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Autore: Seth_    21/01/2016    2 recensioni
Dal testo:
"Lety aveva parlato di come le cose fossero rimaste le stesse anche durante la mia assenza. Di come tutti si erano fatti una ragione del mio improvviso trasferimento. Compreso lui.
Lui, che credevo disperato per la mia perdita, ora stava con una ragazza che nessuno aveva mai visto prima d’ora. Si chiamava Thaira, e secondo la mia "amica", non mi faceva onore. Diceva che si aspettava di meglio, del resto Victor, aveva sempre puntato in alto. A detta sua, lui aveva trovato me, e mi aveva presa. Senza nemmeno chiedere il permesso.
Io smisi di ascoltare a quel punto. Non credevo ad una sola parola di ciò che diceva, ed allo stesso tempo,mi sembrava troppo vero perfino da far male. Sapevo che lui lo avrebbe fatto, prima o poi, ma avevo sempre nascosto a me stessa il perché. Ora mi era chiaro.
Io non ero abbastanza.
E non lo sarei mai stata."
.
.
.
"And everything you love will burn up in the light
And every time I look inside your eyes
You make me wanna die"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Castiel, La zia/La fata, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
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Show me all the things that I shouldn't know.


 
“Ogni cambiamento sembra orrendo a prima vista.”
ARTHUR BLOCH





- Ti accompagno a scuola, sei pronta? - mi disse tutta raggiante mia zia mentre mi infilavo le parigine bianche. 
Le scarpe che indossavo erano scomodissime, tanto che già immaginavo le vesciche ai lati dei mignoli e le piaghe rosse sul mio tanto amato tendine d’achille.

Sospirai, guardandomi ancora una volta allo specchio.
Ero tesa.
Tesa da far schifo e con lo sguardo spaventato.
Guardai il mio zaino grigio nell’angolo, pieno di graffette e spille di ogni genere, e vicino un plettro.. Un piccolo tesoro da cui non avrei mai voluto staccarmi. 


Volsi poi lo sguardo dentro il mio armadio. I miei calzini neri promettevano comodità e salvezza da quella tortura che portavo ai piedi, e dopo pochi secondi cedetti: presi i calzini e li infilai nello zaino.
- Come hai detto che si chiama il liceo? - chiesi alla zia, per prendere tempo mentre andavo alla ricerca delle all star nere sotto il letto. 

Avevo intenzione di cambiarmi scarpe appena arrivata a scuola?
Assolutamente sì.


- Dolce Amoris! - canticchiò lei.

Che nome stupido.

Mi sistemai la maglietta a mezze maniche a righine bianche e grigie, che misi dentro la gonna nera a ruota e mi guardai allo specchio. 
Niente da fare. Ero un disastro.

A partire da quel ciuffo satanico in cima alla mia testa fino alle ridicole parigine. 

- Muoviti o farai tardi! - disse lei, mentre guardai ancora quel maledetto ciuffo ribelle per poi prendere di corsa la cartella mentre aprivo la porta. Mia zia sorrise, ed io ricambiai.


La scuola era grande, a cinque piani, e a soli due incroci da casa mia.
Il sogno di ogni studente.

A destra c’era un’enorme palestra, mentre dietro il liceo, un gigantesco campo da calcio, situato al limitare di una zona verde protetta. 
Sentii la zia parlare con voce nostalgica, di come lei avesse passato gli anni più belli della sua vita, in quel liceo. E anche di una possibile iscrizione a qualche club pomeridiano. 

Smisi di ascoltare quando vidi la macchina fermarsi davanti alla scuola e mia zia incoraggiarmi a scendere. Presi un profondo respiro, e scesi dalla macchina rosa e gialla di mia zia.

Cosa c’è di più imbarazzante che essere la “nuova” in una scuola di una piccola città dove tutti sanno tutto di tutti?

Probabilmente, essere la “nuova” in questione, con una zia che nonostante abiti ad uno sputo da scuola, ti accompagna con la sua minuscola e stupida macchinetta elettrica rosa e gialla.

Salutai la suddetta zia, ed entrai nell’atrio, che assomigliava molto più ad un lunghissimo corridoio affiancato da armadietti viola sbiadito. 

Le pareti erano di un tenue lillà che doveva essere stato tremendamente acceso nei secoli precedenti. Perché sono abbastanza sicura che questa scuola non sia così recente.

Le porte aperte, dello stesso colore degli armadietti, che sorpassai molto velocemente, fino ad arrivare alla fine del corridoio, dove vidi una donna anziana. 

Una donna che non potrò scordare MAI.

Quest’essere, era vestita in rosa, con dei fogli in mano ed un’acconciatura argentea stranamente impeccabile. 
Orecchini di perle erano abbinati alla collana che portava al collo, ed al suo fianco, un Corgi dall’aspetto strafottente se ne stava lì a guardarmi divertito. 
La donna sorrideva, distorcendo le sue rughe in un espressione simpatica, che mi mise di buon umore. 
Fuori da casa mia, mi ero ripromessa, che avrei cercato di abolire i pregiudizi, e quella donna ed il suo stupido cane, non sembravano poi nemmeno tanto male.

– Buon giorno signorina Fault, e benvenuta al liceo Dolce Amoris. - disse - Spero che si ambienterà bene ed in fretta nella nuova scuola! Ora, se vuole seguirmi, avrei un paio di fogli da farle firmare, oltre a presentarla alla sua nuova classe. - 
Io annuii. Non senza un brivido quando aveva detto “nuova classe”. 

Era come se un mattone mi fosse caduto in testa dal cielo.
Non una secchiata di acqua gelida, un mattone. 

Avevo sentito le mie ossa diventare polvere, la pelle raggrinzirsi come quella di quella vecchiaccia ed il mio stomaco gorgogliare acido dalla tensione.

Cercai di distrarmi, eseguendo firme meccaniche ogni volta che mi passava un foglio.

- Le consiglio di passare dall’assistente delegato, Nathaniel Harvard, per verificare che il suo dossier di iscrizione sia completo - disse lei, ed io annuii
- Uhm…Si certo. E dove potrei trovarlo?- chiesi con tono dolce mentre questa mi guardava con fare improvvisamente sospettoso

- Credo sia nella sala delegati - disse indispettita, ed io le sorrisi raggiante. 

Una cosa che avevo imparato dalla vita?
Quando una vecchia si indispettisce, sorridi.

- Grazie mille, a dopo! - la salutai girando a destra, cercando riparo in un altro corridoio a caso, che scoprii conducesse ad altre sei porte. 

No, non andava bene per niente. 

Iniziai ad aprire le porte chiuse, che scoprii essere bagni, ed una sala professori. Effettivamente, quando la Preside mi aveva detto di andare a cercare quel “Nathaniel”, aveva omesso di dirmi dove si trovasse la sala delegati.

Seguii la porta in fondo al corridoio, e quando l’aprii, un leggero venticello ed un sole accecante mi presentarono uno splendido giardino. 

Sbattei gli occhi più volte, cercando di capire come potessi trovarmi in quel paradiso, ma tutte le spiegazioni sembravano puntare ad uno scherzo del destino.

La mia vecchia scuola era un inferno di mattoni e risate, di fogli strappati e mozziconi di sigarette.

Non la rimpiangevo affatto.

Non rimpiangevo il cortile fatto di mattoni e prese in giro, o di ragazzine spinte negli angoli, prese per i capelli, e picchiate.

Ma questo. Sembrava.. un paradiso!
Una situazione irreale, impossibile.

Perché il Liceo Dolce Amoris poteva pure avere un nome ridicolo, ma il giardino, valeva undicimila nomi ridicoli. 

C’erano alberi in fiore, piante e cespugli di tutti i tipi, uccellini di ogni specie, ed un profumo di gelsomino che mi entrò nelle narici in modo invasivo e maledettamente sorprendente. Era perfetto.

Stranamente perfetto.

- Non è reale. - commentai ad alta voce. 

E dovevo anche aver camminato senza accorgermene perché girandomi non trovai nemmeno la porta da cui ero uscita. 

Mi ero persa.
E non me ne fregava niente.

Ero sotto un albero dalla folta chioma verde, e tutto mi sembrava essere incredibilmente bello. Mi sedetti su una panchina, guardandomi attorno. 

Non c’era nessuno.. O almeno sembrava.
Il giardino sembrava così tremendamente desolato, eppure così vivo.

Perché quel sogno era tanto ignorato?

Credevo di essere sola, in quel paradiso, e continuai a pensarlo per un paio di minuti, fino a quando non scorsi una figura dai capelli rossi.

- Hey! - lo chiamai alzandomi ed avvicinandomi. 
Lui si fermò a guardarmi. Aveva una giacca di pelle, una maglietta rossa come i suoi capelli (esilarante devo ammetterlo) e dei jeans neri. 

Un individuo così nella mia scuola sarebbe stato subito preso di mira.

Non solo per i lineamenti sottili ed i suoi capelli rosso fuoco lunghi poco sopra le spalle…ma anche per il suo smalto nero rovinato. Seriamente, perchè mai avrebbe dovuto mettersi lo smalto, un ragazzo??

Sorrisi al suo sguardo da duro, cercando di scioglierlo, ma non successe nulla.

Come sempre.

Allora anche quell’angolo di paradiso aveva la sua macchia nera.

- Ciao! Sono nuova.. Sapresti dirmi dove si trova la sala delegati? - attesi risposta, ma i suoi occhi non cambiarono di una virgola, così come la sua espressione.
- Sì- disse solo continuando a fissarmi senza dire niente. 
Io dondolai sulle gambe aspettando una risposta e spostando lo sguardo altrove….ma nulla.
- E me lo potresti dire? - chiesi cercando di rimanere calma, mentre lui fece una specie di smorfia a metà fra dolore interno e disgusto
- E a quale scopo? - disse. 

Alla fine sbuffai. Eccolo qui, il solito spaccone che invece di darti una mano fa il figo comportandosi da ribelle. 

Nella mia vita ne avevo visti sinceramente troppi.

- Fa niente! Se non lo sapevi bastava dirlo. - sbuffai girandomi e ritornando alla ricerca della porta da cui ero uscita, mimando un 'ciao' con la mano senza nemmeno controllare che mi stesse guardando.

Infondo non era importante, ma era per fare buon viso a cattivo gioco.

Ed eccomi di ritorno in quel corridoio, ormai era un chiodo fisso il mio.

Il corridoio era ancora deserto, ad eccezione di una ragazza. 

Aveva tutta l’aria di essere di fretta, con la cartella ai piedi, e la testa dentro l’armadietto. 

Indossava dei jeans sbiaditi, ed una camicetta bianca legata alla vita, aveva i capelli biondi raccolti in una treccia disordinata, ed una collana di perle. 

Aveva tutta l’aria di essere una brava ragazza.

- Ehm… Ciao? - salutai, lei si girò, guardandomi stranita, ed io abbozzai un sorriso. 

- Emh.. Tu chi sei?- chiese confusa. 

Era come quando incontri un parente che non sapevi di avere, che comincia a raccontarti anedoti sulla tua vita da piccola, e tu annuisci come se ricordassi.

- Mi chiamo Fault, sono nuova. Cerco la sala delegati ma… Non so dove sia. - ammisi.

- Oh! Ma certo, vieni con me! - disse sorridendo.

Davvero? 
Lei mi aveva davvero preso sotto braccio trascinandomi nella mistica sala delegati? 

Un sogno che si stava realizzando, ecco cos’era. 

- Oh, a proposito, mi chiamo Sabrina! - si fermò porgendomi la mano, che strinsi.

- Sabrina, credimi, sei il mio angelo! -
La sentii ridacchiare divertita. - Come mai? -

Feci per rispondere, ma lei aprì la prima porta davanti a noi e mi ci fiondò dentro 
- Facciamo che me lo dici poi.. Io ora devo andare, a dopo!- salutò per poi andarsene.

La guardai correre via, per poi girarmi ad osservare la famosa sala delegati. 

Era una stanza non molto grande, un tavolo circolare in legno dalle vaste dimensioni e dei fogli sopra. Delle sedioline viola, ed un ragazzo biondo che raccoglieva dei fogli cadutigli per terra.

La prima cosa che vidi di lui era il suo sedere.

Cerchiamo di capirci: era accovacciato a terra che raccoglieva dei fogli, ed aveva proprio il sedere puntato verso di me. 


Trattenni una risata.

- Serve una mano? - chiesi. Lo vidi annuire e mi chinai per aiutarlo a raccoglierli 

- Ehm..sto cercando Nathaniel, il segretario delegato, per controllare il mio dossier. - dissi, e il ragazzo dagli occhi d’orati mi sorrise raggiante
- Sono io, ti stavo aspettando. - 
Non so perché, ma il modo in cui lo disse… Mi piacque! Mi sentivo come nel posto giusto al momento giusto.
La sua voce calda e armoniosa rispecchiava i suoi vestiti impeccabili, ed il suo profumo di lavanda.

Ci alzammo, ed io diedi a lui i fogli raccolti.

- Oh, ed è.. tutto a posto? - chiesi, lui sorrise, prima di rabbuiarsi improvvisamente.
- Veramente no - rispose - Mancano la foto tessera, una graffetta ed una firma qui. - nel dirlo mi porse una penna, ed io iniziai a firmare.

Quella sua strana meccanicità, mi ricordò quando nella mia scuola mi ero fatta eleggere rappresentante di classe e, strano ma vero, quei tempi mi mancavano.

Odiavo la continua carta da firmare, ma preferivo di gran lunga avere un nome importante per la carica che occupavo, piuttosto che un nome importante per il ragazzo che avevo.

- Hai già dato i soldi dell’iscrizione? - chiese, e io scrollai le spalle ridandogli la penna, che lui mise nel taschino nella camicia bianca.
Avrei voluto dirgli che avrebbe macchiato quella camicia con l’inchiostro, che avrebbe fatto sicuramente un casino blu su quel tessuto bianco perché il tappino lo avevo ancora in mano io.
Però, piuttosto che ridarglielo, lo strinsi nel pugno della mano, e lo nascosi nella tasca dello zaino, mentre tiravo fuori il cellulare

- Non lo so. Mando un messaggio a mia zia e ti so dire - dissi. 

L’ambiente profumava di lavanda e carta appena stampata, un odore buonissimo, che riconobbi essere il suo.
Nathaniel, il signor delegato, seppur un biondino che dava l'impressione di essere 'tutto studio e lavoro', sembrava un tipo davvero affascinante.

Ovvio, nella mia testa solo un nome ed un profumo erano nel mio cervello e nel mio cuore, ma anche il suo faceva la sua magra figura.

- Fai con calma.. - disse Nathaniel mentre sistemava i fogli in una cartellina gialla, mentre io dal mio zaino estrassi il diario, e ne tirai fuori una fototessera.
Quella stupida foto rappresentava una ragazza dal viso dolce, i capell lisci e castani, ed un sorriso tirato, che forse, aveva visto giorni migliori.

Ricordavo quel giorno.

Dovevo fare le foto per il nuovo anno, e mia madre mi aveva trascinata in una di quelle cabine dove ti scattano una decina di foto ripugnanti.

E io ero venuta esattamente così. Ripugnante.

Perfino una tarantola avrebbe vomitato se avesse visto quella foto

La porsi, quindi, a Nathaniel con riluttanza.

Non mi andava di vedere un’altra persona guardare la sottoscritta, poi la ragazza nella foto, e storcere la bocca.

Non ci assomigliavamo per niente.

Ma a screditare le mie convinzioni, Nathaniel sorrise. Ancora.

- Sei venuta bene - disse, e io scossi la testa.
- Ti prego.. E' il sorriso più tirato che abbiano mai immortalato. -
- Può essere.. - ammise.

Stemmo in silenzio, a guardarci mentre l’uno distoglieva lo sguardo dall’altra e viceversa.

Imbarazzo.

Quel momento, però, fu spezzato dalla vibrazione del mio telefono, che più che una vibrazione sembrava un terremoto di magnitudo otto.
“OPS” recitava il messaggio.
Imprecai.

- Dice che se n’è dimenticata. - risposi, mentre iniziavo a cercare in giro per la cartella
- Hai spiccioli? - chiese lui
- Ora vedo. - risposi mentre frugavo intimamente nel mio zaino. 
All’interno avevo portato il pelouche che lui mi aveva regalato, e non volevo lo si sapesse in giro. 
Infondo.. Chi porterebbe mai un pupazzo a scuola a diciassette anni? 

Quando sul fondo trovai delle piccole superfici fredde a me note, gli sorrisi. 
- Signor delegato, oggi è il suo giorno fortunato! - ridacchiai tirando fuori le monete. 

Le contai, ed erano perfette. 

Feci per dargliele, quando vidi il suo improvviso cambio d’umore, era seccato. 

- C’è qualcosa che non va? - chiesi discretamente. Lui sospirò, prima di prendere i soldi 
-E' che non mi piace essere chiamato così. Nathaniel va più che bene - rispose. 

Io annuii ancora confusa, ma non feci domande.
- Okay… Scusa. -
- Allora..ci vediamo in classe? -
- Sì - sorrisi. Feci per indietreggiare fino alla porta, quando mi ricordai di un fattore importante. 
Non sapevo in quale classe ero. 

- Ehm.. Non so dov’è. - risposi candidamente, ridacchiando. 

Lui sorrise radioso, prima di depositare le carte ed uscire con me dall’aula

- Non vedevo l’ora di uscire di lì! - disse sorridente, io lo seguii.

- Felice di essere il tuo lasciapassare per la libertà, allora! - risposi, e lui rise, fino a quando non trovammo la mia nuova aula, dove tra l’altro, ci aspettava la preside.

Dicono che il primo giorno di scuola sia il peggiore, quello dove l’ansia ti corrode l’anima e scopri subito chi possono essere i tuoi probabili nemici.

Ebbene. Hanno ragione.

Durante la mia presentazione, una biondina senza cervello e le sue amiche hanno iniziato a farmi domande scomode, imbarazzanti, a chiedere sempre più cose di me.
Per poi iniziare a ridere.

Ma.. Cos’avrei dovuto fare?

Perfino il ragazzo dai capelli rossi che poco prima avevo incontrato in giardino aveva riso.

Ero lo zimbello della classe?
Sembrava proprio di sì.


Ed esattamente come un cane, io me n’ero tornata al mio posto. Un cane.

Ed esattamente come un cane vagabondo, finite le lezioni, che avevo deciso di fermarmi più tempo a scuola, nel giardino. 
Per godermi quell’assordante meraviglia che tanto contrastava la mia giornata di merda.

In quel momento, avevo decisamente voglia di una sigaretta.

Avevo voglia di bruciare tutta l’ansia che non mi permetteva di respirare, e se possibile, bruciare assieme a lei.
Sbuffai, lo facevo troppe volte, effettivamente..
Da que giorno disastroso,  quelle grida perpetue, e quelle occhiatacce maligne, non avevo smesso un secondo di sbuffare.
Continuavo a stare male, continuavo a peggiorare.

Una sigaretta.
Pensavo, che una sigaretta avrebbe alleviato tutti i miei problemi. Non che fumassi sempr,e non ncora in quello stadio vizioso e terribile, ma più si avvicinava a me l'opportunità di smettere, più io ne volevo una.

Che strano.

Avevo sempre criticato mio padre per il suo vizio, per i polmini grigi, che le lastre avevano trovato. E quella tosse grassa, quel fiatone, quel colore grigiastro che strava prendendo la sua pelle...non aiutavano.

Mi ero promessa che mai avrei permesso di diventare come lui.
Ma ero caduta nel vizio.
Era bastata una persona soltanto, un'idea sbagliata, un amore ingenuo, ed io ero caduta.

Mi chiedevo anche, se l'idea di puro, di perfezione, di purificazione, che quella scuola prometteva, non fosse solo la bella menzogna che nascondeva un'atroce verità.
Sarei mai uscita dal mi circolo?
Mi sarei mai disintossicata veramente?
Sarei cambiata io?
...
Ma cambiata rispetto a cosa?

La testa sembrava scoppiare. Nomi, date, avvenimenti che per me erano stati importanti, persone, che per me erano state importanti, ora non c'erano più.
Mi sentivo persa.
E non sapevo se sentirmi così fosse un bene o un male.

-allora novellina, com’è stato il tuo primo giorno? - chiese qualcuno dietro di me. Era uvoce decisa, mascolina, tremendamente affascinante, mi girai, ero sempre stata molto sensibile ai suoni, alle impressioni vocali, alle parole...quella voce per me era stata un tuono nel bel mezzo di una tempesta.
Di quelli che appaiono dal nulla, facendo tacere il casino attorno a te.


Girandomi trovai il ragazzo dai capelli rossi.
E tra le labbra stringeva proprio una tanto agognata sigaretta.

- Hai voglia di sfottere? - chiesi mentre fissavo le sue labbra. Lui ghignò. Il suo non era un sorriso.

Non era limpido come Nathaniel, ma nemmeno falso come quello di Ambra, la stronza che mi aveva deriso.

Il rosso si sedette accanto a me, sulla panchina, e tirò fuori l’accendino con cui iniziò a giocare, se lo passava fra le dita, lo accendeva, e lasciava andare la fiamma.
Il vento portava verso destra la fiamma, e più volte fu capace di scottarsi. Eppure, il suo sguardo non abbandonava l'accendino. Continuava a farlo, a scottarsi, a spostare i pollice più velocemente lontano dalla boccuccia dell'accendino.

Rimanemmo lì per un po'.
A guardare la fiamma spostarsi, forse a chiederci perchè stavamo perfettamente fermi a gauradre la fiamma spostarsi.
Ma senza dire niente.

Fu lui a rompere il ghiaccio per primo, e questo mi sorprese.

Avevo sempre incominciato tutto io.


- Senti nuova arrivata, hai da fare? - chiese rimanendo sul vago, io sospirai, sciogliendo i capelli che in classe avevo legato in un codino veloce. Negai con la testa, e lui mise via l’accendino alzandosi in piedi

- Ti porto in un posto. - disse solo. Io mi alzai e lo seguii.

Seguii quel ragazzo dentro la porta antincendio nascosta agli studenti, e salimmo le scale all’interno della scuola facendo piano, mi spiegò che non dovevamo essere visti.

Mi tenne sempre dietro di lui, e quando si accertava che il corridoio era libero, avanzavamo.

Nessuna fottuta parola superflua.

Quando raggiungemmo un’altra porta molto spessa e di ferro, lui tirò fuori un mazzetto di chiave, guardandosi attorno per non essere visto, poi, velocemente, girò la chiave nella toppa, e spinse la porta.

Ci trovavamo sul tetto della scuola.

Da quella posizione potevo vedere ogni cosa, e notai una cosa che non avevo visto quando ero arrivata la sera prima.

A pochi metri da casa mia c’era il mare.

Ad occhio e croce saranno stati pochi chilometri, ma a pochi edifici dietro le villette a schiera dove abitavo, c’era la spiaggia ed il mare

- Ti piace? - chiese il rosso dietro di me, annuii

- Si vede tutto - dissi iniziando a sorridere

Ero vicina al mare.
Ero vicina a quella fonte salina che tanto amavo.
Al richiamo delle onde

Al mito della pace e della guerra fusi in un solo punto blu. Il mare

E poi l’oceano.
Ero così vicina…

Una nuvola di fumo dall’odore conosciuto entrò nella mia visuale, oscurando ciò che i miei occhi vedevano, stava fumando una sigaretta.

- Ottima constatazione.. - disse, prima di appoggiare il sedere alla ringhiera ed espirare ancora fumo

- Grazie. Tu sei? - chiesi, lui annuì lentamente, prima di pormi la mano.

Notai le nocche screpolate ed un anello in metallo, freddo, e doloroso, quando ricambiai la stretta di mano.

- Castiel Earst - la sua voce era calda, così come la mano. Trasmetteva uno strano senso di pace.

Sorrisi.

- Fault Moore -

Le nostre mani erano così strane messe a confronto. La sua, grande e slanciata, sembrava ancora più grande mentre stringeva la mia, piccola e paffutella.

Erano completamente diverse.
Eppure così belle messe assieme.
Pensai a quanto strani fossero quei pensieri.


Il mio cuore apparteneva a Victor, la mia anima alle sue promesse, e così sarebbe stato per sempre.

Sempre.

Però le mani di Castiel sembravano così maledettamente sicure..

Una parte di me avrebbe voluto avvicinarsi ancora di più. Ma sapendo che era sbagliato, lasciai la sua mano.


Ma non il suo calore.






Angolo della scrittrice:
buonasera a tutti :D
Allora…come andiamo? Mi dispiace, so che il capitolo può risultare noiosetto…ma davvero, tra: scuola, lavoro, ragazzo, famiglia, e migliori amiche..non ho avuto un attimo di pace! Passiamo quindi ai ringraziamenti!
Voglio ringraziare @LiliFantasy per aver recensito il prologo (davvero, non me lo aspettavo) e @Sabrii_Lewis per aver pensato alla correzione e rilettura NON SOLO del Prologo, ma anche di questo PRIMO capitolo (anche a te, sei fantastica)
Spero di aver detto tutto...
Wait..
Ed ora passiamo ai personaggi:
Sabrina Allen: Capelli biondo scuro, occhi verdi tendenti al marrone, ha sedici anni, e va per i diciassette, ama leggere, giocare ai videogames e praticare sport. Va d'accordo con tutti, ed è davvero simpatica, ma se si passa da starle simpatica, ad antipatica, diventa tremendamente acida. (Dimmi se ho sbagliato qualcosa XD)
Nathaniel Harvard: Capelli biondo miele, occhi ambrati, è mediamente alto ed è il primo della classe..o della scuola…
è IL SEGRETARIO DELEGATO del Liceo Dolce Amoris, un liceo non specificato nella tanto dimenticata Le Havre (per chi non lo sapesse, in Francia). Ama i romanzi polizieschi ed i gatti. Segretamente innamorato di Melody che pare non ricambiare, ci prova con tutte le ragazze che abbiano i suoi connotati.
Castiel Earst: Capelli neri (decolorati e poi tinti di un rosso ketchup), occhi grigi, mediamente alto, è stato bocciato un anno ed ora si ritrova in classe con i “più piccoli”. Ama il suo cane, la sua chitarra e NON TOCCATE LA SUA COLLEZIONE DI ALBUM.
SPERO DI AVER DETTO TUTTO XD
Ed al prossimo capitolo!


Seth_

 
   
 
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