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Autore: Calya_16    21/01/2016    2 recensioni
Buffy ha avuto una vita difficile, e va dallo psicologo per farsi aiutare a superare il suo passato.
Ma improvvisamente arriva nella sua vita Spike, e la sconvolgerà più di quanto pensa.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Buffy Anne Summers, Rupert Giles, Un po' tutti, William Spike, Willow Rosenberg
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autrice: questa è una vecchia ff che avevo iniziato e mai concluso, ma adesso ho deciso di pubblicarla qua e voglio riprenderla. Spero possa piacervi e lasciatemi un commento!



Avevo 19 anni. Ero entrata in casa e avevo appoggiato le chiavi sulla mensola dell’ingresso. Tutto silenzioso in casa.
"Mamma, Dawn!"
Chiamai, ma nessuno mi rispose. Allora alzai le spalle, portando le braccia sopra la testa per stiracchiarmi. Cominciai a salire le scale, quando ad un certo punto sentii la porta del bagno aprirsi. Mia madre uscì, ancora in accappatoio e mi salutò, tutta sorridente.
"Ciao Buffy. Non ti ho sentita rientrare. Quando sei arrivata?"
"Neanche un minuto fa"
"Sai dov’è Dawn?"
"No"
Scuoto il capo e vado in camera mia, lasciando cadere a terra la borsa e buttandomi di schiena sul letto. Ero immobile a guardare il soffitto, tranquilla, quando sentii la voce di mia madre urlare qualcosa e poi correre da me. Mi misi in piedi preoccupata e ascoltai le parole agitate della donna che mi stava di fronte:
"C’è qualcuno in macchina! Ho visto che c’è qualcuno!"
Così corsi giù e andai alla macchina.
Sì, dentro vi era qualcuno. Mi avvicinai lentamente: la persona non si muoveva. Poi, a pochi passi dal finestrino, distingui chi vi era all’interno dell’abitacolo: Dawn.
Aprii in fretta la portiera e il corpo di mia sorella mi cadde inerme tra le braccia, mentre il suo sangue mi scivolava lungo il gomito.


Lo psicologo rilesse ancora una volta la pagina che gli aveva dato Buffy, per poi guardarla e sollevare lo sguardo sulla sua paziente. Sospirò.
"Perché tua sorella si è tagliata le vene, Elisabeth?"
"Non lo so. O forse si. Io…io non ne ho idea"
Buffy scoppiò a piangere per la seconda volta nel pomeriggio.
"Vuoi provare a dirmelo?"
Le chiese gentilmente lo psicologo. La piccola bionda scosse il capo.
"No"
"Preferisci scrivermelo anche questo?"
Buffy annuì con il capo, asciugandosi le lacrime.
"Va bene, allora. Vieni appena lo hai scritto, ok?"
"Certamente. Grazie"
"Sono qui per questo Elisabeth"
Lo psicologo le sorrise, mentre questa lasciava il suo studio a testa bassa e con il fazzoletto stretto forte in mano.

          °°°°°°°°°°

Dawn. La mia piccola sorellina. Bhè, nell’ultimo periodo non era poi così piccola e dolce come una volta: prima era diventata cleptomane, poi ha avuto una crisi adolescenziale molto forte: scappava di casa in piena notte e tornava alle quattro di mattina ubriaca e a volte anche drogata. Poi ha conosciuto Parker, il suo ragazzo. Almeno, lei lo credeva il suo ragazzo, visto che dopo che le consegnava la dose ci andava a letto insieme, per completare al meglio la serata. E così è cominciato tutto: mio padre se ne fregava, tanto lui non viveva più con noi da tre anni ed era troppo impegnato a far godere la sua nuova ragazza, la sua ex segretaria; mia madre non sapeva più che fare, aveva cercato più e più volte di fermare Dawn, di farla ragione. Quante volte le ho sentite urlare perché Dawn voleva i soldi per una dose! Non aveva più amici, li aveva persi tutti nel suo lento e doloroso cammino verso la morte. E poi la scoperta che il suo ragazzo se la faceva anche con tutte le altre che trovava per strada non ha di certo aiutato. Anzi, penso che sia stata la botta finale.
E poi c’ero io. L’unica gentile con lei, l’unica che cercava di farla smettere e l’unica a cui cercava di dare retta, anche se poi ricadeva nel vizio.
L’odio di tutti, per questi lunghi quattro anni, l’ha logorata. Io vedevo che si aggirava in casa come uno zombie, con lo sguardo perso nel vuoto e come se niente le interessasse più. Anche le droghe e l’alcool erano diminuiti.
E poi quando il suo corpo mi è caduto tra le braccia, ho capito tutti i suoi sguardi degli ultimi sei mesi. E non ho fatto niente, non avevo intuito. Aveva deciso di farla finita.
E così, a soli 17 anni, ho seppellito mia sorella.


Buffy singhiozzò, mentre lo psicologo le mormorava parole di conforto e l’abbracciava, un po’ impacciato.
"Mi dispiace Elisabeth. So che fa male"
"Lei lo sa?"
Buffy alzò gli occhi lucidi e li puntò in quelli dell’uomo seduto accanto a lei. Questo annuì, per poi tornare a sedersi alla sua sedia.
"Dobbiamo andare avanti, lo sai"
"Già"
Silenzio.
"Ma voglio continuare a scrivere"
"Se questo ti fa stare meglio che parlarne, allora è ok"

          °°°°°°°°°°

E’ stato l’anno scorso che sono entrata in casa ed ero contenta: c’era un mazzo di fiori sulla mensola. Sapevo che mia madre stava frequentando un centro dove altre persone avevano perduto i figli che si erano suicidati e pensavo che qualcuno le avesse mandato quel mazzo. Sorrisi e andai in sala, solo per trovare mia madre distesa sul divano con gli occhi aperti, a fissare il soffitto.
"Mamma, tutto bene?"
Nessuna risposta.
"Mamma?"
Lentamente il panico cominciò a impossessarsi di me e la chiamai sempre più forte e sempre più insistentemente, finchè il panico non portò avanti le mie gambe e mi fece inginocchiare e toccare il corpo davanti a me. Freddo. Mi ricordo solo quello. Ed i suoi occhi aperti, inespressivi. Il resto è una macchia sbiadita nella mia mente. So di aver chiamato l’ambulanza ma non mi ricordo con che forza sono riuscita a tirarmi in piedi e comporre il numero. So solo che quando sono arrivati io ero ancora lì, inginocchiata accanto a lei e le tenevo una mano, sfregandola tra le mie e le sussurravo parole di conforto, tra una poesia e l’altra. Lei ha sempre adorato le poesie. E conoscevo le sue preferite a memoria. Mi parve di vedere un lampo nei suoi occhi, una piccola scintilla di vita. Forse, nel suo ultimo vero istante ha sentito che recitavo quel verso che tanto adorava ed è tornata da me, per dirmi che mi vuole bene.
Ho visto i medici portarla via e poi i miei amici mi hanno confortata, ma tutto è un ricordo strano nella mia testa: come una vita che non è la mia, come un incubo sfocato.


Lo psicologo alzò il capo e guardò la sua paziente negli occhi.
"Non ricordi nient’altro?"
"No"
Buffy scosse il capo, per poi guardare l’ora e alzarsi.
"Dottor Giles, sono venuta solo a consegnarle quello che mi aveva chiesto. Adesso devo andare"
"Sei una donna forte, Elisabeth. Ce la stai già facendo a superare tutto questo"
"Già"
Lo psicologo le strinse la mano e Buffy lasciò lo studio. Appena fuori dalla porta sospirò, cominciando a camminare lungo il corridoio che portava all’atrio e poi all’uscita. Stava guardando a terra con espressione persa nel vuoto. “Ce la stai già facendo a superare tutto questo”. Le parole del Dottor Giles le risuonarono in mente e accennò un sorriso stanco. “Già, piano, ma ce la sto facendo”. Pensò sorridendo un po’ di più.
Ed ecco che senza accorgersene, svoltato l’angolo, andò a sbattere contro qualcuno.
"Hey, stai attenta a dove cammini, idiota"
Buffy alzò lo sguardo e si trovò davanti un uomo alto, con profondi occhi blu e capelli ossigenati.
"Scusa"
Bofonchiò Buffy, raccogliendo quello che aveva fatto cadere all’uomo e porgendoglielo.
"William, cosa ci fai qua?"
Il Dottor Giles spuntò dietro di lei e vide che stava parlando con l’uomo con cui si era appena scontrata.
"Sono appena finite le ore di lezione e ho pensato di venire a trovare mio padre per presentargli una persona"
"Capisco. Vieni, andiamo"
Il Dottor Giles passò davanti a Buffy e mise una mano sulla spalla del figlio, guidandolo verso un altro corridoio.
Buffy rimase imbambolata al suo posto, per poi abbassare lo sguardo su quello che aveva tra le mani: era una cartellina nera con sopra un nome: William “Spike” Giles. Così la piccola bionda cominciò a correre dietro ai due uomini e arrivò alla caffetteria.
Il Dottor Giles era seduto al bancone e stava parlando con il figlio ed una donna dai capelli corvini e l’aria pazza. Buffy si avvicinò titubante, tossendo piano per far sentire la sua presenza. L’uomo che veniva chiamato William si voltò e la guardò.
"Cosa vuoi ancora? Non ti è bastato scompigliare i miei appunti?"
Buffy si fece ancora più piccola a quelle parole e allungò la cartellina nera.
"Ti è caduta questa"
"Oh. Grazie"
Disse William, prendendola.
"William, ti chiedo di essere un po’ più educato con la signorina Summers"
Disse Giles, girandosi e presentando i due.
"Buffy, questo è mio figlio William. E questa, William, è Elisabeth Summers, una mia paziente"
"Ci siamo incontrati prima, quando la signorina si è scontrata contro di me"
Disse William tornando con l’attenzione alla sua tazza. Il sorriso di Buffy svanì e tornò il solito volto triste che ormai albergava sul suo volto da un anno.
"William, adesso io devo tornare in studio. E’ stato un piacere conoscere la tua ragazza, ma ti pregherei di scusarti con Elisabeth"
E detto questo i dottore si alzò e tornò al suo studio.
"Allora, come mai sei una paziente del vecchio?"
Le chiese William a Buffy. Questa rimase spiazzata, per poi sedersi dove prima vi era Giles e bofonchiare tre parole:
"Ho dei problemi"
"Tutti ce li hanno"
"Ma non siamo tutti uguali"
"Già. C’è chi è più forte e chi invece ha bisogno di un psicologo perché da solo non riesce a farcela"
Quelle parole colpirono Buffy. Lei ce la faceva anche senza lo psicologo. Certo, negli ultimi tre mesi il suo ragazzo, Riley, l’aveva convinta a farsi aiutare perché vedeva che lei spesso aveva delle crisi di nervi, ma ce la faceva comunque ad andare avanti da sola. Non era un incapace.
"Io so come cavarmela"
"Certo. Ed è per questo che hai bisogno di mio padre"
"Ti ho detto che ho dei problemi"
"Ed io ti ribadisco che tutti ne abbiamo"
Buffy si alzò. Quel tipo le faceva saltare i nervi.
"Chi è quella pazza, tesoro?"
La voce di una ragazza arrivò al di là del corpo di William e Buffy si sporse abbastanza da poter vedere la donna che aveva notato prima.
"Una paziente di mio padre, Dru"
"Poverina, deve avere tanti problemi per dover venire qui"
A quel punto Buffy non ce la fece più e scoppiò:
"Ma chi siete voi due per parlare così di me? Voi non sapete minimamente chi io sia e non sono pazza. Milioni di persone hanno bisogno dello psicologo e solo io sono la pazza?"
William e Drusilla la guardarono: il primo abbassò lo sguardo e non disse una parola, mentre la seconda accennò un sorriso:
"Ho capito di te più di quanto credi, piccola Elisabeth"
Buffy si voltò ed uscì dal bar, percorrendo correndo tutto il corridoio, fino a sbucare fuori dall’edificio e respirare la fredda aria invernale. Si strinse le braccia al corpo e cominciò a camminare, con in testa il rumore dei suoi tacchi e delle macchine di New York.

"Potevi evitare di chiamarla pazza, non ti pare?"
Spike si voltò verso Drusilla, la ragazza nerovestita seduta accanto a lui.
"Ma se viene in questo centro è perché è pazza"
"Ho ha semplicemente dei problemi più grandi di altri"
Dru si stava arrabbiando:
"Ma anche tu prima le hai detto che tutti hanno dei problemi. Perché adesso la difendi?"
Spike si alzò e ignorando le parole isteriche di Dru dietro di lui, andò verso l’uscita. Si voltò: Dru non l’aveva seguito. Quella ragazza bionda, Elisabeth, lo aveva colpito: aveva visto qualcosa nei suoi occhi, dolore. Tanto dolore. E adesso si stava un po’ pentendo di averle parlato in quella maniera.
   
 
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