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Autore: ayris    20/01/2016    2 recensioni
Dalla storia:
Ti capita mai di perderti nei tuoi pensieri? Ti capita mai di posare la fronte su un vetro e lasciarti guidare dai colori? Ti capita mai di ritrovarti in una canzone?
A me capita spesso, forse più spesso di quanto vorrei.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Llegará un día que nuestros recuerdos serán nuestra riqueza.
 

Ti capita mai di perderti nei tuoi pensieri? Ti capita mai di posare la fronte su un vetro e lasciarti guidare dai colori? Ti capita mai di ritrovarti in una canzone?
A me capita spesso, forse più spesso di quanto vorrei.

Te ne stai lì, seduta su uno di quegli scomodi sedili di un autobus, con il gomito puntellato sul bordo del finestrino, e perderti attraverso quelle basse note che escono da quegli auricolari che ti ostini ad indossare, anche quando prometti a tua madre di non farlo soprattutto quando attraversi la strada.
Te ne stai lì, che osservi tutto e niente, un riflesso sul vetro, un sorriso appena accennato, degli occhi stanchi..
E poi eccola lì. Una canzone. Pensavi di averla cancellata dalla tua playlist, così come avevi fatto prima con le foto, i luoghi ed i ricordi. O almeno era così che preferivi raccontarti.
Eppure sei lì, con un vecchio telefono tra le mani, immobile, incapace di premere il polpastrello su quello schermo leggermente scheggiato, per andare avanti. Ed è in quel momento in una città diversa da quella dove sei nata e cresciuta, addirittura in un’altra nazione, i ricordi ti assalgono, prepotentemente.


Tutto iniziò quel maledettissimo quattro novembre del duemila quindici.
Te ne stavi seduta su quel piccolo muretto, di una facoltà che continuavi a frequentare nonostante non fosse più tua, cercando di evitare quello sguardo verde, leggermente annacquato.
Pensavi che il destino si stesse facendo delle grosse e grasse risate guardando i protagonisti di quella scena. Eravate lì, nello stesso posto dove tutto era iniziato. O meglio eri sotto. Ti bastava solamente alzare lo sguardo per incontrare l’unico balconcino di quella vecchia struttura, che minacciava di crollare da un momento all’altro, per ritrovarti a tre anni prima, in quell’aula così ambita per lo studio matto e disperato, di uno studente di giurisprudenza; lì in quell’aula che aveva visto il vostro primo bacio, lì dove quell’amicizia si era pian piano trasformata in qualcosa di più.
Invece lo sguardo l’hai riversato in quegli occhi felini, trovandoli leggermente umidi.
“Perché?” fu l’unica parola che riuscisti a pronunciare, una domanda di cui avevi paura di ricevere risposta.
“Penso di non amarti più.”
Non sentisti niente, il rumore del traffico giungeva ovattato, riuscivi a vedere le sue labbra muoversi, ma nessun suono raggiungere le orecchie. L’unica cosa che riuscivi a pensare era quello stupido detto: le parole feriscono più di una spada. Beh, non era affatto vero. Le parole uccidono.


You can't play on broken strings
you can't feel anything
that your heart don't want to feel
i can't tell you something that ain't real 

 
I ricordi continuano veloci. Ti eri alzata, su gambe barcollanti, sciogliendo quella stretta dolorosa fatta di occhi e mani.
Quando mi aveva preso la mano? Si trovò a domandarsi mentre cercava di guadagnare l’uscita da quello che credeva il suo personalissimo inferno.
Non si fermò neanche quando sentì il rumore dei suoi passi, in quella camminata che avrebbe potuto riconoscere ad occhi chiusi.
“Aspetta, voglio accompagnarti..” per l’ultima volta.
In silenzio, fianco a fianco, percorrevate quella strada che per giorni e giorni avevate fatto insieme, a volte litigando su quelle piccole divergenze politiche, ma che tanto amavate, a volte scambiandovi qualche bacio improvviso, con le guance rosse dall’imbarazzo.
E poi in attesa che quel mezzo rumoroso, perennemente rotto, con l’aria resa satura e calda per via dei finestrini quasi sempre chiusi, perché rotti, te ne stavi lì di fronte a lui. Non sopportavi più quel silenzio, non sopportavi più aspettare, con l’idea di tornare a casa, a nascondersi sotto le pesanti coperte, come “premio” per quella giornata.
Afferrasti il pacchetto di sigarette, tirandone fuori una e accendendola velocemente, con fare esperto. Potevi mettere la mano sul fuoco che i suoi occhi sarebbero stati rivolti al cielo, come ogni volta che si trovava a fumare al suo cospetto. E così era stato. Un sorriso spontaneo ti uscì sulle labbra.
“Vedi il lato positivo, non dovrai più sopportare la puzza di fumo.” Provasti a buttarla sul ridere. Lui sbuffò, prima di coglierti alla sprovvista e catturarti in un abbraccio.
“Non potrò fare neanche più questo.”
E la lista continuò fino a quando il familiare rumore cigolante, accompagnato dal fracasso fatto dopo che le ruote erano salite e scese velocemente da uno dei tanti crateri che dominavano la strada, non annunciò l’arrivo della quattro.
“Devo andare.”
“No.”
Un solo secondo, che male poteva fare? Puntasti lo sguardo su quella cicca dii sigaretta che continuava a fumarsi da sola.
“Devo andare.”
“Ancora un po’..”
Un piccolo sospiro, fatto per raccogliere le energie necessarie. Un piccolo cenno di diniego, prima di sciogliere quell’ultimo abbraccio. “Non sono io a volerlo.”
Continuasti a sentire il suo sguardo su di te, ritrovandolo una volta seduta al tuo solito posto. L’autista chiuse le porte, ingranando subito la prima.
L’ultima immagine che vide fu il suo saluto, prima di perdersi nel suo mondo di immagini, bianche e nere, tristi note e il riflesso del suo volto.


Oh and i love you a little less than before
let me hold you for the last time
it's the last chance to feel again 


La canzone finì, il riflesso dei tuoi occhi fu sostituito da quella struttura bianca e rossa così imponente. Con un balzo riesci a guadagnare l’uscita e con un piccolo balzello a conquistare il suolo. Sfili le cuffie, ricacciandole alla rinfusa nella tasca del cappotto scuro, incurante di ripiegarle con cura. Uno sguardo a destra e poi a sinistra, per poi giungere all’altro lato della strada.
Continuando a camminare infili una mano, alla cieca, nella borsa alla ricerca del pacchetto di sigarette. Rallenti il passo, portando una mano sull’altra che sta provando ad accendere la piccola fiamma. Una boccata, due. È accesa. Ti incammini sotto quel piccolo vigneto che ti sembrava così strano in quel pezzo di strada che serviva ad unire i due plessi di quella facoltà che per poco più di un mese avresti potuto continuare a denominare come tua.
Un gruppetto di ragazzi parlano tra loro, con quella lingua così incomprensibile e veloce all’inizio, che aveva pian piano compreso e riuscita a far propria.
Una persona svetta tra tutte, non solo per la sua altezza, ma soprattutto per quel sorriso che coinvolge tutto il suo volto, un sorriso che ti scalda. E ti ritrovi a ricambiarlo quel sorriso, rimanendone sorpresa.


Magari non sarà una nuova storia. Forse sarà solo una bella amicizia.
La cosa che importa di più è che sei tornata a sorridere.
  
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