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Autore: themightyginger    21/01/2016    3 recensioni
[Dal testo]:
" D'improvviso, tutta la sorpresa divenne stupore accompagnato da un crescente senso di inquietudine.
La giovane non era vissuta prima d'ora in quel mondo di delinquenza e di pericolo, ma /quel/ nome era maledettamente famoso perfino in Inghilterra, perfino a Londra.
James Flint.
Il terrore dei sette mari.
Il pirata più temuto dalla corona inglese, autore di efferatezze ignominiose.
Un fuorilegge, un bugiardo, un ladro.. un assassino. "
Per tutti gli amanti del mondo pirata, una fanfiction ispirata alla fantastica serie tv prodotta dalla Starz, "Black Sails".
L'avventura di un personaggio originale che intreccerà le proprie vicende con quelle della vita del famigerato porto di Nassau e dei personaggi di ogni genere che vi ruotano attorno.
(Sono presenti riferimenti a scene particolari tratte direttamente dalla serie tv, opportunamente revisionate secondo le esigenze di trama.)
Genere: Avventura, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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«La cosa difficile non è scrivere,
  ma scrivere quello che intendi;
  inoltre, non è influire sul lettore,
  ma influire esattamente nel modo
  in cui desideri farlo.»
R.L. Stevenson

Nassau, New Providence, 1715.

Nassau era l'inferno in terra.
Il Caos da toccare con mano.

Già a diverse leghe di distanza dal punto di approdo, la confusione del porto più famoso e affascinante delle Indie occidentali era udibile con chiara limpidezza. 
Quando le navi ed i vascelli svoltavano l'angolo, immettedosi nell'arco  dell'insenatura a forma di ferro di cavallo, vedevano comparirsi di fronte un agglomerato di casupole immerse in uno spiccato verde tropicale e orde di centinaia e centinaia di esseri umani -poco più che minuscoli puntini- impegnati in un perpetuo, quasi  compulsivo, andirivieni.
Da lontano, il porto di Nassau somigliava ad un fremente formicaio.

Quando il vascello mercantile, governato dal capitano Lawrence, aveva attraccato nel porto, la sua ciurma aveva scaricato le merci importate dall'Inghilterra con una notevole fretta, segno di un'esperienza ormai più che solida, per poi disperdersi, zampettando fino alla battigia tra le acque di un ceruleo cristallino quasi innaturale.
Soltanto una figura, insolita e sconosciuta alle spiagge di New Providence, si trattenne sulla prua della nave.
Appoggiata con le mani alla balaustra di un legno ricoperto da un impalpabile strato di sale, scrutava l'orizzonte con aria vigile, come se fosse alla ricerca di qualcosa, o qualcuno, in particolare.
Quando valutò di aver osservato abbastanza, si voltò, accingendosi ad abbandonare per sempre il veliero pirata sul quale aveva affrontato una traversata più che faticosa.
Sarebbe dovuta giungere settimane prima, a bordo di una nave olandese, veloce e di dimensioni ridotte, ma il capitano, un certo Van Dyck, non aveva voluto saperne di ospitare persone a bordo che non appartenessero al proprio equipaggio. 
Erano tempi pericolosi, quelli. 
I vascelli pirata si annidavano dietro ogni angolo e nessuno voleva correre il rischio di ritrovarsi un filibustiere infiltrato tra i propri uomini. 
Men che meno, qualcuno dall'aria estremamente ambigua come nel caso di quell'insolita figura.

Ma poi, per fortuna, il misterioso avventuriero aveva trovato un passaggio sul vascello di un tale Richard Thompson. La nave non aveva affatto l'aspetto di un mezzo veloce, ma sembrava ben solida. 
Thompson, d'altro canto, aveva fatto poche domande, come incurante dei retroscenari, limitandosi a chiedere un compenso più o meno equo, considerando la prevista durata del viaggio.
Thompson non aveva fatto troppe storie nemmeno quando aveva realizzato che la persona che lo stesse pagando fosse una giovane donna, accuratamente abbigliata da uomo.
E non aveva fatto storie perchè non avrebbe mai potuto, dato che Richard Thompson, in realtà, non esisteva.
L'uomo traccagno con dei capelli neri lerci e i lineamenti porcini viaggiava sotto falso nome, per concludere diverse trattative commerciali per conto, senza dubbio, di qualcun altro.
Si chiamava Lawrence e lui, quanto il suo equipaggio e il suo vascello, erano pirati provenienti e nuovamente diretti verso New Providence.
E a onor del vero, la giovane aveva intuito il reale stato delle cose ancor prima che la nave levasse gli ormeggi: l'aspetto degli uomini della ciurma di Lawrence non era affatto quello di uomini timorati di Dio.

Comunque, nonostante la compiacenza di Lawrence, la giovane si era curata di aggiungere un piccolo supplemento al compenso, affinché il capitano mantenesse la bocca chiusa.
Per una donna, viaggiare su un vascello abitato di soli uomini era un rischio considerevole già in condizioni ordinarie, se poi quegli uomini risultavano essere dei pirati, il rischio si andava a moltiplicare. E non di poco.
Tutti lo sapevano: chiunque conducesse quel tipo di esistenza -in sola compagnia del vento, della pioggia, del mare, e di pistole per amanti- era un uomo forgiato e avvezzo alle crudeltà più assolute, specie se incoraggiato dal retrogusto pungente del rum.

Nonostante tutto, la traversata verso il Nuovo Mondo era proceduta in relativa tranquillità. 
Nessuno dei pirati l'aveva avvicinata. Molti di loro, forse, non avevano neanche notato la sua presenza, dal momento che si era tenuta scrupolosamente fuori vista, ad eccezione delle ore notturne, durante le quali si concedeva di salire sul ponte di prua per inspirare una boccata d'aria fresca e ammirare la volta celeste puntinata di granelli pallidi come la sabbia dei Caraibi. 
Non che fosse un'esperta, ma aveva letto di nascosto dei trattati riguardo i misteri del cielo, i trattati di un famoso scienziato italiano - tale Galilei- vissuto circa un secolo prima; gli astri erano molto più affascinanti dal vero che riportati sulla carta, ma grazie a quei disegni, la giovane era riuscita a distinguere più d'una costellazione.
Era convinta, vista la vita che ipotizzava avrebbe condotto di lì in avanti, che quelle particolari nozioni le sarebbero state di grande aiuto. 
Alla fine, quasi dopo due settimane di navigazione, aveva imparato cose circa la vita di mare molto più utili del nome di qualche stella insignificante. Qualche altro giorno, e avrebbe potuto condurre da sola quel vascello maledettamente lento e carico di barili. Almeno in teoria.
Ma la sola vista di quelle isole -conosciute come Bahamas- in fin dei conti, era valsa qualsiasi sofferenza e qualsiasi stanchezza accumulata durante il viaggio.
La giovane donna aveva sorriso, trionfante, studiando con attenzione la vitalità del porto di Nassau, mentre nella testa le risuonava la voce stridente di Isobel e della sua tipica negatività puritana. 
Le risuonavano i rimproveri, le minacce, e quella sua assurda convinzione secondo la quale, la giovane, non avrebbe mai visitato i luoghi esotici e magici che aveva conosciuto grazie ai suoi amati romanzi.
Poi le vennero in mente delle immagini di cenere e di pagine bruciate, di rilegature in pelle rovinate per sempre e l'odore offuscante di pergamena incenerita.
Non ne aveva potuto salvare nessuno, neanche uno. 
I suoi preziosi libri erano stati eliminati nel più crudele dei modi, proprio come la Santa Inquisizione era solita fare a Roma, o in Francia, o in Spagna con i testi dichiarati proibiti ed eretici.. e, talvolta, anche con le persone colpevoli di aver osato pensare con la propria testa. 
Ricordava di essere rimasta in ginocchio a fissare la cenere e i brandelli di pagine ormai perdute, mentre alle sue spalle Isobel torreggiava, sorridendo col ghigno di un dio maligno che beffa gli uomini,  strappando loro la vita nel momento di più grande felicità.
Quella cenere aveva spento e annichilito la cultura e la sapienza, ma aveva nel contempo acceso, nella giovane, un fuoco divoratore che l'aveva condotta sino all'altro capo del mondo.
Si domandò se anche adesso, Isobel stesse ridendo.

Udì il mozzo gridare qualcosa agli esigui marinai rimasti a bordo per sistemare il vascello, già pronto per una nuova traversata, e si rese conto che era davvero giunto il momento di dileguarsi.
Prima di toccare finalmente la terraferma, la giovane donna si premurò di recuperare i tre coltelli di diversa taglia e le due pistole dal peso non indifferente, da lei sottratti dalla stiva adibita ad armeria la notte precedente. Non era stato un lavoro complicato: era bastata una sola bottiglia di rum che la sentinella, un uomo con la carnagione annerita dal sole e le mani callose, era sprofondata in un sonno come di morte. 
La mattina successiva, a nessuno era venuto in mente di controllare i rifornimenti o le munizioni. 
La giovane si rigirò tra le mani una delle pistole, ammirandone la manifattura eccellente. Non aveva idea di chi, eventualmente, ne avrebbe potuto reclamare il possesso e nemmeno si preoccupò di domandarselo; dopo tutti i soldi che aveva versato nelle tasche di Lawrence, quel finto mercante tozzo  quelle armi gliele doveva. 
Saltò giù dalla prora proprio come aveva viaggiato: senza che nessuno le prestasse troppa attenzione, e, in cuor suo, salutò la nave, benedicendola per averle donato qualcosa che sarebbe valsa tutte le monete della terra: la libertà e la speranza di una nuova vita.

Il porto di Nassau, così come tutta la costa, non batteva bandiera alcuna. 
Non c'era un governo, né tantomeno un governatore, non c'era un palazzo di giustizia, o un Parlamento con le rispettive fazioni politiche, neanche un concilio ristretto.
Giustizia, governo e legalità, in quel buco d'inferno, parevano non essere altro che concetti arbitrari.
Nessuno deteneva il potere politico, non esisteva un'autorità. 
New Providence si governava da sé, come un grande essere senziente, il che equivaleva a dire che a Nassau a regnare era l'anarchia. 
E se nel mondo civilizzato la libertà voleva significare non calpestare i diritti naturali altrui, in un luogo del tutto svincolato da qualsiasi forma di civiltà, la libertà era solo e soltanto quella che un individuo riusciva a conquistarsi, calpestando i diritti e gli eventuali cadaveri possessori di quei diritti.
Trattati su trattati e Nassau forniva la prova provata che le teorie di quegli egregi signori ammassati nei salotti londinesi o parigini, non erano altro che vane astrazioni.
Locke, Rosseau, Montesquieu, in quel luogo, erano stati mandati a farsi fottere.
La giovane donna aveva compreso dall'istante in cui i suoi stivali di cuoio avevano poggiato i tacchi sulla sabbia molle che, accettando quel posto, avrebbe accettato la condizione di prendere parte ad una lotta di tutti contro tutti, e -sebbene le premesse non fossero delle più concilianti- tale consapevolezza la fece sentire viva come non le era mai accaduto in vita sua.
Per un momento, le sembrò di essere rinata, e percepì con chiarezza di aver dato un taglio, per mezzo di un viaggio estremo, a quello che era stato il suo passato.
Settimane prima, era nulla di più che la futura lady di un qualche gentiluomo sessista -disperata ed inglobata nelle convenzioni di una società superficiale- mentre, d'ora in avanti, sarebbe stata uno dei tanti pesci a sguazzare nell'oceano. 
Se squalo o latterino, sarebbe dipeso soltanto da lei.

[…]

Una sola settimana le era bastata per ricredersi. Almeno in parte. 
Nassau era caotica e squilibrata, ma  nonostante questo, possedeva un proprio statuto.
Niente di ufficiale, niente che fosse messo per iscritto su tediosi codici di legge, ma violare quel dettame significava conquistarsi un biglietto di sola andata per l'altro mondo.
La legge c'era, c'era eccome, solo che aveva il volto e la voce di Eleanor Guthrie.
La giovane ne aveva sentito parlare, a Londra, durante una delle tante riunioni nello studiolo del suo vecchio zio Archibald, che lei si era ritrovata a spiare in gran segreto. 
Politici e gentiluomini timorati di Dio si dichiaravano atterriti di fronte a tanta forma di disordine e depravazione: un fiorente porto abitato di pirati, con a capo un'adolescente sconsiderata e truffaldina. 
Si trattava chiaramente di un grande oltraggio all'Inghilterra, alla morale, e alla decenza.
Una donna che ricopriva un ruolo di rilievo era il chiaro segnale della corruzione che stava investendo il Nuovo Mondo; qualcuno vi aveva scorto un'avvisaglia di un'imminente Apocalisse. 
Difatti, la fine del mondo non poteva essere poi così lontana.

Da parte sua, la giovane aveva nutrito una gran simpatia per quella Guthrie che stava dimostrando di avere il fegato necessario per gestire orde di delinquenti e far fiorire, nel mentre, un porto di cruciale importanza. 
Ufficialmente, l'Inghilterra ne era disgustata; ufficiosamente, doveva a quella donna la propria sussistenza.

Le grandi contraddizioni del suo tempo.

La giovane non si era dunque sorpresa alla vista del rispetto, quasi reverenziale, di cui i cani di mare davano prova alla sola vista di Eleanor Guthrie.
Seduta nell'unica locanda del porto, ad un tavolino in disparte, la giovane donna aveva scorto la figura della Guthrie, avvolta da un'aria imperiosa, tra le risa sguaiate, la confusione e i comportamenti osceni.
Era incredibilmente bella, come una di quelle principesse agognate da valenti eroi, protagonisti di molti antichi poemi cavallereschi.
Eleanor Guthrie, però, non aveva esattamente l'atteggiamento di una principessa da salvare. 
Era fredda, lo sguardo blu -duro come il ghiaccio- la voce sferzante e coercitiva quanto un colpo di frusta.
Più che Ginevra, le ricordava una Giovanna d'Arco senza cavallo ed armatura. 
Aveva attraversato la locanda, fiera ed impettita, dirigendosi verso una scala di legno consunto che conduceva ad una porta altrettanto guasta tinta di un acceso verde erba, seguita da uno stuolo di uomini tra i quali la giovane riconobbe il capitano Lawrence.
Dunque, doveva essere tutto vero: Eleanor Guthrie gestiva realmente le intricate fila dei commerci tra il Nuovo e il Vecchio Mondo.

Persa nelle fantasie e nell'ammirazione per una donna di così grande ispirazione, la giovane non si accorse di una figura, forse a lei coetanea, che le si era piantata di fronte con in mano una bottiglia dalla forma schiacciata e l'espressione piuttosto seccata.

«Ehi, dico a te, vuoi del rum?»

La giovane alzò per qualche istante il capo, semicoperto da un cappello di panno nero, e con un cenno di diniego, liquidò una ragazza di pelle scura con un turbante sulla testa: quasi certamente una schiava.
Questa passò oltre senza gran clamore, rivolgendo la medesima domanda circa il rum ad ogni bifolco che si trovava ad occupare una sedia. 
Da che era arrivata a Nassau, la giovane aveva notato che nessuno si era sconvolto nel vedere una ragazza, vestita come un uomo, aggirarsi completamente sola per la spiaggia assolata.
Immaginò che in un'isola comandata da un'indiscussa regina, con le puttane che sovraffollavano il bordello di fronte la locanda, la propria presenza non dovesse attirare poi molto l'attenzione. 
La cosa le era piaciuta e le aveva rinsaldato quel senso di sicurezza interiore, per quanto il porto incarnasse l'ombelico della malvivenza. 
Ma nelle ultime due sere, il fulcro delle sue preoccupazioni non era stata la malvivenza, quanto la scomoda constatazione che le sue già esigue risorse monetarie fossero sul procinto di lasciarla a secco.
Appena giunta sull'isola, aveva affittato una piccola stanza in un ostello modesto, dipendente dalla gestione della Guthrie come ogni altra cosa -esclusa la casa di piacere- nel lembo di terra corrispondente al nome di Nassau.
La stanza era stretta, con appena un letto asciutto e relativamente comodo, e uno specchio con un catino che doveva, naturalmente, curarsi di riempire da sola. Aveva, poi, acquistato degli indumenti di ricambio, una cintura di cuoio borchiato  alla quale appendere le proprie armi e il cappello dal quale era divenuta pressochè inseparabile.
Aveva stilato i suoi conti più volte, e, senza calcolare i pasti, aveva tristemente realizzato che le restavano forse le monete necessarie per garantirsi un'ulteriore notte con un tetto sulla testa e al sicuro dagli sciacalli di mare.
Sospirò sommessamente, rassegnata, riversando il proprio sguardo smeraldino sul bicchiere sporco semipieno -il quinto- che si stava rigirando tra le mani da una quantità di tempo indefinita; ricordava soltanto che al suo ingresso nella locanda, il sole stava ancora brillando alto sull'orizzonte.
Si sforzò di buttare giù gli ultimi sorsi del sidro di mele che aveva preferito al consueto rum, ma che doveva di sicuro essere molto peggiore, considerati i terribili giramenti di testa che le stava  provocando.
Per un attimo, le parve che tutto attorno il mondo avesse preso a vorticare furiosamente, come in preda ad un ballo orfico, e quando finalmente tutto tornò alla quiete e il pavimento fu di nuovo stabile, la giovane comprese che quello era il momento buono per dileguarsi e rinchiudersi nell'isolamento della propria soffocante stanzetta, sempre che il proprietario si sentisse magnanimo e le concedesse un piccolo sconto rispetto al prezzo pattuito.

Si alzò con movimenti quantomai lenti, sforzandosi di ignorare il senso opprimente di vuoto e i conati di vomito, e si trascinò come meglio potè verso il bancone, dietro al quale l'oste si stava affaccendando a riordinare le stoviglie, strofinandole con un panno di lino umido e una gran foga.
Prima di parlare, la giovane e il suo cappello calato sulla fronte e sullo sguardo offuscato, trovò la forza di scrutare l'uomo alto e robusto e valutare che, in apparenza, aveva un volto da brav'uomo.

«Oste.. Sir.. Signore?» biascicò con la voce rauca tipica di chi non spiccica parola da una notevole quantità di tempo.

L'oste alzò il capò e squadrò la giovane senza meravigliarsi troppo di quella vista pietosa. Non era di certo la prima ad essersi ridotta in quello stato catatonico  in un posto di quel genere.

«Signore..» la giovane tirò su col naso e tentò di darsi un contegno «signore, per cortesia, potreste farmi credito?»

L'oste scosse la testa con decisione.
«Spiacente, la signora Guthrie non permette che si faccia credito a nessuno!»

Quella risposta, nella testa della giovane, fece scattare un caos devastante, intricati nodi di pensieri impossibili da sciogliere, specie in quelle condizioni.

«Vi prego, signore, domani avrete i vostri soldi, io--» tirò nuovamente su col naso, passandosi una manica della camicia color avorio sulle labbra «--io non vado da nessuna parte..»

«Avete idea di quanti io ne abbia sentiti dire la medesima cosa, ragazza?»

La giovane si accigliò in un'espressione di estremo stento e stanchezza.

«Ma io dico la verità, sir. Non ho dove andare, non ho una nave a cui tornare, nessun capitano a dare ordini, io--»

In un inaspettato momento di lucidità, la giovane comprese l'immensa miseria delle proprie parole, mentre la sfiorò il pensiero che forse -ma soltanto forse- avrebbe fatto meglio ad imbarcarsi e tornare a Londra, dai suoi tiranni.
Lì, quantomeno, non avrebbe patito la fame, né avrebbe dovuto elemosinare un letto, per quanto ad attenderla ci fossero ben altri tipi di patimento. 
Dopotutto, forse, era meglio chiedere il perdono che il permesso..
Un'angoscia improvvisa s'impossessò di lei. 
Le tempie presero a martellare ad un ritmo da cardiopalma, la gola talmente  secca che avrebbe potuto reclamare dell'altro sidro, o acqua corretta che fosse, se solo avesse posseduto i soldi per farlo.
In un atto di estrema riluttanza a voltarsi indietro e tornare sui propri passi, infilò una mano esile nella tasca della camicia e ne estrasse cinque monete, e le lanciò sul bancone in direzione dell'oste, che, incassandole, sorrise quasi compiaciuto.

«Stanotte dormirò all'aria aperta.» ringhiò la giovane, con una voce gutturale che, di consuetudine, proprio non le apparteneva.

«Sono desolato.»

L'oste non aggiunse altro, né la degnò di un ulteriore sguardo, tornando alle proprie mansioni di pulizia.
Dopotutto, aveva svolto il dovere per il quale era pagato, lasciando vuote le tasche dei clienti sconsiderati, esattamente come si era dimostrata lei.

La giovane uscì dalla locanda che avrebbe voluto piangere senza freni, ma non era mai stata il tipo da lacrime e il suo spiccato orgoglio le avrebbe impedito di mostrarsi vulnerabile in un luogo dove la persona più onesta era un ladro con più taglie sulla testa che capelli. 
S'incamminò verso la spiaggia, non tentando neanche di presentarsi all'ostello al fine di suscitare pena; le armi e i vestiti nuovi li aveva con sé, ammassati in una sacca di feltro marrone, perché non si fidava a lasciarli sotto la custodia di uno sconosciuto. Nella borsa alquanto rustica, vi era anche un vecchio diario dalla pelle annerita e la rilegatura scolorita; un volume di scarso valore monetario, ma dotato di ben altro tipo di rilievo. 
La giovane l'aveva portato con sé quasi per istinto, ma forse a guidarla era stata l'esigenza, il dovere, di non dimenticare.. e forse anche un tacito desiderio di vendetta. Contro chi o cosa, però, non avrebbe saputo dirlo.
Le strade erano relativamente tranquille, affollate solo di risa, di schiamazzi e versi animaleschi derivanti dalle camere al piano superiore del bordello.
Il bordello. 
Le balenò alla mente l'idea di entrare. Forse lì avrebbe trovato un riparo, forse una camera libera, forse avrebbero accettato le sue ultime tre monete per solidarietà femminile, forse...
Scartò la soluzione ancor prima di valutarla per davvero. 
Quel posto brulicava di puttane e alle puttane non interessava altro se non il  denaro: non sarebbero state meno crudeli dell'affittuario che dirigeva l'ostello. 
Facendosi forza, la giovane passò oltre e si rese conto troppo tardi di aver fissato, sovrappensiero, la sagoma di una figura losca immobile sulla porta della casa del piacere.
Pareva star inchiodata sui gradini di legno bianco, come per fare la guardia, eppure sembrava stonare in quel particolare contesto.
Era poco più alta di lei ed indossava degli abiti logori che le calzavano lenti e sgraziati a causa dell'eccessiva magrezza. A coprirle il volto aveva un cappellaccio sporco e rattoppato, ma i lunghi capelli scuri ornati di treccine, presumibilmente adornate di perline colorate, non lasciarono dubitare la giovane che si trattasse di una donna.

«Che cazzo hai da guardare?!»

La figura in ombra non si scompose, ma la voce, greve e rasposa, era carica di un tono di minaccia per niente velato.
La giovane sobbalzò come un fringuello catturato in trappola, mettendo inconsciamente mano al pugnale che aveva legato sul fianco destro.

«N-niente.»

«Allora levati dalle palle, troia!»

La giovane si calò maggiormente il cappello sul volto e riprese a camminare con quel passo incerto che era stato un regalo della sua prima sbronza.
Tuttavia, per sua fortuna, la freschezza dell'aria notturna le aveva fatto riacquistare un poco della padronanza sui propri movimenti, permettendole di non avanzare come un giunco smosso dal vento. 
Percepì la presenza minacciosa della donna dagli abiti macilenti alle proprie spalle, e si domandò quale motivo potesse spingere qualcuno ad appostarsi al lato dell'ingresso di un  bordello-- dal momento che quella donna non aveva affatto l'aspetto di una prostituta: era troppo scarna, troppo rozza, troppo sporca. 
L'elsa della sciabola che le spuntava dai fianchi ossuti, la faceva rassomigliare più ad un pirata che ad una puttana, e se non fosse stato per la trascuratezza, la giovane avrebbe anche potuto azzardare che tra loro ci fosse una vaga somiglianza.. quantomeno, all'apparenza.
Soltanto quando la spiaggia le si schiuse di fronte, con la sabbia di un tenue pallore, le onde gorgoglianti e gruppetti più o meno numerosi di uomini raccolti intorno ad intimi falò, mollò la presa sul manico del pugnale, espirando l'aria come per distendere i nervi.
Prese ad accusare un forte mal di testa, man mano che la sbornia cominciò ad essere smaltita, e sentì la necessità di distendersi per non aggravare la propria  situazione. 
Non avendo la possibilità di una grande scelta, la giovane si fece bastare il tronco ruvido di una palma particolarmente alta, e vi si acquattò contro, lo sguardo esausto rivolto verso il mare ed un timido spicchio di luna a illuminare la schiuma delle onde e i faraglioni della scogliera della baia.
Si chiese se non fosse quello il prezzo della libertà: una vita segnata dalla miseria e dai sacrifici.
Degli uomini in lontananza gridarono, poi scoppiarono in una sonora risata.
Riflettè, ancora intontita dal sidro di mele, circa la vita nel porto di Nassau e nell'isola di New Providence.
Eccezion fatta per Eleanor Guthrie, le puttane, e qualche altro privilegiato nell'entroterra, tutti i restanti che popolavano quell'angolo di frenesia e di  bellezza tropicale non potevano permettersi il lusso di una vita agiata, sicura o asciutta.
Il mare dominava l'esistenza di ogni marinaio, di ogni mercante, di ogni pirata, e -come era intuibile- ad aver a che fare col mare, inevitabilmente, si finiva col bagnarsi.
Un brivido le corse lungo la schiena e, ad uno sbuffo di vento più freddo, si strinse nelle spalle e nella camicia di stoffa leggera che aveva indosso. 
Era incredibile la differenza di clima tra le ore di sole e quelle di oscurità. Durante le notti di nuvole dense, la tramontana e l'oceano si rivelavano estremamente crudeli, quasi a voler rammentare agli uomini di quanto il calore e la luce del sole fossero soltanto una mera, magica, illusione. 
Le tornarono alla mente le urla di Isobel, le sue insensate convinzioni, i pregiudizi, la crudeltà. 
A dover scegliere, la giovane avrebbe preferito sopportare la crudeltà del mare e delle tempeste -per resistere ne possedeva la forza- ma per restare a Londra... per quello, serviva il sacrificio di un martire.
E lei era una ribelle, uno spirito libero; il  martirio non era di certo nelle sue corde.

Sorrise, percependo un calore nuovo sopraggiungere a scaldarle le membra, un calore di speranza.
Ebbe un'illuminazione e, ad un tratto, comprese cosa avrebbe dovuto fare l'indomani. La sua nuova vita doveva ancora cominciare, e non sarebbe stata una vita miserabile. 
I suoi pensieri vagarono a lungo, indugiarono su mondi nascosti nelle pieghe profonde della sua anima di cui non conosceva nemmeno l'esistenza. 
Quando si addormentò, sognò di Isobel e della sua meschinità imperdonabile. Sognò di vederla divenire sempre più piccola e insignificante, mentre lei solcava veloce le acque a bordo della libertà.
   
 
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