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Autore: Aluah    13/01/2016    2 recensioni
- Così sei fidanzato. -
Mi ignora, sorseggia il suo caffè come se nemmeno avessi parlato. Come se fossi una mosca più precisamente, dato che l'unico cenno di vita che sembra riuscire a dare è un movimento appena accennato con la mano, identico a quello che in piena estate mi trovo a fare per scacciare zanzare moleste.
Io oggi, sono la zanzara, quella molesta.
- Da cinque anni. -
Rutta silenziosamente, ma non troppo.
- Con una stampante. -
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Sakura Haruno, Shikamaru Nara | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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sam








FLASHBACK








- Così sei fidanzato. -
Mi ignora, sorseggia il suo caffè come se nemmeno avessi parlato. Come se fossi una mosca più precisamente, dato che l'unico cenno di vita che sembra riuscire a dare è un movimento appena accennato con la mano, identico a quello che in piena estate mi trovo a fare per scacciare zanzare moleste.
Io oggi, sono la zanzara, quella molesta.
- Da cinque anni. -
Rutta silenziosamente, ma non troppo.
- Con una stampante. -
Attiro finalmente la sua attenzione, ma nemmeno per troppo tempo. Mi guarda con un'espressione indefinita prima di collegare il nuovo orrido colore di capelli della sua attuale ragazza a quel magenta pacchiano che normalmente si trova sulle cartucce di ricambio di stampanti, lo stesso che per anni ha criticato su Sakura, prima che decidesse di tingersi di un rosa più delicato, che tanto le dona. La definiva scialba meretrice dal parrucchiere scadente, giusto perchè aveva fatto soffrire il suo amico, quello ciccione e brufoloso, che nemmeno lui se fosse stato donna avrebbe mai considerato come potenziale fidanzato, o amico di letto che fosse.
- E sei stato rinchiuso a forza in casa perchè lei crede tu la tradisca con me da quando le hai negato il matrimonio alle Fiji.-
Sorride questa volta, conscio dell'assurdità del comportamento della sua dolce metà.
- Tutto questo perchè sei incapace di pronunciare correttamente la parola Fiji perchè la storpi in fichi o fuchi. -
Si strozza quasi con l'ultimo sorso, prima di guardarmi di nuovo e sorridere sghembo, ed allungare dieci dollari sul tavolo. Paga lui, ha sempre pagato lui da che ricordassi, un po' per galanteria vera un po' per far scena, perchè sentirsi dare del cavaliere ha sempre avuto per lui lo stesso potere che avrebbe potuto mai avere un qualunque afrodisiaco potente, o una pasticca di viagra.
- Sono sei anni che non mi vedi e in questa ora e mezza hai parlato solo di quanto ti disgusti l'idea che io stia con Temari - si alza ed afferra la ventiquattrore nera, il cappotto e lo scontrino, infilandoselo in tasca dei pantaloni neri ed eleganti, perfettamente stirati, costosi come quelli dei manichini del negozio sulla quarta - Eppure avrei giurato che foste amiche in passato.-
- Al liceo forse, quando ancora non aveva in programma di sbattersi qualunque persona di sesso maschile respirasse nel raggio di venti chilometri, e che fosse pure mio amico magari, o il mio ragazzo. -
Afferro anche io il mio cappotto, meno elegante e più rosso, che indosso sopra il maglione lilla e la collant a pois, terminando l'outfit con una sciarpa. E' novembre e fa più freddo del normale, fuori dal locale tira un venticello fastidioso, estremamente per qualcuno che come me indossa spesso vestiti e gonne anche fuori stagione: sono troppo pigra per infilarmi un paio di jeans, litigare con i bottoni che non si chiudono e con taglie che diventano sempre troppo piccole rispetto a quando vengono acquistate.
Le gonne sono più semplici, come i pigiami, elasticizzate e comode: e chissene frega se non so portarle, se risulto volgare o se apro le gambe lasciando intravedere le poche grazie che ancora non sono finite in rete dopo che quell'hacker da quattro soldi ha caricato le mie foto nel suo cloud, sono piacevoli.
Mi precede aprendomi la porta del locale, silenzioso e sorridente, scuotendo leggermente la testa al pensiero che è stato proprio lui a mettere la parola fine a molti dei miei rapporti di amicizia instaurati a vent'anni e morti a ventuno. Il tintinnio della campanella del locale ed i suoi passi alle mie spalle mi sembrano ad un tratto così famigliari da riportarmi al bar del college, quello affianco alla mensa in cui facevano il cappuccio schiumato migliore del campus, con quella barista timida ed introversa che disegnava cuoricini di cacao sulle ciambelle, dove ci piaceva tanto strafogarci di dolciumi e cantare The Best of You  fino a farci sanguinare le dita sulle corde della chitarra e le corde vocali.
Improvvisamente non sono passati dieci anni, non ho mancato una laurea e non lavoro come segretaria d'azienda; sono di nuovo una ragazzina ingenua e vogliosa di correre, si saltare, di ubriacarmi e vivere alla giornata, desiderando un pappagallo verde e rosa e tante caramelle, perchè tanto non sarei mai ingrassata più del dovuto. Sono di nuovo una adolescente con i jeans strappati e il mascara scadente, il lettore cd grigio sempre in tasca ed il telefonino scarico anche la mattina appena sveglia.
Improvvisamente sono di nuovo innamorata del secchione del corso di matematica avanzata e vivo con mio padre durante l'estate, quando le lezioni si fermano e il sole splende.
E questo vento gelido non lo sento nemmeno più.




- Ma non mi dire, crisantemi!-
Non sembra apprezzare particolarmente nè il colore, nè il profumo dei fiori.
Eppure la vedo sorridere, ancora, come ogni volta in cui cerco di corromperla a rimanere a casa, perchè quel film proprio non mi piace, e lo sa anche lei. Ma lei come ogni volta ignora, ride del mio stupido tentativo, ed intasca il biglietto scritto dalla fioraia, che essere galante proprio non mi riesce.
- Che cavaliere - si alza ed afferra la cartella nera, il giaccone verde e la sciarpa grigia con il pelo, infila il berretto bianco a coprirle i lunghi capelli biondi e ancora mi guarda.
- Cappuccino?-
Mi precede fuori dalla biblioteca saltellando come una bambina. E' novembre e fa più freddo del normale, il più freddo da che ricordi.
Ma lei è bellissima, e di questo gelo non mi frega assolutamente nulla.
 



- Le voglio un gran bene. -
Uno, due, tre rimbalzi sul laghetto. Il quarto non gli è mai riuscito.
- Ma non la ami.-
Uno, due, tre, quattro rimbalzi. A me il quarto riesce sempre.
Tace, lancia un altro sasso e si siede sul muretto alle nostre spalle, prendendosi la testa tra le mani e scuotendola, forte, sempre più forte, fino a che l'elastico che tiene i suoi capelli non cede, lasciandoli liberi di cadere sulle spalle. Sono lunghi, setosi, lucidi e puliti, e anche a questa distanza sento ancora quel famigliare odore di dopobarba mascolino che ha sempre usato, e che ho sempre amato. E ho l'irrefrenabile istinto di passarci le mani attraverso, scompigliarli e poi legarli di nuovo, con il mio elastico questa volta.
- E' quella giusta. -
Sussurra, mentre non distoglie lo sguardo dal terreno.
Conosco quel comportamento come se lo stessi avendo io, come se fossi io quella che deve auto convincersi di essere nel giusto, di aver preso la decisione che mi cambierà la vita in meglio, mi regalerà un cane fedele e un divano angolare in tessuto grigio antracite. E vorrei dirgli che davvero lo è, che avrà tutto questo e di più, che non vedrà l'ora di tornare a casa e aprire quella porta.
Ma non lo farò, non è mai stato nella mia natura mentirgli.
- No Shika, è solo la cosa giusta. -
Mi volto del tutto, fissandolo.
Ho le sopracciglia aggrottate, mi fanno male le tempie ed ho un principio di emicrania che mi martella nella testa; deludere le sue aspettative più rosee non rientrava nel programma della mia giornata, così come non lo era incontrarlo al caffè del parco, ma oramai poco importa. E se anche le mie aspettative di recarmi al lavoro come ogni mattina sono state distrutte da un incontro sbagliato, al momento sbagliato, dopo troppi sbagli, non vedo perchè non dovrei vestire per dieci secondi la parte della madre moralista che, come ogni brava madre moralista che si rispetti, interroghi il proprio figlio fino a fargli confessare tutto, dal primo all'ultimo misfatto compiuto.
Ride.
Non ho mai sopportato vederlo ridere a sproposito, soprattutto quando l'ultima a parlare sono stata io. Afferro la mia borsa, quasi fosse un'ancora di salvezza, cerco insistentemente il mio telefonino e guardo l'ora: è mattinata inoltrata e la mia collega mi avvisa con un sms che mi avrebbe coperta lei sul lavoro, che tutti possono ammalarsi, anche per amore dice, tra parentesi. Certe volte mi chiedo se davvero non sia così ovvia come persona, leggibile anche per chi mi conosce da così poco come Hinata, con cui lavoro da relativamente troppo poco per poterla considerare una vera amica, ma solo un'ottima spalla.
Dovrei tornare a casa, lasciarlo ridere da solo e smettere di pensare a quanto caspita vorrei tappargli quella bocca con un ceffone, un bacio e un altro ceffone; eppure sentirlo ridere è così raro che resto ferma, il gattino sullo sfondo del mio I Phone a fissarmi speranzoso di ricevere una mia reazione compatibile col senso di frustrazione che mi assale ed i miei piedi gelati stoicamente immobili.
- Tu e il tatto non avete ancora fatto pace? -
Quando si calma me lo ritrovo davanti, in piedi, con le mani in tasca ed il naso leggermente arrossato, a fissarmi negli occhi con un luccichio tanto famigliare quanto oramai sconosciuto e lontano dal mio presente di serie tv e patatine. So che vorrebbe dirmi che non se lo aspettava da me, che magari sono pure maturata da quando studiavamo assieme matematica avanzata, che io non capivo mai, e che lui mi spiegava con i cioccolatini al latte, perchè quelli fondenti mi disturbavano la concentrazione dato che puntavo a mangiarli; so che vorrebbe dirmi che ho ragione in fondo in fondo, che lo sa anche lui che un amore non si crea con il cervello, e che sotto sotto vorrebbe magari fuggire, gettare all'aria la carriera che si è costruito e tornare a guardare le stelle con me, la nostra vecchia compagnia del college e qualche birra, perchè era tutto più bello quando era tutto più vero e spontaneo.
- Ti stanno ancora antipatici i pedalò? -
Io e la mia coerenza, sempre a braccetto.
Sorride ancora e annuisce, ma noto in quel sorriso un nonsochè di triste, deluso, come se si fosse rotta la magia, o la corazza in cui si era rifugiato per tanto tempo nella convinzione di essere nel giusto.
Provo un misto di tenerezza e sconforto nel vederlo annaspare nei cocci delle sue certezza cadute, un polpettone di sentimenti confusi che mi spinge a prendergli la mano, la ventiquattrore e fregarmene del suo odio per quegli orridi cigni a pedali così infantili e diabetici, così da coppietta tipica al primo appuntamento e condurlo spedita verso il noleggio.
- Hai più imparato a nuotare? -
Tentenno, mi irrigidisco quando mi ricordo improvvisamente che se cadessi in questo laghetto non avrei possibilità di sopravvivere a meno di non essere a dieci centimetri scarsi dalla riva. 
- E' una fortuna che sappia farlo io allora. -
Ingenuamente annuisco, e sento la sua presa rafforzarsi sulla mia mano. Accelero, corro quasi e lo sento seguirmi mentre al telefono sbriga alcune faccende di lavoro, avvertendo anche lui di aver avuto un imprevisto del tutto inaspettato che gli avrebbe impedito di essere presente quel giorno; specifica che non ha avuto nessun particolare problema, nessun problema in generale, solo qualcosa di totalmente fuori programma da cui non può sottrarsi in nessun modo.
E quando attacca il telefono, sento la classica musichetta di spegnimento dei Samsung, e non posso che imitarlo, spegnendo distrattamente anche il mio abbandonato nella tasca del cappotto.
Non è la giornata ideale per navigare, mi ammalerò e maledirò le mie magiche trovate brillanti per rievocare i bei vecchi tempi: ma adesso non sento freddo, provo anzi una strana sensazione di calore partire dal punto dove le nostre mani si stringono che si disperde in tutto il corpo, mi arrossa le guance e mi fa tremare, paradossalmente.
Ma in fondo tra noi non è mai stato il momento adatto per nulla, tanto meno per i pedalò.




- Tu mi assicuri che siano a norma quei cosi? -
Sbuffa, mi guarda, sbuffa di nuovo. Indica le tre figure di cigni all'orizzonte, sempre più lontane, accompagnate da un gran vociare e qualche parolaccia di troppo verso Naruto.
- Sono pedalò Shika, a forma di cigno, non vogliono farti del male, sono innocui.-
Non ho paura, è che quei cosi proprio non mi piacciono. Li trovo inutili, faticosi, kitsch.
- Gli altri si stanno allontanando, e vorrei evitare di raggiungerli in autobus perchè tu sei un fifone. -
Ha esagerato.
- Senti sirenetta, se tanto ti preoccupa rimanere da sola prenditi quel coso e raggiungili. Io resto qui.-
Sbuffa, mi indica il salvagente che porta e mi guarda con la classica faccia che usa quando vuole farmi capire che ad esagerare sono stato io, e che sono un coglione, sotto tutti gli aspetti.
Chiudo gli occhi e scuoto la testa, non voglio credere di stare per farlo davvero.
- Muoviti piattola, o quelli uccideranno Naruto.-
Sorride, questa volta di gioia.




- Non ci voglio credere.-
Concentrata, muovo i piedi a tempo con i suoi. Ci abbiamo messo una buona mezz'ora a prendere il ritmo, tra gaffe e qualche imprecazione sottovoce, sua, non mia. E dopo aver preso coscienza che pedalare fosse più facile di come ce lo eravamo proiettati, lui con un conto in sospeso con il pedalò ed io con l'acqua, abbiamo anche iniziato a parlare, che tanto non è così difficile fare queste due azioni contemporaneamente, ci riescono anche i bambini.
- E' particolare. -
La difende, mentre scruta il paesaggio che ci circonda; stradine ricoperte di foglie secche e pargoli schiamazzanti si snodano per tutto il circondario, madri attente alla famiglia ed altre più all'outfit passeggiano serene, sorridenti alcune, imbronciate altre. Coppiette per mano si scambiano promesse e baci al sapore di neve imminente e prospettive di camini caldi e coperte morbide, mentre per mano, indicano passeggini abbandonati accanto alle panchine, o cani scodinzolanti che saltellano sui prati umidi. Mi sembra di essere in un quadro, uno di quelli concepiti dal pittore come la perfetta rappresentazione di un freddo pomeriggio autunnale, o in un film, uno di quelli che vengono trasmessi il primo pomeriggio sotto Natale per ricordare alle famiglie quanto ancora sia bello il mondo là fuori.
Ed oggi il mondo, sembra davvero bello come quello di un film.
- Particolarmente gelosa! -
Alzo troppo il tono della voce nel rispondergli, sembra quasi che stia urlando; mi guarda di sbieco e continua a pedalare, senza accennare a volermi rispondere. Sospiro, sono un' idiota.
- Non sono qui per fare a pezzi la tua relazione Shika, sei tu ad avermela presentata come qualcosa più malato e sbagliato di quanto credo sia nella realtà. Non sono tua nemica e non intendo vestire i panni della tua coscienza, sono solo oggettiva sulla base di ciò che tu riporti. -
Credo di non aver respirato mentre parlavo; sono parole uscite così tanto spontaneamente che probabilmente se cercassi di ricordare cosa ho detto non riuscirei a rimettere in fila nemmeno le prime due sillabe del discorso. E probabilmente sono appena uscita dallo stereotipo della bionda stupida e poco perspicace, perchè lo sento che mi guarda e che probabilmente si sta chiedendo cosa ha subito il mio cervello in questi anni per arrivare a concepire un pensiero che qualche anno fa sarebbe stato meglio sulle sue labbra che sulle mie: ma gli anni passano e le cose cambiano, e dal modo in cui intravedo la sua bocca aprirsi in un sorriso triste capisco che anche lui ha tratto la mia stessa conclusione.
- Se ti avessi sentito dire queste cose qualche anno fa Ino probabilmente avrei creduto di star sognando, o di essere impazzito - rido, stronzo - ma ad oggi vedendoti, non mi sembra più neppure così inconcepibile. -
Dovrei offendermi per la velata allusione alla mia passata mancanza di intelligenza, eppure non posso fare a meno di ridere ancora, sempre più forte, continuando a pedalare, sempre più veloce, come se dovessi arrivare prima dei miei pensieri là dove vorrei che questa giornata mi portasse, indietro nel tempo. Pedalo fino a quando non sento le cosce ardere dalla fatica e il fiato diventare sempre più corto, fino a quando la sua mano non si posa sulla mia gamba: mi rendo conto solo in quel momento che ha smesso di pedalare, e che mi sta guardando, accennando un sorriso nostalgico quando i nostri sguardi si incrociano.
Ci vedo anche della consapevolezza lì dentro, in mezzo alla tristezza, al rimpianto e alla felicità di poter rivivere un momento del genere anche a distanza di anni.
Smetto di muovermi e di affannarmi.
E mi sento in una bolla di sapone sul punto di scoppiare quando lui apre le braccia in un chiaro invito a tuffarmici, perchè probabilmente ha già capito che tra qualche secondo sarò in lacrime ad urlargli perchè a me, che tanto lo amavo, non ha mai voluto dare la possibilità di dimostrarglielo come avrei voluto, perchè mi ha confinato in quell'angolo fatto di baci rubati alle feste dopo esserci sbronzati, messaggini equivoci scambiati durante e tra le relazioni di ciascuno, e frasi pungenti dette dietro occhi maliziosi. Vorrei chiederglielo il perchè, pestarlo anche per avermi tarpato le ali quando avrei potuto volare davvero, senza rimanere legata alla speranza in una improvvisa presa di coscienza da parte sua, prima di capire di non aver vissuto abbastanza i miei vent'anni.
Ma resto immobile, a guardarlo con un misto di disperazione ed orgoglio ad tingermi le guance, che sento sempre più calde; e quando si rende conto che non sarei stata io a muovermi questa volta, che gli anni sono passati anche per me, è lui ad abbracciarmi stretta e a sussurrarmi una parola tra i capelli che mai, da che lo conosco, avrei mai pensato di sentirgli dire.
Ed è a quel punto che seguo il copione che già il mio cervello aveva scritto, iniziando a piangere e a stringere forte il suo cappotto, conficcandovi le unghie finte laccate di rosso e staccandomene anche una, ma fregandomene come mai in questo momento della mai distrutta manicure fresca di settimana. Piango fino a che non sento gli occhi bruciare, e inveisco contro tutto e tutti, contro Sakura per non avermi preso a schiaffi abbastanza a lungo per farmelo dimenticare, contro Hinata per non avermi presentato suo fratello e contro la mia stupida attitudine a innamorarmi sempre della persona sbagliata. Inveisco anche contro di lui, perchè se li merita tutti i miei insulti, dal primo all'ultimo stronzo che gli vomito addosso con cattiveria.
Lui continua ad accarezzarmi la schiena, aumentando la presa di tanto in tanto, quando sente i singhiozzi aumentare, tanto da coprire gli insulti; credo di star piangendo tutte le lacrime di una vita passata a cercare di dimenticare il suo volto, il fatto di essere caduta con tutta me stessa nell'illusione di una prospettiva di felicità che non è mai arrivata, e che per anni, mi ha logorata. Piango per la delusione, per la stupidità e per la certezza di aver avuto tutti i segnali necessari per capire prima che Shikamaru sarebbe stato solo un vicolo cieco, e nulla più.
Dovrei smetterla, asciugarmi le lacrime e chiedergli di fare finta di nulla, perchè non ho pianto alla realizzazione di averlo perso per sempre, piangevo per la stanchezza, per l'esaurimento che mi provoca dover lavorare e per la mia unghia spezzata, come facevo al liceo, con superficialità; invece non trovo la forza di farlo, continuo imperterrita ad inondarlo di lacrime e parole poco carine, mentre sento sempre di più la rabbia lasciare il posto alla dolorosa consapevolezza di essere rimasta sola, questa volta per davvero.




- Dovresti dormire.-
Si alza dal letto e mi da le spalle, mentre si riveste.
Io taccio, mentre sotto alle lenzuola cerco le mutande a tentoni, trovando solo la maglia e i calzini, totalmente inutili. Sul pavimento vedo i jeans abbandonati e riesco solo a pensare che mi riflettano, prima di alzarmi ed infilarmeli, senza mutande.
Penso che dovrei chiederle di restare, perchè vederla ogni volta voltarsi con l'intenzione di andarsene mi uccide poco a poco, ma taccio e mi limito ad accendere una sigaretta, sedendomi nuovamente sul letto. Aspiro, espiro il fumo, inspiro, espiro il suo profumo e mi do mentalmente del coglione per avere le capacità comunicative di una mangusta, se non per fare prediche o esporre la lezione.
- E io dovrei andarmene.-
Non ho il coraggio di girarmi nemmeno quando sento la porta chiudersi alle mie spalle, per quella che so essere l'ultima volta.




- Mi stai chiedendo l'impossibile. -
Ho appena smesso di piangere, se siamo tornati a riva è stato solo merito suo e della sua riscoperta attitudine a pedalare, non per merito mio. Così come le lacrime erano arrivate improvvisamente, così sono anche sparite, lasciando segno del loro passaggio solo nei miei occhi rossi e gonfi e nel mascara totalmente colato sulle guance. Non oso specchiarmi nel laghetto, tanto meno sullo schermo del telefono, che mi restituirebbe l'immagine di una ragazza giunta dolorosamente alla consapevolezza di essersi spezzata, oltre che un' unghia, anche il cuore.
- Ti sto chiedendo una notte. -
Impassibile stoico stronzo.
- E io ti sto dicendo che mi stai chiedendo l'impossibile. -
Di impassibile io non ho nemmeno un poro della pelle.
Guarda l'orologio e strabuzza gli occhi, segno che probabilmente la sua fuga dalla realtà è durata fin troppo. Si passa una mano nei capelli sfuggiti all'elastico e mugugna al mio ennesimo rifiuto, il quinto per l'esattezza. Alla fine sbuffa e sembra desistere, afferrando il telefono dalla tasca e accendendolo, per poi comporre un numero, che riconosco essere quello di sua madre. Attacca poco dopo averle fatto un paio di squilli, tornando a prestarmi attenzione.
- Allora vieni al mio matrimonio. -
Impassibile stoico brutale stronzo.
Mi verrebbe da mandarlo a quel paese, più volte, a più riprese. Mi immagino già una sinfonia melodica che attacca al suono della mia voce che lo spedisce là, dove tutti gli stronzi come lui meriterebbero di stare, assieme all'autista del taxi che si ostina ad ignorarmi per la mia collega e al gelataio che mi serve gelato ghiacciato e non cremoso, come tanto lo amo.
- Preferirei studiare matematica avanzata.-
Sorride, capendo forse che la mia predilezione per la matematica al suo giorno più bello e gioioso è il chiaro segno del mio totale rifiuto al riportarlo nella mia vita, prima di farmi davvero troppo male per poter guarire le ferite, che a quel punto sarebbero mortali, scavalcando le cicatrici che ancora ora mi porto dietro. Sorride, mentre mi guarda divertito e dispiaciuto, avvicinandosi quel tanto che basta per posarmi un bacio sulla fronte, soffermandosi anche dopo, con un braccio dietro la mia schiena che mi preme contro di lui: sento il suo respiro calmo in contrasto con il cuore impazzito, che gli martella nel petto quasi volesse uscire e prendere la parola, per dire forse ciò che il suo proprietario non ha mai avuto il coraggio di far uscire dalla sua bocca.
E quando si allontana percepisco un respiro più lento ed un battito mancato, mentre lascia la presa e mi sorride, salutandomi con un ciao che ha più dell'addio.





- Ce la farai Ino, sei una leonessa!-
Sento Sakura parlarle incitarla ad andare avanti: io mi sento una merda, un codardo ed un coglione.
- Ci volessero anche dieci anni, tonnellate di patatine ed un lifting facciale offerto dalla sottoscritta, ce la farai, te lo prometto!-
Sento lei piangere, e dal vetro la vedo mordersi il labbro mentre accovacciata a terra, con le ginocchia al petto, mi maledice mentalmente.
- Io supererò Sasuke e tu supererai Nara, ce ne faremo una ragione a suon di vodka tesoro.-
Questa volta la sento ridere, mentre si asciuga le lacrime con l'angolo della maglia ed accetta la mano dall'amica per alzarsi: sono contento che non sia sola, che ci sia qualcuno a dirle che la sua vita sarà davvero bella, anche senza di me, soprattutto senza di me.
- Shika! -
Una voce alle mie spalle mi scuote dal torpore; quel nome se non è detto da lei mi infastidisce. Mi volto giusto in tempo per schivare un pugno di Temari, salutandola.
Quando mi giro nuovamente verso il suo riflesso non trovo ciò che mi aspetto: è davanti a me, occhi rossi e labbro gonfio, e vorrei baciarla.
- Ciao.-
Mi saluta atona, apatica e distrutta, prima di proseguire lungo il corridoio.
E quando sia allontana mi manca un battito e perdo il respiro, mentre non posso fare a meno di pensare che quel ciao tanto spento avesse più il suono dell'addio.






Da lontano li osserva, seduta su una panchina sotto ad un salice con un cappuccino.
Fa la psicologa ad amici e parenti e vive di orari inumani al supermarket. Sta leggendo Dostoevskij mentre le passa davanti, cupo e arrabbiato con sè stesso.
Vorrebbe dirgli che Ino lo avrebbe sempre amato, e che sa che per lui sarebbe stato lo stesso, ma non è suo compito fare la "Cupido fallita e single per cuori solitari legati dal destino ", per cui continua a leggere il suo libro, sorseggiando il suo cappuccino con tanta schiuma come piace a lei, mentre da dietro gli occhiali da sole gli lancia uno sguardo indagatore. Lo vede distrutto, infelice della vita che ha scelto.
Non può fare a meno di fargli lo sgambetto quando se lo trova a portata di piede.
Lui cade, lei ride.
Lui si rialza, lei ancora ride.
Lui la riconosce e veste una maschera di indifferenza che potrebbe anche intimorire qualcuno, ma non lei, che l'ha visto amare incondizionatamente, senza lasciarsi amare però, e pentendosi di questo, lei glielo legge nello sguardo.
- Nara.-
Saluta, educata.
- Prima che io decida che l'arco con le frecce poco mi si addice, vuoi spiegarmi perchè stai camminando con una faccia da funerale verso la tua solita vita mentre fino ad un attimo fa sembravi un quindicenne euforico anche a bordo di un pedalò? -
Lui sembra non capire, mentre si rialza e la ascolta.
Ma quando torna sui suoi passi, mormorando qualcosa riguardo un telefono dimenticato su quel "maledetto schifoso cigno", il tutto mentre una allegra melodia gli risuona dalla tasca del cappotto, lei capisce che il suo tiro è andato a segno.
Torna a leggere " Delitto e Castigo " e sorride ancora, mentre li osserva rincorrersi ancora una volta.
Questa volta forse, l'ultima.













Angolo dell'autrice:
Dopo mesi di silenzio che anche io speravo rimanessero tali ecco l'ennesima cosa.
Se la protagonista fosse stata bassa, con i capelli rossi e meno stacco di coscia di Ino avrei anche potuto metterci il mio nome, ma così, con lei a vivere la mia vita, mi sembra più divertente.
Saluti,
Alu.






   
 
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