Capitolo I: Lei
Lavoro
continuamente, eppur non esci dalla mia mente, onnipresente come sei. Vivo il
giallo del mattino, divoro i minuti, dormo sotto la pioggia serale: quando
tornerai a casa?
Come nei peggiori
film, mi ritrovo a spiarti qualvolta spunti l’occasione, al primo raggio di
sole; l’intima sacralità della notte solitaria, quella che di solito passi in
pigiama dinanzi ad un film. Ma non stasera, perché non torni? Qualche incontro
interessante o un nuovo amante? Cosa potrebbe mai avere più di me?
Non hai mai compreso
il mio amore, lo definivi strano, quasi un gioco perverso. Eppure non è così,
so che siamo fatti per stare assieme, lo sento, dentro di me, proprio accanto
alla maschera da “sfigato” che mi viene appioppata. Nessuno ti ama come me;
nessuno ti conosce come me. Ricreo le tue abitudini, i tuoi gusti, conosco il
vero colore dei tuoi lunghi capelli e il profumo del tuo cuscino. Conosco i
tuoi abiti preferiti e i mostri che nascondi sotto il letto. Assaggio i tuoi
errori e li faccio miei, dipingo i tuoi scenari e plano sulle tue fantasie. So
dei tuoi sogni, li vivo anch’io. Evito le tue noie e odio le maniere per le
quali storci il naso. Ma questa è una città gelosa, si sa. Le parole volano.
Cosa non si fa per amore, eh?
Eppure sembri non vedere, non vuoi proprio
vedere.
Sono nauseato dalla
tua noncuranza, dalla tua mancanza di riconoscenza. Non hai mai apprezzato i
miei aiuti, tantomeno la mia voce. Eviti tuttora il mio sguardo, mascheri il
tuo disprezzo con un sorriso al mattino, magari quando esci per gettare la
spazzatura. Chissà se rideresti ancora di me, se solo sapessi. Se solo sapessi
quanta cura pongo nel delinear il tuo profilo nei pensieri miei, dei miei
sforzi per far sbocciare questo fiore. Un dono che non vuoi accettare.
E mi gira la testa, un
vorticoso girotondo, e mille voci ovattate. Vorrei sentire solo la tua, proprio
quando canticchi, convinta che nessuno ti osservi. Ho sempre sperato che le
cose cambiassero, inutilmente. Certe cose non vanno via, strisciano nelle
viscere, marchiano i sussurri e si nutrono del nero rancore. Mi gira la testa e
so perfettamente cosa fare al tuo ritorno: per una volta nella mia vita son
certo di come comportarmi. Non ti chiederò per l’ennesima volta dei tuoi
genitori, della tua assolata città natale. Non ti inviterò ad uscire, magari
per il film del tuo attore preferito, sarebbe uno spreco di tempo.
Tutto tace fuori da
questa finestra, il grigio del quartiere soffoca i pensieri. Tante piccole
abitazioni, l’una accanto all’altra, come diligenti soldatini. Sbuffano i
camini, tranne quello dell’ultima, in fondo alla strada. Dalle pareti rosse e
il giardino curato, di quelli accoglienti. La tua. Chissà se ricordi il giorno
del tuo trasferimento qui. Bellissima con le tue converse grigie e il maglione
fuori taglia, enorme. Gli occhi gonfi e due occhiaie da spavento. I capelli,
legati molto sbadatamente, ondeggiavano, al pari del pesante scatolone, davanti
i tuoi occhi. Stupenda.
“Posso aiutare?” fu
il mio esordio, gentile, forse troppo, al che mi sorridesti posato lo stesso. “Saresti
davvero gentile” esclamasti convinta col tuo gradevole accento del sud. All’epoca
non sapevi del ragazzo solitario, quello “strano”; vedevi solamente un atto di
gentilezza dietro due chiazze blu, una mano protesa e un leggero sorriso.
Parlammo della musica New Wave, dei Clash e del carisma di Freddie Mercury. Mi
raccontasti del tuo desiderio di indipendenza e del quartiere desolato, forse
troppo. Ma eri felice, mi rendevi felice.
Ed ora eccomi qui, sul
retro che mi chiedo:
Sentiresti
il telefono se ti chiamassi?
Il
sordo tonfo del corpo alla maldestra caduta?
Sentiresti
la mia intrusione in casa?
Chiuderesti
la porta al tuo rientro?
Vedresti
il coltello mentre affonda?
Presta
attenzione al ragazzo dell’altra strada.
Fine
Capitolo I