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Autore: Niruh    16/01/2016    2 recensioni
Quando una donna dice di aver dimenticato il suo primo amore, è davvero così?
Emma ha ventisette anni e sente di non essere adatta per l’amore.
La visita di una persona dal passato le farà cambiare idea e capire finalmente cosa vuole davvero dalla vita? O le farà solo risvegliare gli ormoni?
“Ok, senti” prese un respiro per trovare le parole giuste “abbiamo detto quella cosa a quattordici anni mentre io ero cotta di Filippo e pensavo di sposarlo appena avrei avuto il coraggio di dire a mia madre che la frangetta mi faceva sembrare un’imbecille. Non ho nessun problema a restare single. Non dobbiamo per forza sposarci nello stesso anno e avere i bambini nella stessa classe alle elementari. Sono più che sicura che questo tipo di promesse dopo dieci anni cadono in prescrizione”.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Amore e altri difetti

Capitolo 1

“Che noia! Questo programma è impossibile!” esclamò lamentandosi una donna dal rossetto rosso e i capelli pettinati all’indietro. La ragazza a cui si era rivolta aveva sicuramente molti anni meno di lei, ma , anche se improbabile, ancora meno gusto nella scelta del proprio look. Sentendo la collega lamentarsi si poggiò con le mani sulla scrivania ed arricciò le labbra, diede uno sguardo all’indietro e facendo un sorrisetto guardò maliziosamente la donna.
“Perché non chiedi a quella nuova?” Più che un consiglio la domanda sembrava una provocazione.
Quella nuova, come la chiamavano tutti ormai, era Emma: una ragazza alta dai lunghi capelli neri. Più di tutte le diavolerie infernali o gli appellativi sgradevoli, lei odiava le persone che non ricordavano il suo nome. Insomma, se sapevano che lavorava lì e che era un genio del computer perché sapeva mandare una mail, potevano pur fare lo sforzo di ricordare il suo nome. Anche la targhetta che aveva in bella mostra sul petto poteva aiutarli.
Ma lei sapeva benissimo che era un comportamento studiato. Aveva già sentito voci di corridoio che dichiaravano il suo come uno dei posti più ambiti. Era tutto un fattore di soldi allora?
Lei non voleva assolutamente lavorare lì, e spiegare il perché vi si trovasse era così complicato che non aveva nemmeno la forza di pensarlo.
Stancamente si poggiò su una mano e fissò il pinguino con i pantaloncini che aveva messo sulla scrivania. Era uno dei regali che suo fratello Giulio le aveva inviato dal Giappone. Quasi le veniva di scuotere la testa insieme a lui quando si annoiava.
All’ improvviso le arrivò un fascicolo in testa e, alzandosi di scatto, si guardò malamente intorno per cercare il colpevole di quel gesto. Tutti però sembravano aver improvvisamente trovato una nuova ragione di vita nel lavoro, non c’era nessuno che non fosse chino a scrivere sul proprio computer.
Emma emise un respiro arrabbiato. Diciamo che l’essere calma non era mai stato nella sua indole. Prese il fascicolo e lo buttò direttamente nel cestino. Se non importava a nessuno, allora poteva essere buttato.
Dopotutto mancavano poche ore alla chiusura dell’ ufficio e non le andava assolutamente che le rovinassero la giornata. Aveva finito tutto il suo lavoro e persino anticipato quello del giorno dopo, ma per evitare che le chiedessero dei favori aprì Word e iniziò a scrivere parole a caso, molte delle quali avevano a che fare con vecchi successi Rock.
Quando i suoi colleghi iniziarono a raccogliere le giacche e andarsene, infilò la sua e spense il computer. La monotonia di quel gesto, che ormai ripeteva ogni giorno, la fece sentire un po’ triste. Che fine aveva fatto la ragazza creativa dalla battuta veloce che strimpellava la chitarra e cantava quello che le pareva fino ad esaurire la voce?
Questa domanda la accompagnò anche quando uscì dall’edificio e l’arietta fresca delle serate di marzo le accarezzò il viso. Non aveva assolutamente voglia di tornare a casa. Per una ragazza con il suo carattere era umiliante vivere ancora con i genitori a ventisette anni. Il suo animo era sempre stato quello di una sognatrice. Persino quando aveva capito di non poter viaggiare in moto per il mondo si era sentita meglio. Suo padre le aveva fatto notare che aveva solo sedici anni e non possedeva una moto. Eppure il tempo aveva lasciato quel sogno in un cassetto.
Quello che stava facendo era per una buona causa. Per se stessa non l’avrebbe mai fatto, di sicuro.
E anche se Emma non voleva pensarci, tornò con la mente ad un mese prima, quando tutto era iniziato.

Un mese prima.

Per una persona come Emma, che non aveva mai avuto bisogno di più di un cerotto, la probabilità che un essere umano si rompesse entrambe le braccia cadendo dalle scale era praticamente assurda. Eppure guardare suo padre dall’altra parte del tavolo, con entrambe le braccia ingessate, le fece capire come mai non avessero mai vinto al super enalotto.
“Spiegami di nuovo come è successo...?” gli chiese cercando di rendere la domanda meno strana e meno da presa in giro di come le fosse suonata in testa. In tutta risposta suo padre la guardò torvo e continuò a mangiare la colazione aiutato dalla moglie.
“Fallo respirare un po’, Emma”. Il tono che sua madre le rivolse sapeva di rimprovero e compassione; infondo era lei a dover fare il doppio delle cose ora che il marito era infortunato.
“Ho capito. Vado in camera mia”. Credeva che fosse la cosa migliore da fare in quel momento. Velocemente si alzò e andò verso il corridoio.
“Lisa, non so proprio come fare con il lavoro” sentì dire dalla voce profonda dell’uomo.
“Vedrai che ce la caveremo” rispose la moglie per rassicurarlo. Emma corse veloce verso la sua camera e si chiuse la porta alle spalle. Le piaceva fuggire dai problemi a volte, in verità lo faceva spesso. Faceva battute e passava ad altro. Suo fratello Antonio le diceva sempre che ricercava una via di fuga dai problemi perché non era mai cresciuta e viveva in un mondo che non esisteva, chiusa tra il passato e un futuro idealizzato. Quando, dopo il discorso, suo fratello l’aveva guardata comprensivo, lei era scoppiata a ridere in modo nervoso. Sapeva benissimo che la realtà non aveva mai rappresentato nulla di buono per lei. Anche il fatto di essere ancora disoccupata dopo tanti anni la diceva lunga. Suonava in qualche locale, sì, ma sempre più raramente. E poi il passato. Guardando le pareti della sua camera tappezzate con poster di gruppi rock e copertine di album si sentì enormemente in colpa. Ognuno ha un bambino che vive dentro di sé, ma nel suo caso la ragazzina brufolosa era lei. Non era mai riuscita a capire cosa volesse dalla vita. Quando le chiedevano cosa volesse fare da grande lei rispondeva con voce pronta e sicura che fare la musicista sarebbe stata la sua vita. Ma lo diceva con il cuore? Con il tempo aveva capito che tutta la sua esistenza si era basata su una bugia.
Non sapeva cosa voleva fare da grande, non l’aveva mai saputo. Fare la musicista era il sogno della sua amica Jessica. La bambina con le treccine con cui fece un patto di sangue eterno e che in terza liceo non la salutava più. C’erano troppe cose irrisolte, troppi pensieri senza spiegazioni, così tanti dubbi che Emma inseguì il sogno di qualcun’ altro… e vi era ancora attaccata. 
Dopo poche ore tornò in cucina. Sua madre stava lavando i piatti, mentre suo padre guardava la televisione in salotto. Emma prese una delle spugne gialle ed iniziò ad aiutare sua madre. La donna sorrise e le diede un bacio sulla guancia, quel piccolo gesto l’aveva resa felice.
“Oh, prima che me ne dimentichi” disse la madre asciugando le mani con uno strofinaccio. Frugò in un cassetto e ne cacciò una cartolina.
“E’ arrivata questa da Filippo. Chissà se si trova bene nella nuova città.” le disse girando il cartoncino tra le mani. Poi guardò la figlia con quello sguardo che solo le mamme un po’ ficcanaso possono rivolgerti: malinconico e malizioso allo stesso tempo. Emma sentì quasi di essere tornata adolescente.
Filippo era un grande amico di suo fratello e da ragazzo era sempre lì da loro. Ma da quando sia lui che Giulio erano diventati dei pezzi grossi la casa si era svuotata anche della sua presenza. Emma si era innamorata di lui lentamente, passando dai brufoli agli occhiali mentre lui diventava un uomo. Avevano quattro anni di differenza e lei era stata così presa da lui negli anni da rifiutare i suoi coetanei. Quando sei un’adolescente però quattro anni pesano come dieci. Il tempo e la sua mancanza avevano fatto la loro parte nell’aiutarla a dimenticarlo. Aveva scelto una strada tutta sua, non poteva fare altro che accettarlo. E poi quando…
“Dice che verrà a farci visita a marzo. Dovremmo avvertirlo che Giulio non sarà qui…” sua madre sapeva che era successo qualcosa. Altrimenti non avrebbe avuto problemi a farlo andare a casa senza che Giulio fosse lì.
‘Ma non si sono parlati? Strano’ pensò Emma. “Tranquilla, mamma, parlerò con il tuo primogenito in lizza per il trono” cercò di sdrammatizzare.
"Da quando gli hanno affidato la vicepresidenza della compagnia non lo vediamo quasi mai” notò sua madre. Ed era vero. L’ultima visita di Giulio risaliva a quasi un anno prima. Nonostante le lunghe chiacchierate in webcam, mancava a tutti. Emma capiva la tristezza di sua madre, in pochi anni il rumore e il trambusto che producevano tre figli e i loro amici si era ridotto a quello di uno solo. Per una madre, infondo, è sempre bello sentire i propri figli per casa.
Lei, per quanto facesse battute e scherzasse, ultimamente doveva ammettere di essere diventata un po’ taciturna.
“Emma!” gridò suo padre. In altre situazioni avrebbe sbuffato e si sarebbe lamentata sul modo poco carino in cui i genitori sfruttano i figli, ma, viste le condizioni dell’uomo, quella volta lasciò tutto ed andò da lui.
“Dimmi” gli disse entrando in salotto.
“Metti il canale sportivo”. L’uomo fece un cenno verso il televisore e subito dopo verso il telecomando. Emma sapeva che suo padre prendeva in considerazione solo uno sport. Probabilmente al test  quanto conosci Giuliano avrebbe totalizzato il massimo, ed un uomo in smoking le avrebbe consegnato un premio come migliore figlia dell’anno.
“Quello con le donne mezze nude che lottano nel fango?”
“Sì”
“Non è il canale sportivo, ma va bene” gli disse sorridendo e sedendosi al suo fianco. Due bionde intanto iniziarono a picchiarsi ed imbrattarsi sullo schermo ed Emma si irritò per la mancanza di rispetto verso le donne in quello show.
“Devi andare a lavorare al mio posto” disse suo padre ad un tratto, usò quel tono dolce e profondo per blandirla. Anche la situazione aiutò.
“In che senso?” domandò lei voltandosi. Non era scherzosa né irritata né altro, il che stupì entrambi.
“Sai che nelle mie condizioni non posso lavorare. Il mio capo sta cercando di venirmi incontro e mi ha chiesto di proporgli qualcuno che prenderà il mio posto temporaneamente. Quando starò meglio, potrai lasciare il posto a me.” Emma sentì la tristezza nelle parole di suo padre. In verità era la paura di perdere il posto più che la tristezza, e la ragazza aveva capito tutto. Suo padre ormai aveva cinquantasette anni e, se il suo sostituto fosse stato più giovane e veloce di lui sul lavoro, avrebbe perso il posto. Lei invece non si sarebbe mai imposta.
“Va bene” rispose semplicemente.

Ed ecco quindi come mai si trovava un mese dopo a passeggiare per le vie della città pensando alla sua vita. Lo faceva per suo padre e questo la rendeva felice, ma sentiva un vuoto dentro di sé.
Forse il successo dei suoi fratelli la faceva sentire un po’ una perdente. Insomma, suo fratello Giulio lavorava come vicepresidente in un’impresa di elettronica giapponese e suo fratello Antonio era uno stimato psicologo e aveva partecipato alla stesura di vari articoli. Ma la cosa che invidiava di più era che tutti e due avevano, a modo loro, trovato l’amore. Ed avevano già una banda di figli. Le sembrava a volte di vivere in un telefilm , ma lei era la sfigata di turno e basta, non un’attrice famosa che alla fine si fa raggiungere su un ponte per una dichiarazione d’amore e un’offerta lavorativa.
Quando arrivò a casa le sembrò che il tempo fosse volato e si preparò alla sua serata davanti al televisore della cucina a mangiare cioccolata e cracker. I suoi genitori le chiesero come fosse andata la giornata e poi iniziarono a guardare un film.
Emma mandò un paio di messaggi alla sua migliore amica Anna per tastare il terreno sull’appuntamento che l’amica aveva quella sera. Era il terzo con lo stesso ragazzo. In caso di alitosi o mano morta sarebbe intervenuta per salvarla. Dopotutto Anna aveva fatto lo stesso per lei.
Tutto bene per ora. Confermo che ha un polso stupendo!
Il messaggio fece ridere Emma. L’amica era una designer di gioielli e osservare i polsi e colli delle persone era una deformazione professionale.
Mentre il quinto cracker stava per essere divorato le squillò il cellulare. Era Anna.
“Oh mio Dio! Non puoi capire! Ha riso alle mie battute e non per gentilezza. Cose che fai solo tu praticamente. Sono emozionata”
“Scommetto che hai detto di dover andare in bagno solo per chiamarmi” disse Emma ridendo.
L’amica sbuffò “ Ovvio che l’ho fatto. Sai che non so stare un secondo senza commentare le cose”
Ci fu un attimo di silenzio. “Credo sia quello giusto, Emy”
“E’ una cosa bellissima. Quindi sei una capra se non torni da lui entro due secondi.”
“Io…” iniziò Anna.
Emma capì solo in quel momento perché l’amica si fosse trattenuta tanto nel raccontarle i dettagli degli altri appuntamenti. Anna era una di quelle persone che mantengono le loro promesse a tutti i costi.
“Ok, senti” prese un respiro per trovare le parole giuste “abbiamo detto quella cosa a quattordici anni mentre io ero cotta di Filippo e pensavo di sposarlo appena avrei avuto il coraggio di dire a mia madre che la frangetta mi faceva sembrare un’imbecille. Non ho nessun problema a restare single. Non dobbiamo per forza sposarci nello stesso anno e avere i bambini nella stessa classe alle elementari. Sono più che sicura che questo tipo di promesse dopo dieci anni cadono in prescrizione”.
“L’hai letto su Focus?” chiese Anna e si sentì dalla voce che stava sorridendo.
“E dove, sennò? Non essere sciocca. Poi sono certa che mio figlio avrebbe preso dal padre e tirato le treccine a tua figlia per attirare l’attenzione. Salvaguardiamo l’acconciatura della tua bambina”
“Va bene, torno da lui”
Chiusero la chiamata e Emma fu davvero contenta per l’amica. La mattina dopo l’avrebbe sommersa di notizie.
Cancellò l’ennesimo messaggio del suo ex, un idiota che l’aveva tradita mentre erano ospiti ad un matrimonio.
Dopo quel giorno e l’aver detto al cielo che odiava i matrimoni il suo gruppo era stato ingaggiato proprio per un matrimonio. Tra tulle, corsetti ricamati, confetti e tante –troppe- canzoni popolari aveva abbandonato qualsiasi sentimento sognante al riguardo. Anche la rabbia era sfumata in fretta.
Il giorno seguente, nel pomeriggio, sarebbe andata a suonare ad un altro banchetto nuziale. Anche se la cosa non la esaltava, avrebbe guadagnato qualcosina e sapeva che i ragazzi del gruppo le avrebbero tirato su il morale.

“Credi che il testimone dello sposo giochi nella mia squadra?”
Emma si voltò a guardare il ragazzo in smoking. Probabilmente viveva in palestra e aveva un contratto annuale con i produttori di gel.
“Ti direi di entrare in modalità conquista, Patrick. Se un decimo del suo essere etero è in dubbio, cadrà ai tuoi piedi”.
Patrick, il tastierista, alzò un sopracciglio in tono ammiccante. Emma lo conosceva da abbastanza tempo da aver visto che non aveva difficoltà a trovare un ragazzo. Lei stessa aveva fantasticato a lungo su di lui e sul suo corpo perfetto. Da buona amica, ovviamente, e non solo prima di scoprire tragicamente che non avrebbe avuto nessun genere di possibilità.
“Se riesce a resisterti, passerai il numero a me. Ho un favore da riscattare” gli ricordò.
“Bene, fra quando attacchiamo?”
“Hai un margine di dieci minuti, lo zio brillo del tavolo in fondo sta dando abbastanza spettacolo”
Mentre l’amico metteva in atto le sue abilità, Emma mangiò la prima portata di pasta offerta dal ristorante e desiderò non staccarsi più da quel piatto. Fantasticò così tanto su quei paccheri al sapore di mare che quasi non vide Patrick trionfante che si avvicinava mostrandole il cellulare.
La serata passò tra canti popolari e qualche nuova hit pop. Era assurdo quanto fossero sempre uguali le richieste. Emma cantò solo per gli sposi un’ultima canzone. Erano talmente carini insieme mentre si guardavano negli occhi che quasi si commosse. Era successo pochissime volte.
Oh, no, no. Smettila con le fantasie. Gli uomini decenti o sono impegnati o sono gay.
‘O se ne vanno oltre oceano’
le disse una vocina.
Non aveva mentito ad Anna. Davvero non aveva problemi a rimanere single. Molte delle coppie a cui aveva cantato canzoni melensi già non stavano più insieme e si gettavano frecciatine velenose sui social network. Meglio stare sola che fare quella fine, no?
Raccolsero gli strumenti e i ragazzi la riaccompagnarono a casa.

La mattina seguente fu svegliata dal ciarlare della loro vicina di casa. Era una di quelle signore il cui unico scopo dopo la pensione è sapere tutto della tua vita. I figli se ne erano andati molti anni prima e l’unico esemplare non accasato nei suoi paraggi era Emma. La ragazza provò a riaddormentarsi, ma l’impellente bisogno di fare pipì la tradì.
Doveva uscire da quella camera, ma come avrebbe fatto a non farsi vedere dalla vicina? Era ancora in cucina a sommergere sua madre di chiacchiere e il bagno era proprio tra camera sua e la cucina.
Considerò seriamente di usare qualcosa che aveva in camera, ma teneva troppo alla sua tazza dell’amicizia o al portapenne così prese coraggio e uscì.
“Oh, cara, buongiorno! Stavamo giusto parlando di te!” esclamò la donna.
Uh, ma che novità.
“Signora Carla, mi scusi, ma devo andare un attimo al bagno” chiuse la porta come se fosse la sua salvezza e si liberò del bisogno. Poi cercò di perdere tutto il tempo del mondo contandosi i punti neri, leggendo la descrizione dello shampoo e selezionando i prodotti per colore. Ma la signora Carla continuava a parlare così, per pietà verso sua madre, Emma tornò in cucina.
“Tua madre mi ha detto che sei stata al matrimonio della figlia di Martoni ieri. Ho visto le foto, lei era deliziosa! Ho saputo anche che aspetta già un bambino” disse soddisfatta per il solo fatto di saperlo.
Emma pensò che era una cosa privata e si chiese se la ragazza volesse che ne parlassero in giro.
“E tu, quando ti sposi?”
Ecco. Ormai le aveva posto la domanda tante di quelle volte che le bastava inserire il pilota automatico per rispondere. Una volta gliel’aveva chiesto al supermercato prendendola alla sprovvista e poteva giurare che la signora si fosse appostata dietro ai barattoli di piselli.
Sorrise falsamente. Anna le diceva sempre che quando faceva quel tipo di sorriso sembrava colta da paresi facciale.
“Quando troverò l’uomo giusto” il giorno del mai.
“Io ho un bellissimo nipote” enfatizzò la cosa a gesti ed Emma cercò in sua madre una via di fuga. La madre le rispose comprensiva con gli occhi e le fece capire che anche lei non ne poteva più.
Continuò a parlare e parlare ed Emma inserì il pilota automatico dicendo sì a tutto. Non le importava se le avrebbe organizzato un incontro con il nipote o con il figlio di Aladino, voleva solo chiamare Anna.
“Oh, perfetto! Ora vado a casa, oggi avevo pensato di cuocere i ceci. A dopo”
Un istante dopo la sentirono fermare il signore uscito a portare a spasso il cane.
Grazie per il tuo sacrificio. Sarai ricompensato. Forse.
“Mamma, ricordi quando frequentavo la seconda liceo e papà ricevette quell’offerta di lavoro in capo al mondo e tutti ci impuntammo perché dicesse di no? Che errore.”
Sua madre sorrise, ma per tacita educazione non disse nulla di irrispettoso sulla vicina e andò nel giardino sul retro.
Emma preparò un cappuccino e chiamò Anna. Aveva trovato molte chiamate perse, doveva essere impaziente di raccontarle del quarto appuntamento.
“Emy… stai bene?”
Emma fu sorpresa dalla domanda. “Certo che sto bene”
“No, sai, perché ieri pomeriggio eri al matrimonio e non abbiamo avuto modo di parlare. Su facebook ho letto che –“
“Anna, sai già che non mi interessano queste cose”
“Si tratta di Filippo”
Ad Emma sembrò che il tempo si fosse fermato.
“Sai che non mi interessa più” disse. Cercò di risultare tranquilla, ma la voce la tradì.
Anna sospirò. “Lo so” rispose, ma suonò tanto da so che non è vero.
“Ha scritto una cosa che deve essere per forza riferita a te, altrimenti il mondo non ha più senso”.
Emma si sentì strana. Aveva nascosto una cosa ad Anna, ma lei sembrava aver intuito più di quanto credeva e lo sapeva per certo anche senza aver letto qualsiasi cosa lui avesse scritto.
“Penso sia cambiato in meglio” continuò l’amica anche se lei non aveva risposto.
“Emma” provò a farla riprendere. “Ha rotto con la fidanzata. E penso proprio che sia tu la causa”
Cosa? IO?! E perché mai lui dovrebbe lasciare la sua fidanzata per me? Io me ne sono stata buona buona a non fare niente mentre lui cambiava città e donne in continuazione.
Non mi interessa” concluse. E sentiva di doverlo a se stessa. Dopo tutto quello che era successo. Dopo essere stata ignorata e ferita. Le sembrò di sentire Anna scuotere la testa dall’altra parte del cellulare.
“Emy, tu non capisci, lui –“
Prima che Anna finisse la frase si sentì il rumore della chiave che girava nella toppa e una voce inconfondibile riempì la casa.
“Ah, menomale che papà non ha cambiato la serratura! Famiglia, sono a casa!”
 Giulio!
Emma corse verso l’ingresso e saltò al collo del fratello gridando dalla felicità. Lui quasi cadde, ma lasciò la valigia e tornò subito in equilibrio tirando su la sorella.
“Sei ingrassata, panda”
“Anche tu, scemo, ti sei ammollato. Ma in Giappone non mangiate solo germogli?” lo prese in giro tornando in piedi e punzecchiandogli i finti addominali. Suo fratello si spostò e solo in quel momento lo vide.
Aveva i capelli più corti, ma era sempre lui con quegli occhi verdi che l’avevano fatta innamorare. Era più alto di come ricordava e ancora più in forma.
Era così bello, così lui, che lei si sentì inadeguata, con i capelli sfatti, in pigiama e senza trucco. Arrossì e lottò contro il suo corpo per evitare che il sangue le arrivasse alla faccia, ma fu inutile.
“Ciao, Emma” le disse con quel suo sorriso sghembo.
Sembrò dirle il mondo con gli occhi, ma Emma abbassò lo sguardo e si scusò per allontanarsi. Non era da lei e si arrabbiò con se stessa. L’avrebbe dovuto prendere in giro, fare una battuta e sventolare i capelli con fare disinvolto, non scappare. Lui fece un passo verso di lei, ma Emma chiuse subito la porta. La sua camera le sembrava più stretta del solito mentre afferrava il cellulare che era rimasto nella sua mano tutto il tempo.
“Sei ancora lì” disse con sicurezza.
“Sì” rispose Anna. “Ho cercato di avvertirti, ma non mi hai fatto spiegare”
“Bene, ora, al volo: che diavolo faccio?!”
“Se non ti interessa più, puoi uscire tranquillamente così, no?” la punzecchiò l’amica.
“Sai che non è questo il punto! E’ ancora più bello di quanto ricordassi e sarebbe un affronto al mio orgoglio presentarsi così”
Sì, sì, proprio pensò Anna.
“Allora fatti bella e fagli capire cosa si è perso in tutti questi anni”

Emma si guardò allo specchio quaranta minuti dopo e non si sentì affatto bella, ma sapeva di avere qualche asso nella manica. Aveva avuto abbastanza tempo per pensare e trasferire l’insicurezza nella rabbia. Dopotutto era lui che se ne era andato. E lei era stata male per questo.
Uscì dalla camera con una sicurezza che non sentiva da tempo.  
Lo trovò in cucina, di Giulio neanche l’ombra. Emma si sentì accaldata nel vedere le ampie spalle di Filippo che si flettevano mentre armeggiava in cucina. Stava… cucinando?!
“Il lupo perde il pelo ma non il vizio”
Alle sue parole lui si voltò e sembrò che il tempo non fosse mai passato.
Pensa alla rabbia, rabbia, rabbia…
Invece pensò al momento in cui aveva capito che si era irrimediabilmente innamorata di lui. Si rivide a quindici anni mentre con il cuore in gola camminava attraverso il corridoio dell’ospedale in cui la madre di Filippo era stata ricoverata per un problema respiratorio.
Era andata subito lì con Giulio e sua madre appena l’aveva saputo. Avevano trovato Filippo nel corridoio, con il viso stravolto e un peso troppo grande per i suoi diciannove anni.
Suo fratello gli diede una pacca. Poi il ragazzo abbracciò sua madre. Emma invece affondò la testa sul suo petto senza pensarci. Erano talmente vicini che sentì il suo cuore battere nelle orecchie. Si sentì diversa. Aveva sempre pensato a lui in modo sognante e sentimentale, ma non si era mai sentita così.
La madre del ragazzo si riprese, ma ebbe bisogno di qualche giorno di riposo.
In quel periodo Emma cucinò tutti i giorni per loro e fu contenta di aiutare visti anche gli impegni di sua madre con il lavoro.
Una sera Filippo le chiese se poteva insegnargli a preparare qualcosa per fare una sorpresa a sua madre per la colazione.
“Dimmi gli ingredienti ed io li prendo, chef” le disse mostrandole il suo sorriso sghembo. Aveva diciannove anni, ma da qualche anno l’accenno di barba lo faceva sembrare più grande.
“Farina, uova, zucchero, lievito e latte”. Decise che avrebbero preparato i pancakes.
Mentre il ragazzo prendeva gli ingredienti lei osservava il suo corpo e iniziò a sentirsi strana, accaldata. Era quella la pubertà di cui tanto parlavano? Le sembrava di averla da sempre.
Iniziarono a preparare l’impasto ed Emma gli spiegò tutti i passaggi facendogli anche sbattere le uova. Filippo sembrava felice dopo tanto tempo.
“Wow, sembra un dinosauro” disse il ragazzo eccitato come un bambino.
Emma guardò la pastella che lentamente si allargava nella padella e rise. “Ora però sembra che si è mangiato da solo tutto l’impasto. E’ un dinosauro obeso”.
Risero così tanto che senza rendersene conto si ritrovarono con i visi vicini. Filippo le aveva poggiato una mano sul braccio per reggersi dalle risate.
C’era lui, il suo sorriso ,il suo corpo. E poi c’era lei già così cotta di lui. Le batteva il cuore così forte che pensò che sarebbe scoppiato da un momento all’altro. Quando realizzò di essersi definitivamente innamorata di lui, Filippo fece una faccia strana e staccò la mano dal suo braccio come se si fosse scottato. Emma rimase disorientata e cercò di chiedergli cosa fosse successo, ma lui guardò verso la finestra.
“E’ meglio che torni a casa. E’ tardi, ma chiamerò Giulio”  disse serrando la mascella.
Emma avrebbe quasi voluto urlargli di guardarla, ma non lo fece.
E’ ovvio che una ragazzina banale come me non gli interessi. Cosa avevo in mente?
Aspettarono suo fratello in silenzio e quando arrivò Emma prese le sue cose con stizza. Era arrabbiata e offesa, come solo una ragazza rifiutata può esserlo.
“Cosa è successo?” le chiese suo fratello in macchina. Era preoccupato.
“Niente” ed era esattamente quello il problema.


Note dell'autore:
Sono molto affezionata a questa storia e spero che vi faccia scappare qualche sorriso. E' nata come una storia leggera, ma è diventata molto di più.
  
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