USB contenente codici nucleari? Guardò con apprensione il sedile che copriva la scatola di legno, e per un attimo si vide protagonista di un film thriller, solo che da quella prospettiva tutto era decisamente più spaventoso: i servizi segreti che discutevano su come eliminarlo senza destare sospetti, i veri terroristi che facevano la stessa cosa, e un agente dai capelli rossicci che gli sparava contro. Veloci come erano nate, però, le immagini divennero ridicole e Diego tornò subito alla realtà, trattenendo a stento una risata per non apparire pazzo alle persone che si trovavano all'esterno. Più probabile che lo sconosciuto fosse un poliziotto in borghese, per questo quando era intervenuto non era in divisa. In ogni caso, ora aveva cose più importanti degli agenti segreti a cui pensare, come trovare un luogo dove rifugiarsi. Decise che l'ufficio era il posto giusto: l'uomo in nero aveva presumibilmente fatto in tempo a prendere il suo numero di targa, ma di certo si sarebbe recato prima di tutto a casa di Diego, dopo aver scoperto a chi apparteneva la macchina.

 

«Signor Zucchi!» esclamò la sua segretaria quando lo vide apparire dietro le porte dell'ascensore «Che cosa ci fa qui?»

Diego fu colto di sorpresa: e dove diavolo avrebbe dovuto trovarsi? Solo allora si ricordò dell'appuntamento in Via dei Platani, dove però non si era presentato ness... Un dubbio repentino gli attraversò la testa: e se qualcuno avesse preparato apposta una sveglia sul suo cellulare per portarlo al mercato ed incastrarlo? Certo, era molto improbabile che qualcuno glielo avesse sottratto, lo portava sempre con sé, ma in effetti questo spiegava perché non ci fosse stato nessun acquirente all'indirizzo indicato.

«Signor Zucchi?» lo chiamò con un fil di voce la segretaria, e Diego fu all'improvviso consapevole di avere un'aria decisamente stupida, lì imbambolato a pensare.

«Ehm... Sì, mi scusi, signorina Raimondi... Vede, è che non mi sono segnato l'indirizzo dell'appuntamento... Ehm... potrebbe dirmelo... per favore?»

La giovane lo fissò per qualche secondo, la bocca socchiusa, prima di riprendersi e cominciare a rovistare nei cassetti in cerca della risposta alla domanda di Diego. Questo inizialmente non capì la ragione di tanta sorpresa, poi però realizzò che non aveva mai dimenticato un impegno e non aveva mai fatto aspettare degli acquirenti per più di venti minuti, quindi quello doveva essere un evento davvero eccezionale. La signorina Raimondi trovò finalmente l'agenda su cui erano appuntati tutti i compiti di Diego, la aprì alla pagina indicata dal segnalibro e lesse:

«Via del Bosco 23»

Per un attimo Diego fu tentato di esultare per la sua giusta intuizione, ma in realtà quella era una brutta notizia, la conferma che qualcuno lo aveva preso di mira.

«E'... è meglio che si sbrighi, signor Zucchi» consigliò la segretaria «Sono già le otto meno un quarto...»

«Che cosa?!» esclamò esasperato Diego guardando l'ora sullo schermo del cellulare: era tremendamente tardi, a momenti l'uomo in nero sarebbe arrivato lì a cercarlo. «Senta» cominciò a spiegare «E' possibile che durante la giornata di oggi verrà qui un uomo a chiedere di me... è vestito di nero, capirà che è lui quando lo vedrà, penso che le mostrerà un distintivo... probabilmente vorrà entrare nel mio ufficio... lei glielo consenta, gli faccia mettere a soqquadro la stanza se mostra l'intenzione di farlo...» Diego si interruppe per ragionare, la segretaria che lo guardava perplessa attraverso le lenti degli occhiali: poteva escogitare qualunque stratagemma per prendere tempo e scappare, ma non sarebbe riuscito a nascondersi; se l'uomo in nero era entrato a conoscenza della sua identità allora tutti i posti abituali non erano sicuri... Ma allora, dove andare? Come in risposta alla sua domanda, il cellulare squillò nuovamente.

«Via Dante Alighieri 3» lesse ad alta voce.

«Sì... I coniugi Bianchi la attendono lì per quell'appartamento...» confermò la Raimondi controllando sull'agenda.

In preda ad un'istintiva illuminazione, Diego gliela strappò dalle mani, prese una biro dal porta penne e cominciò a cancellare tutti gli impegni del giorno per scarabocchiare nomi di vie risalenti ad appuntamenti passati. «Perfetto» si lasciò sfuggire a lavoro concluso. In quel modo lo sconosciuto avrebbe fatto su e giù per la città senza mai trovarlo. Ripose l'agenda sulla scrivania e voltò le spalle alla Raimondi.

«Signor Zucchi, è nei guai?» domandò preoccupata la donna quando Diego entrò nell'ascensore.

«Faccia come le ho detto» si limitò a rispondere Diego «E chiami gli acquirenti di Via del Bosco per rimandare l'appuntamento, con le mie più sincere scuse» aggiunse velocemente prima che le porte gli impedissero di vederla.

Era appena giunto in Via Alighieri quando la soddisfazione per aver fregato l'uomo in nero svanì: dove avrebbe lasciato il cofanetto? Non gli sarebbe dispiaciuto tornare a casa prima di cena, ma a quel punto per l'uomo in nero sarebbe stato facile trovarlo, accusarlo di furto e sbatterlo dentro. Non aveva scelta, doveva consegnare il cofanetto alla polizia con le dovute spiegazioni: sarebbe stato sottoposto ugualmente a un processo, ma almeno non avrebbe dovuto spiegare perché non si era subito costituito invece di scappare per giorni come avrebbe fatto un ladro.

Mentre accompagnava i signori Bianchi in un tour della casa, Diego si immaginava in un'aula di tribunale e cercava quindi di formulare un discorso convincente che lo scagionasse. Non sarebbe stato difficile, comunque: con un buon avvocato e un testimone che quella mattina aveva visto tutto nel dettaglio se la sarebbe sbrigata in poco tempo. Diego immaginò divertito il suo avvocato che chiamava a testimoniare tutte le persone che lo avevano visto cadere, la faccia sudata dell'accusa e il giudice che si vedeva costretto a ritenerlo innocente.

La sua distrazione gli costò cara: più volte venne ripreso dai Bianchi e quando la sveglia che indicava l'appuntamento seguente suonò aveva presentato solo i tre quarti dell'appartamento. Finita la visita, partì immediatamente verso il prossimo indirizzo, ma il ritardo influenzò tutti gli orari della giornata; quando fece irruzione nella centrale di polizia avrebbe dovuto essere a casa da un pezzo.

«Nessuno ha denunciato un furto del genere» lo informò un agente seduto dietro a una scrivania, dopo una breve ricerca sul computer, quando Diego raccontò come aveva ottenuto il cofanetto. «Ma può lasciarlo a me, forse domani verrà qualcuno. Ovviamente mi dovrà dare tutti i suoi dati, se le cose sono andate come mi ha spiegato.»

Diego fece per appoggiarlo sulla scrivania, ma una mano ossuta gli si appoggiò sulla spalla, facendolo sobbalzare.

«La polizia non centra niente» sussurrò l'uomo dai capelli rossicci «Il significato di quella cassetta è più grande sia di me che di te»

Diego lanciò un occhiata all'agente dietro la scrivania, aspettandosi che salutasse l'uomo in nero, ma notò solo che spostava lo sguardo da lui allo sconosciuto con impazienza. Diego fu invaso dal terrore, e tutte le sue fantasie riguardo ad agenti segreti e terroristi che tramavano alle sue spalle gli passarono davanti agli occhi come un treno ad alta velocità: non erano colleghi, l'uomo in nero non era un poliziotto.

«Il cofanetto non appartiene a nessuno di questi buoni a nulla» aggiunse l'uomo in nero ad alta voce.

«EHI!» tuonò arrabbiato il poliziotto dietro la scrivania, visibilmente nervoso e paonazzo in volto.

«Aspettami fuori dal furgone nero parcheggiato qui davanti, Diego» bisbigliò l'uomo con le basette, così piano che lo sentì a malapena. Diego fu orribilmente sorpreso di sentire che sapeva il suo nome, ma si avviò comunque verso l'uscita; ovviamente non avrebbe eseguito gli ordini dell'uomo in nero, ma sarebbe fuggito con la sua utilitaria. Non gli importava dove, voleva solo mettere più strada possibile tra lui e l'agente segreto.

«Ah, le chiavi della macchina, Diego, dammele» si ricordò l'uomo con gli occhiali da sole, quasi gli avesse letto nel pensiero. Diego avrebbe voluto scappare, ma per paura di sembrare ridicolo davanti a tutta la centrale di polizia si limitò a eseguire, per poi voltargli le spalle e raggiungere il furgone nero.

«Non così in fretta, giovanotto!» esclamò l'agente paonazzo senza più riuscire a trattenersi. Parecchie teste si girarono verso la sua scrivania.

«C'è qualche problema, signore?» chiese un agente sovrappeso serrando le dita della mano sinistra intorno al braccio di Diego.

«Calma, signori, calma!» cercò di tranquillizzarli l'uomo in nero «Se viene qui, agente, spiego a tutti e due» invitò l'agente sovrappeso. Questo si avvicinò, trascinando Diego con sé.

«Oh no, lui non... non può ascoltare... non ancora, almeno... la prego...» supplicò l'uomo in nero. Era la prima volta che Diego lo vedeva in difficoltà. L'uomo sovrappeso lo guardò negli occhi, in preda ad un'evidente lotta interiore.

«Vincenzi, portalo nel tuo ufficio, vengo a prenderlo tra un minuto» disse infine ad un agente molto giovane. L'uomo in nero parve sollevato.

Mentre attendeva insieme a Vincenzi, Diego immaginò inevitabilmente l'uomo con le basette che mostrava ai due agenti un distintivo, o una licenza firmata da qualche pezzo grosso che lo autorizzava a fare qualunque cosa. E infatti eccolo tornare dopo neanche trenta secondi con i due poliziotti al seguito, dandosi arie di importanza.

I quattro salirono a bordo del furgone, l'uomo in nero e gli agenti davanti, Diego nel retro, dove non c'erano finestrini e quindi regnava il buio assoluto. I suoi compagni di viaggio non si scambiarono una parola durante il tragitto, ma quando il mezzo si fermò l'uomo in nero disse a Diego di aspettare lì. E dove sarebbe potuto andare?

Quando furono di ritorno, l'uomo sentì con orrore che ridevano e scherzavano, ma non poté trovarne conferma, poiché senza alcun preavviso, non appena mise piede a terra, gli venne coperta la testa con un sacchetto nero.

«Ehi!» protestò.

«Tranquillo Diego, tra poco sarà tutto finito» lo calmò l'uomo con le basette, di cui ormai conosceva la voce. Camminarono per qualche secondo, poi qualcuno girò una chiave in una serratura e aprì una porta. Una mano gli si chiuse intorno al braccio e lo condusse per qualche metro.

«Siediti» ordinò l'uomo in nero togliendogli il sacchetto dalla testa. A Diego non ci vollero neanche un paio di secondi per abituarsi alla luce, perché non ce n'era traccia: si ritrovò per la terza volta immerso nel buio. Tuttavia, guardandosi intorno, notò una luce davvero molto flebile che entrava nella stanza attraverso delle tende tirate; bastava a mostrargli un tavolino, su cui era appoggiato il cofanetto, e una sedia, su cui prese posto. L'uomo in nero era abbastanza vicino da essere in vista, ma i due agenti dovevano essere più lontani, inghiottiti dall'oscurità. Diego lanciò un'occhiata al tavolino: accanto al cofanetto c'era qualcosa che luccicò alla microscopica frazione di luce solare che filtrava attraverso la stanza. Lo prese in mano: era una chiave.

«Aprilo» disse l'uomo in nero. Si era tolto gli occhiali, rivelando due occhi azzurri iniettati di sangue.

«Gianni?!» domandò sbalordito Diego prima di riuscire a controllarsi, riconoscendo l'inconfondibile sguardo di ghiaccio del suo amico di infanzia. Gianni arrossì, anche se al buio diventò solo un po' più roseo, ma si riprese subito, ordinandogli nuovamente di aprire il cofanetto. «Gianni, ma che cosa stai facendo? Perché...»

«SILENZIO!!!» tuonò questo, gli occhi che minacciavano di uscirgli dalle orbite. «Non c'é nessun Gianni, non esiste più!» continuò. Spaventato, Diego tornò a guardare il cofanetto. «E ora APRILO!» ordinò nuovamente.

Diego premette la punta della chiave sulla serratura; entrò perfettamente. La chiave tra indice e pollice, Diego esitò.

«Dove sono Marco e Rebecca?» chiese senza guardarlo negli occhi.

«Oh, la tua famiglia sta bene!» lo informò seccato Gianni, che aprì nuovamente la bocca, ma venne preceduto da Diego: «Lo apro, lo apro...». Ma indugiò nuovamente.

«E ora cosa diavolo c'é?» domandò l'uomo in nero, cercando di controllarsi, notando la sua indecisione.

«Che cosa c'è qui dentro?» chiese Diego. Gianni fece un ghigno sadico.

«Aprilo e scoprilo» disse divertito. Diego girò la chiave nella serratura, ma non aprì il coperchio.

«Perché devo farlo io?»

«Perché sei sacrificabile»

Diego non fece più domande. Mentre toglieva il coperchio dalla scatola gli venne in mente ogni tipo di ipotesi, dalle più assurde a quelle più terrificanti: l'Arca dell'Alleanza, codici nucleari, una piccola pistola, dei soldi, il pranzo che non aveva mangiato, un topo, una lucertola, una tarantola... E poi un fascio di luce bianca uscì dal cofanetto e lo colpì in faccia.

«Non ci vedo... Non ci vedo...» gemette, i palmi delle mani premuti sugli occhi. Quando li aprì, vedeva tutto sfocato. Fece in tempo a vedere delle macchie colorate che si muovevano sul soffitto che improvvisamente fu immerso dalle fiamme, e delle persone urlarono e lui sentì il bisogno di condividere il suo dolore con loro, voleva dimostrare di poterli capire. Prima che potesse gridare, però, si rese conto che non erano urla di dolore quelle che sentiva, ma emanavano gioia e allegria. Ancora non ci vedeva bene, ma distinse comunque Marco, Rebecca, Gianni e i due agenti di polizia che lo circondavano.

«SORPRESA!» esclamarono a una voce. Mentre la vista tornava normale, Diego si guardò intorno: non riconosceva il salotto in cui si trovava, ma vide che era tutta decorata con striscioni colorati. Era il suo compleanno! Quando notò il suo disorientamento, Rebecca corse verso di lui, preoccupata.

«Tesoro!» esclamò, il sorriso scomparso «Stai bene?»

Diego vide il suo volto delinearsi sempre più fino a mettersi completamente a fuoco.

«Sì... adesso sì...» rispose sorridendo e la abbracciò. Poi Rebecca si rivolse a Gianni.

«Perché era acceso?» domandò con una nota di rimprovero nella voce.

«Non ne ho idea» rispose Gianni, lanciando uno sguardo al proiettore dentro il cofanetto, che faceva apparire sul soffitto un video di tanti auguri «Sarà successo quando Diego lo ha lanciato sul sedile»

«Davvero fantastico!» esclamò l'agente sovrappeso «Lei è davvero fortunato ad avere così tante persone che le vogliono bene, signore.» disse rivolto a Diego.

«Sì, io... lo so» disse fissando Gianni: aveva smesso di frequentarlo quando aveva adottato il metodo delle sveglie. Gianni capì il rimorso che provava, perché fece un cenno di noncuranza come per dire “Tranquillo, non importa”.

«Bene, noi ci congediamo» disse l'agente aprendo la porta «Buona serata!»

Tutti ringraziarono, poi Gianni li guidò in cucina, dove sua moglie aveva appena finito di preparare la cena. Gianni presentò lei e Diego, poi prese posto a tavola come gli altri. Marco, seduto alla destra di Diego, si scusò per averlo messo al tappeto, e lui riconobbe il ladruncolo del mercato. Prima di cominciare a mangiare, Diego prese il cellulare e lo spense, sapendo che almeno quella sera non gli sarebbe servito.

   
 
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