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Autore: Marinaoceano    12/01/2016    0 recensioni
[Di carne e di carta]
Chiara Bellonci, diciassettenne italiana, lettrice appassionata, studiosa orgogliosamente sopra la media, ricambia con occhi rossi e acquosi la pubblicità di materassi ortopedici che passano sul settimo canale. Vorrebbe smettere di pensare, dunque di torturare la famiglia eretta intorno a lei, famiglia che al momento ostacola e disturba non solo le immagini, ma anche le parole divulgate tramite il televisore del salotto a mezzo metro dal sofà su cui Chiara è andata a rifugiarsi subito dopo l’ultima Visita Della Verità con il Dottor D.
Storia partecipante al concorso, indetto da Mirya, "Forse sì".
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa
Non sono solita ai concorsi di scrittura; ancora meno ai concorsi di scrittura di fanfiction. Ci tengo a precisare che questa storia (di due capitoli, che probabilmente alla fine unirò in una one-shot) ha ben poco a che fare con l’universo di DCEDC, così come Mirya lo ha descritto. Semplificando:

  1. i personaggi hanno età e carattere differenti rispetto all’opera originale
  2. Chiara e Leonardo si conoscono già da un non-precisato tempo
  3. non seguono il medesimo percorso di studi, specialmente Leonardo.
​​In poche parole, super OOC. E niente Dante, che il classico l’ho finito due anni fa e mia madre ha nascosto i libri. 
Buona lettura.

 

Considera le cose normali


Ottobre 1993

Chiara Bellonci, diciassettenne italiana, lettrice appassionata, studiosa orgogliosamente sopra la media, ricambia con occhi rossi e acquosi la pubblicità di materassi ortopedici che passano sul settimo canale. Vorrebbe smettere di pensare, dunque di torturare la famiglia eretta intorno a lei, famiglia che al momento ostacola e disturba non solo le immagini, ma anche le parole divulgate tramite il televisore del salotto a mezzo metro dal sofà su cui Chiara è andata a rifugiarsi subito dopo l’ultima Visita Della Verità con il Dottor D. 
Permettendole d’accedere non accompagnata al piccolo ufficio che l’ospedale Sant’Anna mette a disposizione di ogni specialista, un parallelepipedo asettico ma luminoso con un diffuso profumo femminile la cui origine è a Chiara rimasta ignota fin dalla prima visita, il dottore ha riportato ogni cosa ed il suo dettaglio in modo per la ragazza estremamente accademico e sincero; trattamenti, effetti collaterali quali la nausea costante ed il vomito e la perdita dei capelli, pelle che s’ingrigisce diventando sorprendentemente traslucida e squamosa, occhi cerchiati da lividi neri in cui i bulbi sembrano affondare, il dimagrimento e la nuova dieta vitaminica, l’imminente difficoltà a mangiare in pratica qualsiasi cosa, la probabilità numerica, il supporto sociale e psicologico fornito ogni martedì/giovedì dall’ospedale. A quanto pare, quello di Chiara è un sarcoma pediatrico aggressivo alla lunga metastatizzante scoperto un secolo prima da un tale Dottor Ewing, anche detto Signor Cancro o Il Capo dai suoi meno illustri colleghi, il sarcoma di Ewing volendo essere accademici-e-sinceri, la cui affascinante, ma non del tutto chiara origine sembrano essere alcune giovanissime cellule che, colte da tremenda indecisione nei confronti del proprio futuro ma non nutrendo alcun desiderio infantile di emulare questa o quell’altra cellula, astronauta/pompiere/veterinario/maestra, si fanno prendere come dallo sconforto e dal disgusto universali, e diventano, dopo aver bighellonato tutte insieme per qualche periodo, piccole depresse cellule blu rotonde con un’adolescenziale antipatia nei confronti del resto del mondo, che poi sarebbe il corpo di Chiara. Fatto da appuntarsi: la ribellione adolescenziale va sempre temuta.
Quindi sì, c’è una cosa nel suo corpo e quella cosa la odia, ce l’ha letteralmente a morte con lei, vorrebbe mangiarsela tutta fino ad esplodere ed eruttare e fare indigestione di Chiara Bellonci, che infatti si sente divorare, anzi è già divorata da tre mesi, ma come accorgersene, la Cosa aveva agito in sordina; la Cosa è esperta, non è - come si dice? - una Cosa dilettante. È opera di professionisti del settore.
Chiara guarda il telefono fisso in salotto. Suo padre dice: – Devo tornare al lavoro –, con l’aria colpevole che ha tutte le volte in cui sa che la madre di Chiara è già pronta a mandarlo al diavolo. Chiara e sua madre rimangono sole e ricalcano le lacune di quell’uomo come ogni giorno. La madre di Chiara è ostile come lo sono certi animali, per natura. Chiara spegne il televisore e si avvicina al telefono. Controlla che la madre sia impegnata in cucina. Alza la cornetta, compone un numero complicato, e guarda il mondo bagnato di luce fuori dalla finestra. 
« Hello. Jacob’s speaking ».
« Hi. It’s Chiara, from Italy. Could I speak to Leonardo, please? »
« He’s not here. I’m sorry ».
Chiara stringe la spirale del telefono fisso. Fuori, nella luce, una macchina lucida parcheggia  lentamente lungo la via. 
« Could you ask him to call me? »
« Of course. But I don’t know when he’ll be back. I haven’t seen him since his mother… ».
La portiera della macchina si apre. Nel silenzio della casa, Chiara riconosce le gambe di Leonardo, poi Leonardo. Abbassa lentamente la cornetta. Leonardo guarda la finestra e vede la sagoma liquida del viso di lei al di là del vetro. Alza il braccio per salutarla e lo abbassa subito. Sorride e non sorride. Chiara non si è mai sentita più disperatamente in colpa e disperatamente grata. Corre fuori. 
– Stai bene – dice Leonardo, dopo averla guardata. Estrae qualcosa dalla tasca della giacca. – Apri la mano destra.
Chiara lo fa subito, e Leonardo vi appoggia un sasso piatto con un quadrifoglio verde dipinto sopra. Le prende l’altra mano e vi pone un rametto umido di fiori gialli. 
– Ecco – dice. Dunque tace. Le guarda le mani. 
– Devo rimanere così per molto? – chiede Chiara dopo un po’.
– Questo… non me lo ricordo. Maledizione, ragazzina, non prendermi in giro. È una cosa seria.
– Mmm –. Chiara cerca di spiare il volto di Leonardo. – Sei sicuro che debba stare proprio così?
– Prova ad annusare i fiori.
– … –
– Allora?
– Sanno un po’ di…
– Di?
– Pipì, direi… sì, ecco. Annusa. Vero?
– Ma non senti qualcosa di diverso?
– Mi sento bene – dice lentamente lei. – Grazie per i regali, sono carini. Un po’ strani, forse, e maleodoranti. Ma carini.
Chiara pensa che la faccia di Leonardo somigli ad una valanga.
– Quelli puoi pure buttarli, se l’odore…
– E il sasso? – ride Chiara. Vorrebbe dire “come ti è venuto in mente?”.
– Il sasso dovresti tenerlo sotto il cuscino per tutta la settimana. Mese. No, no… – Leonardo estrae dalla tasca un foglietto stampato in inglese. Si passa una mano sulla faccia arrossata. – …settimana.
– Sarà fatto.
– … – 
– È un portafortuna? – domanda Chiara, osservando il quadrifoglio sul piccolo sasso.
Leonardo continua a passarsi ferocemente la mano sulla faccia. 
– Sembrerebbe.
Chiara abbassa le mani e si avvicina a Leonardo. Lui sospira e scuote la testa di qua e di là. Chiara lo tocca mentre sta ancora facendo no, no, no, no.

 

——————————
 

Chiara torna in casa di corsa, lasciandosi Leonardo alle spalle. Sua madre è al di là della porta, con l’aria di chi ha visto tutto e si è già fatto, secondo una catena di montaggio ben collaudata, un’opinione. 
– Vado fuori per un po’ – dice Chiara.
– Ma non mi sembra proprio il caso, nelle tue condizioni, Chiara –. La voce della madre di Chiara è il gracchiare di una cosa in perenne agonia. – Ah, è facile così, tornare così, quando più gli è comodo e tu non hai neppure la forza di arrabbiarti come merita…
Chiara infila la giacca e chiude la cerniera, le sembra di cucire se stessa.
– Non è il caso, ho detto! – dice sua madre. – Ma non hai un po’ di dignità? 
– Ma sì, certo che… 
– Io ricordo che ti avesse lasciata, e che nessuno in questa benedetta casa fosse riuscito a dormire per giorni.
Chiara si volta verso la finestra. Leonardo è una sagoma appoggiata alla macchina lucida e sta guardando lei senza vedere, probabilmente, più di un pescatore che guarda un pesce in uno stagno. Lo osserva staccarsi dalla macchina e attraversare la strada.
– Perché non è in quella sua università?
La gola di Chiara si stringe. – Ho fatto una telefonata dopo che le ultime analisi sono andate male –. Prima che la donna possa riversarsi su Chiara, Leonardo apre la porta e Chiara s’infila nella fessura di luce e di Leonardo. La madre di Chiara becera il proprio malanimo tra i muri della casa vuota.

 

——————————
 

Chiara e Leonardo camminano a lungo nella luce bianca del sole, al limitare di un parco, affiancati. Sostano su una panchina di ferro gelido. Chiara chiede a Leonardo tutto ciò che avrebbe voluto sapere dei suoi studi in America quando non si parlavano, e lui racconta con una fatica che Chiara nota ma non fa notare.
– Il dottore ha detto che ci sono ottime probabilità. Guarigione completa. A quanto pare, non sono in ritardo.
– Tu sei sempre in ritardo, ragazzina – dice Leonardo. – Figurati se non lo sei per questioni esistenziali.
Una coppia di fidanzati, lui allampanato e lei del tutto intenta a ridacchiare sulla sua spalla, sfilano loro davanti.
Chiara ha come un attacco di singhiozzo emotivo. – Quanto rimani?
Leonardo si alza in piedi. I due fidanzati si parlano a venti metri da loro, e la ragazza non ha ancora smesso di ridacchiare. Leonardo prende Chiara per mano e le chiede di camminare un po’. 
– Non sei stanca, vero? – dice, dopo dieci minuti di marcia verso l’interno del parco. 
– No.
Leonardo l’abbraccia per la vita, desidera raggiungere la pelle tra la guancia ed il mento con la bocca. – Diciamo che rimango – sussurra. – Diciamo che per un po’ me ne frego della carriera universitaria.
– Diciamo che sei un’idiota. Diciamo che non ho bisogno che ti sacrifichi –. Chiara si ferma davanti a Leonardo. La luce ha lasciato il posto ad un tramonto nuvoloso, grigio e blu e livido. – Davvero, non voglio niente di tutto questo. Tu che sali su un aereo e vieni da me quando non c’è nulla che tu possa fare.
Leonardo guarda il cielo con uno scatto del collo. È abbastanza alto per nascondere il volto alla maggior parte della gente.
– Sono seria – dice Chiara. – Potevamo parlarne per telefono. Volevo che ne parlassimo per telefono.
– L’avevo vagamente intuito.
– Se l’avevi intuito, perché allora non mi hai richiamata? Stavo impazzendo, mi sono sentita così in colpa per averti letteralmente mollato la notizia, che… Stavo proprio impazzendo.
Leonardo stringe gli occhi nella penombra. – Anche io, ragazzina – sibila. Dunque inizia a camminare intorno a Chiara, ed ora la sua voce è tutta disinteresse e leggerezza. – L’altro giorno ho letto una cosa. Una di quelle per cui tu andresti fuori di testa. Ci sono un uomo ed una donna bellissima che s’innamorano perdutamente, e la donna bellissima è bellissima non solo per l’aspetto, che peraltro è notevole, ma anche per la bellissima voce da ugola –. Leonardo non ha ancora smesso di orbitare intorno a Chiara, e parla con indolenza. – E l’uomo è innamorato pazzo e ricambiato pazzamente dalla donna e tutto, per anni, va per il verso giusto. Cosa che non succede mai. E infatti. Un brutto giorno, in seguito ad un pericolosissimo e sanguinoso incidente lavorativo che non ti sto a riportare, l’uomo perde irreparabilmente l’udito e la vista. Così. Avrebbe potuto perdere la vita, e invece perde due dei cinque sensi, e gli amici gli ripetono che dovrebbe ringraziare Dio e fare tutte quelle cose che si fanno quando non si muore. Dunque, l’uomo ora è cieco-e-sordo, e la donna bellissima dalla bellissima voce, improvvisamente, diventa per lui qualcosa del tutto irraggiungibile, se non con goffi tentativi a tentoni nel buio sensoriale in cui l’incidente l’ha bandito.
– Wow – dice Chiara.
– Ascolta. Dopo l’incidente, il cieco-e-sordo cerca di vivere normalmente. Fa l’amore con la donna bellissima come ha sempre fatto, ma presto capisce che i gemiti ed il viso di lei gli mancano come cose necessarie all’atto in sé, e così via, per tutto. Ma non è questa ora la cosa che ci interessa. Pensiamo alla donna bellissima. Pensiamo a come si sente quando capisce che l’innamorato è stato scagliato su un altro pianeta, di cui la donna bellissima non è che un lontano satellite. Come si sentono le lune di Giove? Cosa può fare una luna, quando Giove è in preda al terremoto, all’era glaciale, alla cecità e sordità metaforiche, e ad altri innumerevoli mali esistenziali? Cosa farà la donna bellissima, ancora follemente innamorata dell’uomo cieco-e-sordo, emigrato, non per suo volere, su un altro pianeta?
Leonardo smette di orbitare, guarda Chiara e borbotta: – Non ridere.
– Tu saresti la donna bellissima?
– Ti sta sfuggendo il senso profondo della storia, ragazzina. 
Tu saresti la donna bellissima?
– Il senso che ti fa sperare che la donna bellissima rimanga per sempre a fianco dell’uomo cieco-e-sordo. Il senso che, alla fine del racconto, ti fa dire che no, lei non lo farà per sacrificio, ma per vero amore, e che quindi non devi dispiacerti per il suo personaggio. Che è per vero amore che la donna rimarrà accanto all’uomo e lo aiuterà a camminare, a leggere il braille, a ri-innamorarsi.
– Che cosa diavolo ti fanno studiare in America?
– Ad essere sincero, si tratta del testo di una canzone che il mio compagno di stanza ha composto mesi fa. Roba per rimorchiare le civette intellettualoidi della Ivy League. 
– È chiarissimo.
Iniziano a camminare affiancati verso la macchina di Leonardo, attenti a dove mettono i piedi, perché il buio autunnale ora è spesso e gelatinoso di nebbia. Tutto sembra un po’ sporco.
– Leonardo.
– Mmm?
– Ma scusa, non si dice sordo-cieco?  
– … –
– Credo proprio che si dica così. Non il contrario – dice Chiara, seria. – Magari come lo racconti tu diventa offensivo, no? Perché lo sai e lo dici comunque.
Leonardo sbuffa e le prende la mano.
– Che pedante.


——————————

 

Gennaio 1994

Alessandra spinge la carrozzina lungo il viale di un sobborgo di Ferrara. Il vento risale in forti raffiche la pianura di neve a pochi metri da loro, sulla destra. Chiara aderisce alla coperta termica e cerca di resistere all’impulso d’infilare le unghie sotto la riccia parrucca grigio-topo-morto che Alessandra ha definito assolutamente perfetta per l’occasione. A sinistra, un agglomerato di casette a schiera dall’aria comatosa, giardinetti del tutto privi di qualsivoglia colore oltre il bianco, una ghirlanda natalizia che nessuno ha avuto pietà di togliere dalla veranda. Un quartiere anti-bambino; se si esclude la quarantenne Fanny Blardone, che negli anni settanta era Francesco Blardone padre di famiglia/marito di moglie cattolica/frequentatore assiduo di cinema porno, e che esibisce un arcobaleno di lucine colorate attorcigliate al cancello a formare una figura dall’aria sfacciatamente peniforme, l’intero agglomerato ha, dalla sua edificazione, uno studiato governo gerontocratico.
– Perché forse gli anziani, ad un certo punto della loro vita, decidono di andarsene tutti insieme, di trasferirsi, lasciando il centro di comando ai figli. E s’innestano in questi cimiteri-pre-tempore con tanto di vicini di tomba a cui fare i dispetti, che ne so, falciando l’erba alle sei del mattino della domenica. Ossessionati dalla morte.
– Io non finirò in una casa di riposo. Non vorrei. Preferisco di gran lunga questa soluzione.
– Hai freddo?
Segue sfregamento metallico di coperta termica. Chiara pensa alla carta argentata delle caramelle.
– Mia madre non mi farebbe mai una tale cortesia.
– Ci siamo quasi. La parrucca ti sta uno schianto, tra parentesi. Sei proprio una vecchia.
– … –
– Non so, forse le case di riposo non sono malaccio. Sesso selvaggio sui deambulatori, dentiere che friggono nei bicchieri di liquido disinfettante, mani tremanti in anfratti oscuri.
– Puzza di ospedale.
– Non hai mai avuto tanti amici quanti in ospedale, tesoro. Conoscermi ti ha cambiato la vita, ti ha iniziata alla guarigione. Sotto la scorza grigiastra della nostra pelle-al-cancro, splendono ghiaccioli alla frutta.
Alessandra rallenta il correre della carrozzina, che, provate per credere, ha una stabilità ed una sensibilità peggiori di quelle dei carrelli del supermercato. Il fatto è che, quando si spinge un amico malato di cancro, un vecchio ancora un po’ arzillo, un malato di cancro travestito da vecchio e perciò arzillo, si ha sempre il desiderio irresistibile di lanciarlo a massima velocità e regalargli l’ebbrezza, cura numero uno alla morte dell’anima da malattia terminale.
– Fermati subito, che siamo arrivate.
– Numero diciassette, la Casa Con Il Pene. Carino.
– Osceno. Mi viene da rimettere…
– … –
– … –
– Stai bene, tesoro? In tasca ho un… ecco, tieni.
– Mio dio. Scusami. Che schifo.
– Forse non avrei dovuto… Mmm. Sento l’odore dell’erba. Vera erba. Assuefacente.
Lenitiva. Avevamo scelto lenitiva di ogni male. Rispettiamo il copione –. Chiara tossisce, pulendosi la bocca con il fazzolettino. – Io sento odore di vomito.
– Già, già. Indubbiamente vomito. Concentrazione. Soldi. Erba. Transessuale. Parrucca…
– Hai un cracker?
Alessandra estrae il consueto pacchetto di cracker da cui i malati sottoposti a chemio non si separano mai, perché a stomaco vuoto si vomita acido, e provateci voi se lo credete divertente. Chiara ingurgita due cracker, sentendo il forte desiderio di lavarsi i denti. Cerca di non pensare al tanfo. Il vomito sulla neve è aranciato e giallastro, infantile. Gli occhi di Chiara sono cerchiati di nero, profondi dentro il volto floscio. Brillano di una patina d’acqua costante. Alessandra le passa occhiali dalla montatura spessa, di un colore primario.
– Ci siamo.

 

 


 

Pubblico ora per impormi di continuare la storia ed averla pronta, corretta e completa per il 29 febbraio. Non sono una persona innamorata delle tragedie. L’ultima volta che mia madre ha letto qualcosa di mio, il suo primo commento è stato: perché scrivi sempre di gente così sfigata? 
In realtà sono abbastanza simpatica. 
Marina

   
 
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