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Autore: silbysilby_    17/01/2016    0 recensioni
[SPOILER THE DEATH CURE]
-Dal testo-
Il castano rimaneva appoggiato al tronco a polleggiare, intrattenendosi ad ascoltare il suono tagliente dell'ascia che si abbatteva sul malcapitato tronco, un'imprecazione colorita aggiunta dall'altro ogni tanto. Il momento migliore era quando il ragazzo biondo si voltava verso di lui, una smorfia sul viso arrossato e i capelli attaccati alla fronte dal sudore. Gli chiedeva non tanto gentilmente di riprendere il suo turno e usava un appellativo con cui Thomas sapeva che mai nessun altro l'avrebbe chiamato. Nel tepore del sonno un sorriso fioco faceva inevitabilmente capolino sulle labbra screpolate di Thomas, il cuore un poco più leggero per il solo fatto che Newt fosse lì.
Peccato che fosse morto.
La consapevolezza piombava su Thomas con la stessa forza di un pugno ben assestato nello stomaco. Era così tutte le volte, tutte le maledette volte. Spalancava gli occhi marroni così velocemente che la vista gli si appannava per pochi secondi, tutta la stanchezza scivolata via in un attimo.
Era da solo.
Ovviamente.
One shot Newtmas ambientata dopo la fine del terzo libro della saga.
Genere: | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In this time I've lost all sense of pride
I've called a hundred times
If I hear your voice I'll be fine

And I, I can't come alive
I want the room to take me under
'Cause I can't help but wonder
What if I had one more night for goodbye?
If you're not here to turn the lights off, I can't sleep
These four walls and me

Erano passati mesi da quando Thomas, Minho, Brenda e i pochi Radurai sopravvissuti potevano dire di essersi lasciati la W.I.C.K.E.D. alle spalle, ma ognuno di loro era più che consapevole di quanto quell'esperienza disumana li avesse segnati. Ognuno di loro poteva affermare con certezza di essere la persona che aveva sofferto maggiormente, ognuno di loro scattava al minimo rumore inatteso, ognuno di loro aveva bisogno del proprio spazio per leccarsi una ad una tutte le ferite. E Thomas non faceva eccezione.
A volte gli venivano delle idee così stupide che avrebbe voluto liberarsene a suon di ceffoni. Proprio lui, proprio lui che agli inizi aveva tanto bramato qualsiasi genere di ricordo per poi rifiutarsi di riavere indietro la memoria pur di non essere plagiato, si ritrovava a chiedersi se non fosse stato meglio aver salvato qualche marchingegno speciale della WICKED per cancellarsi una seconda volta la memoria, dimenticare tutto quello che aveva dovuto affrontare e riniziare una vita nuova completamente da zero, ingenuo e felice. Naturalmente il secondo dopo scuoteva la testa come se quei pensieri fossero solo moscerini fastidiosi e si dedicava ad altro, rilegando i dubbi in un angolo del cervello. Come faceva con tutto, del resto.
Passava giornate intere con il solo obiettivo di tenersi il più occupato possibile per impedirsi di pensare. Non che fosse difficile, sia chiaro; si erano organizzati nel modo più efficiente possibile affinchè avessero tutti un tetto sotto il quale dormire, dei posti specifici dove ci si occupava di cucinare per tutti quanti... Dare inizio a una piccola città di Immuni grazie alla quale la specie umana sarebbe potuta continuare mentre il resto del mondo andava in rovina. Per molti versi a Thomas ricordava la Radura.       
Se mi fermo penso e crollo, continuava a ripetersi costantemente tra una mansione e l'altra. Se mi fermo penso e crollo.
Per esempio quando aveva finito di spaccare un po' di legna per il falò che si teneva ogni sera: il sole era cocente e Thomas si sedeva all'ombra di uno dei tanti alberelli per riposarsi. Le palpebre gli si abbassavano dalla stanchezza ma lui cercava sempre di restare sveglio, di non addormentarsi quando non c'era nessuno a guardargli le spalle, finendo così in un confusionario stato di dormiveglia. Il sole abbagliante veniva interrotto a tratti dall'arrivo dalla sagoma di un ragazzo magro e pallido; tra le ciglia poteva osservarlo di nascosto, come se ancora si vergognasse quando veniva colto in flagrante, mentre il nuovo arrivato si sfilava la camicia rovinata per rimanere in canottiera, raccoglieva l'accetta lasciata a terra da Thomas e gli dava il cambio. Il castano rimaneva appoggiato al tronco a polleggiare, intrattenendosi ad ascoltare il suono tagliente dell'ascia che si abbatteva sul malcapitato tronco, un'imprecazione colorita aggiunta dall'altro ogni tanto. Il momento migliore era quando il ragazzo biondo si voltava verso di lui, una smorfia sul  viso arrossato e i capelli attaccati alla fronte dal sudore. Gli chiedeva non tanto gentilmente di riprendere il suo turno e usava un appellativo con cui Thomas sapeva che mai nessun altro l'avrebbe chiamato.  Nel tepore del sonno un sorriso fioco faceva inevitabilmente capolino sulle labbra screpolate di Thomas, il cuore un poco più leggero per il solo fatto che Newt fosse lì.
 Peccato che fosse morto.
 La consapevolezza piombava su Thomas con la stessa forza di un pugno ben assestato nello stomaco. Era così tutte le volte, tutte le maledette volte. Spalancava gli occhi marroni così velocemente che la vista gli si appannava per pochi secondi, tutta la stanchezza scivolata via in un attimo. 
Era da solo.
Ovviamente.
Thomas si riempiva i polmoni d'aria e tratteneva il respiro fino a quando non sentiva più le lacrime premergli agli angoli degli occhi. A volte era costretto ad espirare e inspirare un'altra volta.
Se mi fermo penso e crollo. 
Si alzava, raccoglieva la legna accumulata e correva a sistemarla in quello che avevano battezzato come magazzino, poi andava alla ricerca di Brenda per vedere se aveva bisogno di una mano in qualsiasi cosa lei stesse facendo. 
Nessuno lo fermava per chiedergli che cosa gli prendesse, perchè aveva quella faccia. Tanto lo sapevano già.

I momenti peggiori li passava la sera in compagnia di Minho, non perchè gli fosse sgradita, ma perchè Thomas si trovava costretto ad affrontare non solo il proprio silenzio, ma anche quello dell'amico. Ridevano, scherzavano e si supportavano a vicenda come se fossero migliori amici da una vita, ma poi arrivava il momento in cui le risate scemavano lentamente fino a spegnersi e Thomas non poteva evitare di vedere una copia della sua stessa espressione sofferente negli scurissimi occhi a mandorla di Minho. Non dicevano niente. Nessuno dei due apriva bocca per esternare quello che entrambi erano consapevoli l'altro pensasse. 
Alla fine si congedavano con un paio di pacche sulle spalle e andavano a dormire. Thomas si dirigeva verso il capannone dove sapeva essere Brenda, entrava cercando di non svegliare qualcuna delle ragazze, e raggiungeva il letto di quest'ultima per augurarle una buona notte con un lieve bacio sui capelli scuri. Si stendeva vicino a lei tentando di farsi piccolo per non schiacciarla contro la parete e si addormentava quasi immediatamente.

Thomas che correva sempre più velocemente, così iniziavano tutti i suoi sogni. Certe volte correva per ore e ore per uno spazio indefinito senza avere una meta fino a quando non si svegliava il mattino dopo. Altre volte correva con Minho, proprio come quando si era allenato nel Labirinto per diventare Velocista. Altre volte ancora mentre correva poteva sentire il proprio corpo ringiovanire e finiva per sognare quello che presumeva fosse uno sbiadito ricordo d'infanzia. 
Una folata d'aria che gli soffiò sul viso scompigliandogli i capelli castani fu la prima cosa che lo introdussero al sogno di quella notte. In un secondo momento Thomas sentì lo scalpiccio dei propri passi, sordo e ripetitivo, su quello che sembrava un pavimento ricoperto di bianche piastrelle lisce. Delle masse confuse di ombre, colori e voci sorsero intorno a lui gradualmente, come una macchina fotografica che non riesce a mettere a fuoco il soggetto: l'impressione era quella di correre per un lungo corridoio biancastro le cui sottili pareti in vetro costantemente appannate celavano degli scenari dietro di sè.
Per quanto fosse camuffato, per Thomas era impossibile non riconoscere quel luogo: le vaghe luci al neon azzurre e bianche, le pareti grigie sgombre di ogni arredamento che non fosse puramente utile sotto il campo scientifico, i camici bianchi...non poteva essere altro che la sede principale della WICKED, ormai andata distrutta. Grida e urla ovattate gli arrivavano alle orecchie sovrapponendosi al rumore regolare dei suoi passi, seguiti subito da tonfi e ciocchi talmente intensi che fecero tremare il pavimento sulla quale Thomas continuava a correre.Il soffitto stava andando a pezzi e si stava schiantando sulle teste dei Radurai che cercavano disperatamente di portare in salvo tutti quei nuovi ragazzi che avevano appena trovato in un altro labirinto identico al loro. Con loro anche molti dei sottoposti della WICKED venivano schiacciati sotto il peso delle macerie mentre chi riusciva a stare ancora in piedi era impegnato in una lotta furiosa contro Thomas e i suoi amici. Fra tutte quelle macchie indistinte potè scorgere uno svolazzo nero cadere a terra e il ragazzo sentì gridare disperatamente dalla sua stessa voce il nome di Teresa. 
Le gambe di Thomas tremarono così forte che per un momento lui pensò che gli sarebbero cedute. Ora la macchia nera che doveva trattarsi della chioma della ragazza era riversa a terra immobile e Thomas non poteva credere di star rivivendo tutto questo di nuovo. Provò a correre più vicino alla parete per cercare di capire cos'altro stesse succedendo dietro quello strano vetro appannato, se ci fosse stato qualcosa che avrebbe potuto fare per salvare chiunque di loro, e la tentazione di smettere di correre e ridurlo a pezzi per raggiungerli dall'altra parte gli bruciava dentro. Ma Thomas non poteva fermarsi.
Se mi fermo penso e crollo. Se mi fermo penso e crollo. Se mi fermo penso e crollo.
Non era nient'altro che un sogno. Un brutto, bruttissimo sogno. Non c'era niente che lui potesse fare. 
Thomas svoltò verso un improvviso corridoio a destra e le urla dietro di sè si spensero una ad una.
* * *
Il sollievo di quel silenzio durò poco: il nuovo ambiente appena più scuro di quello precedente pareva interrotto dalla luce di decine di schermi illuminati. Ospitava una piccola calca di gente tutta stretta all'interno della stanza e Thomas riconobbe all'istante la scena che gli si stava riproponendo sotto gli occhi quando la figura indistinta di Gally comparve con un pugnale in mano. La fronte del Velocista cominciò a imperlarsi di sudore freddo mentre con lo sguardo scrutava all'impazzata nella macchia sfocata che erano i Radurai per poi trovare la bassa figura di Chuck davanti alla propria. Se prima a Thomas era sembrato di percorrere un' intera stanza per tutta la sua lunghezza, adesso gli sembrava di correre perennemente sul posto. Vide la lama lucente del coltello di Gally lasciare la sua mano e scagliarsi nella direzione dei suoi Radurai. 
Thomas gridò il nome di Chuck nello stesso modo in cui la sua pallida imitazione di prima aveva chiamato quello di Teresa. Smise di correre per limitarsi a camminare a un passo sostenuto, si avvicinò pericolosamente al vetro urlando al bambino di spostarsi e alla macchia in cui aveva riconosciuto se stesso di non fare lo stupido ed impedire che un suo amico morisse per lui. Fece per battere un pugno contro il vetro per attirare l'attenzione di quelle ombre fugaci, ma il tonfo che si aspettava di provocare non arrivò: al posto di picchiare contro la superficie liscia e sgranata la sua mano ci passò attraverso, come se fosse composta da fitta nebbia. L'aria più fresca e pulita che caratterizzava i laboratori della WICKED gli punse le dita e Thomas ritrasse la mano come se si fosse scottato. Un nodo gli attanagliò lo stomaco e riconobbe la paura per quella che era.
Aveva la possibiltà di attraversare la barriera. Non era sicuro se l'unica cosa che sarebbe cambiata sarebbe stata la nitidezza con cui vedeva la scena o se avesse effettivamente potuto salvare Chuck. Dopo una breve lotta interiore, non è che un coltello ci metta molto ad attraversare una stanza e piantarsi nel petto di un bambino, la parte più egoista di lui prevalse su quella eroica. Non voleva rivivere tutto ciò. D'altronde era solo un sogno, non contava per la vita vera. Chuck non sarebbe stato lì con lui al risveglio.
Se mi fermo penso e crollo.
Dandosi del codardo, del vigliacco e dell'ingrato, Thomas si allontanò il più possibile dal muro di nebbia e riprese a correre. 
* * *
Il ragazzo tenne gli occhi serrati per minuti interi continuando a correre dritto davanti a sè. Intorno a sè sentiva voci, spari, fulmini, ma non si fermò neanche una volta per vedere cosa avesse ancora in serbo per lui quell'incubo infinito. Si decise a riaprirli solo alla quarta voltà che rischiò di inciampare: le piastrelle bianche su cui aveva corso fino a quel momento erano sporche di polvere e spezzate da diverse crepe. Man mano che procedeva si facevano più rade, lasciando spesso un solco vuoto dalla forma squadrata, rimpiazzate da un selciato fatto di pietre e cemento. Alla sua destra e alla sua sinistra era tutto una sfocata macchia di grigio e verde. Thomas poteva addirittura giurare di aver scorto il guizzo di una Scacertola con l'angolo dell'occhio. Ne era certo, stava percorrendo gli intricati corridoi del Labirinto. 
L' ex-Velocista mise le ali ai piedi e corse come non aveva mai fatto: i piedi gli facevano male, i polpacci gli chiedevano pietà, la gola gli bruciava all'inverosimile ma a Thomas non importava. Per la prima volta da tempo aveva voglia di fare una cosa senza uno scopo preciso, solo correre e correre e correre senza mai fermarsi, senza mai pensare e senza mai crollare. 
Si sentiva infervorato, quasi entusiasta, di essere di nuovo lì e, come gli succedeva spesso, si ritrovò a sapere il significato di parole senza ricordare in che occasione le aveva imparate. La "sindrome di Stoccolma" era proprio una bella beffa: aveva passato ogni singolo secondo passato nel Labirinto per trovare un modo di uscire da quella gabbia diabolica... per poi sentirsi a casa una volta tornato tra quelle mura.
Thomas percorse tutta la strada a memoria per tornare nella Radura con il chiodo fisso di raggiungerla, andare nel suo vecchio solitario angolo nascosto dal bosco, e restare lì fino a quando Brenda non lo avrebbe svegliato l'indomani da quel sogno. Attraversò le imponenti porte limitandosi ad una corsetta leggera, dispiacendosi di essere ancora affiancato dalle due pareti di nebbia e di non poter vedere tutto il paesaggio nitidamente. Aveva stampata in faccia l'espressione più sollevata e allegra che avesse avuto negli ultimi tempi. Quasi quasi aveva voglia di andare a cercare Minho per vedere se per caso non stessero facendo lo stesso sogno simultaneamente.
Rallentò ulteriormente il passo per poter scrutare con cura tra le pareti di nebbia, accorgendosi del fatto che la Radura  sembrava deserta. Si voltò un paio di volte per controllare tutte le porte che davano al labirinto; magari era arrivato nel momento in cui avevano deciso di giustiziare Ben rinchiudendolo fuori coi Dolenti dopo che lo aveva assalito...
Infatti, proprio dalla parte opposta della Radura, gli parve di scorgere Ben. Dava la schiena a Thomas ma non gli sembrava fuori di sè o pericoloso, anzi, stava dritto in piedi, fermo immobile. Il Velocista corse verso di lui senza alcun timore (d'altronde si trattava solo di ombre di ricordi, non avrebbe potuto assalirlo di nuovo), ma più si avvicinava più trovava qualcosa che non andava nella sagoma di Ben: era più basso ed esile di quanto se lo ricordasse, e la macchia di capelli biondi era di un colore più scuro. Thomas ci diede poca importanza e continuò a dirigersi verso di lui, ipotizzando che forse il ragazzo era sopravvissuto alla notte fuori e  che forse era tornato alla Radura dopo che tutti quanti erano riusciti a scappare attraverso il covo dei Dolenti. Avrebbe anche spiegato il perchè fosse tutto solo. 
Thomas era ormai a pochi metri da Ben quando notò quella che sembrava una specie di stampella di fortuna gettata sull'erba ai suoi piedi. Alzò lo sguardo sull'altro cercando di cogliere più particolari possibili della sua figura nonostante la fitta nebbia. E i lineamenti erano familiari, troppo familiari per essere quelli di Ben. Aveva sfiorato la linea di quelle braccia centinaia di volte. Aveva intrecciato le proprie dita con quelle tanto da pensare che fossero fatte originariamente solo per completarsi.
Era Newt.
Newt.
Il suo Newt.
Non uno Spaccato, non in preda al delirio, non con la pelle ricoperta di cicatrici. Il suo Newt esattamente come lo aveva conosciuto. 
A Thomas parve il peggiore degli incubi. Dopo sangue, oscurità, Dolenti e Spaccati, la cosa che più lo terrorizzava era un ragazzo di spalle baciato dal sole del pomeriggio.
Per la prima volta in tutto il sogno il castano smise di correre e si immobilizzò.
Se mi fermo penso e crollo.
Glì prese il panico più totale. Le mani serrate a pugno abbandonate ai suoi lati gli tremavano violentemente mentre cercava inutilmente un appiglio, qualcosa che lo riportasse alla realtà.
Se mi fermo penso e crollo.
Doveva assolutamente andarsene, muoversi, tornare indietro, svegliarsi, ma le sue gambe gli sembrarono pesanti salici con le radici ben impiantate nel terreno.
Se mi fermo penso e crollo.
Continuava a ripeterselo come un mantra. I suoi occhi sbarrati non riuscivano a staccarsi dalla schiena sfocata di Newt. 
Non poteva essere vero. Non era giusto, non lo era, niente di tutto ciò lo era.
E' solo un sogno, avrebbe voluto gridare a pieni polmoni. Calmati, Thomas, è solo un fantasma del passato, solo un sogno, solo un sogno, e devi muoverti, non puoi fermarti, se ti fermi poi pensi e poi crolli. 
Il castano riuscì a fare qualche titubante primo passo camminando all' indietro. Ci era riuscito, poteva farcela, poteva riuscirci...
Tutti i muscoli di Thomas erano così tesi e rigidi che quando inciampò su una pietra neanche tanto grande finì direttamente a gambe all'aria. Un sorriso a metà tra lo scherno e il divertito gli riempì la mente con la stessa prepotenza con cui la luce del sole invade le camere buie all'alba nonostante le persone vogliano ancora dormire. Il ricordo di Newt che lo prendeva in giro dopo essere stati presentati da Alby per quel ruzzolone che Thomas aveva fatto appena uscito dalla scatola gli piombò addosso.
 Aveva evitato in tutti i modi di pensare a qualsiasi ricordo gli riguardasse e adesso che uno gli era affiorato alla mente tutti gli altri lo seguiorono in massa venendo crudelmente a galla. E Newt era un ricordo così bello e prezioso tra i mille dolori. Newt che lo fissava mentre Thomas beveva quello schifo preparato da Gally, Newt che gli toglieva Ben da dosso, Newt e la linea morbida dei suoi occhi, Newt e il riflesso del sole nei suoi capelli folti, Newt è quel suo modo di parlare tutto imprecazioni e sarcasmo, Newt che gli sussurrava all'orecchio, Newt e i suoi baci imprevedibili, Newt e l'inclinazione sempre nuova della sua voce nel pronunciare "Tommy", Newt, Newt e solo Newt perchè Thomas non faceva altro che non pensarlo.
E Newt ora era lì.
Si, si era ammalato, aveva costretto i suoi amici ad abbandonarlo, era stato ucciso da Thomas stesso diamine, ma in quel momento era lì, di fronte a lui, come può succedere soltanto nei sogni.
E Thomas era così stanco di dover essere sempre forte per tutti. 
Annullò la distanza che era riuscito faticosamente a mettere tra sè e quello che una volta aveva creduto vetro appannato e allungò un braccio: dall'altra parte poteva non solo vedere la luce del sole, ma ora il suo avambraccio poteva anche sentirne il calore. Trattenne il respiro e con tutto il coraggio del mondo attraversò in un sol passo tutta la parete di nebbia scoprendo che aveva avuto ragione quando aveva pensato che dall'altra parte avrebbe visto e sentito con la stessa nitidezza di quando era sveglio. Anzi, sembrava quasi che i colori fossero più saturi rispetto alla realtà, solo gli odori gli sembravano non riflettere il profumo di erba che caratterizzava la Radura.


Adesso Newt non era più solo un accozzaglia confusa di macchie, era una figura marcata, precisa. L'aria intorno a lui leggera, smossa da una brezza leggerissima che gli smuoveva a malapena i capelli e le pieghe della camicia. La schiena e la fronte di Thomas erano umidi di sudore freddo, la sua mente era totalmente svuotata da qualsiasi cosa, i suoi occhi troppo impegnati a segnarsi ogni colore, ogni curva, ogni ombra come mai avevano fatto prima.
Thomas tentò un altro passettino in avanti nell'erba, scalciando per sbaglio la stampella. La stampella? Newt non aveva la stampella quando sono arrivato, zoppicava ma non... 
Gli occhi tormentati del castano posarono lo sguardo sulla gamba del biondo, notando che era pesantemente fasciata con una garza macchiata di rosso in più punti ma comunque ordinata e bianca nei punti in cui non era sporca, come se gliel'avessero appena messa, i pantaloni sfregiati in più punti e i palmi delle mani sbucciati.

"Vuoi sapere perchè zoppico, Tommy?"

Thomas si coprì la bocca con una mano per soffocare l'orrore. Si fermò, incapace di battere anche solo le ciglia. 
Il suo respiro era irregolare e pesante ma nonostante ciò sapeva che Newt non percepiva la sua presenza: era congelato nel tempo, per sempre costretto a rimanere con gli occhi aridi di qualsiasi sentimento fissi su quel muro da cui si era appena buttato. Guardava quell'ammasso di pietre con rabbia e amarezza, come per ammonirlo per non essere stato abbastanza alto da ucciderlo nella caduta. 
Thomas si portò una mano sul petto per cercare di calmare il fiatone ma al posto di toccare la ruvida stoffa del giubbino che era solito portare toccò un tessuto più morbido e sottile: sopra la sua vecchia tenuta da Velocista una sciarpa rosso scuro gli circondava il collo, leggera e rovinata, la stessa sciarpa che ricordava di aver visto addosso a Newt durante la fuga. Il suo profumo gli riempì i polmoni in quel sogno inodore, un profumo che, si ritrovò a pensare, non sentiva più da troppi mesi. 
Thomas si era fermato, si era messo a pensare a tutto quello a cui poteva pensare pur di temporeggiare e di guagnare tempo, ma ormai aveva finito anche i pensieri. Con le lacrime intrappolate tra le ciglia, la gola stretta, il fiato corto, le gambe che gli cedevano e nessunaltra ragione per resistere, Thomas si lasciò a crollare.
Come per confermare le sue ipotesi, Newt non cedette sotto il peso del castano, rimase immobile, come se non fosse lui lo spirito tra i due ragazzi. Thomas lo abbracciava da dietro con una tale forza che era sicuro che se tutto ciò fosse stato reale gli avrebbe fatto male. Circondò completamente il busto magrolino di Newt con le braccia tenendolo stretto a sè, premendosi la sua schiena ossuta contro il petto, come se volesse infilarlo a forza nel suo cuore per portarselo via con sè. Le sue mani correvano con foga alla parte sinistra del petto dell'altro per cercare un battito che non c'era.
Era esattamente come se lo ricordava, identico in ogni suo spigolo e in ogni sua curva. 
Le guance paonazze di Thomas erano rigate di lacrime calde che finivano direttamente sulla pelle scoperta del collo di Newt mentre lui singhiozzava incontrollabilmente con la fronte appoggiata sulla sua spalla continuando a stringerlo, a dirgli che gli dispiaceva, che era tutta colpa sua, che niente aveva senso se lui non c'era, che si odiava per tutte le sciocchezze, per tutti i litigi causati da Teresa o Brenda, che non poteva essere morto, non poteva e che gli mancava, gli mancava così fottutamente tanto che a volte, quando tratteneva il fiato per impedirsi di piangere, gli veniva voglia di non tornare a respirare più. 
La lista delle cose che Thomas aveva da dire a Newt era lunga, ma quando qualcosa di bagnato colò sulle nocche delle sue dita le quali erano sbiancate tanto la stretta sulla maglia dell'altro era forte, ammutuolì. Per un secondo, per un solo secondo si illuse che Newt potesse percepirlo e che quelle dovevano essere lacrime che piovevano dai suoi occhi. Non avendo neanche la forza di staccarsi da lui, Thomas si limitò ad aprire gli occhi rossi e gonfi giusto per guardarsi le mani da sopra la spalla di Newt: una solitaria goccia di sangue gli scivolò giù dal dorso e finì tra l'erba , seguita subito da altre due. Nonostante nessun proiettile avesse fendato l'aria, la fronte di Newt stava sanguinando copiosamente, e la consapevolezza di non star stringendo una persona ma un corpo fece sbiancare Thomas.
Newt è morto. ricordò a se stesso. Tutto questo è solo un sogno. Lui non ritornerà. Non lo farà. Non è davvero Newt. 
Allentò la stretta sul corpo del ragazzo solo di poco, incapace di lasciarlo andare per la seconda volta. Con lo sguardo devastato si asciugò le lacrime rimaste sulle guance arrossate con il proprio braccio e gli posò un bacio tremante in quell'angolo di pelle che unisce collo e spalla. Restò col viso nascosto sulla spalla di Newt fino a quando non lo svegliarono.
* * *

Sentì qualcuno chiamarlo. Thomas si ritrovò in un letto freddo circondato da Brenda, Minho e un paio di curiose. Una delle sue mani era intrappolata tra quelle di lei che se le era  portate al viso, bagnandole di lacrime. Quando Thomas gli chiese con voce rauca per quale motivo stesse piangendo lei gli rispose che era una brutta abitudine che aveva quando vedeva qualcuno a cui teneva piangere. Thomas guardò Minho e quando vide che il ragazzo dai tratti orientali non stava piangendo si rese conto di quanto il proprio viso fosse caldo e umido.
Brenda si offrì di andargli a prendere un bicchiere d'acqua, lasciando i due amici soli nella stanza. Ancora scosso ed imbarazzato, Thomas guardò Minho con occhi vuoti. Quest'ultimo si limitò a scompigliargli i capelli con la mano e a rifilargli un sorrisetto triste. Si asciugò con il palmo della mano come fanno i bambini una singola lacrima sfuggita al suo autocontrollo da leader e sbuffò, come se la cosa gli desse molto fastidio. Sorrise nuovamente a Thomas, questa volta più sinceramente.
"Manca anche a me, brutto Pive." disse a voce bassa, e Thomas si accorse, per quanto avesse cercato di mascherarlo, che a Minho gli si era rotta la voce.

Thomas smise di darsi dello stupido quando desiderava che la WICKED gli azzerasse la memoria. Aveva altre richieste più stupide e sconsiderate che avrebbe rivolto a uno come Jason se fosse stato ancora in vita. Prima fra tutte, ed unica a dir la verità, la richiesta di tornare indietro nel tempo, essere rinchiuso nuovamente nel Labirinto fregandosene dei Dolenti, degli Spaccati, degli Immuni e del bene del mondo: Thomas era solo un ragazzo dopotutto. Desiderava solo essere lasciato nel suo vecchio angolino dietro il cimitero, accoccolato contro una parete fredda e muschiosa a dormire sotto i radi raggi di luce che sbucavano tra le foglie verdi. Sul suo grembo la testa bionda di un ragazzo rannicchiato di fianco a lui intento anch'esso a sonnecchiare.
   
 
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