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Autore: altovoltaggio    15/03/2009    5 recensioni
Artemisia uccideva.
Era nata per quello e in fondo lo sapeva anche lei.
Era il mero strumento di un destino che non aveva scelto, sempre guidata dalla mano del suo signore.
Genere: Guerra, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ARTEMISIA

 

 

Artemisia uccideva.

Era nata per quello e in fondo lo sapeva anche lei.

Era il mero strumento di un destino che non aveva scelto, sempre guidata dalla mano del suo signore.

Eppure non poteva esimersi dal versare lacrime di sangue per ogni vittima che abbatteva.

Lei ne era convinta, quel sangue che tingeva il suo spettro lucente erano le sue lacrime di dolore e rassegnazione.

Sapeva infatti di non poter contravvenire alla sua natura, come un girasole non può cessare di inseguire l’astro di fuoco.

Grande era il timore che suscitava il suo nome. I poeti ne cantavano la gloria e la bellezza immortale.

Unica nel suo genere.

 

Il grande re aveva conquistato popoli e nazioni grazie alla sua bella e mortifera Artemisia. Ora si preparava a vincere l’ultimo regno indipendente: il mondo sarebbe stato suo.

 

Artemisia conosceva bene il campo di battaglia. Vi si muoveva come una sirena nel profondi blu, bella e triste intonando il suo canto di morte.

Uccideva e piangeva per quei soldati troppo giovani e tropo vecchi, per quei figli, per quei padri.

 

Il grande re avanzava invincibile preceduto da Artemisia, terrore dei vivi.

Una battaglia lunga, estenuante condotta dalle prime luci dell’alba.

Gran parte dell’esercito nemico era stato sbaragliato.

Solo la cavalleria ormai opponeva un’orgogliosa resistenza.

All’improvviso, sotto il sole di mezzogiorno, un cavaliere si staccò dalle sue fila in una solitaria e coraggiosa corsa contro il potente re.

 

Artemisia era lì: lo vide giungere forte e coraggioso sul suo destriero bianco, fronteggiare il proprio re.

Il cavaliere splendeva di luce propria nell’armatura argentea. Reggeva un possente scudo nel quale Artemisia riconobbe lo stemma del principato.

Ormai aveva imparato a distinguere e catalogare i soldati e di certo quello non era un uomo qualunque. Azzardò che si trattasse del principe in persona.

Persa nei suoi pensieri a stento si rese conto che lo scontro era iniziato.

I due sovrani non risparmiavano colpi.

Ad un tratto il cavallo bianco si impennò, imbizzarrito e nell’urto l’elmo regale cadde liberando una cascata di ricci biondi.

Ad Artemisia sembrò che il principe fosse bellissimo, ritto sul cavallo rampante, inondato dai raggi del sole.

Aveva visto molti uomini, anche nell’intimità della loro tenda, eppure fu quella la prima volta in cui si arrestò come folgorata per la bellezza del giovane.

Si soffermò con insistenza sul volto angelico e vide nei suoi occhi coraggio e paura, disperazione e morte.

E Artemisia seppe che il bel principe aveva deciso di morire per il suo popolo.

Era lì a combattere con la certezza di non veder sorgere un nuovo sole, con la consolazione di aver tentato l’impossibile per fermare il nemico.

Ebbe pietà di lui. Così forte come non l’aveva mai provata.

Sapeva che questa volta non le sarebbe bastato piangere stille amaranto per fare ammenda di un simile delitto.

Maledisse la sua natura e fissò il giovane che presto sarebbe stata chiamata ad uccidere.

Pietà, ancora pietà quasi da impazzire per lo strazio.

Si accorse che il principe la fissava con timore, infine con rassegnazione, consapevole di avere davanti agli occhi la dea della morte.

 

Se avesse potuto, Artemisia sarebbe arrossita: si sentì colpevole, nuda sotto lo sguardo cristallino.

E capì.

Ne aveva sentito parlare tante volte, descritto nei suoi effetti sconvolgenti: amore.

La pietà non era un sentimento sufficiente a spiegare il dolore che provava pensando alla fine del principe.

Con un’intensità mai provata prima, desiderò che il cavaliere non morisse.

 

Sentì il forte richiamo del grande re che reclamava i suoi servigi. Ma lei doveva, voleva salvarlo.

Non c’era davvero modo di disobbedire al padrone, di contravvenire alla sua stessa natura?

Una vita per una vita.

 

Il grande re vibrò un colpo più forte degli altri, quello decisivo. Il principe frappose lo scudo in un vano tentativo salvezza; nessun’arma era capace di contrastare la spada del sovrano.

Eppure successe qualcosa che nessuno avrebbe immaginato: Artemisia si infranse in mille schegge d’argento, luminose come lacrime d’addio.

Solo l’elsa rimase intatta, stretta fra le mani del re sconfitto.

  
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