Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Dragon gio    18/01/2016    4 recensioni
John e Sherlock alle prese con i malanni di stagione. [Johnlock ♥]
Non poteva credere di essere stato così maldestro, proprio lui, John Watson, un ex militare. Inciampare così ridicolmente sul molo per poi cadere come un sacco di patate nelle acque incredibilmente gelide del Tamigi.
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ammalarsi è noioso, John!
Ammalarsi è noioso, John!

Non poteva credere di essere stato così maldestro, proprio lui, John Watson, un ex militare. Inciampare così ridicolmente sul molo per poi cadere come un sacco di patate nelle acque incredibilmente gelide del Tamigi.
Ben fatto John, in quanto a figuracce oggi hai superato te stesso! gli ripeteva un'odiosa vocina stridula nella sua testa.
Fortunatamente era stato ripescato da Lestrade prima che sopraggiungesse l’ipotermia, ma non abbastanza in fretta per impedire a Sherlock di assistere alla pietosa scena.

- Sembri un topo bagnato, John! – esclamò il detective inarcando le sopracciglia con aria divertita.
Un furioso senso di vergogna fece avvampare le guance del dottore; poteva sentire lo sguardo del suo fidanzato penetrargli vestiti, ossa, e carne. Se la stava ridendo, e di brutto. Non lo mostrava esplicitamente, ma John sapeva che era così, e per questo ignorò Lestrade che gli aveva offerto di ripararsi nella sua auto per scaldarsi, e aveva seguito Sherlock.
- Prendi almeno questa! – gli aveva urlato l’ispettore lanciandogli una coperta di lana, che subito si mise sulle spalle per coprire almeno un po' i vestiti bagnati. A costo di morire congelato, avrebbe dimostrato che poteva essere ancora di qualche utilità per la risoluzione del caso.

Un'ora dopo, il covo della banda della Chinatown londinese, questo era il loro bizzarro nome, veniva accuratamente smantellata dagli uomini di Lestrade. E ovviamente, gli ultimi membri, arrestati.
Concluse le solite formalità, Sherlock e John poterono salire sul primo taxi disponibile e rientrare a casa.
Nonostante ostentasse tutto il contegno possibile, John era un pezzo di ghiaccio, e a stento riusciva ad impedire ai denti di battere furiosamente e rumorosamente. Teneva le braccia tese e lunghe davanti a sé, con le mani arpionate ai jeans ancora umidi per il tuffo di prima. Era pallido e aveva le labbra violacee, il corpo era ancora scosso da piccoli tremiti. Sherlock non capiva perché fosse stato così sconsiderato. Era un medico, diamine, doveva prevedere che si sarebbe ridotto così dopo essersi fatto una nuotata nel Tamigi in pieno dicembre.
Sospirò pesantemente, voltando lo sguardo verso John che ancora lo ignorava.
- John, stai bene? – domandò con voce calma.
Il compagno, seduto accanto a lui nel caldo e confortevole taxi, non rispose. Fece guizzare per un istante gli occhi verso Sherlock, ma nulla di più.
- John... –
- Sto bene – ribatté lui, secco. Non che non volesse parlare, ma se avesse cercato di pronunciare più di due parole alla volta, le sue corde vocali avrebbero emesso suoni sconclusionati e balbettanti. Dio, stava davvero morendo di freddo. Non vedeva l’ora di poter arrivare a casa e farsi un bagno caldo, anche se ormai era troppo tardi per impedire al raffreddore d'impossessarsi del suo corpo. Poteva già avvertirne alcuni sgradevoli sintomi.
Giunti finalmente al 221B, John si chiuse in bagno per concedersi un lungo bagno ristoratore, mentre Sherlock si era appostato sul divano con il fidato portatile appresso.

John dovette attendere il giorno successivo prima che tutti i fantastici effetti di quel tuffo fuori stagione si facessero sentire appieno. Naso chiuso, gola in fiamme, febbre da cavallo e muscoli doloranti. Decisamente molto doloranti; aveva visto tutte le stelle del firmamento solo per compiere pochi passi.
Dopo quel coraggioso tentativo di alzarsi, decise che era più saggio non muoversi dal letto per l’intera giornata, anche se questo comportava molti svantaggi. Avrebbe avuto bisogno di mangiare qualcosa, di bere molta acqua, e prendere delle medicine, ma tutto l’occorrente si trovava al piano di sotto. Il solo pensiero di scendere le scale gli pareva qualcosa di astratto, come se avesse dovuto scalare l’Everest.
Si girò come un'anima in pena nel letto per quasi un quarto d’ora, aveva sonno ma non riusciva a dormire. Prima aveva udito dei rumori, forse Sherlock era in casa. Magari poteva chiedergli aiuto, ma non appena il pensiero si palesò nella sua mente, ebbe chiara e nitida l’immagine del consulente investigativo che lo prendeva in giro per come si era ridotto.

Resistette coraggiosamente per l’intera mattinata, ma verso l’una la sua bocca era arsa come un deserto e la fronte scottava. Aveva bisogno di acqua e medicine, subito. Sbuffò pesantemente, allungò con fatica una mano fino al comodino, e afferrò il cellulare. Era abbastanza ridicolo dover mandare un sms ad una persona che stava a due passi da te in casa, ma la sua schiena era a pezzi e lo teneva inchiodato al dannato letto.
Nonostante la vista leggermente annebbiata dalla febbre, John riuscì ad inviare un messaggio a Sherlock. Dopo di che, attese.
Circa mezz’ora dopo, la porta della sua camera venne spalancata, e il detective, in pigiama e vestaglia, fece il suo trionfale ingresso.
Stringeva ancora il cellulare fra le mani, e si mise a leggere ad alta voce il contenuto del messaggio. – Ho bisogno di acqua, molta acqua e aspirina. Schiena bloccata. Aiutami. –
Guardò John con aria stralunata come se non avesse compreso il significato del testo. – Perché mi hai scritto questo sms? –
- Non posso muovermi, Sherlock... – replicò debolmente John, deglutendo la poca saliva che gli era rimasta.
- Potevi chiamare! –
- Non ho più un filo di voce... –
- Oh, capito. – Lo scrutò per un momento, con estrema attenzione, prima di affermare: – Non ti ho mai visto stare così male per un'influenza. –
John inspirò, nonostante questo gli procurasse un dolore atroce alla gola. – Ti prego, portami un po’ d’acqua, sto morendo di sete... –
- Va bene. –

Qualche minuto dopo, Sherlock fece ritorno con tre bottigliette d’acqua naturale e una tazza. La riempì fino all’orlo e si sedette accanto a John per aiutarlo a bere.
Quando le sue dita sfiorarono il viso del fidanzato, le ritrasse immediatamente. – Dio, come scotti! – esclamò per poi posare una mano sulla sua fronte. – Trentanove e due. O trentanove e quattro, più o meno. –
- Ora non dirmi che sei un grado di misurare la temperatura corporea solo toccandomi... –
- È semplice matematica, John. Basta fare un calcolo medio sulla tua temperatura corporea standard che di solito si aggira intorno ai trentasei gradi e mezzo. –
- Continua... –
- So riconoscere perfettamente quando una persona ha trentotto di febbre, vecchi esperimenti, ma non è questo il caso. Tu ce l’hai più alta, il grado di calore che emana la tua epidermide è decisamente più intenso! –
John si concesse un piccolo sorriso, avrebbe anche riso se questo non avesse comportato uno sforzo troppo grande per lui.
- Devi prendere degli antibiotici più forti, John. –
- Mh... sì... no, non sto così male. –
- John, stai delirando. –
- Non è vero. –
Sherlock sollevò gli occhi al soffitto, e poi scattò in piedi, ignorando John che continuava a chiamarlo. Ma non aveva detto che era rimasto senza voce? pensò.
Preparò un mix di antibiotici antinfluenzali con una dose extra di aspirina e ibuprofene per il dolore alle ossa, disciolse il tutto in una fumante tazza di tè caldo, e fece ritorno nella stanza.
- Sherlock... –
- Ti ho sentito John, assieme alle altre quindici volte che mi hai chiamato. –
- Tu... non rispondevi... –
- Sì, certo. Bevi questo, da bravo! – Senza mezzi termini, il detective gli portò la tazza alle labbra ed iniziò a fargli ingoiare a forza il contenuto nonostante John opponesse resistenza.
- Ah! Che schifo! Questo tè sa di calzini sporchi! –
- No, John, sa solo di medicinali miscelati con cura. Avanti, bevi tutto! – Si fermò solo quando il medico ingurgitò fino all’ultima goccia del disgustoso intruglio.
- Oddio, non ho mai bevuto una cosa più schifosa di questa! –
- Me lo hai già detto. – Sherlock abbandonò il letto; aveva tutta l’intenzione di ritornare in salotto e proseguire con il suo esperimento sulle muffe.
- Sherlock... –
- Che c’è, ancora?! – ringhiò esasperato il detective. Lui non era di certo abituato a prendersi cura come si deve di se stesso, figuriamoci di una persona malata. Inoltre, questo era il ruolo di John, era lui il medico, dannazione, ma comprendeva che uno stato febbrile simile potesse trasformare chiunque in un lagnoso bambino bisognoso di attenzioni. – Scusa – tentò di ammorbidirlo quanto poteva con il tono di voce. - Che cosa vuoi? –
- Devo andare in bagno. –
Strinse la presa sulla tazza, cercando di controllare l’insofferenza che cresceva in lui. – Il tè ha già fatto effetto? No, impossibile. Non sei ancora andato in bagno da quando ti sei svegliato, giusto? –
- Uh... Oddio, non ricordo... –
- Devi andarci, o no?! – sbottò poggiando malamente la tazza sul comodino. Per poco la porcellana non si incrinò.
- Sì, decisamente sì. -
- Anche se – iniziò a dire Sherlock - stava facendo girare così velocemente le rotelle del suo cervello che perfino John, nello stato in cui era, poteva sentirle – Potresti usare la padella! Dovrei averne una di là. –
- Che cosa?! Sherlock, non sono mica paralizzato, ce la faccio ad alzarmi! –
- Ma se mi hai appena chiesto di accompagnarti in bagno! È ovvio che non riesci ad alzarti! –
La mascella di John si irrigidì. Sembrava leggermente più lucido di poc’anzi e, almeno secondo Sherlock, alquanto furibondo.
- Lascia stare, faccio da solo! – Scostò le coperte con insofferenza e poi, come se stesse compiendo il più grande sforzo della sua vita, si mise seduto. Strinse gli occhi non appena la schiena fu dritta, iniziando a  percepire fitte devastanti, una dietro l’altra, senza tregua.
- Non credo proprio che ce la farai a metterti in piedi, i muscoli della tua schiena sono totalmente bloccati. –
- Vuoi stare zitto! Oh, porc... – John iniziò a imprecare sotto voce, per almeno cinque minuti buoni, stringendo gli occhi che per poco non gli lacrimavano dal male.
Quando riuscì a sollevare di nuovo la testa vide l’espressione di Sherlock e gli venne voglia di tirargli un pugno. Il consulente investigativo pareva quasi divertito nel vederlo agonizzare. – Perché mi guardi così? –
- Osservo solo la testardaggine di un uomo. –
- Taci. –
- Inoltre, tutto questo lo avresti potuto evitare se te ne fossi stato buono nell’auto di Lestrade al caldo. –
- Nulla di tutto questo sarebbe avvenuto se una certa persona, non mi avesse riso in faccia! –
- Come se fosse la prima volta che rido di te! Tu e la coordinazione fisica a volte fate a pugni, per questo sei riuscito a inciampare in quella grossa, ben visibile a chiunque, corda sul molo! –
- Attento alla prossima parola che stai per dire... – John puntò minaccioso un dito contro Sherlock; malato o meno, avrebbe trovato la forza sufficiente per tirargli una testata.
- Eppure nonostante questo, riesco ad amarti, se possibile, ogni istante di più. –
Il sorrisetto compiaciuto di Sherlock fece letteralmente sgonfiare tutta la rabbia di John, che si lasciò sfuggire un risolino malcelato.
- Sei sleale! -
- No, sono realista. –
Si guardarono di sottecchi ancora per qualche minuto prima che Sherlock riprendesse a parlare. – Allora, non dovevi andare in bagno? –
- Solo se mi aiuti, perché da solo oggi farò ben poco, temo... –
Sherlock aiutò John ad alzarsi, nonostante continuasse a pensare che la padella fosse una soluzione meno dolorosa, ma si arrese alla cocciutaggine del suo fidanzato.

Dopo aver portato a termine l’impresa di andare in bagno e fare ritorno a letto, John disse di voler provare a dormire un po’.
- Va bene – aveva replicato il detective mentre si accomodava su una sedia.
- Sherlock, che stai facendo? –
- Hai detto tu stesso che oggi farai ben poco da solo. Rimango qui, nel caso avessi ancora bisogno. –
- Ti ringrazio. – John gli sorrise pieno di gratitudine, per poi guardare con dolcezza quel sociopatico iperattivo di cui si era follemente innamorato. – Ma non ce n’è bisogno, davvero, starò bene. –
- Sul serio? Bene! Perché stavo facendo un esperimento di là prima, e l’ho dovuto interrompere! È sugli effetti della muffa sulla vegetazione, i risultati mi saranno utili! –
Si catapultò fuori dalla camera, sotto gli occhi divertiti di John, prima di tornare sui propri passi con aria colpevole. – John, ecco se hai bisogno... Insomma... –
- Ti scrivo un sms. –
- Ottimo! – Stavolta, prima di schizzare via, il detective si avvicinò e posò un piccolo bacio sulla fronte di John. – Riposa – lo ammonì con i suoi penetranti occhi di ghiaccio, ben conscio che John non gli avrebbe mai disobbedito.
- Ok. –
John si abbandonò alla pace dei sensi. Finalmente i medicinali stavano facendo effetto e riuscì ad assopirsi.

Dormì molto e profondamente. A tratti i suoi sogni febbricitanti furono interrotti da carezze gentili sul suo viso e freschi baci sulle guance. Quando si svegliò, a sera inoltrata, John si sentiva davvero meglio; la febbre era calata e aveva anche appetito. Sherlock si era offerto di cucinare, ma temendo i risultati per la loro povera cucina, lo convinse a domandare alla signora Hudson di preparargli del brodo di pollo. Tè, fette biscottate e miele vennero invece portati dal detective.
- Oh, caro, ti senti meglio ora? –
- Sì, signora Hudson, grazie! –
- Mangia tutto, mi raccomando! E tu, Sherlock, non lasciarlo da solo! –
- Non l’ho mai lasciato solo, oggi. L’ho perfino accompagnato in bagno! È stato imbarazzante. –
- Più imbarazzante di quando fate tutto quel baccano in camera da letto? Non credo proprio, caro Sherlock! –
A John per poco non andò di traverso il delizioso brodino della loro padrona di casa. Poté giurare di sentire Sherlock grugnire come un bufalo inferocito. – Signora Hudson, sono le nove, non è ora che prenda il suo calmante serale?! –
- Oh, hai ragione. Meglio che vada! –
- Bene, addio! –
Chiuse la porta così velocemente che ci mancò un soffio che sbattesse contro il sedere della simpatica, quanto impicciona, donna. – Che c’è?! – chiese squadrando male John che era esploso in una risata alquanto rumorosa. La voce gli era tornata a quanto pareva.
- Niente, Sherlock! Niente! –
- Finisci di bere quella roba invece di sghignazzare! –
- Agli ordini. –
Dopo aver cenato, John si sentiva abbastanza in forze per alzarsi e fare due passi per sgranchirsi le gambe. Scese al piano di sotto e, dato che non aveva per nulla sonno, decise di insediarsi sul divano a guardare la tv.
Sherlock gli passò vicino, non notando immediatamente la sua presenza, dato che prima di lui c’era una spessa coperta che lo avvolgeva completamente dalla testa ai piedi, nascondendolo. Si fermò accanto al divano osservandolo con fare critico.
Sentendosi osservato, John si girò verso di lui. - Che c’è? – chiese.
Sherlock scosse semplicemente la testa e, senza dire una parola, si mise al suo fianco. John si spostò un po’ per fargli spazio, lasciando momentaneamente un vuoto fra i loro corpi. Dopo un lungo silenzio, rotto unicamente dal vociare della televisione, Sherlock si schiarì la voce.
- Hai freddo? –
- No, sto bene, grazie. –
- Tè? –
- Volentieri! –
Il consulente investigativo si diresse in cucina, mise sul fornello il bollitore, e attese una manciata di minuti, giusto quel tanto che l’acqua fosse calda. Preparò due tazze, immerse una bustina di tè verde nella teiera, e aggiunse l’acqua. Depositò tutto con cura su un vassoio e afferrò all’ultimo il pacco di biscotti con cioccolato e cereali, i preferiti da John.
Quando si presentò in sala con tutta quella roba, il sorriso del medico si allargò a dismisura.
- Grazie, Sherlock! –
- Prego. –
- Certo, se sapevo che diventavi così gentile e servile, mi sarei ammalato più spesso in questi anni! –
- Non provare mai più ad ammalarti, John! – tuonò inviperito Sherlock mostrando uno sguardo tagliente. – È stata un'incredibile seccatura, non ho potuto fare niente oggi! Mi hai distratto ogni secondo! Il caso che mi ha affidato Lestrade due giorni fa, ancora non l'ho risolto! –
John non si scompose minimamente. Rimase ad ascoltare il lungo sfogo fatto di insulti e imprecazioni, e nel mentre si gustava il suo tè sgranocchiando biscotti.
- Tutto per colpa tua, John! Quindi se ti ammalerai ancora in futuro, ti ignorerò, sappilo. –
- Insomma, stai dicendo che eri così preoccupato per me che non sei riuscito a concentrarti su nient'altro. E che sarebbe meglio che non mi ammalassi più così gravemente da farti provare una simile ansia. –
La bocca di Sherlock si spalancò ma poi si richiuse immediatamente; John lo guardava non smettendo di sorridere sornione, mentre inzuppava con nonchalance il suo quinto biscotto nella tazza.
Offeso come non mai per la subdola insinuazione, Sherlock si accucciò sulla sua poltrona, facendo svolazzare platealmente la costosa vestaglia di seta. Ovviamente, diede le spalle a John, che dal canto suo non poteva fare a meno di ridacchiare per il simpatico teatrino che gli aveva offerto il suo ragazzo.

Passarono così il resto della serata. John comodamente coricato sul divano, e Sherlock imbronciato e rannicchiato sulla propria poltrona. Quando fu l’una passata, gli occhi di John iniziarono a farsi pesanti, e prima di crollare pensò bene che era il caso di tornare a letto.
Spense la televisione e poi si avvicinò a Sherlock; sembrava rapito dalla parete del loro soggiorno e non lo degnava ancora di alcuna attenzione.
- Sarebbe troppo chiedere a sua maestà di dormire nel suo letto? –
- Perché mai vorresti dormire con me? Sei contagioso, non ti voglio vicino. –
- Lo so, è che fa troppo freddo in camera mia. – John allungò una mano e con un dito iniziò a puntellare la nuca di Sherlock. - Per favore. –
- No. –
- Ti prego. –
- No! –
Concentrato com'era a fissare il vuoto, non si rese conto delle forti mani di John che gli giravano il viso di colpo; le labbra carnose catturate in un famelico bacio. Sherlock lo allontanò, seccato.
- John! Perché lo hai fatto?! –
- Ora sei stato contagiato, quindi non hai più nulla da temere! Posso dormire con te? –
Gli occhi di Sherlock si assottigliarono come quelli di un felino, passando ai raggi X l’uomo dinanzi a sé. – A te la febbre fa uno strano effetto! –
- Umh, sì. Credo che tu abbia ragione – ribatté John sfoggiando l’ennesimo sorriso luminoso.
Accidenti a lui, Sherlock gli avrebbe permesso di condividere il letto alla fine – dopo un acceso dibattito, ovviamente –, non c’era bisogno di baciarlo e passargli così tutti i germi del suo raffreddore!
Nonostante le lamentele, quando si trovò disteso sotto le coperte, con John che gli si era accoccolato sulla schiena avvolgendolo in un caldo abbraccio, pensò che non sarebbe stato male passare così i giorni successivi.
Quanto si sbagliava.

- Passami un fazzoletto. –
- Tieni. – Il rumore di un bip elettronico fece eco nella stanza, attirando l’attenzione di John. – Il termometro, fammi vedere, Sherlock! –
Il consulente investigativo glielo passò, anche se tanto sapeva già perfettamente di avere trentotto e mezzo di febbre.
- Trentotto e mezzo. Oggi tu non ti muovi dal letto! –
- Noioso. –
- Niente storie. –
- È colpa tua, solo tua! – gracchiò il detective con una ridicola voce nasale. John glielo avrebbe fatto notare, ma aveva cose ben più serie per la testa.
- Ti ho già chiesto scusa, almeno cinquanta volte, Sherlock! –
- Non basta. Mi hai fatto ammalare di proposito per vendicarti di me, ammettilo, almeno! –
- Sherlock, non ero in me quel giorno, te l’ho già spiegato. Quando ho la febbre alta... Insomma, diciamo che faccio cose strane, ok? –
- Bugiardo. –
- È la verità, e tu lo sai. –
- Sbagliato! –
- Ti prego, ora basta. Devi riposare, avanti! – John rimboccò per bene le coperte del letto di Sherlock, nonostante quest’ultimo facesse di tutto per agitarsi e farlo impazzire. Un secondo dopo che lo aveva sistemato per bene, Sherlock calciò via lenzuola e piumino, e saltò giù dal materasso fuggendo in sala.
- Quale parte della frase “devi stare a letto”, non ti è chiara?! –
- Non ho sonno. –
- Sherlock... - sussurrò esasperato John. Erano già ventiquattro ore che andavano avanti così. Se Sherlock non si dava subito una calmata, o collassava per la febbre alta, oppure lui avrebbe avuto un esaurimento nervoso.
In suo soccorso giunse la signora Hudson, armata di tutto punto con un vassoio straripante di cibo: brodo, riso in bianco, latte, miele, e tanti biscotti.
- John, ho pensato che avresti avuto bisogno di una mano! –
- Non sa quanto sia vero, signora Hudson! – Fece segno alla donna di appoggiare tutto in cucina, mentre lui tentava nuovamente di acciuffare il bambino disubbidiente.
- Sherlock, torna a letto, adesso! –
- No. Voglio risolvere questo caso, prima. –
- E va bene. L’hai voluta tu. –
La signora Hudson assistette, scioccata, alla scena: John che tirava su di peso Sherlock dal divano e se lo caricava in spalla, mentre quest’ultimo si dimenava e urlava.
- Mettimi subito giù! John! –
- Sta' zitto, altrimenti ti sedo! –
- Non oseresti. –
- Oh, credimi, oserò! –
Lo buttò sul materasso e, prima che potesse reagire, gli bloccò le mani sopra la testa e si sedette praticamente sul suo stomaco, impedendogli così la fuga.
- Togliti, sei pesante! –
- Ascoltami bene! Ora tu mangerai, prenderai le tue medicine, e poi starai buono a letto a dormire e non ti alzerai fin quando non te lo dirò io. –
- Altrimenti? –
- No. Non vuoi sapere cosa ti farei, credimi. –
A Sherlock bastò poco per dedurre cosa avrebbe esattamente potuto fargli John. La sua espressione divenne un misto di imbarazzo e malizia.
- Maniaco. –
- Zitto, e per una volta, ubbidisci! – Il medico allentò la presa sui polsi, facendo scivolare le mani fino alle guance di Sherlock. Erano dannatamente bollenti. – Voglio solo che tu stia bene. –
Forse era per via della debolezza procuratagli dalla febbre, ma Sherlock si arrese e fece esattamente come gli era stato ordinato. Mangiò qualcosa, ingoiò tutte le pastiglie e gli intrugli possibili, e poi dormì per qualche ora, dando finalmente tregua al povero John.
Quando si ridestò, si accorse che il compagno era seduto vicino a lui nel letto, e leggeva un libro. Lo Hobbit, per essere più precisi.
- Non ti stanchi mai di rileggerlo? – biascicò con la voce impastata dal sonno.
Il medico lo chiuse lasciando il segnalibro nella pagina che stava leggendo. - No, lo adoro, lo sai. – Posò con cura il libro sul comodino dal suo lato e poi rivolse tutte le attenzioni al suo Sherlock. – Stai meglio? –
- Se ti dico di sì, mi fai alzare? –
- Dipende. – Si fece più vicino, posò una mano sulla sua fronte constatando che era fresca. – Meno male, la febbre è scesa! –
Al consulente investigativo non sfuggì quel sospiro di sollievo. Anche se per lui quelle ultime ore erano state di una noia mortale, era felice di vedere quanto a cuore stesse alla persona che amava.
Si sporse in avanti e abbracciò John, posando la testa sul suo cuscino e costringendolo a coricarsi con lui.
- Non volevi alzarti? –
- No. Preferisco stare qui con te. –
- Va bene. Tutto quello che vuoi. – John posò un casto bacio su quel mare di riccioli neri prima di stringersi vicino al suo fidanzato ed infilarsi pure lui sotto il piumino.
Sherlock sorrise abbandonandosi a sogni sereni, cullato dalle braccia forti e sicure di John che non mancò di coccolarlo e viziarlo a dovere.

Tutto sommato, quei lunghi giorni di malattia non erano stati poi così noiosi.

END


Hello! Piccolo sclero scritto di getto, le sick/fiction vanno trattate almeno una volta in ogni fandom, me lo ripeto sempre! XDD Al solito, ringrazio la mia preziosa Beta reader
J_Ari , senza di lei sarei davvero persa! ♥ ♥
Spero di povervi rallegrare prossimamente con qualcosa di più, umh... serio? XD Sto provando a scrivere diverse cose, vediamo che cosa ne uscirà! Per ora è tutto, un bacione e alla prossima!!

Giò ♥

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Dragon gio