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Autore: Magnusisonfire    20/01/2016    2 recensioni
Kyungsoo non era certo bravo ad esprimere le emozioni come tutti gli altri ragazzi, ma il suo metodo era il più efficace.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: D.O., D.O., Kai, Kai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kyungsoo alzò lo sguardo verso il suo tutore, come a dirgli di smetterla di disturbarlo, per poi tornare a concentrarsi sul suo disegno.
JongIn era al terzo anno di università e amava la psicologia. Gli piaceva stare a contatto con persone come Kyungsoo e riuscire a capire cosa provasse la gente, quando neanche loro riuscivano a capirlo. Gli piaceva il modo in cui lo zio –ormai deceduto –, anche lui psicologo, riusciva a risolvere in modo così facile e convincente i problemi altrui. JongIn al liceo soffrì di svariati problemi d’autostima e sarebbe stato bello se qualcuno l’avesse compreso senza che facesse qualcosa per mettere in mostra i suoi problemi, come fanno di solito gli adolescenti.
Aveva bisogno di qualcuno che gli regalasse un sorriso, ma ora gli piaceva l’idea di essere lui a regalare un sorriso ai ragazzi del centro per autistici in cui gli era stato offerto uno stage.
“Kyungsoo, cosa stai disegnando?” chiese gentilmente il tutore, andandosi a sedere a gambe incrociate affianco al diciassettenne.
“Un paesaggio” rispose lui, come se fosse ovvio.
“L’hai già visto e lo stai riproducendo o l’hai inventato tu?” chiese ancora JongIn. Mentre stava con lui cercava di parlare con cautela, come si fa di solito con i bambini per farsi comprendere.
“L’ho visto in un sogno” rispose Kyungsoo, per poi prendere i pochi pastelli che aveva e disporli in ordine alfabetico.
JongIn lo osservò in silenzio. Arancione, azzurro, blu, giallo, rosa, rosso e verde. Era un’abitudine di Kyungsoo farlo, perché sosteneva che se i colori fossero stati in ordine ed equilibrati, lo sarebbe stato anche il disegno.
Il paesaggio era formato da un’enorme distesa d’erba, ancora fresca di rugiada, ed un unico albero su cui da un ramo pendeva un’altalena di legno. Sembrava una scena abbastanza serena ed allegra. Quello doveva essere l’umore di Kyungsoo quel giorno. JongIn sorrise. Era facile capire quando il diciassettenne era triste o arrabbiato, perché si limitava a non parlare o a gridare quando il tutore provava ad avvicinarsi o a rivolgergli la parola. Era più difficile riuscire a capire come esprimesse la felicità e l’amore. Prima di entrare in quel centro, il padre di Kyungsoo affermò che il figlio non gli aveva mai detto di volergli bene. Sicuramente gliene voleva, visto che JongIn scoprì che il signor Do era molto presente nella vita dell’unico figlio, ma non era mai riuscito a capire cosa gli frullasse in testa. Il primo giorno al centro, Kyungsoo gridò per tutto il tempo, nonostante già conoscesse le foto del posto. Gli autistici non sopportano i luoghi nuovi. Trovano pace nelle abitudini.
Il rapporto tra il tutore ed il ragazzo migliorò, fino ad andare benissimo, e spesso Kyungsoo gli parlava di sé o dei suoi amici, i suoi unici due amici, ma non ne specificava mai il nome o se fossero autistici come lui. Il loro rapporto sarebbe andato più che bene, se solo JongIn non si fosse innamorato di lui.
Sembrava impossibile, ma una volta che il tutore ebbe imparato a conoscerlo, a capirlo, e in rari casi a regalargli un sorriso, era sempre più sicuro di essere innamorato di lui. E se n’era innamorato perdutamente.
Ricorda di quella volta in cui Kyungsoo doveva andare ad accorciarsi la frangia, che gli ricadeva spesso sugli occhi, e JongIn, nonostante gli piacesse sistemargli i capelli sulla fronte, dovette arrivare il momento di portarlo da un barbiere. L’altro si rifiutò, ma al posto di gridare andò dietro la schiena del più grande, come a volersi nascondere. Alla fine fu JongIn stesso ad accorciargli la frangia, anche se sapeva bene che avrebbe dovuto insistere e non cedere.
“Sei bravo a disegnare” fece il tutore, allungando una mano per prendere un pastello. Kyungsoo prima arrossì, poi si affrettò ad allontanare la mano dell’altro. Le loro dita si sfiorarono e le lasciarono sospese in quella posizione. I loro sguardi s’incrociarono.
Kyungsoo ritirò la mano, ma solo per passare a JongIn il pastello verde. Quest’ultimo si sorprese: il più piccolo non l’aveva mai fatto e non aveva neanche mai alterato una delle sue routine, come non gli piaceva che la gente lo toccasse o che toccassero la sua roba.
Il ragazzo riprese a colorare, lasciando un JongIn felice a guardarlo come se fosse la più bella e interessante delle creature. Il più piccolo se ne accorse, ma non disse nulla.

****

Due settimane dopo, JongIn non aveva voglia di andare allo stage. Non aveva voglia di fare niente. L’unica cosa che lo spinse ad andare al centro fu il pensiero di un altro tutore con Kyungsoo, o meglio, l’idea di Kyungsoo che disegnasse o semplicemente fosse se stesso con un’altra persona che non fosse lui.
Salutò il capo, mostrando il suo miglior sorriso falso e raggiunse il suo diciassettenne preferito.
Kyungsoo era piegato su un ennesimo foglio da disegno. Appena si accorse del tutore piegò il foglio in fretta e lo nascose fra le pagine del libro che stava leggendo. Un thriller che gli aveva regalato JongIn.
Il più piccolo fece per accennare un sorriso, ma quando vide l’espressione stanca dell’altro mentre si sedeva di fronte a lui, aggrottò la fronte. ‘Forse non è felice di vedermi?’ pensò.
“Cos’hai?” chiese allora.
Il più grande ci pensò. Tanto valeva dirglielo. “Un mio amico d’infanzia è scappato di casa, nessuno sa dove sia.”
“Perché è scappato?” chiese ancora Kyungsoo.
“Non ne ho idea” rispose. “Ormai non so più cosa passi per la testa a Sehun.”
JongIn si prese la testa fra le mani e si lasciò andare per qualche secondo. Sapeva di trovarsi lì per fare esperienza lavorativa, ma era pur sempre un essere umano e si poteva permettere un attimo di malinconia, no?
Kyungsoo lo guardò non sapendo come comportarsi. Era abituato ad essere consolato, e non si era mai sentito in grado di far sorridere qualcuno quanto il suo tutore. Prese il disegno che era incastrato fra le pagine del libro e glielo porse. JongIn lo aprì piano, confuso. La matita segnava i contorni di due ragazzi che si abbracciavano, e a JongIn venne spontaneo sorridere. Kyungsoo non era certo bravo ad esprimere le emozioni come tutti gli altri ragazzi, ma il suo metodo era il più efficace.
Il più grande lasciò il disegno a terra, per poi attirare l’altro a sé e circondarlo con le braccia. Se lo strinse al petto, facendo spalancare gli occhi del più piccolo, che tenne le mani sull’ampio petto del tutore senza opporsi.
“Sii sempre felice della tua vita, ‘Soo” mormorò JongIn.
L’altro annuì piano, poi chiuse gli occhi e si lasciò proteggere dalle forti braccia del più grande.

****

“Oggi usciamo!” esclamò JongIn felice. Kyungsoo non sembrava essere entusiasta quanto lui. Odiava i posti nuovi.
“Tuo padre ha firmato un permesso speciale, quindi non combinare guai, mh?” chiese il tutore quando convinse finalmente l’altro ad uscire.
Appena messo piede fuori dal centro, Kyungsoo afferrò la mano dell’altro, avvicinandosi il più possibile a lui. Si guardò intorno tenendo gli occhi bene aperti.
“Dai, non agitarti! Ti piacerà” disse JongIn sorridendo e iniziando a camminare. Era finalmente allegro per il ritrovamento dell’amico, che ora alloggiava presso casa sua. Evidentemente era accaduto qualcosa fra i genitori e diceva di non voler fare ritorno a casa per nessuna ragione.
Quando lo raccontò a Kyungsoo, che venne scosso da un’improvvisa gelosia, chiese al più grande se potesse andare a vivere da lui a sua volta. JongIn rise per l’innocenza del ragazzo, poi gli promise che un giorno avrebbe potuto, e lo sperava vivamente.
Arrivarono al parco e il più grande guardò l’altro per assicurarsi che stesse bene per poi incamminarsi seguendo il sentiero. Kyungsoo non sembrava più allarmato come prima, ma non osava lasciar andare la mano del tutore. Ignorò le occhiate della gente che li vedeva per mano.
JongIn insistette per far sedere il più piccolo sull’altalena e restarono in silenzio per parecchio tempo, mentre Kyungsoo si lasciava spingere dall’altro.
“JongIn?” lo chiamò il più piccolo. Doveva essere in tutto la seconda volta che pronunciava il suo nome.
L’altro sorrise ed annuì. “Si?”
“Ti amo” disse Kyungsoo tranquillamente. JongIn lasciò le mani sospese a mezz’aria, smettendo di spingerlo.
“E mi sento abbattuto, perché non riesco a dimostrartelo come vorrei” aggiunse a voce più bassa.
Il più grande andò a mettersi di fronte a lui, fermando l’altalena.
Non poteva averlo detto davvero.
“Ripetilo” disse il tutore, serio. Si piegò su di lui per sentirlo meglio e guardarlo negli occhi.
“Ti amo” ripeté Kyungsoo, quella volta più incerto.
“Ti amo anch’io” rispose JongIn. L’altro si morse il labbro per trattenere un sorriso.
“Ma.. io non sono sicuro neanche di come si faccia ad amare” sussurrò il più piccolo sostenendo il suo sguardo. I loro visi erano talmente vicini.
“Amami così come hai sempre fatto” mormorò JongIn, per poi poggiare le labbra sulle sue. 
   
 
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