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Autore: Blablia87    19/01/2016    6 recensioni
Sherlock Holmes ha detto addio a John Watson sulla pista di un aeroporto ed è partito in esilio.
Da quel momento, sono passati sessant'anni.
Qualcosa - anzi, tutto - è cambiato, e Sherlock non ha più voluto fare ritorno a casa.
Moriarty, morto anni prima sul tetto del Bart's, ha lasciato all'Inghilterra un'eredità capace di distruggerla.
E qualcuno, a Londra, ha bisogno che Sherlock Holmes torni a casa per cercare di fermare un piano di conquista e distruzione che sembra riguardare il mondo intero.
[Vampire!lock]
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Progenie
 
 
Il convoglio ferroviario rallentò la corsa ed infine si fermò, con un forte stridio di freni.
Il vociare dei viaggiatori intenti a prepararsi per scendere si fece più alto, mentre si muovevano scomposti all’interno delle carrozze.
Nell’ultimo vagone, semideserto, tre uomini rimasero immobili.
Uno, il più alto, lanciò un ultimo sguardo fuori dal finestrino, gli occhi attenti fissi sulla targa “Londra” appesa al muro di mattoni della stazione.
Gli altri due, seduti nei sedili di fronte a lui, si lanciarono un’occhiata di incoraggiamento prima di prendere la parola.
“Eccoci qui, quindi.” Provò il primo, la testa coperta dal cappuccio di una felpa.
L’altro si limitò a sottolineare la frase con un movimento del capo.
Entrambi rimasero in attesa di un cenno da parte del loro accompagnatore, che si limitò invece a lanciargli una rapida occhiata ammonitrice.
“Deve…ecco… deve essere strano tornare a casa…” tossicchiò il secondo, ricevendo in cambio uno sguardo carico d’astio.
“Dovete necessariamente parlare, voi due?”
Domandò infine l’uomo alto, alzandosi con un movimento veloce dal suo sedile e recuperando il cappotto adagiato su quello accanto.
I due sembrarono farsi più piccoli, spinti contro gli schienali, le teste incassate nelle spalle.
“Ci scusi capo. Pensavamo solo –“
“Pensare non è il vostro ruolo. Non che ne siate capaci, ovviamente.”
La sua voce, calma e profonda, si sparse per il vagone.
Un ragazzo, intento a stipare la sua roba all’interno di uno zaino da viaggio, alzò gli occhi su di lui.
L’uomo infilò il cappotto, alzò il bavero e si passò rapidamente una mano tra i capelli.
Senza aggiungere altro, si mosse lungo i sedili, seguito a poca distanza dagli altri due.
Quando passò accanto al giovane, questi rimase ad osservarlo con aria rapita.
“Dovresti riordinare meglio ogni singolo oggetto contenuto nel tuo bagaglio. E una volta finito, occorrerebbe dimenticassi di averci mai visto.” Gli disse lui, tenendo gli occhi fissi in quelli del ragazzo per qualche secondo.
Raggiunse quindi la porta e scese dalla carrozza.
I due uomini rimasero un attimo ad osservare il giovane iniziare a togliere nuovamente tutte le sue cose dallo zaino, appoggiandole con cura sul pavimento del vagone.
“Non so se è stata una buona idea, tornare a Londra.”
Sussurrò quello con il cappuccio all’altro.
“Pare sia importante.”
Bisbigliò l’altro, di rimando.
 
Non vi pago perché rimaniate indietro e confabuliate su cosa sia meglio o meno per me. Muovetevi.
 
La voce esplose nella loro testa all’unisono, facendoli trasalire.
Il ragazzo non parve farci caso.
I due uomini si scambiarono un ultimo sguardo veloce.
Infine scesero dal treno, accolti da una pioggia lieve e dal freddo della notte londinese.
 
***
 
Fuori dalla stazione, una giovane donna si accese una sigaretta.
La fiamma fugace dell’accendino illuminò due occhi castani perfettamente truccati, e due labbra incendiate di rosso.
Stretta in un aderente cappotto grigio, si avviò con passo sicuro verso le tre figure che si muovevano lente nella sua direzione.
Il suono dei suoi tacchi fu per un attimo l’unico udibile.
“Sherlock.” Si lasciò uscire dalle labbra assieme ad un filo di fumo, la voce bassa e sensuale.
L’uomo con cappotto rimase ad osservarla per qualche secondo, finendo di sistemarsi i guanti appena indossati.
“Daeva. (1) Perché non ne sono sorpreso?” domandò con aria annoiata.
“Ventrue. (2) Neanche tu sei una grande sorpresa, lasciatelo dire.” Rispose la donna, avvicinandosi e passandogli lentamente una mano su un braccio.
“La tua linea di sangue?” domandò poi, guardando i due uomini che erano rimasti immobili, poco lontano da loro.
“Oddio, spero tu stia scherzando.” Rispose lui, assumendo un’aria disgustata.
“Con tutta quella Potenza del Sangue – la donna inspirò a fondo il profumo dell’uomo - ancora non ne hai creata una?”
Fece una piroetta su se stessa, appoggiandosi a lui.
L’uomo fece un passo indietro, allontanandosi.
“Il mondo non necessita di altre linee di sangue, Adler. Ed io non necessito di cuccioli.”
Il tono di voce lapidario non ammetteva repliche.
“No, certo che no.”
La donna ondeggiò i fianchi, muovendosi all’indietro fino a trovarsi nuovamente di fronte a lui.
“D’altro canto, l’unico cucciolo che avresti mai voluto probabilmente sarà già morto, dico bene?”
Diede un’ultima boccata alla sigaretta, e rimase a guardarlo, aspettando la sua reazione.
“A quanto ho capito, ti serviva la mia presenza per qualcosa di importante, Daeva.”
Rispose, la voce un grumo di disprezzo.
Iniziò a camminare, superandola.
“Di definitivo, oserei dire.” La donna lo affiancò, allineando il suo passo.
“Ci vorrebbe un attimo, sai? A trovare la sua tomba.”
L’uomo si bloccò.
“Taci. O giuro che sarai tu stessa a gettarti tra le fiamme di un camino, ringraziandomi di avertelo ordinato!”
I due uomini fecero un passo indietro, e si fecero più vicini.
“Di questo passo arriverai all’Alienazione permanente, Sherlock.” Rispose lei, seria.
“Quanta umanità hai perso, in questi anni?”
“Non sono affari che ti riguardino. Pensa a camminare e a farci raggiungere un posto sicuro in fretta.”
“Mycroft pensava…” incominciò lei. L’uomo si fermò.
 
A terra.
 
L’ordine le esplose nella testa. Il dolore e la sorpresa le fecero piegare le ginocchia.
 
A TERRA, ADLER.
 
La donna si trovò in ginocchio, il capo innaturalmente piegato verso il basso.
L’uomo con il cappotto si chinò su di lei, fino a raggiungere il suo orecchio.
“Mycroft è MORTO.” Ringhiò, mettendo in mostra due canini aguzzi.
“È morto, come tutto il resto del mio passato. Come ogni singola persona che lui ha deciso di lasciar morire, mentre condannava noi a questo inferno in terra.”
Una bolla di aria immobile li avvolse, mentre la pioggia continuava a cadere incessante poco lontano dai loro corpi.
I due uomini rimasero ad osservare le due figure chinate con sguardo terrorizzato.
“Mycroft non aveva capito niente. Neanche una mossa di questa immonda partita a scacchi. Si è mosso come una pedina senziente, ha permesso che tutto questo potesse accadere. Ecco perché… - la donna sotto di lui gemette, e si piegò ancor di più in avanti. – non dovrai MAI più nominarlo in mia presenza.”
 
Sono stato chiaro?
 
La donna annuì debolmente, una lacrima silenziosa a scavarle in volto.
L’uomo si riportò in posizione eretta, e infilò le mani nella tasca del cappotto.
“Molto bene.”
“Lo…lo sai che in realtà non è colpa sua, vero?” Chiese lei alzandosi lentamente, la voce rotta da un lieve tremore.
“Certo che lo so.” Rispose lui, riprendendo a camminare.
“Ma non posso comunque perdonarlo.”
“Perdonarlo?” La donna era nuovamente al suo fianco, il passo accelerato per riuscire a mantenerlo allineato al suo.
“Per avermi lasciato solo. Per averci lasciati tutti soli.”
 
***
 
L’appartamento della donna era piuttosto grande.
I due uomini si erano addormentati, rannicchiati a terra in un angolo del salotto.
Un fuoco vivace ballava nel caminetto di marmo chiaro.
In cucina, lei e l’uomo sedevano intorno ad un tavolo, due bicchieri pieni di liquido vermiglio di fronte.
La donna si fece ondeggiare il calice davanti agli occhi, osservandone il contenuto con aria annoiata.
“Ne hai mai bevuto di non sintetico?” Domandò.
“Domanda sciocca. Sai che l’ho fatto. Tutti noi lo abbiamo dovuto fare.” Rispose lui, dando una sorsata.
“Non intendo subito dopo l’Abbraccio. Non parlo del primo pasto. Parlo…di tutto il resto.”
“No. Mai.” Rispose lui.
“Perché ha scelto noi, Sherlock?” La donna sospirò, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. “Voglio dire…capisco te. Ma…me?”
“Immagino tu gli sia sempre piaciuta.” Rispose l’altro, atono.
“Immagino di sì.”
“Allora Irene, possiamo finalmente parlare del perché mi hai fatto tornare a Londra sessant’anni dopo il mio esilio?”
“Sarebbe forse più interessante parlare del perché tu non sia rientrato prima.”
L’uomo finì di bere e appoggiò il bicchiere sul tavolo con un gesto misurato.
“Lo sai perfettamente, il perché.”
“No, non è vero.” Rispose lei, alzandosi.
Si portò dietro di lui, e si chinò fino a sfiorargli un orecchio con le labbra.
“Avrebbe capito, lo sai. Lui ti avrebbe accettato sempre, in ogni modo.”
L’uomo si piegò in avanti. Tutti i cassetti della cucina iniziarono a tremare. I bicchieri andarono in frantumi.
“Ok, ok, va bene Sherlock. Veniamo alle cose ser-“
“Non mi avrebbe MAI accettato, Irene. Come avrebbe potuto?”
Un ringhio sordo si sparse per la stanza.
“E aveva una famiglia, alla quale pensare.”
“Certo, sì.” La donna prese due bicchieri intatti dalla dispensa e li riempì di nuovo di liquido.
“Sai come chiamo Mary, quando penso al suo ruolo in tutta la faccenda?”
“Il piccolo pedone che fece scacco matto.”  Concluse Sherlock per lei.
La donna si portò una mano sui fianchi, assumendo un’espressione oltraggiata.
“Non dovresti leggere nelle  menti altrui, lo sai? Certo…potrei farti vedere un paio di cose…”
“Adler.”
Lei sbuffò, lasciandosi nuovamente cadere sulla sedia.
“Pezzi del domino, ecco cosa eravamo. E siamo caduti uno dietro l’altro, proprio come aveva pianificato.”
“Sì. Devo dargli atto di aver pensato davvero a tutto.”
Sherlock alzò le spalle con aria noncurante, e bevve tutto il contenuto del bicchiere il un sorso.
“Quella cosa del suicidio?  Geniale, da un certo punto di vista. Sapeva che tu non lo avresti mai seguito nella morte.”
“Sapeva già tutto, Irene. Che non mi sarei buttato. Che me ne sarei andato. Che mio fratello avrebbe messo qualcuno accanto a John per proteggerlo e che lui, vulnerabile e solo, avrebbe finito con l’innamorarsene.”
“Domino.”
“Domino.” Ripeté lui, assaggiando la parola. “La figlia che Mary portava in grembo come legame per John. Lui come filo per muovere me.  La mia follia e la necessità di coprirla come punto per poter ricattare Mycroft….”
“Mycroft per l’Inghilterra.”
“L’Inghilterra per il mondo.” Concluse lui, voce calma e sguardo assorto.
“E perché ha voluto che ci trasformassero?”
“Per permetterci di assistere alla distruzione di tutto ciò che amavamo, presumo. Lunga vita ai miei nemici, affinché possano vedere le mie vittorie.” Recitò con tono sprezzante.
“E poteva farlo solo se tu fossi stato lontano da Londra. Lontano da...”
“Immagino che semplicemente sapesse che l’esilio sarebbe stato l’unico modo di farmi finire tra le fauci di uno dei suoi scagnozzi. Come stavamo dicendo… Scacco matto.”
I due rimasero in silenzio per qualche minuto, chiusi nei loro pensieri.
“Dio, i “vampiri” governano l’Inghilterra. Chi l’avrebbe mai immaginato.” Sussurrò la donna, ondeggiando la testa al ritmo di una risata.
“Chi avrebbe mai immaginato che esistessero, i vampiri.” Aggiunse lui, arricciando il naso in un’espressione nauseata.
“Ad ogni modo. La linea di sangue di Moriarty è al governo da quasi sessant’anni. Gli uomini a stento riconoscono il loro viso riflesso in una specchio, figurarsi l’esistenza della Masquerade e di tutto ciò che nell’ombra regge e amministra. Perché sono qui, Irene?”
Domandò infine, girandosi verso di lei.
La donna allungò gli sfiorò un braccio, lasciva.
“Perché lo hai voluto.” Si limitò a rispondere.
“I tuoi giochetti Daeva non funzionano con me, puoi conservare le tue arti per chi ne può esserne soggiogato.”
Lei si ritrasse, e per un attimo uno sguardo furioso le contrasse i lineamenti in una maschera d’odio.
“Certo che no. Non hanno mai funzionato, con te. È difficile ottenere il cuore di qualcuno che lo ha riposto nel petto di qualcun altro.” Rispose, tagliente.
“Ma il tuo cuore riposa sotto terra ormai, Sherlock. Morto da chissà quanti anni!”
Un ringhio prolungato, gutturale, rimbalzò per le pareti della cucina.
I due uomini in salotto si svegliarono di soprassalto, scambiandosi uno sguardo atterrito.
“PERCHÉ SONO QUI, DONNA?!”
Si alzarono in fretta e corsero in cucina.
La donna si trovava premuta contro una delle pareti, la mano di Sherlock stretta intorno alla sua gola. L’azzurro degli occhi dell’uomo era stato completamente assorbito dal nero delle pupille, e le labbra si erano assottigliate, mettendo in risalto due lunghi canini.
“Dimmi. Perché. Mi hai. Convocato.” Scandì, stringendo un po’ di più la presa ad ogni parola.
“Gli…agnelli…” mugolò lei.
L’uomo allentò la stretta, continuando comunque a mantenerle la mano attorno al collo.
“Stanno…preparando strutture per loro.”
Riuscì ad esalare con voce rotta.
L’uomo si allontanò da lei, lasciando che si accasciasse sul pavimento.
“Tutto qui? Mi hai fatto tornare a Londra perché stanno iniziando le manovre per il Raccolto? Sarebbe dovuto succedere, prima o poi. È la legge della natura, Irene. Il predatore più forte uccide e si nutre del più debole.”
“Non parleresti così se sapessi che lui è ancora vivo. Non diresti queste cose, se lo immaginassi legato ad una corda, pronto ad essere straziato e lasciato morire di sete e frenesia dopo un Abbraccio sterile!” Urlò lei.
“Chi è?” domandò lui, di rimando, ignorando le ultime parole che aveva sentito.
“Chi?!” gridò ancora Irene, furia e terrore mescolati negli occhi e cangianti sul viso, come una seconda pelle.
“La donna umana che ami al punto da implorare il mio aiuto per impedire il Raccolto.”
Rispose Sherlock, voltando solo in parte il viso nella sua direzione.
Lei abbassò gli occhi.
I due tornarono in silenzio verso il salotto, un solo pensiero pulsante nella mente: è iniziata una guerra.
“Ha importanza chi sia?”
Il Daeva si era rialzato, e aveva assunto nuovamente atteggiamento e voce sensuale.
“No. Non ne ha affatto.” Rispose lui, tornando a sedersi. “La cosa non mi riguarda, Irene. In nessun modo. Non è la mia battaglia.”
Lei si andò a sedere ai suoi piedi, poggiando la testa sulle sue gambe.
Non c’era niente di lussurioso, in quel gesto, e Sherlock non si ritrasse.
“Se te lo avesse chiesto lui… lo avresti fatto?” domandò, triste.
Un sospiro, lungo. Addolorato.
“Certo. Ho sempre fatto ogni cosa mi abbia chiesto.”
“Allora fallo per lui, Sherlock. Ti prego. Non avrebbe voluto vedere il genere umano ridotto così.”
Per qualche minuto, l’unico rumore fu il lontano scoppiettio del fuoco nel camino del salotto.
Alla fine, l’uomo pronunciò le sue ultime parole, per quel giorno.
“E sia.”
 
***
 
La mattina dopo, quattro persone ben coperte si muovevano agili tra i vicoli di Southbank.
“Manca ancora molto?” Domandò uno degli uomini dietro, allungando il passo per non perdere gli altri.
“Sto consumando tutto il mio sangue (3) per riuscire a camminare di giorno in modo da non dare nell’occhio. Ancora un po’ e passerò dritto al Torpore!”
“Manca poco. Non lamentarti ogni due secondi e vedrai che non finirai in Torpore.” Rispose Irene, in testa al gruppo.
“Perché diavolo hai scelto due Seguaci di Set come compagni?!” (4) domandò poi, rivolta a Sherlock che avanzava rapido mezzo passo dietro di lei.
“Sono utili, quando serve un po’ di Ascendente e c’è bisogno di ricattare qualcuno.”
Rispose, noncurante.
“Dio, avrei preferito due Malkavian.” (5) Commentò lei a mezza voce.
“Non te li consiglio. Nei momenti di sdoppiamento della personalità possono essere una vera seccatura. Uno dei miei, a Prizren, è finito a fare da pupazzo parlante vivente. O forse sarebbe meglio dire pupazzo parlante non-vivente.”
La donna si voltò un attimo a guardarlo con un’espressione tra il divertito ed il sorpreso.
“Delizioso…” commentò.
“Non molto, in realtà. Non entrava per intero nella scatola di cartone in cui intendeva riporlo, così lo ha segato in due. Ad ogni modo… raccontami meglio di questo… gruppo.”
“Si fanno chiamare “Carthiani”.  Stanno mettendo su un esercito, chiamando a raccolta tutti quelli di noi che non sono d’accordo con il Raccolto. Non molte Congreghe hanno risposto. Principalmente i Non Allineati, alcuni membri del VII…”
“VII?” L’uomo assunse un’aria piacevolmente colpita. “Dev’essere una cosa grossa, se i Distruttori hanno deciso di parteciparvi.”
“Lo è, Sherlock. Non è solo una questione tra umani e Cainiti. È… ne va della sopravvivenza di tutti noi. Non può prevalere una solo linea di Sangue, sarebbe… La fine. Per tutti noi.”
Camminarono in silenzio, svoltando più volte in strade sempre più isolate.
“E perché un gruppo che può contare sull’appoggio dei VII avrebbe bisogno di me?”
“Perché tu sei Sherlock Holmes. La mente più brillante che Londra abbia mai conosciuto. E noi abbiamo bisogno disperato di menti attive e corpi pronti alla battaglia.”
Tagliò corto lei, fermandosi davanti al portone di un vecchio albergo fatiscente.
“State indietro.”
Disse, portandosi una mano alla bocca e affondando i denti nell’incavo tra indice e pollice.
L’odore del suo sangue si sparse per l’aria, e Sherlock percepì distintamente i due uomini dietro di lui irrigidirsi.
“Calmi. Tra poco potremo nutrirci.”
Disse, voltando la testa verso di loro.
I due annuirono controvoglia, ingoiando a vuoto la saliva che era aumentata nelle loro bocche, inumidendo i canini.
Il portone si aprì verso l’interno, con un leggero cigolio.
Si guardarono attorno, e quando furono sicuri che nessuno li avesse visti, entrarono.
 
***
 
La hall era enorme.
Pesanti tende filtravano la luce proveniente dalle grandi finestre rettangolari che facevano il giro dell’intero ambiente.
Una grossa scalinata, ricoperta da un tappeto ormai logoro di velluto rosso, conduceva ad un ballatoio che percorreva tutto il perimetro della sala.
Gruppi di persone parlavano tra loro, chi animatamente, chi con aria indolente.
In molti, sul ballatoio, avevano in mano bicchieri pieni.
Un uomo alto e robusto si avvicinò a quattro, rimasti immobili poco oltre la porta d’ingresso.
“Irene. È sempre un piacere ricevere una tua visita.”
L’uomo si piegò in avanti, in una goffa interpretazione di un inchino.
“Un Gangrel…meraviglioso.” (6) Le sussurrò sprezzante Sherlock in un orecchio, mentre il loro ospite era ancora impegnato a porre omaggi grotteschi alla donna.
“Ho sempre amato gli uomini capaci di diventare bestie per me.” Gli sussurrò lei di rimando, facendo l’occhiolino.
“Tiro a indovinare: cinghiale?” domandò lui a denti stretti, allungando intanto una mano in segno di saluto.
“No. Orso.”
Rispose l’uomo prima che potesse farlo lei, stringendogli con forza la mano.
“Interessante.” Tossicchiò Sherlock. “Che tipo di orso? Grigio, nero, asiatico, marsicano…”
“Non ne ho idea. Ad ogni modo, io sono Fill. Sarete assetati!” disse, voltandosi e iniziando a dirigersi verso la scalinata e iniziando a salire. “Teniamo tutto il sangue sintetico in quei grossi recipienti sulla destra, appena arrivati in cima alle scale. Potete prenderne quanto ve ne occorre. Fortunatamente abbiamo ancora qualche aggancio nei centri prelievi. La lavorazione successiva la compiamo direttamente noi qui.”
“Stabilizzate voi plasma e corpuscolati?” Chiese Sherlock, chinandosi a prendere un bicchiere e riempiendolo di liquido porpora.
“Sì, esattamente”.
Sherlock diede una sorsata.
La stanchezza del viaggio sotto la luce solare si fece sentire solo quando il sangue sintetico cominciò ad entrare in circolo, riattivando tutte le cellule, e con loro i muscoli ed i ricettori del dolore.
“Allora…chi è il capo?” domandò quindi, guardandosi in giro.
“Il capo al momento è fuori a caccia.” Rispose Fill, con malcelato orgoglio.
“A caccia in pieno giorno?!” commentò uno dei Seguaci, bevendo un sorso e scostandosi il cappuccio dal viso.
“Caccia sempre di giorno. Io non sono ancora mai riuscita a incontrarlo.” Disse Irene, appoggiando una mano sul braccio del Gangrel e dando una piccola stretta.
L’uomo si irrigidì sotto il tocco della donna.
“Mi piacerebbe molto poter avere un incontro con lui…” sussurrò lasciva.
“Io…beh…” L’uomo stava per aggiungere qualcosa, quando la porta principale si spalancò, ed entrarono un gruppo di uomini, accolti da applausi e fischi.
Irene allentò la pressione sul braccio dell’uomo per la sorpresa, e lui sembrò riacquistare un po’ di controllo.
“Pare proprio che questo sia il tuo giorno fortunato, Irene! Tu e… scusa, credo di non aver chiesto il tuo nome.” Disse, girandosi fugacemente verso Sherlock per poi tornare con gli occhi in basso, verso la porta, in attesa.
“Sherlock Holmes.” Rispose lui, alzando un po’ il tono di voce in modo da poter coprire il vociare che si stava facendo sempre più forte.
“Indovinate chi ha ucciso più Scarafaggi, oggi?!” Domandò un uomo, entrando trionfante attraverso l’ingresso.
“Non certo tu, Tim!” gli gridò qualcuno dal ballatoio.
Un coro di risa si sparse per la hall.
“Co…come?” Fill staccò gli occhi dal gruppo di uomini che stava entrando alla spicciolata dalla porta e si voltò ad occhi sbarrati verso Sherlock.
“Sherlock…. Sherlock Holmes.” Ripeté, sbattendo le palpebre.
“Sì, esattamente.” Confermò lui, accigliandosi.
“Qualcosa non va con il mio nome?” Domandò, inclinando la testa e arricciando un angolo delle labbra in modo da scoprire i denti.
“No…no. Certo che no…solo… solo…”
“Solo?” lo incalzò.
“Solo… forse dovresti posare il bicchiere.”
“Come?”
In quel momento un coro di voci acclamanti esplose nella sala.
Le urla indistinte presero pian piano la forma di un “J!”, ripetuto, sempre più alto.
Sherlock si voltò con aria interrogativa verso Irene.
“Credo che sia appena entrato J. Il capo della rivolta.” Sussurrò lei, muovendosi a destra e sinistra per cercare di capire cosa stesse accadendo in fondo alla scala.
“Mhm.” Si limitò a dire lui, spostando poi di peso Fill in modo da poter veder la causa di tutto quella confusione.
Un gruppo di uomini, ai piedi della scala, finì di congratularsi con quello al centro ed infine arretrarono a sufficienza da poter permettere a Sherlock di vedere la causa di tanta confusione.
Per un attimo pensò che fosse uno scherzo del suo cervello.
Non poteva essere vero, in nessun modo.
Fu solo quando il capo della rivolta, muovendo gli occhi soddisfatti lungo tutta la hall e poi il ballatoio arrivò a ancorarli ai suoi che capì che non stava sognando.
Il suo bicchiere finì per terra, infrangendosi.
 
Nel momento stesso nel quale gli occhi di John Watson incontrarono quelli di Sherlock Holmes, nella sala cadde il più totale silenzio.
Il capo della rivolta assunse per un momento un’aria incredula. Scosse la testa, chiuse gli occhi.
Infine rialzò lo sguardo su Sherlock, fissandolo per attimi eterni come il tempo che pensavano li avrebbe divisi.
Quando la vista di quegli occhi così familiari e creduti persi per sempre divenne troppo forte, Watson abbassò lo sguardo, fissando per qualche attimo di fronte a sé.
“Quello è Sherlock Holmes!” bisbigliò Fill ad un uomo alle sue spalle, e presto un’onda di sussurri si sparse per la sala, passando di bocca in bocca.
Sherlock rimase immobile, gli occhi resi enormi dallo sconcertante scoperta che il suo cuore era ancora lì, esattamente dove lui lo aveva lasciato quasi un secolo prima su la pista di un aeroporto: accanto a quello di John Watson, nel suo petto.
Ma erano fermi entrambi, da tempo: il richiamo del sangue era percepibile in modo così chiaro, che non ci sarebbe stato bisogno di domandare come.
John era un Ventrue, proprio come lui.
E apparteneva alla linea di sangue di Moriarty, esattamente come lui.
Poteva sentirne l’odore.
Erano nati dallo stesso ceppo malato, lo stesso peccato originale macchiava entrambi gli Abbracci che li avevano generati.
Questo non aveva alcun senso, per Sherlock. A che scopo far entrare John nella Progenie, regalando a lui un motivo per gioire? Avrebbe avuto molto più senso farlo invecchiare, e lasciarlo morire, regalandogli un grumo di dolore e anima per sempre fermo nel petto, proprio dove ora lo sentiva sciogliersi.
Quando John iniziò a salire le scale, Sherlock riuscì a percepire chiaramente la macchia della sua Creazione, e capì.
Non era stato un Abbraccio voluto, ma un Bacio andato in modo sbagliato.
Il vampiro che lo aveva generato doveva essere morto mentre se ne nutriva, e lui doveva aver visto nel bere il suo sangue la sua ultima possibilità di salvezza.
Pochi passi, e si trovarono di fronte.
John aveva solo qualche piccolo segno in più sul volto rispetto a quando si erano detti addio, indice che doveva essersi trasformato non molto tempo dopo di lui.
“Io…” John scosse la testa, e stirò le labbra in un sorriso tirato.
“Io… Pensavo che avrei passato l’eternità senza più vedere il tuo viso.” Esalò, veloce, come se dirlo potesse renderlo reale.
Sherlock si abbassò, in modo da far sfiorare le loro fonti.
“Ho creduto di averti perso per sempre.” Gli rispose.
I due Seguici si scambiarono un’occhiata confusa, mentre Irene li prendeva sottobraccio e li conduceva con fare ammiccante giù per le scale, un sorriso compiaciuto stampato sulle labbra.
John e Sherlock rimasero così, fronte contro fronte, in silenzio, fino a quando la pressione degli sguardi intorno a loro non si fece troppo forte.
“Seguimi.” Disse John, semplicemente, iniziando a muoversi lungo la balconata diretto verso una delle porte in fondo.
Sherlock annuì e, per la prima volta da quando si erano conosciuti, si limitò a seguire i suoi passi, in silenzio.
 
***
 
John si chiuse la porta alla spalle ed iniziò a camminare lentamente al centro di quella che una volta doveva essere stata una suite, ora una enorme camera vuota.
Il tempo aveva corrotto gli antichi mobili in legno - adesso abbandonati in piccoli mucchi marcescenti ai bordi della stanza – e fatto crescere piccoli ciuffi d’erba tra le assi del parquet.
La stanza sapeva di muffa e umido, ma Sherlock non ci fece caso, intento a seguire rapito ogni movimento compiuto dall’altro. Il miracolo nato da un abominio.
“Come…” iniziò John, fermandosi un attimo e voltandosi verso di lui.
“Quando.” Decise.
“È stato in missione, dopo Magnussen.” Rispose Sherlock, rapido. “Ho capito solo da poco che faceva tutto parte di un piano.”
John annuì.
“Sì. Adesso è chiaro a molti di noi.” Cominciò. Poi un pensiero gli attraversò la mente, facendogli assumere per un attimo un’aria ferita.
“Perché non sei tornato?” chiese, tenendo lo sguardo a terra.
“Io…” Sherlock mosse gli occhi lungo tutta la stanza. “Pensavo che non avresti capito.”
La risata di John rimbalzò lungo tutte le pareti. Fredda. Innaturale.
“Hai mai pensato, almeno una volta in vita tua, che forse avrei potuto capire?” domandò poi, la  voce affilata come un rasoio. “Qualcosa, anche la più semplice.”
“Quello che dici è ingiusto. Ho sempre pensato che tu potessi capire tutto.” Rispose Sherlock.
John sospirò, scuotendo la testa.
“Ho aspettato il tuo ritorno per anni, Sherlock. Ancora una volta. Ci sono voluti ANNI, DI NUOVO, perché mi convincessi della tua morte in missione! E quando tutto ha iniziato ad andare a rotoli… Mycroft, e poi Mary… Quando ho dovuto dare in affido la bambina, perché troppi, davvero troppi amici stavano morendo… - si interruppe un attimo, il tempo di levigare le increspature che la sua voce aveva assunto senza che volesse – quando ho iniziato a capire… a seguire le tracce… e alla fine mi sono trovato il quel vicolo, ad un passo dalla morte, a lottare con tutto me stesso per sopravvivere… Che io sia dannato, ogni mio pensiero è stato sempre e solo per te.”
Per un attimo il suo volto si contrasse per l’ira, e due canini appuntiti comparvero al di sotto delle labbra tirate.
“E poi, semplicemente, ritorni. DI NUOVO. E ti fai trovare a casa mia, in cima alle mie scale, come se fosse la cosa più normale del mondo. MALEDIZIONE!”
Diede un calcio contro un cumulo di legno, che finì di disgregarsi.
“A mia discolpa, posso dire che questa volta l’effetto sorpresa non era voluto, e ne sono una vittima tanto quanto te.” Cominciò Sherlock.  “Ad ogni modo non dovresti cedere alla rabbia in questo modo, affievolisce la tua scorta di umanit...” Tentò di concludere, ma prima di poter finire la frase si trovò premuto contro un muro, le mani di John serrate contro la sua gola.
“Umanità, dici?” ringhiò, scoprendo del tutto i denti.
“Hai sempre detestato l’umanità, nelle persone!” sibilò, negli occhi un furore sordo.
“Non in te.” Riuscì a dire Sherlock, posando gli occhi in quelli dell’altro. “Mai, in te.”
John allentò la presa, sorpreso, rimanendo comunque con il corpo contro quello dell’altro, e mantenendo la presa sul suo collo.
Sherlock sì chinò quanto necessario affinché le sue labbra si posassero su quelle di John, e rimase ad osservare per qualche secondo i suoi occhi spalancarsi per la sorpresa, per poi chiudersi lentamente.
Anni passati nel dolore di saperlo mortale, nel pensiero che ogni giorno avvicinava l’unica persona che avesse mai amato all’ineluttabilità della morte senza che potesse dirle addio, trovarono consolazione tra le pieghe di quel bacio incontaminato tra due esseri ormai corrotti.
Il miracolo di carne e sangue di due anime dannate.
Le mani  di John si staccarono dal suo collo e scesero lungo il profilo delle spalle, e poi delle braccia, per arrivare fino ai polsi, bloccandoli.
“Allontanati un’altra volta da me, e giuro che sarò io ad ucciderti” soffiò contro la bocca di Sherlock, prima di schiudere le sue per affondare i denti nella carne tenera delle sue labbra.
Sherlock si diede una spinta con i fianchi contro il muro e lo spinse a terra, seguendolo a sua volta.
“Non ne ho nessuna intenzione.” Gli rispose, staccando le labbra dalle sue e chinandosi a morderli il collo.
Il corpo di John reagì allo stimolo ancor prima di rendersene conto. Gli afferrò i capelli e spinse la sua testa contro la sua giugulare, in modo che i denti potessero affondare più in profondità possibile.
“Ci hai messo tanto, a capirlo.” Lo accusò Sherlock poco dopo, staccandosi dal suo collo, la bocca sporca del suo sangue.
“Sono dovuto morire per capire chi avesse davvero dato un senso alla mia vita. Ma lo sai, sono sempre stato lento.” Gli rispose John, semplicemente, prima di farlo rotolare sulla schiena e gettarsi su di lui.
 
 
 
“Allora, qual è il piano per fermare l’avanzata su scala mondiale della progenie di Moriarty?”
Domandò Sherlock, cercando di riprendere il controllo del proprio corpo.
John, poco più in là, osservava rapito i lunghi graffi arrossati che percorrevano la schiena dell’altro, uno per ogni attimo di piacere assoluto appena vissuto.
 “John?” lo chiamò, cercando di scuoterlo dai suoi pensieri. “O forse preferisci J.?”
“Cosa?” Rispose lui, distratto. Allontanò poi le immagini di quanto appena vissuto con un rapido movimento della testa e andò a sedersi a terra, accanto a Sherlock. “No, no, John va benissimo. È sempre andato bene.” Sorrise, guardandolo con la coda dell’occhio.
“Qual è il piano, quindi?” Domandò di nuovo Sherlock, osservando affascinato i segni che gli aveva lasciato sul collo, sigilli purpurei della loro appartenenza.
“Per adesso… Per adesso ci stiamo limitando alla caccia dei proseliti. Di giorno, prevalentemente, quando sono più vulnerabili. Stiamo allenando la nostra capacità di resistenza alla luce, in modo da poter rimanere all’esterno il più possibile.”
“Bene. E poi?” lo incalzò Sherlock.
“E poi…” John si chinò per dargli un bacio sulle labbra, sorridendo con sguardo ferino.
“Il gioco avrà inizio.”
 
 
 
Note:
Come mi è capitato di dire in un commento, ho giocato a lungo a Vampire: the Masquerade.
Parte di quanto scritto qui, principalmente i Clan, prendono quindi spunto da quel gioco di ruolo e dalla sua versione successiva, il Requiem.
Per fare un sunto esistono “tipi” diversi di vampiro, e chi riceve l’Abbraccio assume il “tipo” (clan) di chi lo ha vampirizzato, e rappresenta la sua linea di sangue. Ogni Clan ha caratteristiche diverse, in questa storia ne ho riportati alcuni:
 
1) Daeva (Vampiri sensuali, emotivi ed attraenti. Sono edonisti dei sensi e predatori dalle spiccate attitudini erotiche e capacità sia sociali sia fisiche.)
2) Ventrue (Vampiri regali, autoritari e aristocratici. Questo clan annovera vampiri di ogni genere, dai signori feudatari delle montagne dell'Europa orientale ai nobili gentilizi ed ai predatori dell'alta finanza. Spiccata è la capacità di imporre la loro volontà sugli altri, che divengono spesso burattini dei loro giochi di potere.)
4) Seguaci di Set (sono un clan indipendente devoto al dio egizio Set, oltre ad essere collegati con i serpenti per le loro particolari abilità. Si sono guadagnati il soprannome di Serpi a causa del loro essere viscidi e per la loro tendenza a ricattare chiunque entri in contatto con loro.)
5) Malkavian (sono i vampiri più folli: al momento dell'abbraccio il vampiro neonato sviluppa una malattia mentale che gli rimarrà per il resto della non vita.)
6) Gangrel (Vampiri istintivi, coraggiosi e selvaggi. Incarnano il mito del vampiro selvaggio che può trasformarsi in animale.)
 
Tra parentesi sono riportate brevemente le descrizioni di Wikipedia su ognuno di loro.
 
La nota 3) fa riferimento al fatto che nel gioco i Vampiri, sfruttando “Punti Sangue”, possono compiere particolari azioni o rafforzarsi in alcune abilità.
Chiaramente l’azzeramento corrisponde all’inattività totale.
 
L'Abbraccio rappresenta quello che per i mortali è la nascita, il momento in cui si introduce il vampiro alla sua futura non-vita. Doloroso, passionale, sconvolgente, eccitante o terrificante che sia, l'abbraccio segna per sempre il fratello, contribuendo in modo determinante a quello che il vampiro sarà in futuro. Con l'abbraccio si determina anche a quale clan apparterrà l'infante: se il suo sire è un Gangrel, egli stesso sarà un Gangrel, di una generazione superiore a quella di colui che l'ha generato. A differenza di quello che si può pensare, per diventare un vampiro non basta ricevere il morso di un cainita (così vengono chiamati i vampiri, dato che in questa versione si fa discendere i Clan direttamente da Caino). L'abbraccio non è semplicemente l'atto del succhiare il sangue, bensì un rituale antico come il mondo, in cui il predatore seleziona, osserva e studia la sua preda, arrivando a provare addirittura ammirazione, o forse invidia, del suo stato umano, della sua ingenuità.
 
Il morso di un vampiro, il Bacio, spesso risulta essere molto piacevole sia per chi lo esegue e per chi lo riceve, un piacere che per i fratelli equivale addirittura all'orgasmo dei mortali (motivo per il quale Sherlock da una bella azzannata al nostro John XD).
 
Nel caso di un Abbraccio, il vampiro berrà poi il sangue della sua preda, fino a lasciarlo in bilico tra la vita e la morte. Il sire poi offrirà il suo sangue alla vittima, creando così la sua progenie. Ho immaginato che John sia riuscito a uccidere il suo assalitore mentre questi si stava nutrendo di lui con l’intento di ucciderlo (perché troppo vicino a scoprire la verità sulla loro esistenza, si presume), e che un istinto primordiale lo abbia guidato a nutrirsi a sua volta, trasformandolo. In teoria un Abbraccio con queste modalità non funzionerebbe, ma faremo finta di niente e ci allontaneremo fischiettando. XD
 
Il Torpore , invece, fa riferimento a quei casi in cui un vampiro entra in uno stato di sonno profondo molto simile alla morte, dove il corpo smette di funzionare così come la mente. Questo stato può essere raggiunto quando il corpo del vampiro viene prosciugato completamente dal sangue al suo interno, sia per la fame che per gravi ferite riportate.
 
Nel gioco gli umani tenuti dai vampiri al solo scopo di nutrirsi vengono chiamate “vacche” (Simpatici, i nostri amici zannuti). Qui li ho chiamati Agnelli semplicemente perché ho pensato che se davvero un gruppo di cainiti volesse tenere il genere umano al sicuro, dovrebbe pensare agli uomini mortali come a creature indifese pronte ad essere immolate, più che a “carne da macello” (va da sé che probabilmente la stirpe di Moriarty parli di loro come “vacche”, ad ogni modo.)
 
Infine l’Umanità. Il discorso è complesso, ma cercherò di renderlo semplice.
Anche i vampiri hanno una parte umana. Più ne sono dotati, meno bestiali saranno le loro azioni ed i pensieri. Col passare dei secoli comunque un trasformato vedrà scemare la propria umanità, ma un giovane vampiro può perderne poca o molta anche a seguito di gesti di furia, ira, crudeltà… (da qui gli accenni di Irene a Sherlock e quelli di Sherlock stesso a John).
Diciamo che un vampiro a “pieno regime” di umanità tenderà ad essere più umano di un umano stesso. Rispetterà le regole in modo più rigoroso di quando era in vita, se ne starà in disparte a tenersi in vita con il sangue di piccoli animali, cercherà di ribellarsi alla sua natura cruenta e omicida.
Un vampiro privo di Umanità penserà solo a nutrirsi, uccidere, dormire.
Diciamo che Moriarty, nella serie (rileggendo il tutto con la chiave di lettura che ho proposto) potrebbe avere un’Umanità di 2, 3 massimo (su una scala dove 0 è l’istinto puro, e 10 la massima Umanità.).
Vi copio la descrizione del livello due che da il sito “cronacheinsane.net”, ditemi voi se non calza a pennello:
Per un Fratello arrivato arrivato a questo livello, la vita e la proprietà altrui hanno ben poca importanza. Il vampiro deve appagare i suoi oscuri piaceri e le sue anomale fantasia, che possono includere ogni tipo di atrocità: perversioni, omicidi crudeli, mutilazioni di vittime e malvagità compiute solo per il proprio interesse. Pochi mantengono a lungo un punteggio così basso, la loro dannazione è ormai certa. I vampiri in questo stadio potrebbero essere scambiati erroneamente per umani solo per l'aspetto fisico.”
 
Sicuramente ho dimenticato qualcosa per strada… tutto questo a semplice dimostrazione che ho dei gravi problemi psicologici, e che per scrivere dieci pagine di storia ho voluto persino scomodare un signor gioco di ruolo… Perdonatemi per l’infinita disquisizione.
(Molte altre cose, invece, me le sono inventate/aggiustate di sana pianta. XD)
 
 
Angolo dell’autrice:
Solo due giorni fa lasciavo questo sito dicendo “da oggi in poi mi limiterò a leggervi”.
È successo però che ho avuto degli scambi di messaggi privati dolcissimi con alcune ragazze che mi hanno chiesto di scrivere ancora qualcosa.
Avevo mezza giornata libera, oggi, e ne è uscito questo.
Spero che la loro richiesta non venga ritirata immediatamente dopo aver letto questa follia. XD
Fare un long  Vampire!lock usando il mondo di Vampire era uno dei tanti progetti nel cassetto, ma ad oggi temo di non poter andar oltre a questa piccola cosa.
Diciamo che, se mai accadrà, questa One Shot potremo interpretarla come un’intro! XD
 
Un abbraccio a tutti, e grazie a chi ha avuto la forza di giungere fin qui. :)
 
 
   
 
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