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Autore: Clairy93    17/01/2016    7 recensioni
Ogni famiglia ha i suoi segreti.
Il modo migliore per nasconderli?
Ostentarli.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qualcosa di cui (s)parlare  
 


Vi devo delle spiegazioni.
Innanzitutto lasciate che mi presenti.
Mi chiamo Nadia, mi sto (miseramente) avvicinando ai trent’anni, sono un’insegnante e appartengo alla casata dei Montalto della Leonessa.
Avete ragione, è probabile che questo nome non vi dica niente.
Eppure i Montalto della Leonessa sono stati, fino al secolo scorso, una delle più importanti dinastie nobiliari della Toscana.
Oggi è rimasta solo l’effimera memoria che il titolo suggerisce, qualche proprietà nella provincia e, come qualsiasi famiglia di questo calibro che si rispetti, avvincenti e misteriose leggende di illustri antenati ed inestimabili tesori sepolti chissà dove.
Questa potrebbe essere la causa per cui non ci avete mai sentito nominare. Tuttavia i Marchesi Montalto della Leonessa hanno governato incontrastati su una piccola ma florida regione, la Contea della Leonessa per l’appunto, per quelli che sono stati lunghi e fortunati decenni.
E vi assicuro che, se mai aveste l’opportunità di recarvi in questa zona, vi basterà domandare ad un qualsiasi locale per essere trattenuti infinite ore ad ascoltare le alte gesta degli amati sovrani. Per non parlare di come quasi ogni abitante potrà vantare la presenza, nel proprio albero genealogico, di un avo che sia stato al servizio della famiglia, in veste di soldato, inserviente o addirittura pretendente di una delle incantevoli (o almeno così si racconta) figlie del Marchese.
Non fatevi strane idee, è decisamente meno eccitante di quanto sembri.
Discendere da una casata nobiliare, seppur decaduta, comporta rispettare estenuanti cerimoniali, partecipare ai più noiosi eventi mondani e, soprattutto, fare i conti ogni, singolo giorno con certe problematiche che finiscono per consumarti.
Devo ammetterlo: io e mio fratello gemello Jacopo abbiamo trascorso un’infanzia serena ed agiata. Siamo sempre stati accontentati nelle nostre richieste, assecondati nei nostri capricci, abbiamo vissuto esperienze così avvincenti da suscitare la comprensibile invidia dei nostri coetanei. Abbiamo frequentato le scuole più esclusive, siamo stati istruiti dai professori più competenti. Insomma, non ci hanno mai fatto mancare nulla. Questo, però, implicava che i familiari riponessero fin troppe aspettative su di noi.
Ecco spiegato il motivo per cui, una volta raggiunti i miei sospirati diciotto anni, abbandonai quel mondo sfavillante per trasferirmi nell’anonimato della città. Un episodio che scatenò l’immane disappunto di mia madre e, principalmente, di nonna Lavinia, che lo considerò un affronto pari al più meschino tradimento.
Ma non mi sono mai pentita dalla mia scelta.
Nonostante la nostra residenza fosse animata, dalla mattina alla sera, da un frenetico via vai di uomini, donne e domestici, non avevo molti punti di riferimento.
Mia madre è sempre stata una donna debole, cagionevole e terribilmente lunatica. Non hai mai sviluppato quello che si definisce uno “spirito materno”. Inoltre, l’incessante presenza di mia nonna paterna non ha fatto altro che accrescere il suo complesso d’inferiorità e indurla, il più delle volte, a sprofondare in una depressione tale da dimenticare di avere ben due figli a cui badare.
Poi, c’era mio padre, l’illustre Marchese Libero Montalto della Leonessa. I ricordi più belli che possiedo della mia giovinezza sono in sua compagnia.
Lui, per me, era un eroe. Il mio eroe.
Ricordo così chiaramente i minuti trascorsi a contemplare la cura meticolosa con cui si aggiustava i baffi davanti allo specchio, i pomeriggi uggiosi durante i quali mi sdraiavo sulla sua pancia generosa e guardavamo per l’ennesima volta Mary Poppins alla televisione, oppure le gare a chi raccoglieva più sassi in riva al lago e quei suoi bizzarri stratagemmi per farmi vincere.
A volte mi stupisce quanto siano ancora vivide queste memorie. I colori, i suoni, i profumi: riesco ad avvertire tutto con estrema semplicità. Di tanto in tanto percepisco anche lei, quella terrificante ed opprimente sensazione che mi coglieva nei momenti in cui mio padre non era al mio fianco, un’eventualità che, con il passare degli anni, accadeva di frequente.
A causa del suo lavoro lo vedevo sempre più raramente. Papà era dirigente in un’impresa: ogni responsabilità gravava sulle sue spalle e doveva presiedere a continue riunioni.
E’ il mio lavoro, piccola. - diceva, facendomi accomodare sulle sue ginocchia - Se vuoi che papà ti compri quelle belle bambole che ti piacciono tanto, devo darmi da fare.
Non capiva. E, in fin dei conti, forse non voleva.
La sua azienda sarebbe comunque venuta prima di tutto, perfino della sua stessa famiglia.
Credo che la nostra bella dimora non fosse più casa per mio padre.
Se oggi ripenso alla mia infanzia, tra l’isteria di mia madre e l’indole al comando della nonna Lavinia, la quale era ormai in pianta stabile presso di noi, non mi meraviglia che mio padre comparisse solo la sera tardi, quando dalla finestra della mia cameretta distinguevo i fari della sua auto squarciare il buio e la sua sagoma in controluce rientrare quatta, quatta dall’ingresso secondario.
Non fu una sorpresa, perciò, quando scoprimmo che aveva un’altra donna.
Papà la presentò pubblicamente come sua amante e, da lì a poco, la loro unione fu sugellata dalla nascita di Micaela, la loro prima e, fortunatamente, anche unica figlia.
Quell’annuncio mi spezzò il cuore. Io, tuttavia, non dissi mai niente. Non mi arrabbiai né diedi di matto, non versai neppure una lacrima.
Mio padre restava il mio eroe. E gli eroi, in un modo o nell’altro, ritornano sempre.
Poi, però, si cresce. Cominci ad instaurare con la vita una relazione più aggressiva e sofferta ed è lì che comprendi quanto i tuoi sogni di bambina siano stati dolci e fragili illusioni. Allora ti rendi conto che il tuo eroe non avrebbe più fatto ritorno. Perché gli eroi, cara Nadia, non esistono.
All’allontanamento di mio padre non conseguì un miglioramento nei rapporti con il resto della famiglia, sulla quale non ho mai potuto veramente contare. Ci incontravamo spesso in occasione delle ampollose e indescrivibilmente imbarazzanti cene famigliari, ma i miei tre zii sono sempre stati anni luce lontani da me, ad eccezione forse della più giovane sorella di mio padre, zia Amelia.
Nemmeno mio fratello Jacopo fu per me di grande conforto. L’eccessivo controllo e il costante monito alla disciplina che i parenti non rinunciavano mai a rimproverargli, in quanto futuro erede dell’azienda di nostro padre, lo avevano indotto a maturare un animo ribelle fino all’inverosimile.
Era alquanto ovvio che, raggiunta la maggiore età, fuggissimo entrambi da quella casa.
Con Jacopo ci sentiamo ogni tanto. Sembra stare bene, da quanto ne so conduce la “bella vita”: locali alla moda, biondissime modelle, macchine costose.
Io, viceversa, ho puntato su un profilo più sobrio. Mi sono trasferita in città, ho svolto qualche lavoretto per pagarmi gli studi e l’affitto e sono diventata maestra.
Mi sono resa indipendente, con la speranza di non dover più avere niente a che fare con la mia famiglia.
Invece, due settimane fa, ho ricevuto una chiamata da Alfredo, il nostro anziano maggiordomo, nonché una delle persone più buone ed umili che io abbia mai conosciuto. E’ sempre stato molto premuroso nei miei confronti e, come mi ha riferito al telefono, ci teneva a darmi personalmente la notizia: papà era morto.

 

Angolino dell'Autrice: Ciao miei dolci cubetti di mela immersi nel cioccolato fuso!
Ho deciso di dividere in due parti questo capitolo, pensavo fosse un po' troppo lungo. Quindi, aspettatevi un aggiornamento anticipato!
Su questa storia di dubbi ne ho molti, ma il supporto che mi avete dimostrato già nel primo capitolo mi ha infuso un'energia incredibile e vi ringrazio di cuore. Spero di regalarvi cinque minuti di svago e vi auguro una serena settimana!
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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