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Autore: altraprospettiva    20/01/2016    2 recensioni
Un uomo incapace di soddisfare la propria moglie, paga un gigolò e finisce per innamorarsene.
La storia partecipa al contest ‪#‎clichéonreverse‬ di lilacj.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Buongiorno mattinieri! Oggi è il settantacinquesimo giorno che non piove e una cappa di smog ha inghiottito la città, i meteorologi stanno valutando…”
 
Fabio si allontanò dalla radio per andare ad accendere le luci del bar e iniziare a posare le tovaglie sui vari tavolini.
Fuori, come aveva detto lo speaker, la città era avvolta da una sorta di nebbia che non faceva filtrare neppure un filo di sole, il che aveva reso necessario l’accensione dell’illuminazione pubblica nonostante fossero le sei e mezzo del mattino.
Fabio accese la macchina per fare il caffè e sbuffò, non era certo questa vita che aveva immaginato quando era andato via di casa mandando al diavolo i suoi genitori.
Lui voleva diventare un poeta, un poeta maledetto per la precisione, dedito ai piaceri dell’alcool, delle droghe e della promiscuità sessuale. Ne aveva pure l’aspetto, con i suoi capelli neri, ricci e sempre fuori posto, con la carnagione chiara e gli occhi blu profondi che sembravano nascondere una certa sofferenza.
Ma per condurre quella vita ci volevano i soldi, e dopo qualche anno a fare il gigolò e a prostituirsi, Fabio smise con le droghe e si trasferì in un piccolo paese, dove le spese sarebbero state minori. Trovò lavoro nel bar e iniziò a viverci, pagando una miseria per un materasso accanto alle casse di birra nello scantinato.
Così poteva farsi un goccetto ogni tanto, poteva conoscere una marea di gente, magari per portarsela a letto e riuscire a dormire ogni tanto tra delle pareti domestiche, e poteva mettere di lato qualcosa.
Fabio non aveva però ancora capito come funzionava il mondo esterno, inseguendo il suo sogno di poeta, spendeva, ogni volta che aveva la possibilità, tutto quello che aveva in autopubblicazioni che non gli fruttavano nulla se non delusioni.
Il primo caffè del mattino inondò il bar con la sua fragranza e il cameriere lo bevve pur sapendo che sarebbe stato superconcentrato.
Avrebbe aperto, come ogni giorno, alle sette meno un quarto, quando sarebbe arrivato il padrone del bar, Damiano, per controllare che tutto fosse al suo posto e alle sette sarebbe arrivata la prima ondata di clienti: i lavoratori della fabbrica del piombo che si trovava a circa mezzo chilometro dal bar.
Tirò fuori dalla tasca il taccuino delle ordinazioni e lo capovolse per scriverci su, un modo economico che aveva trovato per poter appuntare i suoi pensieri, da un lato ci stavano caffè, cappuccini e brioches, dall’altro farneticazioni e pensieri sciolti di un povero ventottenne.
 
È tutto grigio qui intorno,
è silenzioso e vuoto,
ma non trovo spazio per ascoltare la mia mente.
 
Sorrise. Non correggeva mai le sue bozze, pensava che quando la vena poetica scorreva dentro di lui non doveva essere interrotta -cosa che gli costava, a volte, ritardi nel prendere le ordinazioni e quindi di conseguenza dei richiami- né riveduta.
Avrebbe dovuto scrivere altre cinque poesie entro la sera, magari meno ermetiche.
Aveva convinto Damiano a fare “La serata dei talent”. Ogni primo mercoledì del mese ogni persona poteva mostrare il suo talento su un palco allestito nella parte più ampia del bar, che poteva essere suonare la chitarra, raccontare barzellette o manovrare burattini.
Fabio leggeva sempre qualche sua poesia, era rimasta la maniera più economica per poter riuscire a farsi conoscere e quindi mettere da parte qualche spicciolo per non mangiare la solita tavola calda che rimaneva lì al bar.
Lui non voleva essere ricco, no, non avrebbe rispettato in pieno il suo sogno di “maledetto”, ma voleva essere conosciuto, voleva che le persone parlassero della sua poetica, dei suoi versi che facevano rabbrividire, sognare, innamorare.
Ma ogni qual volta leggeva un suo scritto, le persone erano più interessate a fare conversazione tra di loro.
Persino Matteo, il ragazzo che si esibiva regolarmente come ventriloquo, e che per Fabio era una vera frana poiché gli vedeva chiaramente le labbra muoversi, riusciva ad avere più attenzione del pubblico rispetto a lui.
 
Siamo soli,
fiamme senza spirito,
in cerca di segni nascosti,
nella speranza di trovare nello sguardo di qualcuno
il significato della vita.
 
«Fabio! C’è già la fila per i caffè, vuoi darti una mossa?» Damiano era paonazzo, si chiedeva al solito perché avesse assunto un cameriere che stava con la testa più in aria che in terra, ma quando pensava che quel ragazzo era disposto a dormire sopra il buco nel sotterraneo dal quale fuoriuscivano i topi, qualcosa gli stringeva il cuore e non riusciva a licenziarlo.
In fin dei conti, riusciva bene nel suo lavoro quando non era distratto, in quattro minuti era riuscito a prendere le ordinazioni di tutti quanti, aveva già preparato i french toast e il bacon per i clienti abitudinari e aveva sintonizzato la radio sulle notizie del giorno.
Era bravo con i clienti, chiedeva sempre qualcosa, non per essere invadente, ma perché sinceramente interessato e conosceva tutti per nome, il che li faceva sentire come a casa loro.
No, Damiano non era un tipo che avrebbe perso tempo per sapere se il cane del signor Taldeitali si fosse ripreso o a ricordare che il signor Vattelapesca voleva sempre aggiunto un goccio di bourbon nel caffè nonostante fossero le sette e un quarto del mattino, Fabio, pur se annoiava i clienti con quelle sue cosiddette poesie, era una manna dal cielo.
Soprattutto per quello che lo pagava.
Tra il fatto che gli dava alloggio e gli permetteva di mangiare la tavola calda, la paga di Fabio consisteva più nelle mance che riceveva che in quello che gli dava Damiano.
Ma Fabio non si lamentava, perché non aveva altre scelte.
 
Per qualche strano motivo quella sera aveva deciso di cambiare repertorio, niente di troppo esistenzialista per quella volta, avrebbe scritto d’amore, ciò di cui tutte le persone volevano sentire parlare.
Avrebbe scritto dell’unica volta in cui si era innamorato, di quell’uomo, delle palpitazioni, di tutto ciò che avrebbe voluto fare e non aveva potuto perché non era quell’amore di cui voleva sentir parlare la gente.
Quando lo videro salire sul palco, i gruppetti di persone smisero di guardare in quella direzione e presero a parlare o a giocare a carte.
Conoscevano quello squattrinato, sapevano che le sue poesie non erano altro che un lamento, un insieme di parole senza significato.
Fabio era salito sul palco ed era stato in silenzio per parecchio tempo, voleva l’attenzione di tutti e sapeva che in quel modo l’avrebbe ottenuta perché li avrebbe incuriositi.
Non appena ricevette lo sguardo di qualcuno e una frecciatina da Damiano iniziò a leggere.
 
 
Non ti vedo da anni,
ma è come se fossi sempre con me,
caldo,
bellissimo,
mi innamorai di te sin dal primo istante,
sapevo che se ci fossimo intrecciati
tutto il caos dentro di  me sarebbe svanito.
Bramavo ogni tuo tocco,
e il mio desiderio per te cresceva al tuo solo pensiero,
mi sarei potuto saziare dei tuoi respiri se mi avessi dato la possibilità di farlo.
Le fiamme dell’inferno che avrebbero purgato il mio peccato,
sarebbero sicuramente state meno ardenti dei nostri baci.
Ma andasti via prima che io potessi farti mio.
Avrei almeno voluto sentire il tuo respiro sulla mia pelle.
 
La platea rimase in silenzio. Ecco, finalmente aveva parlato una lingua a loro comprensibile, aveva parlato di amore, ma c’era una nota stonata in tutto ciò e quell’attrito provocò un brusio tra le persone. Si sentivano mormorare le parole “mio”, “bellissimo”. Ci doveva essere sicuramente un errore.
Fabio scese dal palco, aveva bevuto un poco per trovare il coraggio di leggere quelle strofe.
Il tempo che arrivò al bancone Damiano si avvicinò furioso a lui.
«Appena il bar chiuderà, io e te dobbiamo parlare. Stavolta l’hai fatta grossa» gli disse l’uomo diventando rosso in viso.
Fabio servì i tavoli per tutta la sera, come aveva sempre fatto, ma stavolta qualcuno si degnò di guardarlo o di indicarlo e ognuno aveva un sorriso beffardo in viso.
E quando la saracinesca si abbassò Damiano scoppiò d’ira.
 
«Cosa era? Non voglio dichiarazioni di amore tra un uomo e un altro uomo, lo sai che mi puoi costare la clientela? Qui siamo tutti gente di chiesa, gente normale, che sa che un uomo va con le donne e basta. I patti erano questi quando ti ho assunto. Niente farneticazioni, niente droghe e niente rapporti al di fuori di ciò che vuole madre natura. Quindi dimmi, sei frocio?» lo chiese quasi senza prendere respiro.
«No» rispose pacatamente l’altro.
«No? E allora cos’era quella roba che hai recitato sul palco».
«Una provocazione, ma anche una dichiarazione».
«Ah, una provocazione. Lo sai che questa provocazione ti costerà il lavoro? Non voglio froci nel mio bar!»
«Ti ho detto che non lo sono».
«E perché dovrei crederti? Hai detto che è pure una dichiarazione! Per la prima volta in vita tua leggi qualcosa di comprensibile a tutti, è ovvio che è qualcosa che sentivi veramente».
«Sì, ogni cosa che scrivo è qualcosa che sento, ma questo non fa di me un frocio».
«E allora che saresti?»
«Sono bisessuale».
Damiano boccheggiò, quella risposta lo aveva lasciato completamente senza parole, come aveva potuto assumere quell’essere senza accorgersi della sua natura perversa? Bisessuale poi, cosa significava di preciso?
«Cosa vuol dire bisessuale? Che sei confuso?»
«No, so perfettamente che voglio, mi piacciono gli uomini e mi piacciono le donne, ma mi sono innamorato solamente di un uomo».
«E questa è l’ultima conversazione che facciamo noi due, scendi nello scantinato, prendi la tua roba e non farti vedere mai più».
«Ma questo lavoro mi serve, non ho fatto mai nulla di sbagliato fino ad ora».
«Oramai ti sei esposto, tutti ti hanno sentito».
«Ti prego, dammi un paio di giorni, il tempo di escogitare qualcosa».
 
E cosa avrebbe potuto escogitare? Sarebbe dovuto andare via, oramai nessuno in paese l’avrebbe assunto, così preso dalla disperazione inviò una copia delle sue poesie alla solita casa editrice, scoprendo con sollievo che almeno non avrebbe dovuto pagare.
Damiano non ebbe cuore di mandarlo via, ricordava ancora come era malnutrito quando era arrivato nel suo bar e la puzza di alcol che faceva, era sicuro che avrebbe fatto la stessa fine, ma non poteva neppure tenerlo nello scantinato a lungo, non senza farlo pagare e lavorare.
Fabio aveva ottenuto il permesso di stare nello scantinato per un paio di settimane, aveva detto che doveva contattare vecchi amici. In cambio puliva il bar appena veniva chiuso, continuava a tenere lontani i topi dormendo con il materasso sulla buca e trasportava le casse di birra al piano superiore.
I suoi occhi iniziarono a vedere solo la luce artificiale, le sue orecchie cominciarono a sentire solo un vociare confuso e le sue papille gustative erano contente di mangiare anche la panna della torta andata a male.
La verità è che non sapeva cosa fare. Sarebbe dovuto partire e cercare un altro paese dove alloggiare, ma i soldi che aveva erano troppo pochi e non sapeva come fare per procurarsene altri.
Aveva cercato di convincere Damiano a dargli un’altra possibilità, ma gli era sstato risposto che era abbastanza che avesse di che mangiare e dove dormire.
In realtà è che voleva stare un’altra settimana, un’ultima, perché sentiva che il manoscritto che aveva inviato stavolta valeva qualcosa, e il recapito era quel bar.
Poi, se non avesse ricevuto alcuna risposta, sarebbe partito, prima a piedi, poi facendo l’autostop e avrebbe ricominciato tutto da capo.
Era immerso in un sogno dall’odore di birra e di piscio, quando venne svegliato da Damiano.
L’uomo non si prese neppure la briga di scendere le scale, urlò a pieni polmoni: «C’è una visita per te!»
E Fabio si stropicciò gli occhi e si grattò la fronte. Una visita? Chi mai avrebbe potuto fargli visita? Non ebbe neanche il tempo di chiederselo che vide l’uomo scendere le scale di legno.
Gli occhi azzurri, i capelli lisci e biondi ordinati, e fu un tuffo nel passato.
 
Si vergognò del suo aspetto. Quando lavorava al bar aveva sempre la barba sistemata e Damiano gli tagliava sempre i capelli. Un giorno gli aveva detto: «Non vorrei che se ti vedessero con i capelli lunghi pensassero che tu sia...» si era toccato un orecchio e gli aveva fatto un sorriso d'intesa.
Adesso che la sua vita era nello scantinato, si lavava raramente, non si sbarbava più e aveva trovato più soddisfacente spendere gli ultimi risparmi in alcool che in cibo o vestiario.
Leo dal canto suo era perfettamente sbarbato, indossava un cappotto di ottima fattura su un vestito costoso e aveva un profumo talmente forte da coprire il puzzo della toilette. Era la visione di un angelo sceso in terra o di un principe azzurro. Mentre Fabio si sentiva il peggior Cenerentolo al mondo.
«Fabio» disse l'uomo con tono deciso «Seguimi, ho importanti notizie per te».
Cosa avrebbe mai potuto volere quell'uomo da lui? Come aveva fatto a trovarlo? Fabio prese la sua lurida borsa da terra, dentro la quale c'erano le ultime bozze che aveva scritto e seguì l'altro uomo senza fare domande. Damiano li guardò meravigliato andare via, mentre posava i soldi che quell'uomo dall'aria elegante gli aveva generosamente donato, quando il proprietario del bar aveva chiesto con enfasi: 'Chi? Quello sfaticato che mi deve quattrocento euro?'. A ben pensarci avrebbe potuto chiedere di più, vista la facilità con cui aveva ottenuto i soldi.
Fabio seguì l’uomo fino ad un’elegante appartamento, entrambi rimasero in silenzio lungo tutta la strada.
«È il caso che tu ti dia una lavata, che ti cambi, c’è una persona che ti aspetta» disse Leo senza neppure guardarlo.
A Fabio si spezzò il cuore. Aveva smesso di fare il gigolò perché per giorni e giorni aveva sognato di svegliarsi accanto a quell’uomo e ora che lo aveva di nuovo davanti non stava esaudendo le sue aspettative.
«Ho smesso di fare…quello che facevo» disse quasi brusco.
«Questo non vuol dire che tu non abbia bisogno di lavarti e mangiare, fa come fossi a casa tua. Lì c’è il bagno, troverai tutto l’occorrente necessario, anche i vestiti».
Sembrava distaccato, non voleva neanche un contatto visivo, continuava a guardare al di là delle montagne che si vedevano dalle finestre.
Fabio deglutì, era deluso, avrebbe voluto saltargli addosso, farlo suo, morderlo di baci, mentre quell’uomo sembrava non mostrare alcun interesse. Così, senza sapere quanto si stesse sbagliando su quest’ultima affermazione, andò nel bagno e riempì la vasca di acqua calda.
Si spogliò lentamente, senza sapere di essere osservato e si immerse lasciando che il tepore e il sapone portassero via i pensieri e gli strati di sporcizia.
Migliaia di domande gli frullavano per la testa.
Dopo essersi asciugato, vestito e sbarbato, notò le guance infossate, le occhiaie e il pallidume che lo facevano sembrare molto più vecchio.
 
Leo lo stava aspettando seduto su una poltrona. Teneva la pipa spenta penzolante da un angolo della bocca e leggeva distrattamente il giornale.
Non appena vide l’ospite entrare nella stanza posò tutto e si alzò.
«Cosa gradisci? Vuoi da mangiare, da bere?»
«A dire il vero…per prima cosa vorrei parlare» disse Fabio.
Aveva le budella attorcigliate ma non sapeva se dalla troppa fame o dalla troppa eccitazione.
«Certo, ti starai chiedendo che ci faccio qui».
«Questa è solo una delle domande».
«Facciamo così, leviamo prima qualche sassolino dalle scarpe» disse il biondo «Nadia!».
Una bambina di circa tre anni entrò dentro la stanza. Aveva i capelli neri e gli occhi blu profondi.
Se Fabio non fosse stato abbastanza pallido lo sarebbe diventato ancora di più, quella bambina gli assomigliava in una maniera incredibile.
«Nadia, saluta il signore e vai a guardare la tv».
La bambina si avvicinò titubante allo sconosciuto, fece ciao ciao con la mano e corse a sedersi sul divano poco distante da loro per guardare i cartoni animati.

Fabio rimase in silenzio per un attimo poi sbottò: «Quindi pretendi di riapparire, dopo anni, e senza darmi un spiegazione su… lei» lo sguardo di Fabio si focalizzò sulla bambina che, sul tappeto, era intenta a guardare la tv nel totale silenzio.
Leo abbassò lo sguardo sentendosi un po’ in colpa. «Mi dispiace, ma ho avuto le mie ragioni se…» sospirò pesantemente «Se ho deciso di andare via».

«Non hai solo deciso di andare via, mi hai lasciato su un marciapiede come un barbone, ho smesso di lavorare da quel giorno, ero distrutto, non ero più in grado di fare nulla. Tu avevi acceso qualcosa nella mia vita e nella stessa sera ti sei portato quel qualcosa con il resto di tutta la luce che avevo dentro» Fabio si passò una mano tra i capelli «E ora ti presenti così, come se fosse la cosa più naturale del mondo e…e…è mia figlia, vero?».
La bambina, del tutto assorta dai cartoni animati, non fece caso al dialogo tra i due.
Leo annuì con la testa, poi prese delicatamente per un braccio l’altro uomo e lo accompagnò nell’altra stanza.
«Lo sai come la pensa gente di questo posto, sono tutti bigotti, non avrei mai potuto avere una storia con te, non fin quando non sarei riuscito ad avere abbastanza soldi da poter chiudere la bocca a tutti quanti. Nessuno adesso si permetterebbe di sparlare alle mie spalle, sono il proprietario della fabbrica di piombo e con più di metà della cittadina alle mie dipendenze, nessuno vuole perdere il lavoro in tempi come questi» iniziò a dire.
«Quando ho visto lei, con i suoi capelli ricci e neri, con persino la voglia a forma di goccia sotto il lobo sinistro, ho capito che era arrivato il momento di tornare da te.
In realtà non avevo neppure io una spiegazione a tutto ciò, come fa questa bambina di tre anni, che si suppone essere mia figlia, assomigliare in tutto e per tutto a te?
Perché anche i nostri parenti si sono domandati da dove provenisse questa diafana bellezza, i bambini di tre anni dovrebbero essere paffuti e con le guance rosee, non lattei e con l’aria vissuta. Abbiamo provato a far finta di nulla ma alla fine, se ci ragioni, la risposta è semplice, sta nell’assenzio».
In un attimo tutto fu chiaro per Fabio, era pure la spiegazione più logica, anzi l’unica.

La sera dell’assenzio, la sera in cui Leo l’aveva invitato a casa sua per fargli assaggiare la migliore coca che ci fosse in circolazione. Nonostante Fabio lavorasse ancora come gigolò, quella sera era salito spontaneamente e senza chiedere soldi nell’appartamento di quell’uomo dall’aspetto algido e composto.
C’era qualcosa in quegli occhi di ghiaccio e quel naso dritto che gli facevano chiedere come sarebbe stato vedere le natiche di quell’uomo aprirsi per accoglierlo, quale sarebbe stato l’odore che avrebbe emanato durante il sesso, se si fosse scomposto urlando o avrebbe goduto in silenzio.
Eppure quando era arrivato nell’appartamento aveva trovato una donna intenta a fumare una sigaretta da un lungo bocchino che li aspettava. Era alta, magra e con un corto taglio di capelli neri.
La donna aveva versato dell’assenzio in dei flûte di cristallo e aveva squadrato per bene il ragazzo.
«Mi piace» aveva detto al marito con un accento francese «Hai scelto bene» aveva continuato come se l’ospite non fosse presente.
Era bella, con dei grandi occhi verdi e la pelle liscia come la porcellana. Se non fosse stato presente l’altro uomo Fabio l’avrebbe desiderata parecchio, l’avrebbe corteggiata e sarebbe stato lusingato dal poter finire tra le gambe di quella donna. Ma c’era qualcosa nel marito di quella donna che l’attraeva più di lei.
Avevano brindato, Fabio lo aveva fatto con automatismo chiedendosi cosa ci facesse lì, e mentre si chiedeva se in realtà fosse stato adescato per un ménage a trois, cosa che spesso gli capitava, si accorse che la cosa lo lasciava deluso perché desiderava solo avere lui. E aveva bevuto tutto d’un fiato l’alcolico, trovandosi senza poter respirare per alcuni secondi e con tutto il corpo in fiamme.
La donna si era messa a ridere e da lì i ricordi si facevano confusi. Avevano bevuto ancora, questo era certo e avevano diviso della finissima polvere bianca per poterla aspirare con biglietti da cento. Fabio non ricordava neppure se ci fosse musica o di che colore fossero le pareti.
Eppure lui era uno che faceva caso a queste cose, era attento ad ogni dettaglio, soprattutto quando si trovava a casa di persone facoltose, perché immaginava come sarebbe stata la vita da ricchi e immortalava nella sua mente ogni frammento dell’ambiente circostante.
«Sei per mia moglie» gli aveva spiegato l’uomo mentre erano al terzo bicchiere di assenzio.
Era bastata una frase per spezzare le fantasie del giovane che aveva ormai nelle narici l’odore dell’altro uomo.
«Sarai pagato bene, dipende tutto da come ti comporterai».
Fabio stava per buttare giù un altro bicchiere, ormai aveva la gola quasi ulcerata, ma la donna gli aveva fermato la mano.
«Non fare il biricchino» aveva detto «Sei giovane, ma vorrei che ti si alzasse senza problemi».
Aveva riso in maniera finta e si era inginocchiata fino ad arrivare vicino alla cinta del giovane, con estrema lentezza aveva levato la cintura, all’epoca di buona fattura, e chiedeva con voce da bambina quanto grande sarebbe stato il suo regalo.
Fabio aveva guardato per tutto il tempo l’altro uomo che era rimasto appoggiato al camino mentre stava ad osservare uno sconosciuto possedere sua moglie.
Non gli era sembrato geloso ma neppure eccitato, sembrava stesse osservando una normale mansione quotidiana, come due persone che prendevano il tè insieme, come se fosse abituato a vedere sua moglie con altri.
Poi l’aveva guardato, i loro occhi erano rimasti incatenati per lungo tempo e per Fabio fu come se al posto di quei seni ci fossero stati i pettorali dell’uomo e di colpo aveva girato la donna entrando dove dicono che per natura non si dovrebbe.
Fu quello l’ultimo ricordo che Fabio aveva di quella notte ed era per questo motivo che si chiedeva come fosse possibile la nascita di una bambina.
 
«Lo so che ti stai chiedendo come sia possibile tutto ciò, non credo che tu ricordi per bene ciò che è successo quella notte, ma io sì, perché fu la prima volta in cui non ho potuto negare la mia natura. Fino a quel momento avevo sempre ignorato tutto, avevo fatto finta che la difficoltà che avevo nel soddisfare mia moglie fosse un mio problema, magari dovuto allo stress per il lavoro, ma quando ti vidi non potei ignorare la scarica che percorse il mio corpo» disse Leo. «Tu avevi risvegliato dentro di me il mio vero essere e per quanto desiderassi aggiungermi a voi due quella notte, rimasi in disparte per rendere meno impossibile il mio distacco da te.
Annalaura godette parecchio, erano anni che un uomo non le procurava simili piaceri, non eri mica il primo che le pagavo, era un piccolo compromesso per far funzionare il mio matrimonio, ma tu ti scatenasti. Lei non lo notò che per tutto il tempo tu fissasti me, mentre io mi sentivo come se tu fossi dentro di me e non dentro mia moglie.
È stato per questo che ho dovuto abbandonarti sul marciapiede. Un gesto meschino e disperato, perché se ti avessi lasciato dormire nel letto con noi, come aveva suggerito Annalaura, avrei rischiato di addormentarmi accanto a te e di non avere la forza di lasciarti andare».
Fece una pausa e poi prese qualcosa da un cassetto, una busta da lettere e la consegnò a Fabio.
«Te la scrissi quella sera» disse porgendola all’altro che la lesse silenziosamente.
 
Non ho voluto neppure chiederti il nome per paura, anche io ho sentito quello che hai sentito tu, ma io non posso permettermi di lasciarmi andare a certi sentimenti, ho una reputazione, ho dei soldi, ho una moglie.
Quando ti ho visto per strada qualcosa mi ha detto che saresti stato l’uomo perfetto per lei, che finalmente sarebbe stata soddisfatta, perché per me è sempre difficile poterlo fare.
Quel che non potevo immaginare era quanto tu saresti stato l’uomo perfetto per me.
Non mi sono unito a voi per paura di non riuscire più a distaccarmi da te.
In un altro universo forse avremmo potuto amarci, ma qui nessuno capirebbe e chi potrebbe capirci si nasconde dietro maschere di ipocrisia come il mio matrimonio.
Ti auguro una buona vita.
L.
 
Quella lettera era ormai gialla e sgualcita, la grafia, ordinata e frettolosa, era quasi illeggibile. Leo aveva conservato quella lettera per tutti quegli anni, avrebbe voluto aggiungerla alle banconote, ma quando abbandonò quell’uomo sul marciapiede, dopo avergli lasciato un morbido bacio sulle labbra accertandosi che nessuno fosse a guardare, aveva deciso che era meglio non lasciare alcuna traccia di sé e dimenticare l’accaduto.
Fabio si sciolse, era più bella di tutte le poesie che avrebbe mai potuto scrivere, eppure c’erano dubbi che gli turbinavano in testa.
 
«Come hai fatto a trovarmi? Non sapevi il mio nome e io, dopo che tu sei scomparso e che non sono più riuscito a rintracciarti sono finito in questo paese sperduto nel mondo».
«Te l’ho detto, sono ricco adesso e ho i miei mezzi, ma diciamo che il destino ci ha messo lo zampino. Quello che è successo ti sorprenderà». Fece una pausa, come per aumentare la suspense. «Nadia non ha sempre avuto quella voglia. Il giorno in cui le è comparsa, quando aveva circa un anno, sua madre è venuta da me preoccupata, chiedendomi se fosse il caso di farla vedere da un medico».
Fabio restò in silenzio ad ascoltare quell’uomo e non gli sfuggì il fatto che avesse detto “sua madre” e non “mia moglie”, come se quella donna fosse solo la cornice della sua famiglia e non parte di essa.
«È strano che lei non abbia collegato le due cose, non trovi? In fondo era con lei che tu avevi scopato, eppure non appena io la vidi ricordai nettamente la tua voglia sotto il lobo e non potei fare a meno di sorridere.
Quel giorno presi decisioni molto alla leggera, avevo la testa altrove e preso dall’euforia comprai pure una piccola casa editrice che, nonostante facesse pagare per pubblicare, era in bancarotta.
Il caso volle che due anni dopo un poeta mi inviasse il suo manoscritto, ma io ovviamente non ero l’addetto alle stampe, erano altri che si occupavano di questi affari, ma uno dei miei dipendenti mi portò questo plico di fogli. La casa editrice ormai era diventata non più a pagamento e il mio dipendente mi illustrò il caso di questo poetucolo, come lo definì lui, che per anni era stato il maggior finanziatore della precedente direzione. Voleva sapere come comportarsi, sapeva che sarebbe stato meglio rifiutare quello che per anni aveva venduto al massimo una decina di copie, ma l’ultima decisione toccava a me.
Il plico stette sul tavolo per parecchi giorni fin quando un foglio non cadde per terra e mi mostrò la foto dell’autore, quella che sarebbe spuntata sulla quarta copertina.
Eccoti lì, con quello sguardo puntato all’orizzonte, la sigaretta spenta penzolante da un lato e l’aria da deficiente. Era l’immagine più bella che avessi mai visto in vita mia.
Ti avevo ritrovato e non c’era niente di più bello che sarebbe potuto succedermi.
Mi sono procurato ogni tuo libro e ciascuno l’ho letto e riletto, fino a quando non ho capito che sarei dovuto venire a trovarti. Ho supposto che qui avessi una casa, un qualcosa che non avresti potuto lasciare e quindi decisi prima di venire, di trovare un modo per avere una certa reputazione, così comprai la fabbrica» sospirò «Era arrivato il momento giusto per potere stare con te, finalmente, dopo tre anni e quindi eccomi qui» disse aprendo le braccia come ad accoglierlo. «Se mi vuoi ovviamente»
Era di fronte a lui, bellissimo, come lo aveva immaginato quando aveva scritto quella poesia.
«E la bambina?»
«Con Annalaura non abbiamo litigato, ognuno di noi ha scelto la propria strada, la bambina crescerà con noi tre. Annalaura si trasferirà qui a giorni, lei ormai si diverte con altri uomini, io non vedevo l’ora di vederti. Porteremo un po’ di cambiamenti in questo posto, te l’ho detto che ho aspettato il giorno in cui avrei avuto abbastanza soldi da poter zittire tutta la popolazione, nessuno sparlerà di noi, possiamo essere felici qui».
«Io…non sono legato a questo posto».
«E allora possiamo andare in un’altra città, possiamo fare tutto quello che vuoi, sono qui per te. Vuoi girare il mondo? Lo gireremo. Dimmi solo che mi vuoi».
Fabio annuì, aveva sognato quella scena migliaia di volte, pensando che non sarebbe mai potuta accadere.
Si avvicinò a Leo e gli lasciò un leggero bacio sulle labbra.
«Al momento, l’unico posto dove voglio stare è tra le tue braccia» sussurrò.
Andarono in camera da letto, mentre Leo diceva a una delle cameriere di occuparsi di Nadia.
Fabio si distese sul letto e tirò delicatamente Leo per la cravatta. Poi fu meglio di tutto quello che aveva immaginato.
 
Qualche ora dopo Fabio si svegliò per i morsi della fame, stavano dormendo a cucchiaio con Leo. Vedeva i suoi biondi e sottili capelli sollevarsi ogni volta che respirava. Gli sembrava di essere in un sogno.
In un attimo Leo si girò ribaltando la situazione, gli mise le braccia attorno ai fianchi e il suo mento appoggiato alla spalla.
E Fabio poté finalmente sentire il suo respiro sulla sua pelle.
 
 
 
 
  
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