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Autore: Baldr    12/01/2016    0 recensioni
Realgar è un esploratore mercenario, uno dei pochi temerari, o forse folli, disposti a sfidare l'inospitale superficie marziana per accontentare le più disparate richieste dei clienti, che si tratti di recuperare oggetti rubati o consegnare materie pregiate tra i vari avamposti disseminati sul pianeta rosso, colonizzato quasi due secoli prima.
Quando verrà ingaggiato per consegnare un'eredità a un'anonima ragazzina, si troverà suo malgrado coinvolto in uno spregevole gioco di potere che potrebbe portare alla distruzione delle città cupola e all'annientamento della vita sul pianeta Marte.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Kamar







-14-

 
 

 


Samantha passò il giorno successivo a sistemare il rover, impedendo a Realgar di aiutarla, per permettergli almeno di riposare, visto la brutta ferita.

«Quanto pensi impiegherai a guarire?» domandò la ragazza, passandosi il dorso della mano sulla fronte, sporcandosela leggermente con il grasso da motore.

Realgar abbassò lo sguardo sullo strato di fango secco che ricopriva la parte lesa e grattò via il terriccio con la punta dell’unghia.

A quella gesto, Samantha sgranò gli occhi. «Ma sei scemo?!» gli chiese, correndogli vicino.

«Guarda che ormai si è richiusa...» obiettò lui, alzando lo sguardo sul volto preoccupato della giovane che si accovacciò al suo fianco, ispezionandogli il fianco stupita.

«Incredibile…» mormorò incredula. «È bastata un po’ di  melma per farti guarire?»

«Il pregio di vivere in simbiosi con un organismo organico basato sul silicio invece che sul carbonio» ribatté sorridente Realgar.

Sam si morse il labbro. «Ho letto qualcosa negli appunti di mio padre, ma non ho aperto il file...»

«Roba complicata» rispose lui, «non saprei spiegartela nei dettagli nemmeno io. Quello che so, è che nutro il mio ospite grazie alla fotosintesi e lui mi protegge dalla bassa pressione marziana. Il colore rosso è dovuto appunto allo scudo epidermico che produce l’ospite. I coloni mi chiamarono Realgar proprio perché sembravo fatto di quel minerale...»

La ragazza lo ascoltò con attenzione, poi si risistemò gli occhiali sul naso. «Com’erano i coloni che ti adottarono?» chiese con curiosità.

Lui arricciò le labbra, sollevando gli occhi sulla lastra di quarzo che chiudeva la volta del soffitto permettendo alla luce del sole di entrare nella caverna, mentre lo sguardo si perdeva nei ricordi di un secolo prima. Per un attimo gli parve di tornare nel cratere Loon, mentre i coloni gettavano le fondamenta della fattoria autosufficiente, dopo che i ripulitori avevano sgomberato l’area dai phobosiani presenti. Realgar rammentò lo smarrimento e l’angoscia dell’essersi trovato solo, nascosto alla vista dei ripulitori dal corpo di uno degli adulti della tribù. Poi ricordò gli occhi azzurri, così simili a quelli della propria gente, di quella strana creatura che lo aveva tratto in salvo, cercando di curarne le ferite. Fu un periodo dedicato alla reciproca conoscenza e alla pazienza, poiché gli insuccessi si ripeterono innumerevoli volte, con errori da parte di entrambi i fronti.

Lui strinse le labbra ripensando a Madison e tornò a guardare Samantha. «Erano pieni di speranza e sognavano di poter far ritorno sul loro pianeta il giorno in cui l’Umanità avrebbe risolto il problema dell’inquinamento sulla Terra. Ma alla fine dei conti erano dei disperati, intrusi in un ambiente non adatto a loro; hanno cercato di piegare ai propri desideri Marte, come avevano già fatto con la loro patria.» Il phobosiano sbuffò, passandosi una mano nei capelli e scosse il capo. «Quelli della mia razza saranno lenti a imparare, ma voi umani dimenticate troppo in fretta...» disse, alzandosi indispettito. Si allontanò verso le sponde del lago, cercando di reprimere il dolore, mentre i ricordi gli dilaniavano il cuore.  Aveva veduto Madison sfiorire, piegandosi inesorabilmente allo scorrere del tempo, aveva visto i suoi sogni venire calpestati dalla cupidigia che la scoperta del petrosene aveva instillato nell’animo umano. Aveva seppellito lui stesso Madison, mentre i pochi rimasti alla fattoria di scannavano tra di loro, costringendo le strade di molti a dividersi. I pochi che erano rimasti nell’avamposto rinunciarono a quella vita di stenti dopo pochi anni e a lui non era rimasto altro da fare che seguire quella che era diventata la sua nuova famiglia e mimetizzarsi a fatica tra la popolazione delle città cupola.

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Angoscia.
Opprimente, sfiancante, infinita angoscia.
Il viaggio era stato un lunghissimo incubo, dove le brevi soste nei punti dove, da alcune fenditure della volta, la luce del sole penetrava nei cunicoli erano uno sbiadito miraggio, fagocitato dalle tenebre più cupe che Samantha avesse mai veduto.

Il bacio del sole sulla pelle, anche se attraverso i vetri dell’abitacolo, ora le sembrava più passionale e intenso della sua giovane vita, eppure non riusciva e non voleva tenere gli occhi chiusi. Quando lo faceva, la paura tornava a ghermirle il cuore, inondandole l’animo di ansia.

Sam faticava a credere che quell’odissea nell’oscurità fosse finalmente giunta al termine, nonostante di fronte a lei si stagliasse l’imponente sagoma dell’Olympus, il vulcano più alto dell’intero sistema solare. Era così grande, che le sua pendici si perdevano oltre l’orizzonte Una parte di lei temeva che quello fosse solo un sogno, un’effimera realtà frutto della sua mente spezzata dalla follia con cui le tenebre l’avevano maledetta.

La giovane spostò lo sguardo su Realgar, che le dormiva accanto, al posto di guida. Quel tour sotterraneo aveva sfiancato anche lui, che aveva dovuto gestire gli attacchi di panico che avevano colpito Samantha, la quale gli doveva aver dato decisamente troppi grattacapi.

Il segnale acustico avvisò che le batterie solari avevano raggiunto la massima carica.

Sam raddrizzò la schiena e controllò lo stato delle celle d’ossigeno della propria maschera, poi il brontolio dello stomaco attirò insistentemente la sua attenzione. La ragazza prese la cassetta delle razioni, sospirando rassegnata. Estrasse l’unica confezione rimasta e controllò l’interno della scatola, nella vana illusione di trovarne altre. Nonostante lei e Realgar se ne fossero concesse una ogni tre giorni, quel viaggio era durato più del previsto.

«Mangiala pure.»

Samantha sussultò e guardò il mercenario, il quale le sorrise senza aprire gli occhi. «Tu è cinque giorni che non mangi, mi hai ceduto la tua all’ultimo pasto» obiettò.

Realgar aprì le palpebre e puntò gli occhi azzurri sul volto della ragazzina. «Ma ora c’è il sole; grazie alla luce e a un po’ di terriccio mangerò come uno della Fratellanza» ironizzò, prima di stiracchiarsi la schiena. Si sporse verso i comandi e iniziò a digitare al computer. «Avanti, mangiala. Avrai bisogno di energie.»

Sam si mordicchiò il labbro inferiore. «Sei sicuro di volerlo fare?»

«Ti ho detto che non ho bisogno di mangiare ora!» assicurò lui.

Lei scosse il capo, risistemandosi gli occhiali sopra il naso. «Mi riferivo a Kain...»
Realgar arricciò le labbra in una smorfia incerta, accarezzò il volante e annuì, senza guardare l’interlocutrice. «Sì, se la caverà benissimo» rispose risoluto. «Mangia pure e poi affronteremo l’ultima tappa del viaggio. Per ora» aggiunse, sollevando lo sguardo sull’imponente cono vulcanico che si protendeva verso rade nubi di diossido di carbonio e polvere.

Il mercenario prese la mappa e la stese davanti a sé. «L’Olympus Mons è situato in una depressione e, come lasceremo la copertura delle rocce, le sentinelle ci individueranno subito e, se ci andrà bene, i Custodi ci piomberanno addosso.»
«E se andrà male?» domandò sottovoce Samantha.

Realgar la guardò e poi le indicò il vulcano. «Li vedi quei punti dove la luce del sole si riflette?» Quando Sam annuì, proseuguì: «Sono gli sportelli delle bocche da fuoco. È più facile che ci sparino direttamente addosso.»

La ragazza deglutì. «Perché dovrebbero farlo? Anche a Olympus arriveranno dei viaggiatori, no?»

«L’ingresso è consentito solo tramite rotaia o via aria» spiegò Realgar. «I veicoli vengono contattati via radio e invitati a tornare indietro. La nostra fortuna è che il rover è piccolo e maneggevole, è difficile da prendere di mira. Con l’ultimo panetto di petrosene, posso lanciarlo al massimo della velocità e coprire il tratto più breve per le pendici dell’Olympus in meno di un minuto. Una volta là, sarà al riparo dai cannoni e a quel punto i Custodi usciranno per eliminare gli intrusi.»

«In un minuto ridurranno Kain a un colabrodo» commentò Samantha, sgranocchiando nervosamente la galletta. «Hai detto che si accede tramite treno, no? Quindi questi sarebbero le rotaie?»

«Sì, sono giganteschi ponti su cui corrono anche i tubi di rifornimen...» Realgar aggrottò la fronte senza finire la frase, mentre la ragazza sorrise.

«Credi che rischierebbero di colpire uno dei ponti, magari quando passa un treno?» gli disse.

Lui la guardò compiaciuto. «Sei un piccolo demonietto. Mi piace quest’idea, anche perché ci permetterebbe di arrivare dentro alla montagna molto più velocemente.»

Samantha guardò la mappa e poi di nuovo Realgar. «Vuoi sfruttare uno dei treni? Non sappiamo nemmeno quando ne passerà uno!»

«In quanto phobosiano, sono in grado di percepire le vibrazioni molto più di un umano. Per questo dormivo in tutta tranquillità in un bozzo. Sento distintamente i micro tremori che ne prennunciano crollo e non mi sono mai fatto sorprendere.»

Sam lo guardò incredula. «Chi diavolo te ha fatto fare di dormire in un bozzo? Sono altamente instabili!»

«Ma costano una sciocchezza...» ribatté lui divertito.



 
Non dico più nulla. Tanto ho visto che non riesco a essere costante e me ne dolgo. Sono rammaricata di avervi dato la tanto sospirata regolarità.

Grazie a tutti i lettori.
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Se trovate errori, orrori o semplicemente volete farmi sapere la vostra opinione, mandatemi un pm o potete lasciare una recensione: non mordo!
Daniela

 

   
 
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