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Autore: sese87    14/01/2016    6 recensioni
One shot sui pensieri di Vegeta, alla vigilia della sua partenza per lo spazio per diventare Super Sayan, e di Bulma che glielo lascia fare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Inizi'
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Paure

 

Salve a tutte e tutti! Per cominciare mi scuso con chi aspetta i miei aggiornamenti, le mie recensione e le mie risposte ai messaggi. Purtroppo sono davvero molto impegnata in questo periodo e ho lasciato perdere EFP per un po’. Anche la connessione mi ha giocato brutti scherzi.

Tra le mie cartelle ho ritrovato questa vecchia fanfiction, che ho pensato di sistemare e pubblicare. Farà parte di una serie, insieme alla precedente “Il Minotauro”, ma non è necessario aver letto quella per capire questa.

Spero vi piaccia! Buona lettura.

 

 

 

Paure

 

Dimmi, ragazzo solo, dove vai?”

 

 

 

La finestra era rimasta aperta e il sentore muschioso del temporale impregnava la stanza, la cui aria era accarezzata dalle tende scomposte.
Era stato brutto morire.
Era stato come se qualcuno gli avesse infilato un braccio nell’esofago e cacciato via l’anima tra le viscere. E lui era Vegeta e, in un attimo, era stato. Ci pensava sempre, senz’altro mentre la frescura gli asciugava il sudore sulla pelle viva e i suoi occhi erano lasciati al buio, ma soffuso di luce, in una stanza tracciata dal passaggio di qualcuno. Il vino rosso, che aveva bagnato le labbra di Bulma, riempiva a metà, sul tavolino, un calice sporco di rossetto.
Morire non era stato per Vegeta un semplice trapasso, indolore nel fisico mentre lo subiva, lacerante nella coscienza, postuma, di un risveglio inaspettato e insperato, a cui si aggiungeva la certezza di perdere ancora, dopo aver rivissuto lo spettacolo della sua inappagante esistenza, costretto a rivedere i suoi fantasmi. “Quando si muore, ogni cosa non diventa niente e si perde conoscenza?” No, nessun refrigerio per un assetato di conquista, ma salate lacrime di impotenza.
Non avrebbe dunque, proprio lui, il Principe dei Sayan, mai avuto la propria vendetta? Mai sarebbe diventato così forte da sconfiggere persino quel destino ingrato, sua culla per nascita? Sopravviveva quindi per essere ucciso dai Cyborg? Mai.
Tra tutte, questa sarebbe stata la lotta più impegnativa: superare se stesso, risplendere d’energia, cambiare la storia e, finalmente, diventare padrone di un brillante avvenire; perché era vissuto schiavo e ancora aspettava di essere il principe che avrebbe dovuto. Era quasi grato per la sfida prospettatagli dal ragazzo del futuro; l’imbattibile Vegeta avrebbe dimostrato di essere più forte persino della provvidenza avversa.
Nessuno dei terrestri, nemmeno quella Bulma, lo aveva voluto riportare in vita alla vigila della sconfitta di Freezer, eppure, per beffa, era ritornato a sentire tra i denti la terra del suo sepolcro. Adesso la Morte voleva riprenderselo, pur di non riconoscergli un’utilità all’infuori di Freezer, o individualità nonostante Bulma, causa ultima della sua seconda, annunciata, dipartita. Su di lei, infatti, Vegeta scagliava gli ultimi dardi avvelenati di rancore, perché da lei aveva scoperto limiti ben più temibili di quelli fisici. In passato, non avrebbe assolutamente osato concepire una copulazione così intima con una donna, aliena alla sua razza, alla quale aveva addirittura concesso la grazia di spogliarlo e contemplare il suo corpo. Che disgusto! Comprendeva un attimo di debolezza; non lo accettava: non era stato all’altezza, tantomeno di un Sayan puro. Doveva forse dubitare anche del proprio sangue, adesso? L’accusa: eccessiva mollezza; che lo schiacciasse, se davvero, a lui, il Principe, fosse stata necessaria una donna per ritrovare se stesso.
Poche volte aveva tremato di paura, troppe da perdonarsele. Cosa aveva da temere ancora? Era sopravvissuto alla sua nemesi: morto Freezer, aveva dimostrato di continuare ad esistere. Né Kakaroth meritava una simile considerazione; un incidente, figlio sfacciato di un’immeritata fortuna. Lo avrebbe superato, attingendo soltanto da se stesso; nessuna scorciatoia o appagamento per diventare completo. Bulma, un suggerimento non richiesto. Nessun compromesso; la grazia, l’avrebbe raggiunta, ma non da una terrestre.

 
Bisognava essere forti, per reggere lo sguardo di Vegeta senza pietà o paura. Quello sguardo profondo, di un uomo abituato a subire come a primeggiare, indagatore dell’una e dell’altra, sulla Terra si era aperto alla sorpresa. Aveva trovato in Goku l’ingenuità di mostrare con orgoglio la propria forza al suo Principe, neanche fosse normale, adombrare chi, fino ad allora, era stato tra i Sayan il più grande. Non trovava, invece, alcuna ragione affinché Bulma gli riversasse comunque amore, da quegli occhi in tempesta quando ignorata.
Perché proprio lei si era creduta in dovere di restituirgli i pezzi del suo onore scoraggiato, al soldo di baci malaccetti? Perché, in un certo senso, glielo aveva chiesto. E così il ventre di Bulma non era stato soltanto un pozzo in cui gettare frustrazione: non potendo uccidere la terrestre, aveva finito col restituirle abbastanza piacere da trarne appagamento, iniziato al ritmo armonico di un nuovo tipo di sesso. Si era dissetato. Gli era piaciuto, se ne vergognava, perché si era scoperto un debole per necessità che non avevano tolto nulla al suo struggimento, anzi, lo avevano acuito!

 
Ancora di rabbia erano rigonfie le sue vene, e così doveva essere, finché la sua aura non fosse scoppiata d’eccellenza; infinita.
Non avrebbe dovuto concedere a Bulma di dissiparla. Il Principe dei Sayan, avvicinato soltanto per scagliare pugni, non poteva essere sconfitto da un abbraccio, da una dichiarazione implicita e muliebre. L’unica preghiera che avesse mai ascoltato. Ma dalla calma non sarebbe spillato il bramato oro, pensava; non sarebbe diventato un cuore duro e implacabile da Super Sayan se fosse rimasto vicino a Bulma, la quale aveva versato dolci sospiri sulle sue labbra da bestemmiatore.
Aveva perso ad ogni spinta, non aggressiva, seppure inesperta, proprio quanto Bulma si era illusa di restituirgli, assorbendolo invece in se stessa, attraverso la consapevolezza di aver soggiogato Vegeta, il terribile Principe.

 
Non c’erano state altre volte dopo la prima; Vegeta la temeva, perché aveva capito che grazie a Bulma avrebbe potuto placare la rabbia seminata al giogo di Freezer, quando quell’odio doveva mantenersi intatto, se da esso avrebbe dovuto nascere un invincibile guerriero. Invece, Bulma, aveva purificato le sue mortificazioni. Mi piaci, e lo aveva accarezzato con un sorriso, non di scherno, ammansendo il mostruoso se stesso. Lo aveva irretito, elencandogli qualità che Vegeta sospettava già di avere ma che, riconosciutegli ad alta voce, lo avevano fatto arrossire, parendogli più vere: non era stato lui a dirsele. Quegli omaggi al suo onore, al suo vigore, a riprova della propria grandezza, piuttosto che dell’onnipotenza tirannica, avevano nutrito l’affamata vanità di Vegeta, fino ad allora abnegata, sollecitata non altro che per scherzo o invidiosa reverenza. E si era rinvigorita la sua fiamma, vacillata al sussurro di un’insicurezza inconscia. Di fronte alla prova delle circostanze, per colpa di Goku, degli eventi di Namecc e della profezia, Vegeta aveva infatti temuto di non essere più abbastanza. Le confessioni di Bulma lo avevano tonificato; tormentato in sogno da accuse paterne, nella realtà rassicurato da abbracci accoglienti.

 
Non capiva perché Vegeta sdegnasse ogni suo nuovo approccio, i cui baci rubati, anche del tentativo, avevano solo un abbozzo; così restava inesaudita, sospesa, alle spalle di uomo tornato a mostrarle la schiena, invece del corpo.
Risoluta si era ripromessa di parlargli e di capire il suo atteggiamento; complice qualche bicchiere di vino, aveva deciso di aspettarlo, finché non fosse tornato dai suoi allenamenti, e chiarire la seccante situazione. Sarebbe stato arduo parlare con Vegeta? In fin dei conti erano andati a letto insieme, ed era sopravvissuta. Voleva la certezza di sapersi legati da una congiunzione.
Rientrava quindi in salotto, dopo essere passata in bagno, per tracannare altre gocce di un coraggio alcoolico. Non era più la donna che era stata, dall’epoca in cui il guerriero aveva posato piede sulla Terra, a colei che, tra le sue gambe, aveva domato le reciproche voglie. Al più disinteressato atto di pace era seguita la più intima delle guerre: Bulma lo voleva; Vegeta voleva non volerla, e nel suo animo, già allora!, principiava  l’inconfessato conflitto tra chi rivelava di essere e chi si imponeva, per stirpe, di essere.

 
Lo sorprese nella stanza, con in mano il calice di vino rosso marchiato con labbra dipinte di rosa. Resistette alla tentazione di scacciare il Sayan, per essersi presentato così alla sprovvista, fuori dal programma da lei immaginato, per di più sudato. Un sudore a cui lei non aveva partecipato.
L’ardore, che Vegeta le aveva infuso scegliendo di giocare all’amore con lei invece che alla morte, si disperdeva ad ogni passo. Sarebbe stato di una tenerezza infinita, se lui avesse bevuto dallo stesso bicchiere, suggellando la sua stessa impronta. Sarebbe stata romantica prova di una familiarità a cui non era pronta a rinunciare, sarebbe stata prova del riconoscimento di un qualsiasi rapporto tra di loro. Silenziosa, allora, lo raggiunse, per evitare di guastare quelle intenzioni, comunque fraintese. Pensava a questo, Bulma, ma quando gli fu vicino non avrebbe chiesto altro ad un po’ di approvazione.

 
Vegeta si era ovviamente accorto di lei dal suo profumo e del suo respiro fattosi irregolare; soprattutto, aveva notato il silenzio, inusuale per Bulma, che la scortava. Voleva probabilmente parlargli e indagare sulla sua freddezza. Sbagliava, se credeva di essere stata messa su un piedistallo.
Si concentrò di più sul significato del bicchiere tra le sue mani; agitò il liquido e ne annusò l’effluvio, come aveva sempre indugiato Freezer prima di bere qualcosa di molto simile. 
Socchiusi gli occhi, ricordò il tiranno e il suo uccisore, per ritrovare tutto l’odio a cui anelava, compagno fidato di tanti soprusi, fondo di tante speranze. Ma le immagini tremende impallidirono appena Bulma gli toccò un braccio. «Ti piace? È un vino molto buono.» Gli disse, contenta di vedersi servire un inizio facile ad una conversazione difficile.
«Non mi è mai piaciuto.» Replicò seccamente Vegeta e l’avrebbe frantumato, se lei non si fosse intromessa. Bulma, con la più riuscita delle espressioni provocanti, avvicinò alle belle labbra il bicchiere che lui stringeva, e bevve.
Vegeta si irrigidì nella voglia, di ucciderla, ispiratagli da quello sguardo, ennesimo ingorgo al flusso del suo meditare abietto. Che voglia era di piantarsi lì, in quella casa, per nascondersi? Non era purtroppo soltanto carnale. Quel genere di carne lascia quasi indifferente un Sayan. Forse, lo sarebbe stata se, prima di Bulma, avesse avuto altre donne come lei, custodi di confessioni recondite. Non sarebbe stata nuova quella pace che aveva addolcito i suoi dissapori ma, per sventura di molti, o fortuna di pochi, non esistevano altre pazze come Bulma Brief.

 
E perché ne era rimasto sedotto poi? Mentre lei comunque lo amava, lui comunque non la amava. Lei nemmeno aveva chiesto giustificazioni per il suo passato, perché veniva accettato come parte di Vegeta, esattamente come lo considerava lui stesso.
Nella sua ottica Sayan, di guerriero errante che tutto aveva saggiato (tranne l’amore!), era naturale non stupirsi di mille uccisioni e prevaricazioni. Né si chiedeva perché lei si fosse concessa a chi aveva torturato i suoi amici più cari. Naturale anche questo; chi sarebbe stato più capace di stuzzicare una ragazzina romantica, se non un Principe mercenario? Questo si raccontava pur di non identificare il significato di quelle fantasie. Avere coscienza di simili emozioni lo avrebbe indotto a nominare meglio le proprie, vittime di un’affezione embrionale.
Vegeta, infatti, era abbastanza perspicace da capire che non sarebbe riuscito ad ignorarla, almeno tanto quanto ignorava tutti gli altri. Prima di Bulma si era eccitato soltanto per la lotta. Non poteva tenere a lei, una terrestre, al punto da rinnegare se stesso.

 
E davvero, sarebbe valsa la pena di sacrificare un po’ di amor proprio, se soltanto lui l’avesse amata!
Nati per ripicca, i sentimenti donati da Bulma a Vegeta avevano formato brame più mature e concrete. Non erano abbagli.
Ignorante su chi fosse diventata nel futuro raccontato dal ragazzo misterioso, alla prospettiva di una morte quasi certa, Bulma Brief avrebbe vissuto l’attimo, in cui maturava il fascino esotico del Sayan, criminale intergalattico. Aveva però commesso l’errore di sentirsi importante per chi volava troppo in alto. Stringendolo, abbandonandosi a qualcuno così abbandonato, che con altri aveva condiviso la guerra, aveva in fine compreso che Vegeta si era volto al bene esattamente come si volgeva al male: senza interesse; come di lei era stanco. Tuttavia, qualcuno i cui dispiaceri erano virtù, con un orgoglio trafitto ma abbastanza resistente da rinascere anche dalle ceneri più sparse, caparbio e machiavellico, era esattamente il tipo di uomo che avrebbe desiderato per tutta la vita al suo fianco, e pazienza se era anche un efferato omicida. Vegeta meritava di essere sanato e nutrito dal riconoscimento di chi fosse al suo livello, invece che da becere bassezze. Insomma meritava di sapere di essere amato, non per timore né per inganno. Perché in lui rivedeva un po’ se stessa. Entrambi erano mossi dall’ambizione, entrambi volevano essere l’eccezione: Vegeta il più forte, Bulma la più amata, bistrattata dai tradimenti di un uomo qualunque, battuto da un Sayan qualunque.

 
Vegeta vedeva nell’amore un limite piuttosto che uno slancio. Dopotutto, è scarso il valore di ciò che non si guadagna, sarebbe stato meglio piacerle per ricatto. Ciò nondimeno, avvezzo a leggere menzogne, gli occhi limpidi di Bulma, in armonia con un Ti amo a scia di un bacio, l’avevano interrogato mostrandolo impreparato.
«Beh da come lo maneggiavi, sembrava ti interessasse!» Rispose Bulma, delusa dalle aspettativa, parlando un po’ del vino e un po’ di sé.
«Non tutto ciò che tocco mi interessa veramente.» Replicò quindi Vegeta, parlando un po’ del vino e un po’ di Bulma, inacidito dalla promiscuità di un’anima che avrebbe preferito non avere. «Spesso è solo curiosità.»
«Si è curiosi di qualcosa che ci interessa.» Snocciolò Bulma, soddisfatta di poter vincere in logica la sua replica; ma Vegeta continuava a guardarla severo, freddo. Le sembrava, vendendo giusto, le rimproverasse la debolezza avuta nei suoi confronti; pareva la giudicasse, per baci regalati in cambio di niente. La sua bisbetica spontaneità già le apriva la bocca per una difesa logorroica, ma Vegeta le rubò la parola.
«È colpa tua se non riesco a trasformarmi. Tutto ciò che costruisci lo distruggo così facilmente che non accresce la mia forza.»
«Evidentemente sei arrivato al limite!» Berciò Bulma, non gradiva critiche al suo lavoro. «Non tutti hanno diritto ad essere Super Sayan, dopotutto la leggenda parlava di uno solo, non ti aspetterai che crescano come funghi!» Si augurava, però, non fossero tanto acefali quegli obiettivi. Altrimenti chi l’avrebbe sopportato?
«Kakaroth non è un vero Super Sayan.» Asserì, non trovando argomentazioni migliori. «Lui è troppo altruista, non sarà più forte di così. Un Super Sayan è un guerriero dal cuore puro, ma non delle vostre sciocchezze da terrestri.»
«Sciocchezze da terrestri, dici, e di cosa dovrebbe essere puro, il cuore di un Super Sayan?»
«Odio.» Rispose secco Vegeta, con una vena di pazzia nello sguardo e, ripreso il bicchiere, finalmente lo distrusse, vaporizzandolo nell’aria come se non fosse mai esistito, tantomeno come tenera illusione.
«E non credi di averne avuto abbastanza?»
«Credevo, prima di incontrare Kakaroth.»
«Cosa pensi di fare quindi, andare da lui e guardarlo finché non scoppi di invidia?» Lo canzonò Bulma, secondo la quale Vegeta stava per essere pizzicato dall’ennesimo granchio. Se, infatti, proprio Goku era stato capace di trasformarsi nel guerriero aureo, presumibilmente non era l’odio che brillava tanto, ma l’amore e l’ingenuità che davvero un immaturo come Goku avrebbe potuto avere. E il ragazzo del futuro? Aveva intrapreso un viaggio temporale, a costo della vita, per informare delle persone conosciute appena da piccolo. Generosità, dunque. Rara in un Sayan quanto la verità in una leggenda.
Le afferrò le braccia, e la costrinse in una posizione scomoda, quasi volesse schiacciarla. «Il giorno in cui lo ucciderò, lo squarterò davanti ai tuoi occhi.» Ma c’era già un nero diverso nei suoi, meno tetri di quanto Bulma li aveva contemplati al ritorno da Namecc, in una pacifica giornata di sole.
«Non accadrà.» Rispose sicura la scienziata, intuendo di cosa Vegeta avesse paura: il suo cuore non avrebbe mai traboccato d’amore; se si fosse lasciato amare, non avrebbe avuto più la possibilità di custodire un sentimento puro come l’oro. Più vicino al male che al bene, avrebbe impiegato troppo prima di capire il secondo, e il tempo scarseggiava. Probabilmente, se, avesse accettato le sciocchezze terrestri, temeva non sarebbe stato più lo stesso. Del canto suo, Bulma, sarebbe stata disposta ad assecondare un uomo così, fissato? Sì, affermò, inebriata dai ricordi suggeriti dal quel viso leggermente madido; sulla lingua, le tornò il sapore della sua, custodita da labbra che, ne era sicura, per lei avevano frenato morsi troppo violenti.
La sicurezza di lei lo divertì, le sorrise bieco, la lasciò con due lividi sulle braccia, Le mie belle braccia, e incrociò le sue al petto, distogliendo l’attenzione per non vacillare al suo cospetto. «Voglio partire il più presto possibile, fammi preparare una navicella.»
«Perché, non ti fidi delle mie capacità?» Domandò Bulma, quasi offesa.
«Non voglio che tu ci metta piede.» Ammise quest’ultimo, prendendo la strada per la doccia.
Anche lei aveva paura, scoprendosi in balia di chi le avrebbe restituito solamente abbastanza. Non avrebbe perdonato una delusione. «Tornerai?»
«Per battere i cyborg.»
Le bastò. Sarebbe stata disposta a tutto pur di averlo, perfino colmarlo d’odio.
«Non disturbarti allora; sarà Goku a sconfiggerli. Lui sì che vince sempre.»

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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