Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: ___Page    19/01/2016    2 recensioni
"-E tu Perona?!- le chiese Kobi, sporgendosi verso di lei.
-Io?!- domandò, sgranando gli occhioni neri, prima di scrollare le spalle -Oh beh io ci penserò quest’anno! Magari trovo qualcosa di motivante!- disse, con un sorriso che era tutto un programma, girandosi verso le amiche che sapevano bene di cosa stesse parlando.
Senza che nessuno lo sapesse, Perona era già diventata qualcosa alla Raftel High School. Da mesi ormai il suo blog andava alla grande e sempre più studenti chiedevano aiuto alla misteriosa quanto famosa Miss Puck, senza restare quasi mai delusi nelle proprie attese.
Ma non aveva bisogno di vantarsi, le andava bene così. Finché avesse avuto Miss Puck, non sentiva il bisogno di essere nessun altro, a parte se stessa."
A grande richiesta, il seguito di Miss Puck, dieci anni dopo.
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Drakul, Mihawk, Perona, Portuguese, D., Ace, Trafalgar, Law/Margaret | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
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Si affrettò lungo il corridoio, diretto alle scale interne che venivano usate solo dai medici e dal personale dell’ospedale.
Doveva darsi una mossa o sarebbe arrivato tardi. Alzò la mano per salutare un paio di colleghi, facendogli capire che non aveva tempo per fermarsi e spinse la porta antipanico, prendendo a salire i gradini due a due.
Quel consulto in pronto soccorso aveva richiesto più tempo del previsto e non che ci fossero problemi per lui, naturalmente, insomma non che la sua presenza fosse richiesta o necessaria. Diciamo che sperava solo di arrivare lo stesso in tempo perché gli avrebbe fatto davvero molto piacere esserci.
Anche perché insomma gli sembrava molto poco responsabile lasciarle sole alla prima ecografia anche se in effetti erano insieme quindi, tecnicamente, non erano sole ma era anche vero che Rufy e Gladius non c’erano e quindi era più che giusto che lui fosse lì.
Si fermò davanti alla porta interna di Ginecologia ed Ostetricia e si sistemò il camice, prendendo un respiro profondo per calmarsi, prima di entrare.
-Ehi Law!!! Come stai?!-
Una voce fin troppo entusiasta gli perforò i timpani, facendolo sobbalzare e cogliendolo del tutto alla sprovvista. Perplesso si girò a studiare la piccola figura saltellante, grandi occhi castani e uno spettinato caschetto verde.
-Oh! Ehi! Caimie!- la salutò estraendo una mano dalla tasca del camice e aprendola vicino al viso, lievemente perplesso.
Caimie aveva lavorato come barista al Mermaid Bay, il bar preferito di Robin, Nami e le altre e che anche Margaret aveva preso a frequentare dopo aver conosciuto lui e sua sorella dieci anni prima, finché non si era iscritta alla facoltà di medicina con il sogno di diventare ginecologa, senza comunque lasciare il lavoro e continuando a svolgerlo solo nei weekend estivi. Aveva appena due anni di differenza con lui ma anche così a Drum si era incrociati giusto un paio di volte e Law si ricordava di lei più per il Mermaid Bay che per altro.
E non era così strano che Law ricordasse il nome della barista che li aveva serviti con regolarità per tutti quegli anni ma non poteva non stupirsi della memoria impressionante della verdina. Caimie sembrava ricordarsi di ogni singolo cliente che avesse mai messo piede al Mermaid Bay.
-Come stai?! Ti trovo in forma?!?!- proseguì, incrociando le braccia al petto e studiandolo per bene, dando quasi l’impressione di stare molleggiando sul posto vista la sua totale incapacità di stare ferma anche solo per pochi secondi.
Era una particella in moto perpetuo, Caimie, e Law si chiedeva dove trovasse tutta quell’energia anche se un paio di volte un preciso sospetto gli era anche venuto, di dove la trovasse.
-Sì, non c’è male. Anche tu stai bene- ricambiò il complimento, senza la stessa verve ovviamente, prima di girarsi a studiare il corridoio, lanciando uno sguardo oltre la propria spalla.
-Cerchi qualcuno?!-
-Uh?! Eh?! Come?!- sobbalzò il chirurgo, voltandosi di nuovo e sentendosi ridicolo a essere tanto agitato.
Caimie lo stava fissando con la testa tutta inclinata di lato le mani intrecciate dietro la schiena e tutto il proprio peso sulla gamba sinistra, il piede destro leggermente staccato dal suolo.
-Dicevo se cerchi qualcuno!- ripeté, ritornando stabile su entrambe le gambe e osservando paziente il moro che sbatteva le palpebre un paio di volte prima di riscuotersi.
-Tipo, sì- fu tutto quello che riuscì a rispondere, incapace di non rimanere basito da quanto quella ragazza fosse stramba senza realizzare che in quel momento Caimie stava pensando esattamente la stessa cosa di lui.
Rimasero immobili a fissarsi ancora qualche attimo e, incredibilmente, fu Caimie la prima a riscuotersi.
-Ooookay allora io avrei una visita e…- cominciò, un po’ incerta.
-Ma certo! Certo non voglio trattenerti!- si agitò subito il moro, imprecando mentalmente contro se stesso.
Doveva. Darsi. Una. Calmata.
Dannazione era solo un’ecografia! Era ordinaria amministrazione, un esame di routine, il protocollo da seguire!
Anche se, tecnicamente si trattava di due ecografie, era vero però… però il punto è che era troppo preoccupato, porca miseria! Non andava bene, non andava affatto bene!
Quello era il Law apprensivo e costantemente teso che credeva di avere spazzato via dieci anni prima!
Anche se, certo, si rendeva conto da solo che quella nuova versione era decisamente più divertente e meno noiosa ma non è che per questo andasse bene!
Se faceva così per Robin e Monet, come si sarebbe comportato quando fosse toccato a Margaret?!
Per un qualche motivo, il solo pensiero, apparso nella sua mente senza alcun preavviso, gli provocò uno spasmo allo stomaco e una sensazione di malessere diffusa che gli diede l’assoluta certezza, anche senza il bisogno di specchiarsi per averne conferma, di essere appena diventato dello stesso colore dei capelli di Caimie anche se di una sfumatura leggermente più chiara.
-Law sei proprio certo di stare bene?! Non hai una bella cera sai!-
Per la seconda volta, la voce di Caimie lo sorprese, riportandolo bruscamente alla realtà. Si girò a guardarla senza parole, chiedendosi perché diamine fosse ancora lì con lui se aveva una visita.
Lo aveva detto lei, no, che aveva una visita?!
La verdina lo studiò per un attimo, senza pressarlo per la mancata risposta, leggendo sul suo volto la domanda inespressa che il chirurgo si era appena posto mentalmente.
-A quanto pare andiamo dalla stessa parte!- esclamò gioiosa, spiegando finalmente a Law perché fosse ancora in sua compagnia.
Colpito da quelle parole, Law si accigliò un attimo prima di realizzare che stava effettivamente camminando lungo il corridoio, senza nemmeno rendersene conto, e stava effettivamente andando nella stessa direzione di Caimie e trattenne a stento un grugnito.
Kami, quelle gravidanze sarebbero state la sua morte!
Si fermò in automatico, registrando a livello inconscio il numero della stanza dove si trovavano Robin e Monet e, per l’ennesima volta da quando aveva messo piede in Ginecologia, si ritrovò a fissare Caimie con sguardo interrogativo.
La verdina si era fermata a sua volta, girandosi completamente verso la porta e lisciando nervosamente il camice.
-Okay, Caimie, coraggio, è solo un’ecografia… una doppia ecografia! Lo sai fare! Lo puoi fare!- mormorò sottovoce.
Law sgranò gli occhi, incredulo.
No aspetta… Aspetta voleva dire che…
-Buongiorno!- esclamò Caimie, aprendo decisa la porta ed entrando nella stanza con passo sicuro, lasciando indietro un interdetto dottor Mihawk.
Caimie era la ginecologa di Robin e Monet.
Caimie era la ginecologa di Robin e Monet?!?!
Caimie, la piccola, inesperta, pazza Caimie era la donna che avrebbe fatto nascere i suoi nipoti?!?!
-Law?! Non vuoi entrare?!- domandò Caimie, tenendo la porta aperta ancora un attimo.
Tornando impassibile come sempre, il moro si impose calma e professionalità mentre varcava l’uscio.
-Law!-
Law ghignò sghembo alle due donne, che sembravano brillare di luce propria, constatando che non c’era nessun altro nella stanza oltre a loro quattro.
Sì, Caimie era decisamente la donna che avrebbe fatto nascere i suoi nipoti.
Okay, andava bene, andava bene. Sarebbe andato tutto bene.
-Non era necessario che venissi lo sai vero?!- gli mormorò Robin sottovoce, quando lui si avvicinò per baciarla su una guancia.
-Sono qui perché ci tenevo- gli fece presente lui, ottenendo un’occhiata saputa dalla sua gemella.
Fece appena in tempo a girarsi verso Monet che un lieve bussare alla porta lo fece voltare, mentre Caimie mormorava un distratto “avanti”, il naso immerse nelle cartelle delle sue due pazienti.
Una testa rossa fece capolino attraverso la porta socchiusa, accompagnato da un gigantesco e amichevole sorriso.
-Posso entrare a fare un saluto?!- domandò Pen, facendo illuminare le due ragazze e attirando finalmente lo sguardo di Caimie.
-Pen! Ma che sorpresa! Sembra una mega rimpatriata!!!- esclamò la ginecologa, mentre il chirurgo pediatrico sgusciava dentro allo studio e si avvicinava al trio per salutare.
-Che fai qui?!- domandò Law e, per tutta risposta, Pen si limitò a sollevare un sopracciglio.
-Allora!- esclamò Caimie battendo le mani e muovendosi per l’ambulatorio -Con chi vogliamo iniziare?! Quale dei due papà ha più urgenza di tornare in reparto?!- s’informò, puntando gli occhi su Law e Pen, in attesa di una risposta che ci mise parecchi secondi ad arrivare.
I due medici la fissarono interdetti qualche secondo prima di capire l’origine del malinteso.
-Come?! Oh no, non è come sembra Caimie, noi non…-
-Per noi non fa nessuna differenza- intervenne Pen, annuendo serio.
Law si girò di scatto verso di lui, cercando di capire cos’avesse in mente e perché mai stesse dando corda a Caimie e alla sua erronea interpretazione.
-Bene! Allora direi di cominciare dal tuo, Pen!- sorrise radiosa la verdina, girandosi poi verso la mora -Robin sei pronta?!-
-A dire la verità…- s’intromise di nuovo il rosso, posando un braccio sulle spalle di Law che si irrigidì, fulminandolo con gli occhi -Sono tutti e due miei. E suoi- aggiunse, indicando il moro al suo fianco con un cenno del capo -Sono tutti e due nostri- concluse poi, annuendo di nuovo.
In meno di un secondo, Law si girò a guardarlo ad occhi sgranati, Monet e Robin stavano sopprimendo le risate e Caimie aveva assunto un’espressione molto più che perplessa.
Pen guardò la ginecologa dritta negli occhi prima di sospirare e scuotere appena il capo.
-Noi non… non riuscivamo a scegliere di chi dovesse essere lo sperma per il primo bambino e così abbiamo pensato di cercare due uteri in affitto e averne subito due, ecco… E Robin e Monet sono state così generose…- ammise, fingendo un lieve imbarazzo mentre Law, per forse la terza volta in tutta la sua vita, diventava rosso come i capelli del suo migliore amico.
Lo avrebbe ucciso. In modo molto lento. E molto, molto doloroso.
-Pen, non dirlo nemmeno!- intervenne improvvisamene Monet, sporgendosi appena in avanti.
-Lo sai che vogliamo solo vedervi felici- rincarò la dose Robin, lasciando Law molto più che interdetto.
Non poteva credere che anche sua sorella… Lo sapeva, lo sapeva che stare con Rufy le faceva male, porco Roger!
-Oh!- esclamò Caimie, capendo improvvisamente di cosa stavano parlando e tornando a sorridere -Beh mi sembra un ottimo compromesso! Avete fatto bene!- confermò con un energico cenno del capo che fece inorridire il moro.
-No aspetta, non è…-
-Bene allora cominciamo visto che questi papà sono così impazienti eh!- esclamò Caimie, girandosi verso le due future mamme che annuirono cercando di non scoppiare a ridere.
-Noi non…-
-Law tranquillo, capisco che magari non volete che si sappia, terrò la bocca chiusa!-
-Non è così, Caimie io…-
-Ooookay allora vediamo se questi spermatozoi stanno facendo bene il loro lavoro!- affermò la verdina, ignorando completamente le proteste del collega che desistette con un grugnito, rinunciando a spiegare come stavano realmente le cose.
Con un movimento lento del capo, Law si voltò verso Pen che ghignava a più non posso, ridendo in silenzio, il braccio ancora intorno alle sue spalle, e lo fulminò con lo sguardo più omicida che gli fosse mai capitato di lanciare a qualcuno.
Il sorriso scomparve dal viso del rosso, per lasciare spazio a un’espressione interrogativa.
-Che c’è?!- chiese, come se fosse tutto perfettamente normale.
Al limite della sopportazione, Law indicò con un cenno del capo la mano dell’amico appoggiata sulla propria spalla, senza smettere di trucidarlo con gli occhi.
-Oh dai!- esclamò subito Pen, capendo all’istante -Sciogliti un po’! Era solo per scherzare!-
-Solo per scherzare?!-
-Ma sì! Per ridere un po’! E poi guarda il lato positivo!-
Law sollevò un sopracciglio, scettico.
-Sarebbe?!-
-Se trapela la voce che siamo una coppia gay con due figli, diventeremo i più cool dell’ospedale!- esclamò Pen, apparendo sinceramente esaltato all’idea.
Se fosse stato fisicamente possibile, la macella di Law sarebbe precitata a terra dopo quell’affermazione.
Sì, decisamente un giorno o l’altro avrebbe finito per vivisezionare il suo migliore amico.
 

 
§

 
Si guardò intorno, impaziente, battendo il piede sullo spiazzo ciottolato davanti al centro riabilitativo. A dire il vero cominciava a preoccuparsi un pochino. Ogni volta che il rumore di una macchina si avvicinava, sentiva i nervi tendersi con aspettativa per poi ricadere nella delusione e provare una fastidiosa stretta allo stomaco nel vedersi passare davanti la macchina sbagliata.
Sì, cominciava a preoccuparsi ma non sapeva se era più preoccupata o arrabbiata.
Che fine aveva fatto Law?!
Non rispondeva al cellulare, non rispondeva ai messaggi ed era in ritardo. E sì che si era offerto lui di andare a prenderla al lavoro!
Ricacciò in gola un’imprecazione, passandosi una mano sul volto e trai capelli biondi.
Forse era meglio avviarsi alla fermata dell’autobus e intanto chiamare Pen per accertarsi che il suo fidanzato fosse ancora vivo, così da capire se avrebbe avuto il piacere di ucciderlo a mani nude quella sera oppure no.
Perché dovesse farla preoccupare tanto restava un mistero per Margaret. Sarebbe bastato un messaggio, solo un semplice messaggio. Ma continuare a pensarci non faceva che peggiorare il senso di ansia e così la giovane erpetologa decise di muoversi anziché restare ferma ad aspettare.
Si abbassò per sollevare lo zainetto e caricarselo sulle spalle e proprio mentre si rimetteva dritta una macchina finalmente conosciuta accostò davanti a lei, abbassando il finestrino.
Ma non era una Submarine e non era gialla e l’uomo che stava sporgendo il busto verso di lei per guardarla in viso non era moro e non aveva gli occhi grigi. Però ghignava, proprio come lui, in gesto di saluto.
-Ehi!- la chiamò Marco da dentro la sua Phoenix blu, facendo ondeggiare appena il ciuffo biondo. Si accigliò immediatamente nel notare la sua espressione -Tutto bene?!-
Margaret sospirò, senza nemmeno pensare per un secondo di mentire. Non ci riusciva, con Marco, le veniva naturale sfogarsi e confidarsi con lui.
-Law sembra disperso! Doveva passare a prendermi ma è quasi mezz’ora che aspetta e non risponde al cellulare! Adesso chiamo Pen mentre vado a prendere l’autobus- spiegò, stringendosi nelle spalle con un’espressione che voleva dire “cos’altro posso fare?!”.
Marco la fissò per un altro millesimo di secondo prima di allungare il braccio e sbloccare la portiera del passeggero, aprendola per lei da dentro la vettura. Senza malizia e genuinamente sorpresa, Margaret sgranò gli occhi interrogativa.
-Ti avrò dato un passaggio almeno ogni due giorni da quando lavori qui, non credo mi ucciderà dartene un altro- spiegò semplicemente il biondo e Margaret non poté fare a meno di sorridere grata prima di avvicinarsi alla macchina e salire con nonchalance -Però non riesco a portarti fino a casa. Ti lascio in zona che devo andare alla Mokomo Dukedom per un materasso nuovo. È comunque più veloce che andare con l’autobus-
-Ma certo Marco, figurati! Sei già un tesoro a darmi un passaggio!- lo rassicurò l’erpetologa, allacciando la cintura.
L’ornitologo fece giusto in tempo a regalarle un sorriso prima che il “blip” del suo telefonino attirasse la sua attenzione. Rapida, aprì la casella dei messaggi per trovare finalmente una risposta. Non di Law ma di Pen, però era già qualcosa.
 
Margaret l’ho visto mezz’ora fa, tranquilla che è vivo e vegeto! Ora lo cerco e gli dico di chiamarti subito!
 
Un ridicolo sollievo la pervase e non poté non emettere un sospiro nonostante il nervoso che ancora pulsava nelle sue vene.
Quell’imbecille! Tanto preciso e pignolo in tutto, che razza di spavento le aveva fatto prendere! Se lo avesse avuto davanti in quel momento lo avrebbe probabilmente strangolato!
-Tutto a posto?!- s’informò il suo improvvisato autista, lanciandole una veloce occhiata.
-Diciamo di sì- soffiò la ragazza, prima di venire colpita da un pensiero improvviso.
Difficile dire se fosse voglia di rendere pan per focaccia a Law o bisogno di distrarsi e sbollire in modo da non scuoiarlo vivo una volta che fosse arrivato a casa.
Schiarendosi la gola, girò appena il busto verso Marco.
-E se ti accompagnassi?! Se preferisci andare da solo non c’è problema eh!- aggiunse subito, a scanso di equivoci. Non voleva essere invadente.
Marco la guardò sorpreso per un attimo, dedicandosi poi a superare la macchina davanti alla loro, prima di rispondere con un altro ghigno dei suoi.
-Oh no! Mi fa davvero piacere un po’ di compagnia. E anche un secondo parere sui materassi- mormorò, notando subito il sorriso di Margaret.
La bionda si rimise dritta contro lo schienale, digitando veloce sul telefonino per rispondere a  Pen.
 
Non preoccuparti, Pen! Mi basta sapere che sta bene, non lo disturbare! Grazie mille e ci sentiamo presto  ;)
 

 
§

 
Si fermò sulla porta del suo studio, sbattendo ripetutamente le palpebre, chiedendosi prima se stesse avendo un’allucinazione e dopo se stesse sognando.
Ma non era né l’una né l’altra, sulla sua scrivania c’era davvero un gigantesco mazzo di rose rosse e Nami non sapeva più cosa pensare.
Si guardò intorno furtiva prima di afferrare la maniglia e chiudersi cautamente la porta alle spalle, analizzando la situazione.
Ormai era la terza volta che capitava e, anche se non le dispiaceva, quella faccenda cominciava a stranirla non poco. Si allontanava per un caffè e quando tornava un regalo la aspettava sulla scrivania.
La prima volta una scatola di cioccolatini.
La seconda un cesto di mandarini.
E adesso le rose.
Sospirò, avvicinandosi alla scrivania e allungando la mano per afferrare la busta bianca che spuntava tra i fiori brillanti e carnosi. Scosse la chioma ribelle, mentre estraeva il bigliettino, e sgranò gli occhi nel vedere che stavolta si era sforzato di scrivere qualcosa di più del solito “Per la mia mocciosa, Zoro”.
Ma il suo stupore ebbe vita breve, lasciando spazio a un’espressione tra l’incredulo e lo scettico.
 
Le rose sono come te.
Rosse, profumate e con delle spine affilate come la tua lingua.
Tuo, Zoro.
 
Okay, era decisamente meglio quando non faceva troppo il romantico e quella ne era la prova. Si morse il labbro inferiore, per sopprimere la risatina che le stava salendo alle labbra per quel fallito tentativo di scriverle qualcosa di dolce, finendo comunque con il criticarla in qualche modo, prima che lo sconforto tornasse a pervaderla.
Non che la infastidissero certe attenzioni, ovviamente.
Le faceva piacere che Zoro le facesse delle sorprese ogni tanto, come la settimana prima che, tornata a casa da una giornata particolarmente lunga e impegnativa, aveva trovato il tavolo apparecchiato con candele, una gerbera arancione posata sul suo piatto e una cena di tre portate pronta per essere servita.
Cucinata da Sanji, si capisce.
E proprio il fatto che Zoro – Zoro, che avrebbe preferito spararsi in una gamba piuttosto che chiedere un favore al suo migliore amico – avesse coinvolto Sanji solo per farle una sorpresa senza neppure una ricorrenza speciale l’aveva messa in allerta, più dei regali e più del modo improvvisamente dolce che Zoro aveva ultimamente di fare l’amore con lei.
E anche se le attenzioni, i regali, la cena a lume di candela le facevano piacere – sul fare l’amore, doveva ammetterlo, le mancava un po’ il loro solito modo impetuoso di unirsi – Nami non poteva domandarsi cosa stesse succedendo al suo uomo, cosa gli fosse preso per diventare improvvisamente così romantico.
Perché per quanto avesse da ridire su molti suoi atteggiamenti, come il dormire sempre e ovunque e il negare la sua lapalissiana mancanza di orientamento e litigare a ogni buona occasione con Sanji, Nami non lo avrebbe cambiato per niente al mondo.
Lei amava Zoro così com’era, lo amava così dalle scuole medie e voleva continuare ad amarlo così.
Ed era preoccupata. Quel cambio improvviso nel suo modo di essere la preoccupava.
Perché Nami voleva disperatamente sapere cosa stesse succedendo ma al tempo stesso non lo voleva ed era tutta colpa di quel dubbio, quella vocina nel retro della sua mente che suggeriva una motivazione apparentemente molto plausibile, per quanto illogica, ma che Nami non voleva stare a sentire.
No, non doveva pensare male di Zoro, non voleva farlo, non quando lui si mostrava così attento nei suoi confronti.
Con un rinnovato sorriso, posò il biglietto accanto ai fiori ed estrasse con cura una rosa, per avvicinarsela al naso e godersi il suo profumo, prima di prendere il cellulare e mandargli un messaggio per ringraziarlo, promettendogli che lo avrebbe ripagato quella sera stessa di quel regalo così meraviglioso e inatteso. 
 
  
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