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Autore: hip_hop_dancer    16/01/2016    0 recensioni
-Il primo pensiero è stato semplicemente "no". Può sembrare banale, e infondo potrebbe anche esserlo, ma per me fu una boccata d'aria: per i primi dieci secondi. Poi il mondo iniziò letteralmente a crollarmi addosso, un po' alla volta, macigno per macigno, mentre i giorni continuavano a passare e le mie bugie diventavano sempre più inutili. Il secondo pensiero invece fu " ho paura "; era come riscoprirsi totalmente un'altra persona dopo diciassette anni e vergognarsi di come si era diventati.
Cominciai a combattere contro me stessa, nel tentativo di convincermi che fosse tutto nella mia testa e nulla di più. Il terzo pensiero fu " basta "; avevo mentito a me stessa su molte cose ed era giunto il momento di smetterla.
Infine il quarto pensiero fu " scusa "; in primo luogo era rivolto a me stessa, per tutto il tempo che avevo passato ad odiarmi e a odiare quello che stavo provando e secondariamente era rivolto a tutte le persone a cui non potevo dire nulla. Scusatemi. -
[ Questo è un pensiero inedito della protagonista, per questo non lo troverete nel corso della storia; Cristina riflette su tutto ciò che l'ha portata ad accettarsi ].
Spero che la storia vi piaccia, buona lettura!
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Scostai le coperte e poggiai i piedi per terra, stiracchiandomi. Il parquet era freddo e il calore delle coperte stava già iniziando ad affievolirsi. Controllai l'orario sul mio cellulare e mi accorsi di essermi svegliata un quarto d'ora in anticipo rispetto al solito, così tolsi la sveglia e mi diressi verso la scrivania. Dopo aver preso i vestiti mi diressi in bagno, con tutta calma; questo era il vantaggio di svegliarsi alle sei e mezza del mattino pur avendo la scuola a soli trenta minuti di pullman. 

Non ne potevo fare a meno, mi piaceva essere puntuale o addirittura in anticipo, e ogni volta che non riuscivo a fare le cose per tempo mi sentivo infastidita. 

Feci una conca con le mani per raccogliere un po' d'acqua e poi me la gettai in faccia, iniziando a tremare per il freddo: spruzzarsi addosso dell'acqua gelata a Gennaio non era proprio una grande idea, ma riusciva a svegliarmi e a farmi rimanere attiva almeno per le prime due ore della giornata. Dopo essermi lavata indossai una maglia, dei jeans e una felpa, evitando accuratamente di soffermarmi sul mio corpo.

Quando mi diressi in cucina per fare colazione erano le sei e cinquanta. Mangiai velocemente per poi ritornare in camera mia per fare la cartella e finire di vestirmi: avevo bisogno di svolgere tutte quelle azioni in un ordine ben preciso, non potevo saltare un passaggio o posporlo. Certe volte mi sentivo una maniaca.

Passai altri dieci minuti soltanto a cercare di sentirmi più comoda nei miei vestiti invernali; ogni volta finivo per arrabbiarmi di prima mattina e a rimanere comunque con l'etichetta della sciarpa che mi sfregava sul collo. Infine presi le cuffie, lo zaino e uscii di casa, scendendo le scale lentamente e anche un po' svogliatamente. 

In quel periodo stavo lavorando su un pezzo di cui avevo scritto il testo ma a cui dovevo aggiungere la base e le doppie voci, così decisi di ascoltare il mio pezzo in versione acustica per vedere cosa potevo farne. Dovevo farlo al più presto perché avevo intenzione di presentarlo al concorso che si sarebbe tenuto a Febbraio in una sala del teatro Regio: al solo pensarci mi sudavano già le mani.

Presi la metro e cercai di ordinare le idee: il pezzo era piuttosto lento, doveva esserlo, poiché doveva rappresentare il significato della canzone. Magari avrei potuto aggiungere qualche kick, utilizzando il classico tempo in quattro quarti e creare qualche onda di volume con qualche sfumatura. Qualcosa di semplice e non troppo complesso.

Le persone continuavano a urtarmi senza neanche voltarsi a chiedere scusa, ma dopo qualche momento di stizza finivo per perdonarli mentalmente: infondo erano probabilmente tutti o lavoratori o studenti come me, per cui poteva capitare che non avessero le forze e la voglia di essere gentili con qualcuno. Presi il pullman e dopo una corsa di dieci minuti arrivai a destinazione. Aspettai le mie amiche ed entrammo insieme, raccontandoci cosa avevamo fatto durante il weekend. Amavo le mie amiche: per ogni cosa erano sempre lì, e certe volte mi sentivo fredda nei loro confronti. Eppure loro erano sempre lì, a notare qualunque cosa e qualsiasi atteggiamento differente dal solito. 

La giornata scolastica fu abbastanza noiosa, tranne l'ora di greco, durante la quale tutti restammo seduti in silenzio, spaventati a morte dalla possibilità di essere interrogati.

Suonata la campanella prendemmo le nostre borse e iniziammo a scendere le scale, affiancati dalle altre classi. 

Non avevo ancora detto a nessuna delle mie amiche del concorso, più che altro perché mi vergognavo e avevo paura che avrei potuto fare brutta figura. Se c'era qualcosa di me che odiavo più del mio corpo era questa costante timidezza e paura di commettere errori. Per questo motivo nell'ultimo periodo avevo iniziato a farmi valere di più nella vita, e tutto ciò stava dando i suoi risultati: a danza ero migliorata, e avevo iniziato a relazionarmi meglio con le persone. Non che prima fossi una disadattata senza amici, anzi. Ero circondata da un sacco di persone incredibili che mi volevano bene e con cui amavo passare il tempo ma, diciamo che essendo cresciuta prevalentemente con i maschi, trovavo qualche difficoltà ad abbracciare normalmente le persone e, questa volta semplicemente per una mia fissa, non mi piaceva il contatto fisico, o se non proprio per usare il termine non mi piaceva, mi infastidiva. Ora riuscivo ad abbracciare quasi normalmente invece che in diagonale e con tanto di pacca sulla schiena.

Salutai le mie amiche all'uscita e mi diressi verso la fermata dei pullman per rifare tutta la strada all'indietro. 

Durante il tragitto in pullman passai di fronte alla statua dei militi in piazza Castello e potei vedere dei ragazzi ballare; mi sarebbe piaciuto essere così estroversa.

Arrivata a casa mi buttai sul letto, pensando ai compiti e a quanto avrei dovuto studiare per l'indomani, ma i miei pensieri vennero interrotti da una chiamata. Mi misi a sedere, curiosa di vedere chi mi stesse chiamando e saperne il motivo. Era una delle mie amiche.

- Pronto Chia' ?-

- Ciao Cri; io ed Ele stavamo pensando di organizzare qualcosa questo fine settimana. -

- Va bene, tipo? -

- Non so ancora dirti bene cosa, ma tieniti libera.-

- Va bene… - sorrisi 

- Ah un'altra cosa, domani pensavamo di andare a fare un giro in via Po, ti va? -

- Dipende da quanto studio oggi, e ancora non ho deciso quanto - risi

- Ok, facci sapere - chiuse ridendo anche lei.

Posai il cellulare in tempo per sentire qualcuno suonare al citofono.


[N.A.]

Ciao a tutti! Era da un sacco che non postavo qualcosa, mi sembra dal 2012, se non erro :)
Comunque, questo è il primo capitolo di una storia che ho deciso di scrivere soprattutto per rilassarmi e mantenermi in esercizio. L'idea mi è venuta qualche settimana fa e spero che vi piaccia come piace a me :) Mi scuso per eventuali errori di grammatica o frasi nonsense ahahah
Se qualcuno volesse andare a leggere anche l'altra storia ( di cui ho scritto il prologo e il primo capitolo ) si chiama " Ed io che pensavo l'universo fosse infinito". In realtà non so se continuarla o no, quindi scrivetemi se vi piace e vorreste un seguito oppure se fa schifo e vorreste bruciarla in un rogo :)
Buona lettura!
 

  
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