Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Blablia87    20/01/2016    5 recensioni
Di una festa in maschera, due ragazzi vestiti da pirata ed un ballo come ricompensa.
[Teen!Lock]
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Siete proprio sicuri che sia una buona idea?”
Chiese John Watson, sistemandosi meglio la benda sull’occhio sinistro.
“Dio J, te l’ho detto, neanche si accorgeranno di noi!”
Rispose Tom,  guardandosi con ammirazione le mani macchiate di sangue finto.
“È solo una festa in maschera. In una casa immensa. Chi vuoi che badi a noi?”
Concluse Paul, rimettendosi in bocca due canini finti.
“Fio, non riefco a paflare con quefti cofi in boffa.” Si lamentò, scatenando una risata negli altri due.
“Sei in assoluto il vampiro più tenero che abbia mai visto.” Lo schernì John, buttando un’ultima occhiata alla villa davanti alla quale si erano fermati.
“Come avete saputo di questa cosa?” Chiese, mentre i tre si avviavano lungo il vialetto.
“Mio fratello va a college con il ragazzo che l’ha organizzata. Pare che i genitori non siano quasi mai a Londra… a quanto ho capito bada lui al fratello.”
“Mhm” fu l’ultimo rapido commento di John, mentre Tom appoggiava una mano sulla maniglia della porta d’ingresso e si preparava ad entrare.
 
All’interno, la musica alta si mescolava ad un costante brusio di voci.
Ragazzi in maschera si trovavano ovunque, intenti a ballare o chiacchierare in piccoli gruppi.
Alcuni, negli angoli più isolati, si scambiavano effusioni.
Tom e Paul si guardarono intorno rapiti.
“Sapevo che sarebbe stato grandioso!” commentò il primo, osservando con aria sognante un’attraente zombie passare ondeggiando davanti a loro.
“Offimo. Già ho froblemi col fio f-radar a cofe normafi, figurarfi in un pofto dofe non riesfo a distinfuere del fuffo chi fia un uofo o una doffa!” Rispose l’altro, soffocando una risata.
“Il tuo gay-radar è l’ultimo dei tuoi problemi, P.” Rise John, dandogli una pacca su una spalla.
“Allora, ehm. Chi è il padrone di casa?” chiese poi, lanciando uno sguardo all’enorme salotto affollato.
I mobili erano stati accostati alle pareti, e al centro si era ricavato uno spazio più che ampio atto a pista da ballo.
“Questo salotto è grosso come tutta casa mia.” Osservò poi, a mezza voce.
“Che ti importa di chi sia?” rispose Tom, indeciso su quale ragazza soffermarsi.
“Hai visto quella?” Chiese, dando una gomitata a Paul, al quale cadde un canino. Si portò la mano alla bocca e tolse anche l’altro.
“Stai veramente chiedendo a me se ho notato una ragazza?” domandò poi, girandosi a guardarlo.
“Ok. Hai ragione. Ehi J, tu che sei il nostro Jolly. Come ti pare quella?”
“Il vostro che?!” Chiese John, voltandosi con aria oltraggiata verso di lui.
“Vabbè, dai, hai capito!”
“Si chiama bisessualità, T. Quante volte dovremo spiegartelo?” Si intromise Paul cercando, come sempre, di ristabilire l’ordine.
“Si chiama “come diavolo è possibile che tutte le ragazze che mi piacciono fanno il filo a John, pur sapendo che potrebbe essere nel suo periodo “uomini”?”
Scoppiarono a ridere tutti e tre. John scosse la testa, rassegnato.
“È molto carina, T. Ora puoi indicarmi gentilmente il padrone di casa, in modo che possa andare a presentarmi come educazione richiede?”
“E va bene…che lagna che sei. Vediamo…” Tom fece saettare gli occhi lungo la stanza.
“Eccolo lì.” Disse alla fine, puntando il dito su un ragazzo alto e robusto, vestito elegante, fermo accanto alla console del dj.
“Si chiama Mic!” gridò a John, mentre questi si allontanava a passo svelto lungo la sala.
“Ed ecco che la mia ragazza è andata.” Sospirò Tom, guardando la giovane strega in minigonna che aveva adocchiato lanciare un’occhiata compiaciuta in direzione di John.
“Non è colpa sua, lo sai. A malapena se ne rende conto.” Cercò di consolarlo Paul.
“È questo che mi fa imbestialire. Non fa assolutamente NULLA per essere attraente, e comunque mezza scuola gli muore dietro.” Sbuffò, fingendosi offeso.
“Sarà colpa dei capelli biondi e degli occhi blu.” Rise Paul, afferrando l’altro per il collo e dandogli una rapida strizzata sulla collottola.
“Però devi ammettere che quel vestito da pirata gli calza a pennello!”
“Dimmi tu cosa non lo fa.” Concluse Tom, avviandosi verso il tavolo degli alcolici.
 
“Mic?” chiese John, allungando con aria amichevole una mano verso il ragazzo davanti a lui.
Doveva avere circa una ventina d’anni, un paio più di lui e dei suoi amici.
Il ragazzo arricciò un angolo delle labbra, assumendo un’espressione disgustata.
“Mycroft.” Lo corresse, dandogli una rapida stretta di mano.
“Oh, ehm. Ok, scusa.” Tossicchiò John. “Volevo solo complimentarmi con te per la fest…”
“Per quanto ancora dovrà andare avanti questa festa ridicola?” Un ragazzo alto, con i capelli neri e ricci, era arrivato alle spalle di John e lo aveva superato, piazzandosi tra lui e Mycroft.
“Ehi!” provò a protestare John, ma venne ignorato.
“Fin quando deciderò che duri, Sherlock. Fattene una ragione.” Sentì rispondere.
“È anche casa mia, fino a prova contraria.” Soffiò il ragazzo con voce profonda ma ancora immatura, e John valutò che dovesse essere di qualche anno - due, forse tre - più piccolo di lui, nonostante fosse decisamente più alto.
“È questo, Sherly, è esattamente l’unico motivo per il quale sei stato invitato.” Sbadigliò Mycroft, fingendosi annoiato.
“Prova a fare qualcosa di diverso, una volta tanto, fratellino. Prova a divertirti”.
Detto questo, si allontanò.
John osservò il ragazzo davanti a lui fremere di rabbia per un momento.
Poi si voltò di scatto, piantando due occhi azzurri come il ghiaccio nei suoi.
Solo allora John si rese conto che indossasse anche lui un costume da pirata, ma senza benda e uncino.
“Siamo colleghi!” esclamò John con aria allegra.
Il ragazzo gli lanciò uno sguardo fulminante.
“Colleghi?” ripeté con tono sprezzante.
“Beh… Sì, sai. Pirati. Compagni di avventure per i sette mari!” Tentò di nuovo John, meno convinto di quanto non fosse stato fino ad un attimo prima.
“Non esistono colleghi, nella pirateria.” Rispose l’altro, una grumo di disprezzo ben chiaro nella voce.
“Ehm, ok…” sussurrò John. “Mi… mi lasci andare, o devo prepararmi alla passerella con le mani legate dietro la schiena senza nessuna possibilità di appellarmi al parley (1)?” chiese, con sguardo allegro.
L’espressione del ragazzo davanti a lui mutò impercettibilmente, assumendo lo forma di un leggero stupore.
“Parley, eh? Non male, per uno con indosso la più errata forma di costume piratesco possibile.” Commentò, tagliente.
“Praticamente non c’è un solo elemento del tuo costume che non farebbe rigirare nella tomba Francis Drake.”
“Pensavo che Drake fosse un corsaro…non è una cosa diversa da un pirata?” domandò John, senza pensarci.
Il ragazzo davanti a lui arricciò il naso, in una blanda imitazione del fratello maggiore.
“Sì, come è cosa diversa un bucaniere.” Disse, a denti stretti.
“Ad ogni modo quello che hai addosso non avrebbe senso per nessuno dei tre.” Concluse, voltandosi e allontanandosi dalla sala, schiena dritta e passo veloce.
“Ok…beh…piacere mio.” Sospirò John, intercettando i suoi amici, ancora vicini al tavolo delle bibite, e dirigendosi verso di loro.
 
“Chi diavolo era, quello?” domandò Tom, passando a John un bicchiere di aranciata.
“Immagino che l’idea di farti bere una birra sia fuori discussione, vero?”
John fece cenno di sì con la testa.
“La detesto. Mia sorella sembra un’altra quando torna a casa con in corpo quella roba.”
Tom e Paul annuirono.
“Allora, chi è? È carino!” chiese Paul, allegro.
“A quanto ho capito si chiama Sherlock, e credo sia il fratello di quello che ha dato la festa.”
Rispose John, ingoiando una grossa sorsata.
“Ah! Così sarebbe lui…” rispose Tom, abbassando il tono di voce.
“Mio fratello dice che ha qualche problema. Che è un sociopatico, o qualcosa di simile.”
“Naaa.” Rispose John, cercando con lo sguardo Sherlock, senza riuscire a trovarlo. “Non è un sociopatico. Non ha movimenti ritmici, guarda negli occhi tranquillamente, mostra una gamma di emozioni anche se…beh, anche se quasi tutte negative, a quanto ho potuto vedere.” Commentò, rabbuiandosi un attimo.
“Accidenti quante cose hai notato, in due minuti!” Rise Paul.
“Sapresti dirci anche peso e altezza?” rincarò la dose Tom.
“Beh direi che è sul metro e ottanta, e peserà circa settanta chili. Dovrebbe mangiare un po’ di più, in effetti.” Commentò, distratto.
Tom fischiò, per poi scoppiare a ridere seguito da Paul.
“In tre secondi hai notato come si muove, parla, cammina… Possiamo aspettarci il lieto annuncio per stasera?”
John gli diede una gomitata, ridendo.
“Quanto siete idioti! Non significa assolutamente niente che le abbia notate. Solo…” si fermò un attimo. “Semplicemente, non credo che sia un sociopatico. Semplicemente, non ama questo tipo di cose” Terminò, indicando la pista da ballo.
“Come te.” Sottolineò Tom.
“Come me.” Confermò John, valutando in quale angolo nascosto della casa passare il resto della serata.
 
Una ventina di minuti dopo, John Watson, tolta la benda da pirata che limitava drasticamente la sua capacità di percepire la profondità e messo in tasca l’uncino di plastica finto, aprì la portafinestra del salotto, trovandosi inaspettatamente su una terrazza.
Rimase immobile qualche secondo, cercando di far combaciare la sua previsione di trovare un giardino con quanto stava realmente vedendo.
“La casa è su un dislivello, nella parte posteriore.” Commentò una voce annoiata alla sua destra. “Che ci fai qui fuori? Si gela. Nessuno viene mai qui, in inverno.” Aggiunse.
John si voltò. Aveva riconosciuto la voce e non rimase sorpreso nel vedere il ragazzo vestito da pirata osservarlo dal basso, seduto a terra, con una sigaretta in bocca.
“Non dovresti fumare.” Cominciò John, avvicinandosi.
“Non dovresti dare pareri non richiesti.” Lo rimbeccò lui.
“Ok, bene.” John si lasciò cadere accanto a lui, e per un attimo sul volto dell’altro si dipinse una forma di terrore.
“Permetti che mi presenti? Prima sei andato via mentre…”
“Lo so chi sei.” Rispose il ragazzo, gelido.
“A sì?” la voce di John si alzò per lo stupore.
“Certo. Sei un altro stupido ospite della stupida festa di mio fratello.” Disse Sherlock, spengendo accanto a sé, sulle mattonelle di marmo chiaro, il mozzicone della sigaretta che aveva appena finito.
“Mi dichiaro colpevole.” John alzò le mani in segno di resa, abbozzando un sorriso.
Sherlock alzò un sopracciglio, confuso.
“Le feste sono noiose.” Disse, assumendo nuovamente un’espressione infastidita.
“Concordo.” Gli fece eco John, girandosi a guardarlo. “Cosa… cosa ti piace fare?” azzardò, mentre nuvole di fiato condensato si muovevano tra di loro.
“Dedurre le persone.” Rispose l’altro, sicuro. “Le menti come le vostre sono così comuni, terribilmente noiose… Non notate mai niente. Io, invece…“
“E cosa deduci, di me?” lo bloccò subito John, curioso.
“Che sei un banale, comunissimo ragazzo di diciotto anni che è finito ad una festa che odia per fare contenti i suoi amici.” Cominciò Sherlock, con il tono di voce di chi sta esprimendo un’ovvietà. “Da questo si potrebbe trarre una serie di conclusioni collegate, una bassa autostima, ad esempio. Ma non ho riscontrato altri elementi per poter affermare che tu soffra di una scarsa considerazione di te stesso, quindi temo che la cosa dipenda dalla tua spiccata inclinazione al sentiment-“
“Se deducessi qualcosa io – lo interruppe nuovamente John, e Sherlock mostrò tutto il suo disappunto per questo assumendo un’aria mortalmente offesa – se ti dimostrassi di essere un po’ - che so, un mezzo gradino - sopra ad una mente “terribilmente noiosa”… Mi permetteresti di passare il resto della serata con te? Non parlerei, giuro. Starei zitto e buono. Ma ti prego, fammi restare con te. Odio le feste, e mi piace ascoltare chi ne sa più di me su qualcosa.”
Quella di John assomigliava più ad una supplica, e Sherlock rimase a guardarlo per qualche secondo. Il pensiero che esistesse qualcun altro a parte lui a non divertirsi per quelle sciocchezze era in qualche modo rincuorante. Il fatto poi che fosse disposto ad ascoltarlo parlare, invece di limitarsi a isolarlo o deriderlo, era quasi stupefacente.
“Ok.” Disse quindi, alzandosi. “Seguimi.” Terminò, aprendo la portafinestra per rientrare in casa.
 
“Allora…” Sherlock lasciò vagare lo sguardo lungo il salotto pieno di persone.
Lui e John si erano sistemati in disparte, vicino all’ingresso della stanza, e nessuno sembrava badare a loro.
“Potresti dedurre…” Un sorriso compiaciuto gli piegò gli angoli della bocca. “Potresti dedurre chi piace a mio fratello.” Disse, portandosi poi soddisfatto le mani giunte sotto il mento.
“Come?” domandò John, muovendo gli occhi su Mycroft, fermo nello stesso punto della sala dove lo aveva trovato al suo arrivo.
“Come fai a sapere che gli piace qualcuno?” bisbigliò a Sherlock.
“Si comporta da idiota, ultimamente. Un festa! Quando mai ha amato le feste?! Deve esserci qualcuno… sono sicuro che-“
“Il dj.” Lo interruppe John.
“Come, scusa?” Sherlock si voltò verso di lui con aria stralunata.
“Il dj, dico.” Confermò John, indicandolo con un dito. “Tuo fratello è fermo accanto alla consolle da quando sono arrivato. Non si è praticamente mai mosso. Odia questa musica, non muove un solo muscolo e le sue scarpe non sono adatte al ballo. Però tiene il tempo con il piede, costantemente. Come a dire “ehi, guarda, mi piace quello che fai.” È anche un po’ scoordinato, se vuoi il mio parere…”
“Lestrade. Non ci posso credere.” La voce di Sherlock suonava genuinamente sorpresa.
“Chi?”
“Lestrade. Greg, Giorge, Graham…non lo so, qualcosa con la G, ad ogni modo. Studia per entrare in polizia, l’accademia è vicino l’università di Mycroft. Come ho fatto a non capirlo?”
Sherlock iniziò a muoversi in cerchio, assorto.
Si fermò solo quando si ritrovò una mano di John ferma davanti al viso.
“Vuoi ballare?” Gli chiese.
“Come, scusa?” domandò Sherlock, con un’espressione smarrita sul viso.
“Vuoi ballare?” ripeté John, pazientemente. “Le sue scarpe non sono adatte al ballo, ma le tue sì. Anzi, credo che siano la marca di calzature da ballo più cara di tutta l’Inghilterra.”  Spiegò, semplice. “Posso tramutare il mio premio da una chiacchierata dove faccio la parte del muto ad un ballo? Prometto che starò comunque zitto e buono.”
Sherlock rimase qualche attimo ad osservarlo, sul viso un misto di confusione e pensieri.
Poi diede un colpo secco con la mano contro la sua, scostandola.
“Non ho nessuna intenzione di ballare con te. Non ho nessuna intenzione di farmi vedere con te. Trovati qualcun altro con il quale provarci, la sala è piena di disperati che ballerebbero con te. Sparisci. Lasciamo solo.” Sibilò, velenoso.
Detto questo, salì di corsa le scale verso il piano di sopra e scomparve alla vista di John.
Circa venti secondi dopo, Tom e Paul lo raggiunsero, trovandolo ancora fermo nella stessa posizione, con la mano immobile a mezz’aria.
“Ora ho la conferma.” Disse lui, semplicemente, abbassando finalmente la mano.
“Non è sociopatico. È solo stronzo. Andiamo. Ho bisogno di una birra. E comunque – terminò tra sé e sé, avviandosi verso il tavolo degli alcolici - neanche il suo costume è poi così accurato. Scarpe da ballo! Un pirata!”
I due si scambiarono una rapida occhiata interrogativa, per poi seguirlo in silenzio.
 
John se ne stava seduto a terra, sulla terrazza, un bicchiere di birra vuoto accanto.
Non sentì la portafinestra aprirsi, e si accorse di non essere più solo solamente quando sentì qualcuno sedersi accanto a lui.
Lanciò un’occhiata furente in direzione dello sconosciuto, acuendola quando si accorse che si trattava di Sherlock.
“Cosa vuoi?” domandò, masticando le parole con rabbia.
“È ancora casa mia, fino a prova contraria.” Si limitò a rispondere lui.
“Ah, già.” Sbuffò John, le guance arrossate dal freddo e dal calore della birra.
“Ad ogni modo - cominciò, girandosi totalmente verso Sherlock – volevo solamente essere gentile! Se non riesci a distinguere un gesto di gentilezza da un approccio di tipo romantico, forse sei davvero un sociopatico come dicono.”
Desiderò rimangiarsi le ultime parole non appena prese coscienza che avevano abbandonato le sue labbra. Sherlock non parve farci caso.
Si limitò a guardarlo negli occhi per un po’, con espressione neutra.
“Vuoi ancora ballare?” chiese poi, di getto.
John socchiuse la bocca per la sorpresa.
“Beh io… sì, certo che sì.” Rispose, confuso.
“E sia, allora.” Sherlock si alzò e porse la mano a John per aiutarlo ad alzarsi.
“Se posso… come mai hai cambiato idea?” domandò lui, sistemandosi con un gesto automatico la camicia a righe bianche e rosse.
“Non sono il tipo che si rimangia la parola data. Avevamo detto che se avessi dedotto qualcosa avrei passato la serata con te. Quindi…” Allungò una mano verso John, che la guardò per qualche secondo con aria dubbiosa, prima di stringerla.
Sherlock lo portò al centro del terrazzo, mentre la musica filtrava lenta e attutita dall’interno della casa.
“Vuoi ballare qui?!” Domandò John, guardandosi attorno. Un vuoto, freddo, disabitato terrazzo.
“È un problema?” Chiese Sherlock, mettendosi in posizione di guida per un lento.
“Non amo le persone. E credo di essere ricambiato nel mio sentimento di disistima per il genere umano.” Spiegò, asciutto.
“Ok, va benissimo allora.” Tossicchiò John, non sapendo cosa dire.
Iniziarono a muoversi, lenti, John attento a seguire i movimenti di Sherlock senza sbagliare.
“Non sei male, come ballerino.” Gli disse Sherlock, dopo un po’.
Lui si limitò ad arrossire e a continuare a muoversi a tempo con il suo partner.
“Allora, ehm… cosa pensi di fare, da grande?” Buttò lì, per cercare di smorzare un silenzio che iniziava a pesargli particolarmente.
“Non avevi detto che saresti stato zitto?” Rispose Sherlock.
“Ah, giusto. Scusa.” John si schiarì la gola, e tacque.
“Voglio vivere delle mie deduzioni.” John alzò lo sguardo su di lui, e lo trovò intento a scrutare il cielo con aria seria.
“Wow, hai le idee chiare!” Disse, aspettando che l’altro gli rivolgesse la stessa domanda.
Quando capì che non sarebbe successo, prese di nuovo lui la parola: “Io ho intenzione di studiare medicina al Bart’s.”
“Carriera militare, quindi.” Rispose Sherlock, continuando a ballare e tenendo lo sguardo fisso in su.
“Sì, mi piacerebbe.” Confermò John, avvicinandosi un po’ di più al suo cavaliere per non perdere il ritmo.
“Sarai sicuramente un ottimo soldato. E un buon medico.” Sussurrò Sherlock, e a John sembrò che stesse parlando più con se stesso che con lui.
“Grazie. Lo… lo deduci da qualcosa?” Azzardò, sorridendo.
“Dalle tue mani.” Rispose Sherlock, sicuro. “Non tremano. Mai.”
All’interno la musica si fermò, ed anche loro smisero di ballare.
“Penso tu debba andare, adesso. I tuoi amici ti staranno cercando. Ed è tardi.”
Sherlock fece un passo indietro, staccandosi da John completamente.
“Sì, immagino di sì.” Commentò a mezza voce lui, alzando gli occhi sul viso dell’altro.
“È stato un piacere ballare con te, Sherlock.” Disse, dolce, aprendosi in un sorriso sincero.
“Piacere mio, John Watson. Passa una buona vita.”
Sherlock gli sorrise, velocemente, e l’idea di chiedergli come avesse saputo il suo nome scomparve in una bolla di stupore puro.
“Anche…anche tu.” Riuscì a dire, dopo un attimo di completo smarrimento. “E… Sorridi più spesso. Sei… ecco, carino, quando sorridi.”
John bloccò la smorfia di disgusto che stava nascendo sul volto di Sherlock con un piccolo rapido bacio all’angolo della bocca.
Dopo di che si girò e scomparve velocemente oltre la porta, sentendosi completamente avvampare.
 
Sherlock rimase immobile, e si portò due dita a sfiorare il punto esatto dove il calore delle labbra di John era ancora percepibile.
Non aveva dimestichezza con le emozioni (e non voleva averne, dopo aver visto a cosa avevano portato suo fratello), e pensò che il battito accelerato del cuore - che sembrava intenzionato ad esplodergli nel petto - fosse qualcosa dalla quale non potesse nascere niente di buono.
Prese quindi ogni ricordo di quella sera, di John, e andò a nasconderli nel posto più isolato del suo Mind Palace, chiudendoli a chiave.
 
Con gli anni, finì per dimenticarsene completamente.
 
 
 
 
 
“Mike, can I borrow your phone? There's no signal on mine.”
“And what's wrong with the landline?”
“I prefer to text.”
“Sorry, it's in my coat.”
“Er, here, use mine.”
“Oh, thank you.”

“This is an old friend of mine, John Watson.”
 
Una porta, nel Mind Palace di Sherlock Holmes, si schiuse.
 
 
Note:
la parley, o parlè, è una discussione tra parti opposte, o nemiche, per definire una tregua o altre questioni. Nel film “I pirati dei Caraibi” usano il termine quasi ad indicare un regolamento verbale di buona condotta tra pirati, e ho fatto finta che questa cosa sia “storicamente accurata.”
Diciamo che lo stupore di Sherlock dovrebbe essere dato da un pensiero tipo: “Ehi, accidenti, questo ragazzo conosce una cosa così particolare sui pirati come il parley, forse non è poi così idiota.” XD
Vabbè… niente, portate pazienza, non sto bene. XD
 
Angolo dell’autrice:
Questa storia ha poco senso, anzi nessuno. Ma mi piace immaginare Sherlock e John più giovani, e pensare a come le loro strade potrebbero essersi incrociate già prima dell’incontro “ufficiale”.
Tutto qui.
Al solito, grazie a chi è arrivato fin qui.
Adesso, probabilmente sul serio, saluterò il mio ruolo da scrittrice nel fandom.
Ho postato le tre storie che più premevano nella mia testa per uscire, e dalla prossima settimana tornerò a pieno regime a lavorare, studiare, governare la casa e accudire il resto della famiglia, quindi il tempo se non diminuirà drasticamente, è probabile che proprio si azzeri. Ma ho amato davvero tanto scrivere queste storie, e non vi ringrazierò mai abbastanza per tutti i commenti, le aggiunte tra i preferiti, i messaggi privati.
Grazie grazie e grazie.
 
Blablia
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Blablia87