42 Capitolo: LO SCONUSCIUTO PIACERE
Anche se la tentazione di vedere mio figlio e dirgli tutta la verità mi sta divorando, decido di non seguire Rea; la vedo allontanarsi lentamente e non accenno alcun movimento.
<< Così, Etienne è tuo figlio? >> chiede Alain distraendomi dai miei pensieri. Mi volto verso di lui e lo guardo con espressione seria.
<< L’avevo immaginato, sai? >>aggiunge incrociando le braccia dietro la nuca.
<< Smettila, mi stai dando sui nervi! >> lo minaccio.
<< Che cosa sto facendo? >>
<< Non mi piace il tuo comportamento da “non è successo niente”. Non puoi continuare a fare l’indifferente per sempre. Con le tue manie da spaccone hai messo nei guai Rea; se sua zia non chiuderà un occhio e cercherà di salvarla, sarà rovinata! >>
<< Non succederà, sta tranquillo >>. Quel suo atteggiamento mi fa scattare, così mi avvicino minacciosamente prendendolo per il colletto e avvicino il suo viso al mio << Sei solo un piccolo presuntuoso! >> digrigno infuocandolo con gli occhi, << Che cazzo ti passò per la mente quel giorno, quando la baciasti? >>, lui sorride poi afferrandomi i polsi cerca inutilmente di farmi mollare la presa.
<< Ciò che passò a te, quando la facesti entrare nel tuo cuore >>, quelle parole dette così facilmente, mi fanno perdere le forze; lo lascio, facendo cadere le braccia lungo i fianchi; indietreggio di poco e scuoto la testa << Tu… ti sei innamorato di Rea? >>
<< Te lo dissi, quindi non fare quella faccia da idiota! >>
<< No, quel giorno tu scherzavi, non è così? >> chiedo convinto delle mie parole, ma Alain non mi asseconda, anzi scuote la testa sincero ed è quella sua strafottente sincerità a farmi perdere il lume della ragione: gli sferro un pugno in pieno volto lasciando che barcollasse all’indietro; riesce a trovare l’equilibrio e massaggiandosi la mascella, mi guarda nervoso.
<< Non azzardarti mai più >>
<< Io ti spacco la faccia! >>
<< Non puoi comandare i sentimenti degli altri, come io non posso comandare i miei! Non ci posso fare niente se la tua Rea è speciale… >>
<< Hai detto bene: la MIA Rea >> lo interrompo avvicinandomi ancora una volta, lo afferro per un braccio e lo strattono di poco << mettitelo bene in testa, Alain! >> la mia voce sembra voler crollare, ma riesco comunque a reggerla in maniera autoritaria << Rea è mia, e di nessun altro! >>
<< Lo so >> risponde sbuffando un sorriso << è per questo che ho deciso di aiutarla, non voglio che per i miei sbagli siate voi a pagarne le conseguenze >> aggiunge allontanandosi ancora una volta e voltandomi le spalle, prosegue << come ho già detto a sua zia, la ragazza nella foto non è lei >>
<< Come farai a fargliela bere? >> chiedo insicuro di ciò che sta dicendo.
<< Sarà chi le ha fatto del male a salvarla >>
Trasalisco guardandolo mentre prosegue il suo cammino lasciandomi solo, con la mente ricolma di dubbi e pensieri.
***
La cornetta del telefono mi trema tra le mani, mentre quel rumore d’attesta mi rende ansiosa, dopo aver assistito a quella scena, ho sentito qualcosa dentro di me logorarmi il cuore, non ci sono altre parole: ho dei rimorsi.
<< Pronto >> finalmente quella voce famigliare mi distrare dai miei pensieri.
<< Si-signora Charlotte, sono io, Melody… >> balbetto con voce tremante.
<< Ah, Melody! Cara, mi chiami per darmi buone notizie? >>
<< Ho fatto come voleva, signora; sua nuora… >>
<< Non chiamarla così! Non è mia nuora e non lo è mai stata. Quella puttana ha ingannato tutti, anche mio figlio si è lasciato abbindolare dal suo finto carattere! Ha cresciuto un bambino che non è suo! >>, la sento sospirare, e poi ritornare con voce calma << allora… cosa è successo a scuola? >>
<< Ha-hanno visto tutti il manifesto e… >>
<< E? >>
<< è accaduto ciò che aveva previsto >> rispondo tutto d’un fiato abbassando la testa afflitta. Lei dal canto suo scoppia in una risata isterica e continua a elogiarmi per il mio lavoro fatto bene. Ma come posso continuare ad assecondarla, se il mio cuore non lo sopporta? Ho fatto del male a Rea la preside del liceo, nonché a una mia amica di studi. No, non posso essere diventata così cinica per scopi, che so benissimo, non si potranno mai avverare.
<< Bel lavoro Melody… >> riprende la madre di Armin tutta contenta << …sapevo che potevo contare su di te; mi somigli molto, sai? >>
Trasalisco nel sentire quell’ultima frase << No! >>, e la negazione esce autonoma dalle mie labbra.
<< No, cosa? >>
<< I-io non sono come lei! >> balbetto presa dalla paura di ciò che sto dicendo ad alta voce. Per la prima volta nella mia vita, sto sfidando qualcuno che sta più in alto di me.
<< Beh era un complimento, non è certo un offesa se ho avuto la compiacenza di mettere una nullità come te al mio stesso livello… >>
<< Lei è cattiva! >> esclamo per interromperla, mentre il mio corpo inizia a darmi segni di nervosismo.
<< Non ho sentito bene l’ultima parola >> ribatte ghignando.
<< Ha capito perfettamente! >>
<< E sentiamo, perché sarei io la cattiva? >>
<< Mi ha ingannata e fatto fare una cosa spregevole… >>
<< Dici bene: hai fatto una cosa spregevole e tutto questo per cosa? Per avere un posto accanto al tuo amato Nathaniel che è salito di un grado in più al tuo, allontanandosi così dal tuo campo visivo… mia cara, sciocca Melody, la cattiva fra le due chi è? Se io l’ho fatto è per salvare l’onore che quella sgualdrina ha spudoratamente rovinato a mio figlio; ma tu perché l’hai fatto? Solo per controllare un giovane che non ti ha mai calcolato in vita sua; l’hai fatto per una cosa così banale?... avanti, dimmi chi è la cattiva? >>
<< Zitta! >> urlo tremando. Sono presa ormai dall’angoscia e allo stesso tempo dalla rabbia. << Io non sapevo le conseguenze di questo piano. Se l’avessi saputo… >>
<< Cosa avresti fatto, sentiamo!... ma non farmi ridere! >> esclama stizzita << Lo sapevi benissimo, ma eri talmente accecata da ciò che ti avevamo promesso, la signora Camille e io, che non c’hai pensato due volte. Ti basta la pronuncia “Nathaniel” per farti perdere il lume della ragione! >>
<< Mi avete solo usata >> mormoro con voce piangente.
<< Non parlare al plurale. Quest’impresa è nata solo da me… diciamo che la sovrintendente Camille mi è servita come ciliegina sulla torta per rovinare definitivamente Rea >>
Ascolto talmente allibita quel ragionamento, che mi ritrovo a fissare lo schermo del cellulare, poi come un lampo di genio, qualcosa di esso mi colpisce la mente. Inizio a sorridere sentendo che lentamente il mio cuore si sta rilassando, così senza aggiungere altro, riaggancio sibilando << Ti sei rovinata da sola mia cara Charlotte >>.
Esco velocemente dall’ufficio e mi guardo intorno: il corridoio è stato liberato dagli alunni anche se attaccato a quel muro odioso, troneggia ancora quel maledetto manifesto. Lo guardo con rabbia e stringo i pugni, poi presa da uno scatto d’ira mi avvicino minacciosamente e con un brusco gesto della mano lo strappo via distruggendo in mille pezzi l’immagine stampata.
Ansimo e piango ricordando sempre che questo rimorso non si cancellerà tanto facilmente dal mio cuore, poi decisa esco dal liceo e m’incammino verso casa di Rea.
Purtroppo per me, le sorprese e le angosce non sono ancora terminate.
Quella folla di giornalisti che si accalcano davanti il campanello della villetta, danno la prova che sarà difficile incontrarla, così afflitta mi volto indietro e prendo la via del parco. Non ce la faccio più a camminare; ho dei dolori che percorrono le gambe; mi sedio su una panchina vuota e affondo il viso fra le mani bollenti.
<< Perché l’ho fatto? >> continuo a ripetermi. Charlotte aveva ragione, mi basta sentire il nome di Nathaniel per farmi perdere completamente il senno << Non posso essere caduta così in basso solo per te, Nathaniel >>; lui mi ha sempre fatto capire che fra noi due non poteva esserci mai nulla e io ho continuato a farmi film inutili, rovinando la vita a chi non c’entra nulla.
Sospiro liberando il viso, poi distrattamente scorgo qualcuno da lontano avvicinarsi lentamente. Guardo con più attenzione, è Rea. il mio cuore inizia a palpitare con più forza; sto avendo un’altra possibilità. Mi alzo di scatto e la raggiungo chiamandola. Quando lei si accorge di me, non reagisce come mi sarei aspettata: si ferma guardandomi quasi con disprezzo. “Che abbia scoperto tutto?”, mi domando frustrata.
<< Che cosa vuoi? >> chiede rude.
<< Sono venuta a casa tua ma ho visto che ci sono… >> cerco di deviare il discorso, incapace di arrivare direttamente alla verità.
<< Che vuoi, Melody?! >> mi interrompe alzando la voce.
La guardo afflitta, comprendendo che i miei dubbi sono giusti. << Io, volevo scusarmi… >>
<< Di cosa? Tu non centri nulla in tutta questa storia, giusto? >>.
Non rispondo alla sua domanda, abbasso lo sguardo e lo scuoto lentamente. Perché lo faccio? Sto ancora mentendo? Dovrei dirle come stanno le cose; dovrei scusarmi e chiederle perdono e invece…
<< Ok, allora sparisci. Non voglio vedere nessuno. Avete ottenuto ciò che bramavate, anche se non so per quale motivo tu abbia deciso di accanirti contro di me >>, detto questo riprende il suo cammino lasciandomi sola.
<< Rea, perdonami >> sibilo con le lacrime agli occhi che bramano presuntuose di voler sgorgare e bagnarmi il viso.
Con passo mogio e la mente sconfitta, ritorno a casa. Mi accorgo che dalla finestra della cucina la luce è accesa, questo significa che mia madre è ritornata da lavoro. Quando entro la vedo seduta vicino al tavolo e sta parlando con qualcuno; mi sporgo meglio per vedere di chi si tratta e quando i miei occhi incontrano l’affascinante immagine di Alain, trasalisco sentendomi venir meno. Che cosa ci fa in casa mia?
Entro nella stanza continuando a fissarlo aggiungendo un lieve saluto.
<< Oh, cara, sei tornata? >> chiede mia madre alzandosi dalla sedia << ti stavo chiamando ma il tuo cellulare risulta irraggiungibile >>
<< L’ho spento >> rispondo come un automa senza distogliere gli occhi da Alain, il quale dopo avermi vista ha repentinamente cambiato la sua espressione, tramutando i suoi occhi in qualcosa che non ho mai visto in un uomo.
<< Questo ragazzo è un tuo amico >> interviene mia madre spezzando il silenzio << ti stava cercando >>
<< U-un mio… >> sibilo quella frase a metà non riuscendo a capire che cosa sta succedendo.
<< Oggi sei andata via e abbiamo lasciato quel lavoro a metà, Melody, ricordi? >> chiede lui sorridendo.
Strabuzzo gli occhi ancora con la mente fra le nuvole. << Di cosa… >>
<< Bene, allora posso ritornare al mio lavoro >> esclama mia madre afferrando la borsa dalla spalliera della sedia << Buona giornata ragazzi! >> conclude uscendo di casa.
Lo scatto della porta è l’ultimo rumore che sentiamo riecheggiare nell’abitacolo, dopo di ciò cala il silenzio.
Alain continua a guardarmi con quello strano sorriso impresso sul volto. Non sapendo come reagire e sentendo che la situazione sta diventando alquanto imbarazzante, almeno per me, accenno qualche colpo di tosse recandomi al frigorifero.
<< C-cosa vuoi da me, Alain? >> balbetto aprendo lo sportello.
<< Sai già cosa voglio, Melody… >>
<< Non so di cosa tu stia… >>, vengo interrotta; succede tutto in un millesimo di secondo: vedo la porta del frigorifero chiudersi; mi sento afferrare per un braccio; il tempo di vedere l’intera cucina roteare davanti ai miei occhi e mi ritrovo distesa sul tavolo, con il corpo di Alain parallelo al mio.
<< Che stai facendo? >> chiedo impaurita; ignara di tutta questa situazione, dato che nessun ragazzo nella mia vita, ha mai fatto una cosa del genere.
<< Andiamo, Melody. Sei troppo intelligente per non capire cosa voglio da te >>
<< Tu… tu… non mi hai mai… >>
<< Mai è una parola troppo grande per essere contenuta nel mio vocabolario >> sibila avvicinandosi all’orecchio sinistro e soffiando leggermente all’interno del padiglione. D’istinto mi ritrovo a piegare le gambe, ma lui sentendo quell’intoppo, affonda il suo ginocchio fra le mie divaricandole con forza.
<< A-Alain… >>
<< Cosa? Non dirmi che non ti piace? Ok, ho capito, vuoi di più… >> e detto questo lascia il mio polso e scende la mano verso i miei fianchi; sento la stoffa della gonna sollevarsi lentamente e le sue calde dita scivolare nell’entro-gamba.
<< No, Alain! Cosa stai… >> esclamo con voce spezzata da un gemito di piacere che fuoriesce presuntuoso dalle mie labbra.
Ora posso dare una spiegazione a tutto: queste sono le stesse sensazioni che provo quando vedo Nathaniel, quando lo sogno di notte e anche se per i miei principi è sbagliato, mi piace. L’unico problema è che chi mi sta facendo godere, non è il mio Angelo Nathaniel, bensì un estraneo, il ragazzo che mai avrei pensato potesse far parte della mia vita.
I suoi sensuali mormorii penetrano nelle mie orecchie sciogliendosi come dolce miele, mentre i miei sensi sono concentrati sul movimento della sua mano che continua indisturbata a giocare con la molla delle mutandine e mi solletica l’inguine.
<< N-non farlo… >> gemo girando la testa a un lato.
<< Perché no? Eppure quel giorno ti piaceva >>
<< C-cosa? >> lo guardo smarrita << Quale giorno? >>
<< Hai già dimenticato? >> chiede inchiodando i miei occhi con i suoi. << Nell’ufficio del preside, quando ci baciammo >>
<< Ma noi non ci siamo mai baciati… >>, frastornata da quelle incomprensibili parole, non ho neanche il tempo di terminare la frase, che lui si fionda sulle mie labbra e mi bacia con foga e trasporto.
Rimango come un ebete, mentre i miei occhi sembrano voler fuoriuscire dalle orbite. Non ci posso credere, questo è il mio primo bacio e a darmelo non è la persona che ho sempre amato. Non riesco neanche a capire il motivo per il quale non lo respingo. Questo mascalzone si sta approfittando di me e io non sto facendo un bel nulla.
Poi ciò che pensavo fosse molestia, si interrompe di botto: vedo Alain distaccarsi e guardarmi con un sorrisetto vittorioso sulle labbra.
<< Adesso non puoi di certo dire che non ci siamo mai baciati >>, detto questo si alza e mi lascia distesa sul tavolo.
Mi ritrovo a fissare il soffitto ormai succube di quel piacere mai conosciuto fino ad ora.
<< Così, Etienne è tuo figlio? >> chiede Alain distraendomi dai miei pensieri. Mi volto verso di lui e lo guardo con espressione seria.
<< L’avevo immaginato, sai? >>aggiunge incrociando le braccia dietro la nuca.
<< Smettila, mi stai dando sui nervi! >> lo minaccio.
<< Che cosa sto facendo? >>
<< Non mi piace il tuo comportamento da “non è successo niente”. Non puoi continuare a fare l’indifferente per sempre. Con le tue manie da spaccone hai messo nei guai Rea; se sua zia non chiuderà un occhio e cercherà di salvarla, sarà rovinata! >>
<< Non succederà, sta tranquillo >>. Quel suo atteggiamento mi fa scattare, così mi avvicino minacciosamente prendendolo per il colletto e avvicino il suo viso al mio << Sei solo un piccolo presuntuoso! >> digrigno infuocandolo con gli occhi, << Che cazzo ti passò per la mente quel giorno, quando la baciasti? >>, lui sorride poi afferrandomi i polsi cerca inutilmente di farmi mollare la presa.
<< Ciò che passò a te, quando la facesti entrare nel tuo cuore >>, quelle parole dette così facilmente, mi fanno perdere le forze; lo lascio, facendo cadere le braccia lungo i fianchi; indietreggio di poco e scuoto la testa << Tu… ti sei innamorato di Rea? >>
<< Te lo dissi, quindi non fare quella faccia da idiota! >>
<< No, quel giorno tu scherzavi, non è così? >> chiedo convinto delle mie parole, ma Alain non mi asseconda, anzi scuote la testa sincero ed è quella sua strafottente sincerità a farmi perdere il lume della ragione: gli sferro un pugno in pieno volto lasciando che barcollasse all’indietro; riesce a trovare l’equilibrio e massaggiandosi la mascella, mi guarda nervoso.
<< Non azzardarti mai più >>
<< Io ti spacco la faccia! >>
<< Non puoi comandare i sentimenti degli altri, come io non posso comandare i miei! Non ci posso fare niente se la tua Rea è speciale… >>
<< Hai detto bene: la MIA Rea >> lo interrompo avvicinandomi ancora una volta, lo afferro per un braccio e lo strattono di poco << mettitelo bene in testa, Alain! >> la mia voce sembra voler crollare, ma riesco comunque a reggerla in maniera autoritaria << Rea è mia, e di nessun altro! >>
<< Lo so >> risponde sbuffando un sorriso << è per questo che ho deciso di aiutarla, non voglio che per i miei sbagli siate voi a pagarne le conseguenze >> aggiunge allontanandosi ancora una volta e voltandomi le spalle, prosegue << come ho già detto a sua zia, la ragazza nella foto non è lei >>
<< Come farai a fargliela bere? >> chiedo insicuro di ciò che sta dicendo.
<< Sarà chi le ha fatto del male a salvarla >>
Trasalisco guardandolo mentre prosegue il suo cammino lasciandomi solo, con la mente ricolma di dubbi e pensieri.
***
La cornetta del telefono mi trema tra le mani, mentre quel rumore d’attesta mi rende ansiosa, dopo aver assistito a quella scena, ho sentito qualcosa dentro di me logorarmi il cuore, non ci sono altre parole: ho dei rimorsi.
<< Pronto >> finalmente quella voce famigliare mi distrare dai miei pensieri.
<< Si-signora Charlotte, sono io, Melody… >> balbetto con voce tremante.
<< Ah, Melody! Cara, mi chiami per darmi buone notizie? >>
<< Ho fatto come voleva, signora; sua nuora… >>
<< Non chiamarla così! Non è mia nuora e non lo è mai stata. Quella puttana ha ingannato tutti, anche mio figlio si è lasciato abbindolare dal suo finto carattere! Ha cresciuto un bambino che non è suo! >>, la sento sospirare, e poi ritornare con voce calma << allora… cosa è successo a scuola? >>
<< Ha-hanno visto tutti il manifesto e… >>
<< E? >>
<< è accaduto ciò che aveva previsto >> rispondo tutto d’un fiato abbassando la testa afflitta. Lei dal canto suo scoppia in una risata isterica e continua a elogiarmi per il mio lavoro fatto bene. Ma come posso continuare ad assecondarla, se il mio cuore non lo sopporta? Ho fatto del male a Rea la preside del liceo, nonché a una mia amica di studi. No, non posso essere diventata così cinica per scopi, che so benissimo, non si potranno mai avverare.
<< Bel lavoro Melody… >> riprende la madre di Armin tutta contenta << …sapevo che potevo contare su di te; mi somigli molto, sai? >>
Trasalisco nel sentire quell’ultima frase << No! >>, e la negazione esce autonoma dalle mie labbra.
<< No, cosa? >>
<< I-io non sono come lei! >> balbetto presa dalla paura di ciò che sto dicendo ad alta voce. Per la prima volta nella mia vita, sto sfidando qualcuno che sta più in alto di me.
<< Beh era un complimento, non è certo un offesa se ho avuto la compiacenza di mettere una nullità come te al mio stesso livello… >>
<< Lei è cattiva! >> esclamo per interromperla, mentre il mio corpo inizia a darmi segni di nervosismo.
<< Non ho sentito bene l’ultima parola >> ribatte ghignando.
<< Ha capito perfettamente! >>
<< E sentiamo, perché sarei io la cattiva? >>
<< Mi ha ingannata e fatto fare una cosa spregevole… >>
<< Dici bene: hai fatto una cosa spregevole e tutto questo per cosa? Per avere un posto accanto al tuo amato Nathaniel che è salito di un grado in più al tuo, allontanandosi così dal tuo campo visivo… mia cara, sciocca Melody, la cattiva fra le due chi è? Se io l’ho fatto è per salvare l’onore che quella sgualdrina ha spudoratamente rovinato a mio figlio; ma tu perché l’hai fatto? Solo per controllare un giovane che non ti ha mai calcolato in vita sua; l’hai fatto per una cosa così banale?... avanti, dimmi chi è la cattiva? >>
<< Zitta! >> urlo tremando. Sono presa ormai dall’angoscia e allo stesso tempo dalla rabbia. << Io non sapevo le conseguenze di questo piano. Se l’avessi saputo… >>
<< Cosa avresti fatto, sentiamo!... ma non farmi ridere! >> esclama stizzita << Lo sapevi benissimo, ma eri talmente accecata da ciò che ti avevamo promesso, la signora Camille e io, che non c’hai pensato due volte. Ti basta la pronuncia “Nathaniel” per farti perdere il lume della ragione! >>
<< Mi avete solo usata >> mormoro con voce piangente.
<< Non parlare al plurale. Quest’impresa è nata solo da me… diciamo che la sovrintendente Camille mi è servita come ciliegina sulla torta per rovinare definitivamente Rea >>
Ascolto talmente allibita quel ragionamento, che mi ritrovo a fissare lo schermo del cellulare, poi come un lampo di genio, qualcosa di esso mi colpisce la mente. Inizio a sorridere sentendo che lentamente il mio cuore si sta rilassando, così senza aggiungere altro, riaggancio sibilando << Ti sei rovinata da sola mia cara Charlotte >>.
Esco velocemente dall’ufficio e mi guardo intorno: il corridoio è stato liberato dagli alunni anche se attaccato a quel muro odioso, troneggia ancora quel maledetto manifesto. Lo guardo con rabbia e stringo i pugni, poi presa da uno scatto d’ira mi avvicino minacciosamente e con un brusco gesto della mano lo strappo via distruggendo in mille pezzi l’immagine stampata.
Ansimo e piango ricordando sempre che questo rimorso non si cancellerà tanto facilmente dal mio cuore, poi decisa esco dal liceo e m’incammino verso casa di Rea.
Purtroppo per me, le sorprese e le angosce non sono ancora terminate.
Quella folla di giornalisti che si accalcano davanti il campanello della villetta, danno la prova che sarà difficile incontrarla, così afflitta mi volto indietro e prendo la via del parco. Non ce la faccio più a camminare; ho dei dolori che percorrono le gambe; mi sedio su una panchina vuota e affondo il viso fra le mani bollenti.
<< Perché l’ho fatto? >> continuo a ripetermi. Charlotte aveva ragione, mi basta sentire il nome di Nathaniel per farmi perdere completamente il senno << Non posso essere caduta così in basso solo per te, Nathaniel >>; lui mi ha sempre fatto capire che fra noi due non poteva esserci mai nulla e io ho continuato a farmi film inutili, rovinando la vita a chi non c’entra nulla.
Sospiro liberando il viso, poi distrattamente scorgo qualcuno da lontano avvicinarsi lentamente. Guardo con più attenzione, è Rea. il mio cuore inizia a palpitare con più forza; sto avendo un’altra possibilità. Mi alzo di scatto e la raggiungo chiamandola. Quando lei si accorge di me, non reagisce come mi sarei aspettata: si ferma guardandomi quasi con disprezzo. “Che abbia scoperto tutto?”, mi domando frustrata.
<< Che cosa vuoi? >> chiede rude.
<< Sono venuta a casa tua ma ho visto che ci sono… >> cerco di deviare il discorso, incapace di arrivare direttamente alla verità.
<< Che vuoi, Melody?! >> mi interrompe alzando la voce.
La guardo afflitta, comprendendo che i miei dubbi sono giusti. << Io, volevo scusarmi… >>
<< Di cosa? Tu non centri nulla in tutta questa storia, giusto? >>.
Non rispondo alla sua domanda, abbasso lo sguardo e lo scuoto lentamente. Perché lo faccio? Sto ancora mentendo? Dovrei dirle come stanno le cose; dovrei scusarmi e chiederle perdono e invece…
<< Ok, allora sparisci. Non voglio vedere nessuno. Avete ottenuto ciò che bramavate, anche se non so per quale motivo tu abbia deciso di accanirti contro di me >>, detto questo riprende il suo cammino lasciandomi sola.
<< Rea, perdonami >> sibilo con le lacrime agli occhi che bramano presuntuose di voler sgorgare e bagnarmi il viso.
Con passo mogio e la mente sconfitta, ritorno a casa. Mi accorgo che dalla finestra della cucina la luce è accesa, questo significa che mia madre è ritornata da lavoro. Quando entro la vedo seduta vicino al tavolo e sta parlando con qualcuno; mi sporgo meglio per vedere di chi si tratta e quando i miei occhi incontrano l’affascinante immagine di Alain, trasalisco sentendomi venir meno. Che cosa ci fa in casa mia?
Entro nella stanza continuando a fissarlo aggiungendo un lieve saluto.
<< Oh, cara, sei tornata? >> chiede mia madre alzandosi dalla sedia << ti stavo chiamando ma il tuo cellulare risulta irraggiungibile >>
<< L’ho spento >> rispondo come un automa senza distogliere gli occhi da Alain, il quale dopo avermi vista ha repentinamente cambiato la sua espressione, tramutando i suoi occhi in qualcosa che non ho mai visto in un uomo.
<< Questo ragazzo è un tuo amico >> interviene mia madre spezzando il silenzio << ti stava cercando >>
<< U-un mio… >> sibilo quella frase a metà non riuscendo a capire che cosa sta succedendo.
<< Oggi sei andata via e abbiamo lasciato quel lavoro a metà, Melody, ricordi? >> chiede lui sorridendo.
Strabuzzo gli occhi ancora con la mente fra le nuvole. << Di cosa… >>
<< Bene, allora posso ritornare al mio lavoro >> esclama mia madre afferrando la borsa dalla spalliera della sedia << Buona giornata ragazzi! >> conclude uscendo di casa.
Lo scatto della porta è l’ultimo rumore che sentiamo riecheggiare nell’abitacolo, dopo di ciò cala il silenzio.
Alain continua a guardarmi con quello strano sorriso impresso sul volto. Non sapendo come reagire e sentendo che la situazione sta diventando alquanto imbarazzante, almeno per me, accenno qualche colpo di tosse recandomi al frigorifero.
<< C-cosa vuoi da me, Alain? >> balbetto aprendo lo sportello.
<< Sai già cosa voglio, Melody… >>
<< Non so di cosa tu stia… >>, vengo interrotta; succede tutto in un millesimo di secondo: vedo la porta del frigorifero chiudersi; mi sento afferrare per un braccio; il tempo di vedere l’intera cucina roteare davanti ai miei occhi e mi ritrovo distesa sul tavolo, con il corpo di Alain parallelo al mio.
<< Che stai facendo? >> chiedo impaurita; ignara di tutta questa situazione, dato che nessun ragazzo nella mia vita, ha mai fatto una cosa del genere.
<< Andiamo, Melody. Sei troppo intelligente per non capire cosa voglio da te >>
<< Tu… tu… non mi hai mai… >>
<< Mai è una parola troppo grande per essere contenuta nel mio vocabolario >> sibila avvicinandosi all’orecchio sinistro e soffiando leggermente all’interno del padiglione. D’istinto mi ritrovo a piegare le gambe, ma lui sentendo quell’intoppo, affonda il suo ginocchio fra le mie divaricandole con forza.
<< A-Alain… >>
<< Cosa? Non dirmi che non ti piace? Ok, ho capito, vuoi di più… >> e detto questo lascia il mio polso e scende la mano verso i miei fianchi; sento la stoffa della gonna sollevarsi lentamente e le sue calde dita scivolare nell’entro-gamba.
<< No, Alain! Cosa stai… >> esclamo con voce spezzata da un gemito di piacere che fuoriesce presuntuoso dalle mie labbra.
Ora posso dare una spiegazione a tutto: queste sono le stesse sensazioni che provo quando vedo Nathaniel, quando lo sogno di notte e anche se per i miei principi è sbagliato, mi piace. L’unico problema è che chi mi sta facendo godere, non è il mio Angelo Nathaniel, bensì un estraneo, il ragazzo che mai avrei pensato potesse far parte della mia vita.
I suoi sensuali mormorii penetrano nelle mie orecchie sciogliendosi come dolce miele, mentre i miei sensi sono concentrati sul movimento della sua mano che continua indisturbata a giocare con la molla delle mutandine e mi solletica l’inguine.
<< N-non farlo… >> gemo girando la testa a un lato.
<< Perché no? Eppure quel giorno ti piaceva >>
<< C-cosa? >> lo guardo smarrita << Quale giorno? >>
<< Hai già dimenticato? >> chiede inchiodando i miei occhi con i suoi. << Nell’ufficio del preside, quando ci baciammo >>
<< Ma noi non ci siamo mai baciati… >>, frastornata da quelle incomprensibili parole, non ho neanche il tempo di terminare la frase, che lui si fionda sulle mie labbra e mi bacia con foga e trasporto.
Rimango come un ebete, mentre i miei occhi sembrano voler fuoriuscire dalle orbite. Non ci posso credere, questo è il mio primo bacio e a darmelo non è la persona che ho sempre amato. Non riesco neanche a capire il motivo per il quale non lo respingo. Questo mascalzone si sta approfittando di me e io non sto facendo un bel nulla.
Poi ciò che pensavo fosse molestia, si interrompe di botto: vedo Alain distaccarsi e guardarmi con un sorrisetto vittorioso sulle labbra.
<< Adesso non puoi di certo dire che non ci siamo mai baciati >>, detto questo si alza e mi lascia distesa sul tavolo.
Mi ritrovo a fissare il soffitto ormai succube di quel piacere mai conosciuto fino ad ora.