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Autore: Calenzano    19/01/2016    2 recensioni
All'alba del 22 marzo 1944, davanti allo stadio di Firenze, furono fucilati Leandro Corona, Ottorino Quiti, Antonio Raddi, Adriano Santoni e Guido Targetti. I cinque, poi noti come i "Martiri del Campo di Marte", si erano rifiutati di presentarsi alla leva obbligatoria della Repubblica Sociale Italiana.
Piccola one shot senza pretese per ricordare l'eccidio, ed il coraggio di chi ha saputo scegliere.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Il mattino del 22 marzo era cominciato come tutti gli altri, per Liliana. Da mesi si alzava ancora col buio, prima ancora della mamma. Lo dicevano un po' tutti: ormai era grande, praticamente una signorina; e lei ci teneva a dare una mano in casa. Tanto, con tre fratelli piccoli qualcosa da fare c'era sempre.

Nell'angusta cucina dell'appartamento, iniziò ad affettare il poco pane disponibile per la colazione, badando a fare le fette più sottili possibile. Liliana pensò preoccupata che presto avrebbe dovuto alzarsi ancora prima, per trovarsi in tempo all'apertura del forno ed essere sicura di ricevere la quantità fissata dalla tessera. L'ultima volta a fare la fila avevano mandato Roberto, che si era attardato a giocare per la strada ed era arrivato quando il prezioso alimento era già terminato.

Era assorta in questi pensieri, quando nella strada sottostante passarono alcuni veicoli rombando. Liliana non ci prestò grande attenzione, e continuò in quanto stava facendo. Fu solo mentre cercava un piatto per le fette tagliate che avvertì un urlo, seguito presto da diversi altri.

La ragazzina lasciò il piatto sul tavolo e andò verso la finestra. Scostò le tende nere dell'oscuramento, e sbirciò fuori. Le vie circostanti erano deserte. Di fronte alla grande massa bianca dello Stadio, però, c'erano dei militari schierati in formazione e tre o quattro camion fermi. Il trambusto veniva da là: uomini in uniforme continuavano ad arrivare marciando, mentre altri nella divisa della Milizia sbraitavano ordini.

Pensando a una qualche esercitazione, come quelle che aveva visto tante volte lì attorno, nei vasti prati del Campo di Marte, Liliana si mosse per tornare alle faccende di casa, quando le vide. In uno spiazzo vuoto, proprio sotto la Torre, campeggiavano cinque sedie vuote. Incuriosita, Liliana aprì la finestra, piano, per non svegliare gli altri, e guardò meglio. Proprio in quel momento sbucò da dietro l'angolo un furgone cellulare della polizia, dall'interno del quale arrivavano grida soffocate, e si fermò stridendo proprio davanti alle truppe. Diversi militi col mitra a tracolla vi si avvicinarono, e fecero scendere degli uomini ammanettati. Erano loro che gridavano. Erano giovani, poco più che ragazzi, dai volti lisci e stravolti dal terrore. Barcollavano e incespicavano tanto da dover essere sorretti. Vennero condotti a forza verso le sedie. Nel silenzio del primo mattino, le loro urla arrivavano forti e chiare:

“Mamma, mamma!”

“Pietà, aiuto, salvateci!”

Diversi soldati presenti rumoreggiarono, si alzarono fischi e voci di protesta, e gli ufficiali faticarono non poco a imporre il silenzio. Solo una volta ristabilito l'ordine si fece avanti un graduato con un foglio in mano. A Liliana giungevano solo poche parole qua e là:

“...Tribunale Militare.... renitenti... Repubblica Sociale Italiana... fucilazione...”

La ragazzina, impietrita, vide i cinque baciare un sacerdote che era sceso con loro dal furgone, e che li accarezzò uno per uno dicendo loro qualcosa; e piangere disperatamente mentre venivano bendati. Eppure le parve che uno di loro avesse guardato in alto, proprio nella sua direzione, prima di essere accecato dalla benda.

 

La scarica dei moschetti la fece sobbalzare come un brusco risveglio, e uno stormo di piccioni, spaventato, si alzò in volo dall'orto vicino.

Liliana si tirò via di scatto, e richiuse la finestra sbattendola. Il cuore le batteva all'impazzata, e stava tremando come una foglia. Ma là fuori non era ancora finita. Udì ancora dei “mamma!” sempre più deboli, e poi i colpi secchi della rivoltella, uno dopo l'altro, a riportare il silenzio. Liliana si lasciò lentamente scivolare a sedere per terra, tappandosi con forza le orecchie per non sentire altro. Aveva voglia di piangere, ma non ci riusciva.

“Mamma, mamma...”

Solo dopo un bel pezzo si rese conto di essere lei a ripeterlo.



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Piccola storia semplice, senza pretese, quasi una cronaca, nata dal racconto vivo di mia nonna, allora abitante al Campo di Marte e testimone dell'eccidio. Per rendere omaggio nella memoria a cinque ventunenni - ragazzi che immagino pieni di 
voglia di libertà, e, semplicemente, di tanta voglia di vivere - barbaramente uccisi da una dittatura ormai sconfittama anche l'orrore di chi assistette alla loro morte, e a tanti anni di distanza, ricorda ancora quei disperati "Mamma, mamma!" 

  
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