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Autore: beornotobe    12/01/2016    2 recensioni
PROLOGO
Una ragazza.
Un viaggio studio.
Un ragazzo.
Una compagnia.
Un'organizzazione.
Un pericolo.
New York corre dei rischi.
La parola chiave è ...
ASDAR.
Periferia.
Edifici nascosti.
Quartier generale.
ATTENZIONE.
Genere: Avventura, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera ero felicissima. Il giorno dopo sarei partita per New York, la città dei miei sogni. Abitavo pur sempre a Los Angeles, ma la Grande Mela non era stata per me una meta possibile nei miei 18 anni di vita, per varie questioni. Prima fra le quali, i miei genitori sono troppo protettivi e dicevano che non avrei potuto farcela da sola in una metropoli il quintuplo di Los Angeles. Seconda questione: New York costa un occhio, per intenderci. Seppi che ci sarei stata quel 17 Maggio. La professoressa di Lettere ci annunció che prima della Maturità avremmo fatto un viaggio studio a New York, "Vi aprirà la mente", ci aveva detto. Insomma, non stavo nella pelle. Sarei andata nella città più moderna del mondo insieme ai miei amici, capite? Insieme ai miei compagni di avventura. "Quale modo migliore per concludere questi 5 anni?", mi dicevo. Sembravo una bambina, saltellavo dalla gioia. 
Dunque, la sera prima della partenza me ne stavo sul letto, scorrendo la home di Facebook sul mio Mac, regalatomi dai miei per il compleanno. "A Sarah piace la tua foto". La notifica mi portó al pensiero della mia migliore amica, e alle sue parole: "Chiamami stasera". Era quasi mezzanotte e io me ne ero scordata. "Ottimo", constatai. "Suvvia, qual è il problema? Se voleva veramente che la chiamassi non avrà problemi a svegliarsi dal dormire" pensai, ma sapevo che non sarebbe stato così. Sarah andava presto a letto o il giorno dopo non si sentiva carica abbastanza, e odiava chiunque interrompesse il suo sonno. Comunque, siccome volevo fare la stronza, la chiamai ugualmente. 
Tu tu... Il telefono squilló innumerevoli volte, finché una ragazza dalla voce assonnata rispose: "Oh dai, ma come diavolo ti viene in mente di chiamarmi a quest'ora?" "Non volevi che ti chiamassi?", risi io. "Posso dirti una cosa?", fece lei. "Dimmi pure" sorrisi io, aspettandomi ciò che stava per uscire dalla sua bocca. "Vaffanculo" disse lei, calcando sulle F. "Okay, me ne vado, hai ragione" risposi io, ridendo. "No, aspetta, dai. Volevo seriamente parlare con te" mi fermó. "Okay, Julia a tua disposizione" dissi, stendendomi completamente sul letto, col cordless all'orecchio. "Hai paura?", mi chiese lei. Scoppiai a ridere: "E di cosa?!" "Non so, tu ce l'hai?", chiese, con voce ansiosa. "Per niente! Insomma dai, cosa mai potrebbe accaderci?", continuai a ridere. Come poteva avere paura? "È una città grande, potremmo perderci, sai? Chi ti dice che non ci succeda?", spiegó lei, agitata. "Succede solo alle persone troppo sbadate!", dissi io. "Pensi quello che penso io?", chiese Sarah. "Si. Tu sei sbadata!", esclamai io. "Ma che dici! Io pensavo alla Norton, la prof, lei lo è! Insomma, ricordi quando non riusciva più a trovare gli occhiali e li aveva in testa?!", fece lei, irritata. "Ma anche tu lo sei...", dissi io. "Ti avevo chiamato per scacciare questa maledetta ansia, ma tu non stai contribuendo!", fece, con un tono di voce più alto. "Zitta, zitta, non vorrai svegliare tua madre!", feci io, trattenendo l'ennesima risata. Amavo far arrabbiare Sarah. Come avevo pensato, in lontananza si sentì la voce della madre della mia amica: "Saaaaraa, mamma, silenzio. Qui qualcuno sta cercando di dormire!" Scoppiai a ridere. "Sei proprio stronza", fece lei, chiudendomi il telefono in faccia. Dopo che ebbi finito di ridere le mandai un messaggio: "Ti sei offesa davvero?". La sua risposta non si fece attendere: "Ma no, ti pare? Ormai ci sono abituata!" "Vedrai, andrà tutto bene" scrissi io e lei mi mandó un cuore. Spensi il telefono, il Mac e la TV e mi coprì col lenzuolo.
 Meno 8 ore.

Il mattino dopo, sveglia alle 05:30. L'aereo partiva alle 08:00, ma era necessario stare in aereoporto per le 06:15. 
Mi preparai velocemente, una canotta col numero rossa, degli shorts di jeans, e le Vans nere. Sistemai i capelli come meglio potevo e infilai in valigia degli occhiali da sole. Tutto pronto, già. Salutai i miei genitori e mi avviai verso la stazione, dalla quale avrei preso il treno che mi avrebbe portato all'aereoporto. Sul treno incontrai altri amici, che avevano preso il mio stesso turno. Anche loro erano entusiasti per la vacanza. Si, noi la chiamavamo così, nonostante si trattasse comunque di un viaggio studio. 
Arrivammo in orario, c'eravamo quasi tutti. Mancava solo Sarah, che arrivava sempre in ritardo e Jack, che aveva lo stesso problema. 
La Norton ci fece un po' di raccomandazioni sul comportamento da tenere in aereo, ma insomma, dai, eravamo ragazzi di 18 anni. Per certa gente resti sempre piccino... 
Passammo i vari controlli, quando arrivarono gli altri due compagni, e ci ritrovammo nel Gate. La mia amica si mangiava le unghie sulla sedia accanto a me, faceva sempre così quand'era nervosa. "Sarah, finiscila. Non hai di che preoccuparti!", la rimproverai io. "Si, invece!", urló lei. Le misi una mano sulla bocca scoppiando a ridere. Poi feci il verso di sua madre: "Saaaara mamma, silenzio!" Lei rise a sua volta: "Vabbè, davvero, tu non sei la persona più adatta per parlare della mia crescente preoccupazione". Io annuii: "Hai proprio ragione, cara". Le porte che conducevano all'esterno, cioè all'aereo si aprirono, e ci salimmo tutti sopra. Ci sistemammo e poi ascoltammo le solite norme di decollo. "Si va bene, va bene", dissi io, scocciata, le avevo sentite così tante volte che le avevo imparate a memoria. Sarah invece ascoltava con attenzione. "Saaaaara, mamma, non dirmi che è la prima volta in aereo!", risi io. "Si, è la prima volta", rispose lei, facendomi segno di fare silenzio. Per lei era molto importante ascoltare le norme. L'aereo accese i motori ed accelleró, stava per decollare. Si alzó da terra e sentii il classico vuoto nello stomaco, che durava pochi secondi. "Siamo in volo?", domandó Sarah, non aveva il coraggio di guardare dal finestrino. "Si, guarda!", la costrinsi ad osservare le nuvole che si stagliavano accanto a noi. "Eddai!", gridó lei, girandosi dall'altra parte. "Non fare la bambina!", feci io, dandole un buffetto sulla guancia. "Guarderò quando mi andrà di guardare", rispose lei, prendendo un libro e mettendosi a leggere. Inutile dire che non guardó mai fuori per tutto il viaggio. 
Arrivammo all'aereoporto di New York, trascinando la nostra roba come se fosse leggerissima, tanta era la felicità. "Siamo a New York", urlai io, appena fuori dall'aereo. La professoressa mi guardó male. Che figura. Vabbè. Ci incamminammo verso l'uscita, dopo aver ritirato i bagagli e prendemmo l'autobus che ci avrebbe portati in albergo, il Tipton Hotel, uno dei più famosi. 
La struttura era immensa, c'erano 3 piscine, tanti campi da gioco, basket, tennis, calcio. Davvero tante tante cose. Io dividevo la stanza con Sarah e Irish, un'altra amica. "Al mio 3 buttiamoci sui letti, ragazze", feci io, aperta la porta. 1,2,3...ci buttammo sui letti che, constai al momento, erano davvero morbidi. "La prima cosa che visiteremo?", chiese Irish. "Metropolitain Museum Of Art", risposi io, ricordavo bene il programma, che, in quel momento, si trovava piegato nel mio zainetto. "Perfetto", rispose lei. "Mi piacciono i quadri", fece Sarah. "Eh si si lo so, bambina mia", dissi io. "Non mi piace questo atteggiamento, Julia!", gridó lei, come sempre. "Ma io non...oh , va bene", mi sedetti sul letto facendo la triste. "Sto scherzando", fece lei, ridendo. "Io non riderei se fossi in te", dissi io, ma in realtà anche io stavo per scoppiare a farlo. "Ragazze, abbiamo mezz'ora, poi dobbiamo uscire, approfittiamone per riposarci", ci richiamó Irish, che stava ordinando sapone e roba varia nel bagnetto. "Hai ragione, love", dissi io, stendendomi sul letto. Dopo circa tre quarti d'ora, infatti, la professoressa Norton venne a bussare alla nostra porta. "Forza ragazze, siete pronte?"
Rispondemmo di si, afferrammo velocemente gli zaini e ci precipitammo fuori.
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