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Autore: Harmony394    14/01/2016    4 recensioni
[Varric/fem!Hawke] [Post quest: "Qui giace l'Abisso"] [Possibili spoiler su DA:Inquisition] [Angst]
Varric ci pensa spesso.
Durante la cacofonia delle missioni, le urla della battaglia e dei nemici che muoiono sotto le frecce di Bianca, il pensiero sparisce per alcuni istanti, ma è sempre lì, in agguato come l'inizio di una nuova guerra sempre pronta a scoppiare nei rari momenti di pace.
È un pensiero accompagnato dal frastuono infernale del silenzio e del senso di colpa.
"È colpa tua", – gli sussurra all’orecchio – "tu hai trovato il Lyrium Rosso. Tu le hai detto di raggiungerti a Skyhold".
È un pensiero che non gli dà pace.
Varric non lo sopporta, perché sa che ha ragione.
Hawke.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Hawke, Un po' tutti, Varric Tethras
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Il richiamo del falco
 
Per Barbara. Grazie di tutto. 
It’s been a long day without you my friend
And I’ll tell you all about it when I see you again
We’ve come a long way from where we began
Oh I’ll tell you all about it when I see you again
When I see you again

 
 
 

Varric ci pensa spesso.

Durante la cacofonia delle missioni, le urla della battaglia e dei nemici che muoiono sotto le frecce di Bianca, il pensiero sparisce per alcuni istanti, ma è sempre lì, in agguato come l'inizio di una nuova guerra sempre pronta a scoppiare nei rari momenti di pace.

È un pensiero accompagnato dal frastuono infernale del silenzio e del senso di colpa.

È colpa tua, – gli sussurra all’orecchio – tu hai trovato il Lyrium Rosso. Tu le hai detto di raggiungerti a Skyhold.

È un pensiero che non gli dà pace.

Varric non lo sopporta, perché sa che ha ragione.

Hawke.

La rivede nei suoi libri in cui lei è protagonista, nella sciarpa rossa che gli aveva donato e che odora ancora di lei; la sente nella risata sguaiata del Toro di Ferro dopo una bevuta al Riposo dell’Araldo e nelle imprecazioni frustrate di Sera dopo una partita persa a Grazia Malevola.

La rivede in Cullen, ricordando le battutine allusive che faceva su di lui e il suo didietro; nelle statue di Andraste della Sala del Trono — Hawke non era mai stata una persona religiosa, ma aveva sempre amato il Canto della Luce.

Anche adesso, chino su un tavolo pieno di scartoffie e calamai, Varric ci pensa: pensa ai suoi occhi blu accesi, a come li assottigliasse prima di una battaglia, alla luce che vi risplendeva quando rideva; pensa al suono della sua voce, chiedendosi se riuscirà a ricordarla durante gli anni.

Pensa anche a Carver, si chiede come farà a dirgli che sua sorella non c’è più a causa sua e della sua idiozia; pensa a se stesso e a come farà a vivere senza la sua migliore amica. Senza Hawke.

Avrei dovuto essere là, si dice. Avrei dovuto salvarla. Provarci, quanto meno. Lei l’ha sempre fatto con me, è sempre venuta in mio soccorso, e io… io ho lasciato che morisse. Sola.

La piuma d’oca stretta fra le sue dita diventa di colpo troppo pesante e Varric la lascia cadere sul tavolo con un sospiro. Si passa una mano sul volto, fissa il bianco della carta, stringe i pugni così forte da far diventare bianche le nocche.

«Ah, merda...», sussurra, ma dalle sue labbra deve essere uscito solo un gemito strozzato, perché improvvisamente una mano gentile gli sfiora la schiena: è Leliana.

«Varric… va tutto bene?».

Varric vorrebbe risponderle che no, non va tutto bene.

Vorrebbe risponderle che Hawke non c’è più e che vorrebbe essere morto lui al posto suo. Vorrebbe risponderle che non meritava una fine del genere dopo tutto quello che aveva fatto per lui, per Kirkwall e per il mondo intero.

Vorrebbe, ma non lo fa. Si limita a scrollare le spalle e rivolgerle uno sguardo vacuo.

«Ho avuto momenti migliori.»

«Oh, Varric…» Leliana sospira «Mi dispiace tanto. Sono certa che ora si trova in un posto migliore, accanto al Creatore. Il suo sacrificio ha salvato molte vite.»

«Sacrificio…» le parole escono dalla sua gola con più rabbia di quanto avesse voluto «Già, è questo il fatto. Hawke si è sempre sacrificata per tutti, ha sempre sorretto più croci di quante gliene fosse consentito portarne, lottando per cause che non erano le sue. E adesso…» le sue dita artigliano con rabbia le lettere che stava scrivendo, l’inchiostro ancora fresco si appiccica ai palmi «E adesso è morta. Nient’altro che carne da macello per un bene superiore, ecco cos’è stata! E io… il Creatore mi assista, io l’ho permesso…», la sua voce si spezza. Varric si chiede da quando la sala è divenuta così offuscata. «Avrei dovuto essere lì. Per una volta, una sola, singola volta, avrei dovuto fermarla dal diventare il martire della situazione. Avrei dovuto salvarla. Se solo fossi stato lì, io...»

«Non avresti potuto fare nulla di più di quanto hai già fatto, Varric. Capisco il tuo dolore, ma lei non vorrebbe vederti così. Quando tutto questo sarà finito, brinderemo in suo onore.»

Varric non risponde. Tiene la testa nascosta sotto le sue grosse mani callose, il suo respiro è pesante e frammentato. Fa male, troppo male, e non gli importa di ciò che dice Leliana, lui vuole solo riavere la sua amica indietro.

«Grazie, Usignolo. Ora avrei del lavoro da fare, delle lettere da scrivere... Non ti tratterrò oltre.»

Sente la mano della donna posarsi delicata sulla sua schiena un’ultima volta, per poi sparire così come era arrivata. Quando rimane solo, Varric capisce che non può più scrivere le lettere: la carta è stropicciata, l’inchiostro è tutto scolato e rovinato, i fogli già scritti bagnati e illeggibili.

Continuerà domani, quando le lacrime si saranno asciugate.
 
~
 
Alla taverna del Riposo dell’Araldo, Varric si chiede quanta birra potrà ancora trangugiare Bull prima di cadere a terra: per il momento, è a quota venti boccali. Inizia a credere che i qunari non si ubriachino per fisionomia, tuttavia è pronto a giurare che gli occhi del Toro di Ferro si siano illuminati di una luce più euforica e brillante da quando ha raggiunto il decimo boccale.

«Allora, Varric» la voce di Bull è potente quanto i suoi attacchi «scommetto dieci pezzi d’oro che non potresti mai battermi in una gara di bevute.»

Varric sorride.

«E li vinceresti tutti e dieci. A differenza di quanto si dice, non tutti i nani vanno d’accordo con l’alcool, a mio fratello bastavano tre bicchierini di whiskey per iniziare a delirare su tutti gli Antenati e la vecchia zia Merc. Piuttosto, dovresti chiedere ad Hawke. Lei è in grado di bere persino più di te, te l’assicuro, e ci vogliono almeno tre bottiglie di rum per mandarla fuori gioco. All’Impiccato, una volta...» si ferma di colpo, non riuscendo più ad andare oltre.

Gli occhi blu di Hawke gli tornano alla mente, così come il suo naso arrossato per il troppo bere e le sue labbra tinte di rosso incurvate in un sorriso sornione e ubriaco. Aveva parlato di lei come se fosse ancora lì, pronta a raggiungere Bull e lui per bere qualcosa.

Invece non sarebbe mai più accaduto.

Davanti a lui, Bull smette di sorridere.

«Ehi, tutto bene?»

Varric ode la sua voce lontana come quella di un’eco. Scuote la testa, poi annuisce.

«Sì, Piccoletto. Va tutto bene, sono solo stanco. Andrò a dormire, tu… tu continua pure a divertirti.»

Bull annuisce. È un osservatore attento, il Toro di Ferro, un professionista, e sa quando non bisogna fare domande. Varric lo ringrazia mentalmente e si ritira nei suoi alloggi. Si lascia cadere nella sua poltrona preferita, chiudendo gli occhi.

E ricorda.
 


«Varric,» la voce di Hawke era strascicata e confusa, il suo viso rosso come la striscia di sangue che portava sul setto nasale. Osservava il fondo del suo boccale di birra con le labbra corrucciate, indispettita dal fatto che fosse vuoto «sai, l’altra volta – hic! – Isabela mi ha detto che tutti e due potremmo essere una bella c-coo... oo…oppia» esordì biascicando l'ultima parola come se volesse sottolinearla ulteriormente, aveva pensato il nano.

Lui invece aveva riso, tenendo il suo pensiero per sé: «Rivaini ha sempre avuto fantasia. Dunque?»

«Quindi l’ho mandata a f-faaarsi fottere. Voglio dire, noi siamo amici no? Per le tette di Andraste, sei più mio amico tu che quell’ingrato di Caaarveer… giusto, eh, Varric?»

«Cosa, Hawke?»

«Come cosa? Sei sordo? Ti ho chie – hic! – sto se sei m-m-m-iio… m-m-m-io…»

«Compra una vocale.»

«S-s-stupido. Se sei mio amico – hic!»

«Certo che sono tuo amico, Hawke. Se non lo fossi ti avrei già spillato via tutti i soldi che mi devi per tutte le pinte di birra che ti sei presa a mio nome.»

«Ecco, ecco, appunto… oh, poi te li rendo, non fare tan – hic! – te s-s-s-torie… t-taccagno di un nano.»

«Oh, no. Vederti così, Hawke, la grande Eroina di Kirkwall, è già un ottimo compenso, mi ripaga di tutti i bicchieri che ti ho offerto. Anzi, già che ci sei… cos’è quella storia che il Biondino ha visitato la tua tenuta, l’altra notte? Ho bisogno di notizie per... ehm, questioni lavorative, diciamo.»

Hawke aveva aggrottato le sopracciglia, confusa, aveva sgranato gli occhi di colpo ed era diventata tutta rossa, più di quanto non fosse già. Per un momento Varric aveva creduto che stesse per prendere fuoco.

«Lascia stare. Un bacio, ti dico, un bacio, Varric! Un bacio e… be’ anche qualcos’altro, e già mi parlava di trasferirsi da me e di quanto mi amasse – hic! –  e mancava poco che mi chiedesse di sposarlo!» Hawke prese di nuovo a osservare il vuoto del fondale del suo boccale, gli occhi stretti in due fessure blu «L’ho mandato al diavolo e da quel momento non mi parla più. Che si f-f-fooottaa, hic!»

«Quindi il Biondino è stato sedotto e abbandonato?»

«No! Cioè, se vuoi metterla così… però… Hic! Oh, insomma! Io avevo solo voglia di divertirmi per una notte! Che potevo saperne che avesse intenzioni tanto serie? Credi che dovrei chiedergli scusa?»

«Forse dovresti, Hawke» aveva commentato meditabondo.

«Già, forse dovrei… e-ehy!».

«Cosa?»

«Tu ci hai mai pensato?»

«Pensato a cosa, Hawke?»

«Che noi due potremmo – hic! – essere… mmh… lo sai, no?» Hawke si fece seria, per quanto potesse esserlo.

«Soci?»

«No»

«Amici?»

«No!»

«Super amici?»

«Oh, va al diavolo!»

Hawke si era alzata dalla sedia col viso rosso di rabbia e d’imbarazzo, ma non aveva fatto che due passi che era crollata a terra come un sacco di patate. Invece che aiutarla, Varric era scoppiato a ridere. Appena aveva udito un altro tizio alla taverna farlo, però, gli aveva scagliato contro il boccale vuoto di birra centrandolo in pieno – il tizio non si era più rialzato, e nessuno aveva più avuto l’ardire di ridere. Soltanto allora aveva deciso di andare in soccorso dell’amica.

«Per Andraste, Hawke» le aveva sussurrato mentre cercava di rimetterla in piedi «Sei completamente andata. Devo chiamare il Biondino?».

«No!» Hawke lo fulminò con un’occhiataccia, quasi l’avesse insultata «Non ho bisogno di nessuno, ce la f-faccio da soo… oo... oola...» provò ad alzarsi da terra e, di nuovo, non fece che due passi che cadde. Questa volta, però, si addormentò di colpo. Varric non seppe se ridere o piangere, ma alla fine la prese di peso e la portò su nelle sue stanze, stendendola sul suo letto per lasciarla riposare.

Durante la notte, tuttavia, Varric pensò alle sue parole.

Lui ed Hawke…

Dolce Creatore, il solo pensiero lo faceva sentire a disagio, tanto era strano, e allo tempo lo solleticava. Non aveva mai provato attrazione per gli umani, però ammetteva senza problemi che Hawke fosse dotata di una bellezza selvaggia, indomabile e affascinante come poche.

Proprio come Bianca.

Già, Bianca.

Bianca che non vedeva da quelli che parevano secoli, e che adesso era sposata con qualche signorotto imbecille.

Sospirò. Si chiese se non fosse giunto il momento di andare avanti, di non guardarsi più indietro alla ricerca di qualcosa che non avrebbe mai trovato. Bianca apparteneva al passato, Hawke invece... be’, lei era il presente.

Scosse la testa.

No.

Hawke era sua amica, niente di più. Prima era ubriaca, neanche lei avrebbe mai pensato a una simile ipotesi da lucida.

Lo avrebbe mai pensato da sobria?

D’istinto la guardò mentre dormiva, la pelle pallida che rifletteva i bagliori rossi del caminetto accanto a lei, le labbra rosse dischiuse, le lunghe ciglia nere.

Sì, Hawke era bellissima.

Ed era sua amica. Solo sua amica, niente di più.

La mattina seguente, quando si svegliò, Hawke non c’era più. Nessuno dei due toccò più l’argomento, e a Varric andò bene così.
 
~
 
Caro Carver,

No, non va bene. Taglia.

Ciao Carver,

Nemmeno. Un altro taglio. Un altro foglio buttato.

Carver,

No, no, no. Non va. Niente di tutto questo va bene. E come potrebbe?

Come potrebbe?!

Hawke è morta, e a lui è toccato l’ingrato compito di dirlo agli altri. Ha inviato una lettera ai suoi ex compagni d’armi per avvertirli dell’accaduto e tutti hanno risposto con lettere incredule, arrabbiate e piene di angoscia.

La missiva di Merrill era illeggibile tanto era bagnata dalle lacrime e quella di Aveline aveva un tratto così marcato e tremante che Varric aveva temuto che il Capitano delle Guardie di Kirkwall avesse appena finito di fare a pugni con qualcuno. Da Isabela, invece, non ha ricevuto risposta. Varric sa quanto lei e Hawke fossero legate. Sentiva spesso, all’Impiccato, le loro discussioni riguardo il voler prendere il mare con una nave tutta loro.

Due parti dello stesso culo, due cuori e una taverna”, si dicevano. Mai divise, sempre insieme.

Ora di quei sogni non è rimasto più niente, ed è colpa sua.

Isabela non ha risposto, e Varric non ha inviato altre lettere. Gli era piaciuto sperare che non l’avesse ricevuta affatto, la dannatissima cartaccia, che stesse ancora aspettando il ritorno della sua amica, ma Varric la conosceva e infatti, dopo qualche tempo, era venuto a sapere di certe voci riguardanti il capitano di una nave pirata che aveva attaccato le navi dell’Inquisizione. Dicevano che il veliero era capitanato da una donna che portava due pugnali, letale come un cobra e veloce come una pantera. Pareva che fosse una piratessa singolare perché, nonostante i continui attacchi alle imbarcazioni, non aveva mai rubato nulla. Voleva solo distruggere i commerci dell’Inquisizione. Sulla bandiera che capeggiava l’albero maestro della nave, dicevano, vi era il blasone degli Amell: lo stemma di Hawke. Varric non aveva avuto bisogno di sapere altro.
 
La risposta di Fenris, invece, è stata diversa: dopo qualche mese dalla lettera – a cui aveva seguito un assoluto silenzio –, Varric era stato avvertito da una guardia che qualcuno lo stava aspettando nei suoi alloggi. Quando aveva visto Fenris, non si era meravigliato. In realtà, si era persino chiesto come mai ci avesse messo tanto.

«Ha sofferto?»

Niente saluti, niente cerimonie. Come sempre, Fenris andava dritto al punto. Varric aveva distolto lo sguardo, colpevole.
«Non ero con lei quando è successo. Mi piace pensare che…» gli mancò la voce. Un sospiro grave lasciò la sua gola «… che sia successo in fretta.»

«Lei…» Fenris abbassò il capo. Varric non riusciva a vedere i suoi occhi, ma la sua voce era spezzata, nervosa. Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse dimagrito e della profondità delle occhiaie attorno ai suoi occhi «Il suo corpo…»

«No, Tenebroso. L’Inquisitrice ha detto che non ha fatto in tempo a uscire dal Varco. Mi dispiace.»

Varric non saprebbe dire cosa stesse passando nella mente dell’elfo, nemmeno ora. Fenris era sempre stato un tipo oscuro, di poche parole, sempre in pensiero per qualcosa e sempre pronto a fare commenti saccenti e arroganti. Anche con Hawke all’inizio non era andata bene… e come avrebbe potuto? Una maga apostata e un ex schiavo del Tevinter che voleva vedere tutti i maghi morti o agonizzanti: è già tanto che non si fossero uccisi a vicenda.

Varric sentiva spesso Hawke lamentarsi di lui, del suo carattere scontroso e del suo modo di fare; gli diceva che voleva davvero aiutarlo e fargli capire che non tutti i maghi erano uguali, ma lui non voleva capire e che questo la innervosiva.

Varric annuiva, le dava una patta sulla spalla e poi andava a parlare con Fenris, il quale, dal canto suo, sosteneva a gran voce le sue ragioni e non intendeva cambiare le proprie idee per nulla al mondo. Nemmeno per Hawke.

Erano gli opposti, eterni rivali in qualsiasi cosa, tuttavia entrambi si sarebbero fatti ammazzare pur di tenere l’altro al sicuro.
Varric era certo di aver visto Fenris crollare solo una volta: dopo l’incontro con sua sorella. Ricordava perfettamente il modo in cui il suo viso era cambiato non appena aveva capito della trappola, di come tutta la speranza si era spenta nei suoi occhi verdi, delle sue spalle rigide e dei suoi pugni serrati. Lo ricordava bene, perché era stata proprio Hawke a fare ciò che sembrava impossibile: gli era andata vicino, gli aveva toccato il braccio e lui si era lasciato avvicinare come un cane ferito.

Lei gli aveva sfiorato la mano, gentile.

«Io sono qui, Fenris» aveva detto, e Varric non potrà mai dimenticare lo sguardo che lui le aveva rivolto. Come di chi pensava di aver perso tutto e poi si era accorto che non era così: aveva capito di non essere solo. Hawke aveva questo effetto sulla gente: ispirava lealtà e fiducia. Solo che adesso lei non c’è più e lui non può farci nulla.

«Le avevo detto che nulla sarebbe stato peggio…»

Varric corrucciò la fronte.

«Di cosa stai parlando? Cosa non sarebbe stato peggio?»

Fenris non rispose subito. Rimase in silenzio, le dita strette a pugno contro la lettera che lui gli aveva mandato, i capelli argentei che gli nascondevano il viso.

«Nulla sarebbe stato peggio del pensiero di vivere senza di lei.»

Varric non disse nulla. Non c’era niente da dire.
 
~
 
«Varric, hai un momento?»

Varric si volta e incontra gli occhi ambrati del capitano Cullen. Sembra preoccupato e imbarazzato, come al solito. Gli sorride.

«Certo, Ricciolino. Qualcosa in mente?»

Cullen sospira, si passa una mano sul collo, cerca le parole adatte. È incredibile pensare che qualcuno del genere possa passare dall’essere un tenero cucciolo con la coda fra le gambe a un mabari da guerra sanguinario in meno di dieci minuti.
L’Inquisitrice deve trovare questa sua caratteristica piuttosto affascinante. Si domanda se il Comandante sia così lunatico anche a letto e si prefissa di chiederlo a Lavellan il prima possibile.

«No, è solo…» sbuffa, abbassando le braccia. Improvvisamente si fa scuro in volto. Varric capisce cosa sta per dire prima ancora che dia voce ai suoi pensieri «Hawke. Sapevo che voi due foste molto legati. Era una maga apostata, non nego che gli eventi del Conclave siano accaduti anche a causa sua e di quel suo compagno folle... Anders, giusto? Ma era una donna in gamba, sveglia. Ho conosciuto poche donne come lei. L’ammiravo molto.»

«Questo discorso porta da qualche parte, comandante?»

Varric non sa perché ha risposto con tanta rabbia. Sa solo che è stufo di parlare di Hawke, di ricordare il fatto che lei non ci sia più, di fingere che vada tutto bene.

Non va tutto bene. Da quando lei non c’è più niente va più bene.

Non va bene la sua carriera di scrittore, perché in tutte le sue storie era sempre lei la protagonista; non vanno bene le missioni per l’Inquisizione, perché non riesce a guardare in faccia Lavellan e perdonarle di averla lasciata nell’Oblio; non vanno bene i rapporti con gli altri perché dorme poco e beve troppo.

Non va bene nemmeno guardarsi allo specchio, perché quando lo fa vede la persona che ha contribuito alla sua morte.

Nulla va più bene perché da quando Hawke non c’è più, Varric ha smesso di essere Varric, quel Varric che Hawke adorava.

«N-no, non intendevo... volevo solo…»

Varric si passa una mano callosa sul volto, quasi che quel gesto possa portar via tutte le sue preoccupazioni, e fa un respiro profondo.

«No, Ricciolino, perdonami. Non avrei dovuto risponderti con quel tono. Sono solo… molto, molto stanco.»

Cullen annuisce. La sua espressione si fa grave, incrocia le braccia al petto e lo osserva dall’alto al basso con la tristezza di chi condivide un dolore.

«Certo» sussurra «non avrei dovuto sollevare la questione. Voglio solo che tu sappia che per qualsiasi cosa sono a tua disposizione, Varric.»

«Forse c’è qualcosa che puoi fare» si ritrova a dire.

Cullen si irrigidisce e si raddrizza d’istinto, mettendosi sull’attenti come un bravo soldato. Varric non fa commenti al riguardo – non più, si limita a prendere la lettera che aveva nella tasca, quella che aveva scritto con più fatica.

«Puoi… puoi consegnarla tu, al posto mio? È per Carver, il fratello di Hawke. Devi averlo conosciuto, era a Kirkwall nell’ordine dei Templari. Io…» Varric scuote la testa e abbassa lo sguardo «… io non posso farlo.»

Cullen stringe le labbra. Non dice nulla, ma Varric sa che ha capito.

«Non c’è problema» dice, semplicemente.

Prende la lettera e si avvia a passo spedito verso la torre in cui troverà Leliana e i suoi corvi. Quando sparisce dietro un angolo della fortezza, Varric si lascia cadere contro il muro dietro di lui, si passa una mano sulla fronte e invoca Andraste e la sua misericordia.

Sa già che Carver non dirà una parola quando leggerà la lettera, è troppo orgoglioso per farlo; sa che insulterà Hawke per essersi lasciata morire e perché ha fatto l’eroina della situazione, sa che getterà contro il muro tutti i ricordi che ha di lei, quasi potesse farle un dispetto, e che smusserà la spada a furia di sferrare colpi ai sacchi d’addestramento per la troppa rabbia.

Sa anche che Carver lo odierà per tutta la vita perché sua sorella è morta e lui ha permesso che accadesse.

Varric non lo biasimerà: anche lui si odia per lo stesso motivo.

 
~

 
«Dolore. Rimorso. Una risata cristallina. Calici di birra che si alzano. Brindisi. Capelli corvini e occhi felini, selvaggi, indomabili. Un abbraccio. Parole non dette. Lyrium Rosso. Incubi. Calore. Le sue dita fredde. Avrei dovuto essere lì, avrei dovuto proteggerla”» Cole sussulta e guarda Varric con aria allarmata «Varric, tu stai soffrendo!»

«Più di quanto tu possa immaginare, Ragazzo.»

«Credi di essere il responsabile per la sua morte, ma non è così. Lei ha voluto restare indietro. Lei ha deciso di sacrificarsi per fermare la Paura, per salvare il mondo, per salvare te. Non avresti potuto fare niente per fermarla.»

«Se fossi stato con loro avrei potuto… avrei potuto fermarla, lo so, me lo sento. Se solo...»

«Paura. Odore di zolfo. Una tomba con sopra il mio nome. Corypehus. Fenris. Odore di libri e di vino. Il calore delle sue labbra. Isabela. Abbracci e baci rubati per gioco. Odore di mare, di sale, di cuoio. Una bandana blu. Varric. Amicizia. Calore. Birra. Lenzuola pulite. Odore del legno delle sedie dell’Impiccato. Sussurri. Sguardi. Parole in sospeso. Casa. “Prenditi cura di Varric per me, Inquisitrice».

«Casa…» Varric ripete quella parola, tastandola e rigirandola sulla lingua. Casa. All’improvviso capisce: quelli sono stati gli ultimi pensieri di Hawke. Per lei, lui rappresentava Casa.

Una rabbia feroce gli attanaglia lo stomaco. Varric sente il sangue salirgli alla testa, il cuore battere più forte. Tira un calcio al piede del tavolo, rovescia i fogli e la boccetta del calamaio.

Casa. Per lei io ero “Casa”.

Quasi non si accorge della mano di Cole poggiata sulla sua spalla. La sua voce lo raggiunge lontana come da un'altra realtà.

«Io posso aiutarti, Varric. Posso farti dimenticare.»

Varric si calma. La rabbia è sparita, ora resta solo un grosso senso di stanchezza. Si passa una mano sul viso, respira forte e chiude gli occhi. Sospira.

«No, Ragazzo. Certe ferite non sono fatte per essere medicate.»

«Ma stai soffrendo! Provi dolore, e io voglio aiutarti! Voglio aiutare! Dimmi cosa devo fare!»

Varric scuote la testa. «Questo non è un dolore dal quale puoi liberarmi, Ragazzo.»

 
~
 
Il fuoco è caldo e l’odore della cipolla che era presente nella zuppa che hanno appena finito di mangiare è forte, gli riempie le narici e gli annoda lo stomaco. Viaggiano da tre giorni ormai: i suoi piedi sono pieni di vesciche e la sua maglia puzza di sudore. Attorno al suo braccio destro, lo stesso che usa per impugnare Bianca, è legato il fazzoletto rosso di Hawke.

Sta scrivendo gli ultimi aggiornamenti sulla missione: fra templari rossi, banditi, Venatori e lupi impazziti, trovare il mastro di cavalli si è rivelato più difficile del previsto. L’Inquisitrice ha detto che, secondo le mappe, non dovrebbe mancare molto. Non che Varric si fidi di lei e di quel che dice, ma gli piace credere che stia dicendo la verità e che fra meno di una settimana sarà di nuovo sulla sua poltrona a Skyhold.

Tocca a Solas fare il turno di notte, questa volta. Varric ha sempre pensato che fosse un tipo un po’ strano, ma è piacevole parlare con lui, almeno fin quando non inizia a delirare su demoni e roba varia, si intende.

«Non dormi ancora, Figlio della Pietra? Domani sarà una lunga giornata.»

«Puoi semplicemente chiamarmi Varric, Simpaticone. Dalla Pietra mi piace stare ben alla larga, viste le cattive esperienze che ho avuto le poche volte che vi sono stato.»

«Come desideri, Varric. Mi sorprende, comunque: voi nani non sognate o entrate a contatto con l’Oblio, quindi per te non dovrebbe essere un problema dormire sonni tranquilli. Qualcosa ti turba?»

«No» la sua risposta è troppo affrettata per sembrare vera, ma Solas non fa commenti «devo solo finire questi aggiornamenti sulla missione, l’Inquisitrice mi ha incaricato di farlo.»

Solas annuisce: «D’accordo. Ti lascio ai tuoi impegni, dunque.»

«Simpaticone?» lo chiama.

L’elfo si volta: «Sì, Varric?»

«Va’ a dormire, farò io la guardia. Tanto stanotte non riuscirò a prendere sonno comunque.»

«Sei sicuro?»  

«Sì, vai pure. Se accade qualcosa, me ne prenderò tutta la responsabilità.»

«Ti ringrazio, allora. Ti auguro una buonanotte.»

«A te, Simpaticone.»

Solas si allontana verso la sua tenda e lì vi sparisce. Varric grugnisce qualcosa riguardo al fatto che, in effetti, dovrebbe dormire anche lui e che domani crollerà da cavallo come un idiota, ma ormai il danno è fatto e poi ha davvero del lavoro da fare, quindi prende carta e calamaio e inizia a scrivere.

Per un momento, smette di pensare a tutto il resto; ci sono solo lui, la piuma d’oca e il taccuino in cui sta annotando tutto. Il vento della sera soffia forte, ma il focolare pochi metri più in là gli consente di stare un po’ al caldo. Gli piace stare là, in silenzio, a scrivere. Non si sentiva così tranquillo da… da quanto, esattamente? Settimane? Mesi? Che importa, ormai?
Poco lontano, ode l’ululato di un lupo, seguito dal bubolare di un gufo e il fruscio dei rami di pino. Varric smette di scrivere per un attimo, chiude gli occhi e inspira forte l’aria della sera. All’improvviso, sente un forte odore di melagrana. Non ha bisogno di voltarsi per capire a chi appartiene.

Sorride.

«Campionessa di Kirkwall!» la saluta, incrociando il suo sguardo blu come la notte. Hawke torreggia su di lui, bellissima come la ricordava, con la stessa armatura con cui l’aveva vista l’ultima volta e un’aura verde intenso che delinea i contorni del suo corpo. «Ce ne hai messo di tempo. Cominciavo a temere che ti fossi dimenticata di me.»

Lei gli si avvicina e gli rivolge un breve sorriso.

«Io? Dimenticarmi del mio nano preferito? Mai.»

«Oh, ti prego. Sono già circondato da abbastanza lecchini lì a Skyhold, non metterti anche tu. Solo… vieni qui accanto a me, e in fretta.»

Hawke inarca un sopracciglio beffarda, proprio come era suo solito fare, e si siede accanto a lui. Varric realizza improvvisamente quanto gli fosse mancato il suo odore, la sua presenza, lei, e d’istinto le stringe la mano e le si avvicina a quel tanto che basta per posare la testa nell’incavo del suo collo. Hawke ricambia la stretta e con l’altro braccio gli avvolge le spalle. Rimangono in silenzio per lunghi momenti. Nessuno dice una parola, Varric non osa fare niente di avventato per paura che lei possa svanire e scivolare via dalla sua presa come sabbia tra le dita. Alla fine, però, spezza il silenzio.

«Ti prego» la sua voce è appena un sussurro «ti prego, resta. Solo per un altro po’. Solo per questa notte. Non lasciarmi solo, Hawke.»

«Sono sempre stata accanto a te, Varric. Non sei mai stato solo.»

«Te ne andrai.»

«Solo con il corpo.»

Varric stringe più forte la sua mano. Un gemito sfugge dalle sue labbra.

«È colpa mia. Io ho trovato il lyrium rosso, io ti ho chiesto di raggiungermi a Skyhold, io ti ho messo in pericolo, io ti ho...»
«Tu mi hai fatto capire cosa significa avere un vero amico, Varric» le labbra di Hawke – le rosse, rossissime labbra di Hawke – si posano sulla sua fronte. Un brivido gli attraversa la schiena, ma non è di freddo «non puoi nemmeno immaginare quanto ti sia grata per questo.»

«Tornerai?»

«Solo se lo vorrai.»

«Lo voglio, Hawke. Lo voglio terribilmente.»

«D’accordo, allora» Hawke gli accarezza una guancia; le sue mani sono fredde come il ghiaccio, tuttavia Varric prova un immenso calore al petto non appena sente di nuovo il suo tocco «cercami nel richiamo del falco, e lì mi troverai.»

«Melodrammatica come al solito, eh?»

Hawke ridacchia. La sua risata gli ricorda il trillo dei campanelli, le bevute all’Impiccato e la gioia del combattere fianco a fianco. «E dove starebbe il bello, altrimenti?»

Varric ride a sua volta. Dopo tanto tempo la sua è una risata vera, commossa, che viene dal cuore. Guarda il viso di Hawke con insistenza, le tiene forte la mano per paura di vederla sparire da un momento all’altro, inala il suo odore quanto più gli è possibile. Hawke andrà via, ma il suo ricordo… quello vivrà per sempre nella sua memoria.

«Ti voglio bene, Varric. Lo sai questo, non è vero?»

«Sì, Campionessa. Lo so.»

«Non odiare l’Inquisitrice; rimanere è stata una mia scelta.»

«So anche questo.»

«Cos’è che non sai, dunque?»

«Come farò quando te ne andrai. Il mondo sembra molto più freddo da quando non ci sei più. Vorrei solo avere più tempo. Solo un po’ di più.»

«Oh, Varric…» il viso di Hawke si contrae in una smorfia malinconica. Varric sente di nuovo il tocco delle sue dita sulla guancia, fredde come il marmo, ma in grado di suscitare in lui emozioni più calde del fuoco «Te l’ho già detto: sarò sempre qui. Non ti liberai di me così facilmente.»

«Promettilo, Hawke. Promettimi che tornerai» la sua voce si incrina. Qualcosa gli bagna il viso. Sta piovendo? «ti prego, promettilo…»

«D’accordo, Varric. Te lo prometto.»

«Hawke?»

«Dimmi, Varric.»

«Stai con me questa notte.»  

«Varric…»

«Stai solo accanto a me.»

«Va bene.»

La mattina seguente, Hawke non c’era più.
 
~
 
 
«Varric, una parola. Sei occupato?»

L’Inquisitrice Lüthien Lavellan è sempre stata, a parere di Varric, ciò che gli piace definire “Ossimoro Vivente”.

Con i suoi grandi occhi violetti da cerbiatta, le labbra piene e rosate e i biondissimi capelli raccolti in una lunga treccia, nessuno si sarebbe mai aspettato la sua maestria nell’uccidere più di venti uomini in brevissimo tempo durante una battaglia, o la sua inclinazione a prendere decisioni tanto… drastiche, come cacciare via i Custodi Grigi dall’Orlais, per esempio, o mettere la testa della gran duchessa Florianne De Chalons su una picca per far da monito a tutti i nemici dell’Inquisizione… O lasciare Hawke nell’Oblio, nonostante fossero stati i Custodi Grigi quelli ad aver creato tutto quel dannato casino.

Varric ricorda perfettamente il momento in cui Lavellan era uscita dal Varco e, con uno sguardo affilato come rasoi, aveva chiuso la Spaccatura. Varric ricorda che il frastuono assordante della battaglia si era improvvisamente acquietato non appena lei era apparsa, come se tutti avessero trattenuto il respiro, mentre l’odore di sangue e di zolfo gli aveva riempito le narici.

Aveva creduto che fossero morti. Da una delle balconate dove stava combattendo a fianco di Cullen e di altri soldati dell’Inquisizione, Varric aveva visto parte della fortezza crollare e Hawke cadere con essa. Non aveva fatto neanche in tempo ad urlare che l’Inquisitrice aveva aperto un altro Varco e vi era precipitata dentro insieme a Cassandra, Solas, Sera, il Custode Alistair ed Hawke.

Era stato quello il momento in cui Varric aveva capito il significato della frase “sentirsi mancare il pavimento sotto i piedi”, perché era proprio così che era andata. Nel momento stesso in cui il Varco si era chiuso, sigillando al suo interno i suoi compagni, l’Inquisitrice e Hawke, Varric aveva smesso di capire qualsiasi cosa. Era come se il mondo intero fosse stato messo in pausa, come se tutto fosse rallentato. Se non fosse stato per Dorian, probabilmente sarebbe rimasto ucciso dalla lama di quel Custode impazzito che gli si era scagliato contro.

Non sapeva come c’era riuscito, ma aveva continuato a combattere spinto da un’improvvisa ira folle. Custodi e Demoni morivano sotto le sue frecce uno dopo l’altro, l’aria si impregnava di fumo e dei sibili delle sue frecce. Bianca era inarrestabile e furiosa, cantava una melodia di morte e di rabbia e lui ne dettava il ritmo.

Tutti. Tutti devono pagare. Tutti. Per Hawke, per Cassandra, per l’Inquisitrice. Pagheranno tutti. Tutti quanti.

Folle era stata la sua gioia quando la Spaccatura si era riaperta proprio sopra i suoi occhi, rivelando le figure ancora in vita dei suoi compagni e la vittoria dell’Inquisitrice. I Custodi impazziti tornarono lucidi, i demoni vennero risucchiati dalla Spaccatura e con essa svanirono, le truppe alzarono urla di gioia e trionfo.

Sembrava una delle sue storie, una di quelle in cui Hawke era sempre protagonista. D’istinto, la cercò fra la folla.

L’Inquisitrice era tornata, così come Alistair e gli altri compagni, quindi anche lei doveva esserci. Si imbatté in Cassandra: non era mai stato così felice di vederla. La salutò con sorriso che lei non ricambiò e le chiese dove fosse Hawke. Per la prima volta da quando la conosceva, la Cercatrice distolse lo sguardo.

Varric capì subito. O meglio, una parte di lui aveva già capito. L’altra, quella testarda e che aveva sempre associato al cuore, non voleva farlo. Senza nemmeno pensare a ciò che stava facendo, corse dall’Inquisitrice: Lavellan si ergeva dinanzi a lui bella proprio come Andraste, con lunghi capelli biondi e gli zigomi alti, ma i suoi occhi erano diversi da quelli della Santa.
Erano duri, carichi di rabbia e di frustrazione e di rimorso; occhi di chi aveva visto morire un amico.

«Dov’è Hawke?» la sua voce era stata appena un sussurro, ma nel silenzio di piombo che lo circondava suonò forte come un grido. Attorno a lui, tutti coloro che erano entrati nell’Oblio distolsero lo sguardo. «Dov’è Hawke?» stavolta guardò dritto negli occhi di Lavellan. Lei, a differenza degli altri, lo sorresse.

Varric sperò fino all’ultimo che l’Inquisitrice gli dicesse che era con loro, che si era solo persa nella folla; sperò con ogni singola parte del suo corpo che Hawke sbucasse fuori con qualche stupida battuta come al solito; arrivò persino a sperare che fosse stata ferita e accompagnata da qualche Curatore, tutto purché fosse lì con loro. Poi, però, l’Inquisitrice prese la parola e a Varric non rimase più nulla in cui sperare.

Hawke è morta.

Non rimase nemmeno a sentire le giustificazioni che Lüthien volle propinargli. Varric seppe solo che un momento prima era insieme a tutti gli altri e un momento dopo era lontano, confuso e con un grosso vuoto nel petto in qualche parte sperduta della fortezza. Non pianse. Non provò rabbia. In realtà, non provò nulla. Non sentiva più niente. Era come se, insieme a Hawke, anche una parte di lui fosse morta.

Più tardi, quella notte, trovò nella tasca dei propri pantaloni il fazzoletto rosso che Hawke gli aveva dato prima di inoltrarsi nella missione: è ancora attorno al suo collo.


 
«Sono molto impegnato con queste scartoffie, Inquisitrice, ma posso dedicarti un momento. Di che si tratta?».

Lavellan non è una stupida. Al contrario, è un’abile osservatrice e capisce subito quando qualcosa non va, questo Varric lo sa bene. E lui non ha alcuna intenzione di camuffare il fatto che, per lui, niente va bene e che la colpa è anche sua.

Lei si passa una mano sul viso, la sua pelle candida che riflette i bagliori del caminetto, e sospira forte.

«Ascolta, io…» Lavellan sbuffa. Sono poche le volte in cui l’Inquisitrice è senza parole, e Varric prova un piacere perverso nel vederla annaspare nel tentativo di trovare parole che non esistono o che non saranno mai abbastanza «So cosa stai passando, Varric.»

Varric la fulmina con lo sguardo.

«No, non lo sai. Non ne hai idea, Inquisitrice. E vorrei non parlarne.»

Credeva che se ne sarebbe andata, ma la sua reazione è differente: Lavellan stringe i pugni lungo i fianchi e corruccia la fronte.

«Il mio intero clan è stato sterminato qualche mese fa, Varric. Tutta la mia famiglia è morta, anche mia sorella. Una cosina piccola, graziosa, con grandi occhi dorati, di appena dieci anni. La chiamavo vhenan, mio cuore. Le avevo promesso che saremo andate a cacciare assieme, una volta che sarei ritornata dal Conclave» il suo viso si rabbuia, i suoi occhi luccicano di lacrime. Distoglie lo sguardo in fretta, troppo orgogliosa per lasciarsi vedere piangere. Quando riprende il controllo, gli scocca un'occhiata di fuoco «Io so cosa significa perdere qualcuno di importante.»

Restano in silenzio per quella che a Varric sembra un’eternità. Finalmente, tutto acquista senso: perché Lavellan si fosse rinchiusa nelle sue stanze per due settimane – Josephine aveva detto che si trattava di febbre, ma lui non ci aveva creduto molto perché sapeva che i Dalish, abituati a ogni avversità, si ammalavano raramente – e capendo perché Cullen pareva tanto preoccupato.

La ragione per cui Lüthien avesse smesso di fare battute e ridesse sempre più raramente, il motivo per cui prendesse sempre decisioni tanto drastiche era solo uno: era arrabbiata. Tremendamente arrabbiata.

«In ogni caso, non sono qui a fare a gara a chi porta le catene più pesanti» esala dopo un po’. Varric mantiene il silenzio «Sono qui perché sono dispiaciuta, Varric, e perché Hawke era anche mia amica – seppur per poco tempo. So che sei sconvolto, che ti senti tradito da me per aver permesso che restasse nell’Oblio, ma chiediti questo: pensi che lei avrebbe voluto vederti ridotto così? Pensi che si sia sacrificata per la gloria, per puro spirito nobile? No. L’ha fatto per un motivo. E quel motivo era sconfiggere Corypheus. Se ti lasci andare così, non farai altro che rendere vano tutto quello che ha fatto.»

«Taci» la voce di Varric è così sommessa che persino lui fatica a sentirla. Le sue dita tremano, le ginocchia anche. Tutto di lui diviene un tremolio convulso «Per il Creatore, Inquisitrice, taci e sii soddisfatta. Non farmi diventare quello che non sono.»

«Bene, allora» con la coda dell’occhio, Varric la vede mentre sfodera i pugnali legati alla cintola e li getta sul suo tavolo, poi si abbassa alla sua altezza. Varric non capisce «Come tuo superiore, ti ordino di diventarlo. Colpiscimi, Varric. Colpiscimi forte!»

«Sei impazzita?»  

«Non smetterai di odiarmi finché non avrai scaricato tutta quella rabbia che covi da troppo tempo. Coraggio, colpiscimi! Colpiscimi, ho detto!»

«Non farò nulla del genere, Inquisitrice.»

«Perché no? Hai paura di una donna? Colpiscimi! So che vuoi farlo!»

«Inquisitrice…»

«Hawke ha sbagliato a sacrificarsi per uno come te. Sei patetico. Non l’hai amata nemmeno abbastanza da trovare il coraggio di colpire colei che ha permesso la sua mor–!»  

Lavellan non vede arrivare il pugno finché non è troppo tardi. Varric la colpisce dritta sul muso, così forte da spaccarle il labbro. Di colpo la sala del trono cade nel silenzio più totale; gli sguardi di tutti si posano su di loro, Varric può sentirli sulla schiena, ma non gli importa.

Lavellan si rialza sui gomiti a fatica, geme e si passa il dorso della mano sulla bocca. Le sue labbra si inclinano in un sorriso beffardo simile a quelli che Hawke era solita rivolgergli.

«Qual è il significato di tutto ciò?» è la voce di Cullen a irrompere. Tutti si voltano verso di lui; alle sue spalle, vi sono Leliana e Josephine.

Varric fa per dire qualcosa, ma un improvviso dolore sordo al volto lo ferma e crolla al suolo. Il suo naso inizia a sanguinare. Gemendo, se lo tasta.

Se prima ora mezzo rotto, ora è andato sul serio.

Dopo alcuni secondi, realizza che Lüthien gli ha appena mollato un calcio in faccia. 

«Il primo che prova a fermarci giuro sui Numi che non vedrà l’alba di domani. Vale anche per te, Cullen. Indietro, tutti! È una faccenda fra me e lui.»

Varric la guarda mentre inveisce contro i nobili presenti nella sala. Il suo volto è sporco di sangue, i suoi capelli in disordine, eppure tutti fanno come è stato loro detto e si allontano mormorando impauriti. Lei gli rivolge un’occhiata in tralice.

«Cos’è? Credevi che sarei rimasta ferma a prendermi le botte come un sacco di farina? Pensaci su ancora un po’. E ora colpiscimi, andiamo!»

Varric grugnisce di rabbia. Si scaglia contro di lei, scatta veloce, ma lei lo è di più, lo schiva e all’ultimo pone la sua gamba fra le sue, facendogli perdere l’equilibrio e cadere come un burattino a cui hanno tagliato i fili.

«Ci stai almeno provando, Varric? Cos’è, temi di colpire una donna? Anche Hawke lo era, eppure Corypheus non si è fatto tante remore a—!»

Un altro pugno la colpisce in pieno stomaco. Lüthien si accascia su se stessa e Varric approfitta della vicinanza per colpirla di nuovo, stavolta dritto al viso. Si sente un crack e Varric è certo di averle rotto qualcosa.

«Questo era per il mio naso» grugnisce.

Lüthien non risponde, dai suoi occhi scendono lacrime per il dolore, ma stringe i denti e, prima che lui possa scansarsi, gli carica una testata dritta in fronte. Il dolore lo acceca, qualcosa di viscido e caldo gli scorre giù per le tempie. Bestemmia forte e sente l'ira montargli dentro come una fiamma. Un sospiro spezzato lascia le sue labbra non appena Lavellan gli si getta addosso con tutto il suo peso.

È molto più pesante di quello che sembra, pensa, prima che l’elfa gli rifili un altro pugno.

«Reagisci, Varric!» gli urla contro, la sua voce che rimbomba fra le mura della sala del trono «Reagisci, maledizione! Ritorna quello che eri! Colpiscimi! Fallo per Hawke! Fallo per—!»

Varric l’afferra per la vita e con un colpo di reni capovolge le posizioni. Lui e Lavellan rotolano per la sala per alcuni secondi, l’uno che vuole prevaricare sull’altro, finché alla fine Varric non riesce ad afferrarla per le spalle e costringerla a terra, schiacciandola con il suo peso. Con una mano le afferra i polsi e, con l’altra, la colpisce alla cieca. Un colpo, un altro, un altro ancora.

Per Hawke. Per Hawke. Per Hawke.

«Non avresti dovuto lasciarla nell’Oblio!», le urla contro, scuotendola per le spalle «Non avresti dovuto! Lei valeva mille volte te e quel Custode! Lei valeva mille volte tutti voi! Lei era… lei… Hawke…» non riesce a trattenersi oltre.

Le lacrime gli salgono agli occhi tutte insieme, inarrestabili, mischiandosi al sangue, e i singhiozzi gli scuotono con forza le spalle. Lascia andare Lüthien, stringe i denti nel tentativo di arrestare il pianto. Tutto inutile. Chiude gli occhi e desidera scomparire, morire in questo preciso istante. Cosa penseranno di lui? Nessuno fino adesso lo aveva mai visto in quello stato. Varric si sente miserabile e patetico.

Mani gentili lo avvolgono. Mani fredde, morbide come quelle di Hawke. Ma non è Hawke che lo sta stringendo; non è Hawke che gli sta sussurrando parole di conforto all’orecchio, dicendogli che è giusto così, che può piangere, che va bene.
No, è la voce di Lüthien; la voce dell’Inquisitrice, dell’Araldo di Andraste che li ha salvati ad Haven, che si è sacrificata pur di consentire loro di fuggire, lo stesso Araldo che ha concesso la libertà ai maghi e lo stesso Araldo che ha portato viveri e coperte calde ai rifugiati di guerra.

Lo stesso Araldo che lui ha picchiato e incolpato della morte di Hawke ingiustamente.

Hawke…

«Mi dispiace» sussurra «mi dispiace così tanto.»

«Va bene così.»

«Hawke… lei era…» la voce gli si spezza in gola «Lei era…»

«So bene cos’era per te, Varric. Non devi spiegarmi niente»

«Come l’hai capito?»

«È stato semplice» la voce di Lavellan è morbida e serafica, completamente diversa da un attimo prima. Il suo occhio sinistro inizia a gonfiarsi e diventare violaceo «la guardavi proprio come io guardo Cullen.»

Varric non dice più nulla, e nemmeno Lüthien. Si alzano da terra, si scrollano i pantaloni dalla polvere e guardano le ferite che si sono procurati a vicenda, sorridendo mestamente e mormorano qualcosa su quanto entrambi ci siano “andati leggeri”.
Poi, sotto lo sguardo attento di tutti, si dirigono da madre Giselle per farsi dare degli impacchi curativi.  
 
~
 
Le lenzuola sono state cambiate da poco, sono fresche e odorano di pulito. Madre Giselle ha ordinato sia a lui che all’Inquisitrice una settimana di riposo e mentre li medicava li ha riempiti di rimproveri quasi fossero due bambini dopo una scaramuccia. Varric è sempre stato un tipo attivo, ma Lüthien lo ha davvero ridotto male – così come lui ha ridotto male lei, del resto. E poi non gli dispiace restare a Skyhold per un po’.

Dalla loro scazzottata tutti non fanno che parlare d’altro. Prima di salire nell’infermeria, Varric aveva udito Cassandra e Cullen urlare ai presenti in sala che chiunque avesse fatto parola con qualcuno di quello che era successo avrebbe perso la lingua e l’avrebbero data in pasto ai mabari. Josephine era sconvolta, Leliana si era subito mobilitata a ingaggiare tutte le sue spie per tenere la notizia all’interno di Skyhold. Cosa avrebbero pensato dell’Inquisizione, se avessero saputo che l’Inquisitrice faceva a pugni con i suoi compagni?

Ciò che era accaduto giù alla sala del trono era segretissimo, quindi, naturalmente, dopo nemmeno due giorni era sulla bocca di tutto il Ferelden e dell’intera Orlais.

Varric è sincero quando dice di essere davvero dispiaciuto per l’accaduto. Gli dispiace di aver contribuito a creare tutto quel caos, lui che normalmente preferisce la pace di una poltrona dinanzi al caminetto e un buon libro. La situazione gli era sfuggita di mano e si sarebbe preso a pugni da solo per essere stato tanto patetico. Allo stesso tempo, tuttavia, non può che essere grato all’Inquisitrice: senza di lei che gli aprisse gli occhi, non avrebbe mai ripreso il controllo di sé… E non avrebbe mai realizzato ciò che da tempo cercava di nascondere a se stesso.

Cerca a tentoni di prendere il calice d’acqua con dentro la medicina che madre Giselle gli ha lasciato sul comodino accanto al letto, ma lo urta per sbaglio e quello cade a terra. Varric impreca forte e si chiede come farà a sopportare il mal di testa per le prossime ore. Abbassando lo sguardo, nota che insieme al calice è caduto anche il fazzoletto rosso di Hawke. Lo raccoglie.

«Melagrana. Dita fredde. Capelli neri, soffici, ti piaceva odorarli quando ti abbracciava. Occhi selvaggi come l’oceano, indomabili, bellissimi. Mani sottili, da maga, diverse da quelle ruvide e forti di Bianca; gentili, ma anche letali. Amicizia. Era solo amicizia. “Ci hai mai pensato?”. Sì, l’hai fatto. L’hai fatto tante volte. Di giorno. Di notte. Soprattutto di notte. Il suo nome appena sussurrato sotto le lenzuola. Trilli di campanelli, la sua risata. Un fazzoletto rosso. Provi ancora dolore, ma provi anche pace. Perché ora lo sai. Ora lo accetti. Ora puoi raccontare la verità.»

Varric si alza dal letto. Non guarda Cole mentre si siede allo scrittoio, non gli chiede da dove sia saltato fuori – non l’ha mai fatto, dopotutto. Prende solo della carta pulita, afferra la piuma d’oca, la intinge nel calamaio.

«Sì, Ragazzo. Ora posso raccontarla.»

E inizia a scrivere.
~

 
«Varric, mi hai fatto chiamare?»

La Cercatrice Cassandra Penthagast non ha più quel cipiglio grave e astioso che aveva al loro primo incontro. Varric lo ricorda ancora benissimo: lo avevano costretto a parlare, volevano che dicesse loro dov’era Hawke a tutti i costi per farle Andraste-sapeva-che-cosa. Quando lo aveva capito, si era fatto una grassa risata e aveva iniziato a fare ciò che gli veniva meglio: raccontare frottole iperboliche e giocare con le parole. Sarebbe crollato il Velo prima che tradisse Hawke.

Doveva essere stato piuttosto convincente, perché Cassandra aveva creduto a ogni cosa e si era persino appassionata al racconto. Più lei voleva sapere, più lui narrava; più lui narrava, più Hawke aveva tempo di scappare lontano. Dopotutto, nessuno sospetta mai del nano.

Dopo che l’avevano lasciato andare, anche lui era fuggito. Per molto tempo non aveva più avuto notizie di Cassandra Penthagast. Poi, però, il mondo era impazzito e, per un motivo o per un altro, i due si erano rincontrati… e ancora oggi lei non gli ha perdonato tutte le frottole che le ha raccontato.

Adesso, però, Varric sa come rimediare.

«Cercatrice, ho un regalo per te.»

«Un regalo?»

«Già. Non ci crederai, ma anch’io ho un cuore e mi piace fare doni ai miei amici… perché noi siamo amici, vero, Cercatrice?»

Varric improvvisa un sorriso sornione. Cassandra sbuffa e mormora un “urgh” decisamente poco sommesso. Poi, però, il suo sguardo si addolcisce.

«Di che si tratta? Oh… è un libro! Sarà mica…?»

«No, mi spiace, non è Spade e Scudi – per quanto mi riguarda, quel libro non è mai esistito. Ma credimi, credo che lo apprezzerai comunque.»

«Ma Varric, non c’è il titolo...», Cassandra sfoglia le pagine, cercando di capirci qualcosa. Varric sorride, le passa a fianco e le dà una pacca sul braccio.

«La verità non ha titolo, Cercatrice. La verità è la verità e basta.»

Cassandra aggrotta la fronte. Poi, all’improvviso, spalanca gli occhi.

«Non parlerai mica... Varric!»

Ma lui è già lontano e non ha intenzione di dare altre spiegazioni.

Ha scritto tutto quello che c’era da scrivere, esorcizzato ogni demone, buttato giù tutto quello che aveva sempre tenuto per sé. Varric è uno scrittore e per tutti questi anni non ha fatto altro che raccontare bugie alle quali ha finito col credere, tutto solo per non affrontare la realtà.

Adesso che sa la verità, non mentirà più. Non a se stesso.

Si affaccia alla balconata delle torri di Skyhold. Ispira l’aria fresca che gli soffia sul viso, piacevole come una carezza, e fischietta un motivetto che cantava spesso all’Impiccato con Hawke e gli altri. A rispondergli, è il canto di un falco. Varric sorride.

«Sapevo avresti mantenuto la promessa, Hawke.»


 
 
 
 
 
- Note dell’Autrice

Ed eccomi di nuovo qui… Ormai il fandom di Dragon Age mi ha dato alla testa. Sigh!

Non ho molto da dire su questa fan fiction. È nata così, all’improvviso, da un’idea iniziale completamente diversa, ma sono comunque felicissima di come è uscita fuori. Sono sempre molto critica con i miei lavori, così come credo ogni scrittore, ma questa fan fiction mi ha dato tante soddisfazioni e spero con tutto il cuore che sia piaciuta anche a voi.

Parlando della coppia HawkeVarric: lo so, sono pochi quelli a cui piace… ma che posso farci? Io li adoro. Li ho sempre visti benissimo sia come bromance che come romance, e no, nessuno potrà farmi cambiare idea. Inoltre, dai, Varric è evidentemente affascinato da Hawke – più volte dice di trovarla bellissima e attraente pur essendo un’umana – e il suo rapporto con lei è davvero troppo ambiguo per non poter sfociare in una possibile romance – e poi lo sguardo di Varric quando realizza che Hawke è “morta” non è il semplice sguardo di qualcuno che ha perso un’amica, ecco. >_>

(Ah, lo sapevate che se si gioca con una fem!Hawke si può persino flirtare con lui durante il gioco? All’inizio erano stati persino pensati come possibile romance, ma alla fine sono stati relegati alla friendzone. Meh.)

Ad ogni modo, piccola nota sulla ff: so che la parte in cui Varric parla con Hawke può apparire abbastanza ambigua dato che lei è “morta”. Si tratta di un sogno ad occhi aperti? È davvero lei? Decidetelo voi.

Altra nota: La Hawke della mia storia rispecchia quella della mia partita “canonica”, ovvero quella che ho portato avanti durante il gioco (e lo stesso vale per la mia Inquisitrice) e che considero “ufficiale”. Il fatto che sia molto “libertina” è perfettamente voluto! Nella mia partita mi sono letteralmente portata a letto mezza equipe, ma alla fine ho fatto l’end-game con il mio Broody-elf, per questo nella fan fiction viene ripresa la loro romance!

Ringrazio di cuore
_Branwen_  per aver betato la fan fiction. Sei preziosissima e un’amica fantastica. Grazie, grazie e grazie mille ancora! Questa fan fiction è tutta per te. <3

Spero di non avervi annoiati in alcun modo. Grazie a chi ha letto fin qui; ogni parere sulla storia è ben accetto. Spero vi sia piaciuta tanto quanto è piaciuto a me scriverla!

A presto!
 
 

 
   
 
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