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Autore: xxherondale    22/01/2016    0 recensioni
Beth lo vede ogni giorno. Ogni giorno il ragazzo con la felpa nera cattura la sua attenzione, se in modo positivo o negativo non saprebbe ancora dirlo. E' attratta da lui come i bambini lo sono dal fuoco, ma Elizabeth Parrish non vuole bruciarsi. Non prima di scoprire che cosa nascondono gli occhi di Evan. Perché è inevitabile ardere nelle fiamme dell'Inferno se ci si avvicina al misterioso Evan Hamilton.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il profumo di croissant alla crema mi strappò dolcemente dal mondo dei sogni, seguito dall'abbaiare di Sammy. 
《Buongiorno anche a te, piccola peste.》,esclamai al cucciolo che saltò sul mio letto. Adoravo Sam quanto adoravo la nutella ma avrei davvero preferito che mi lasciasse dormire ancora un pochino, anche se il delizioso profumo della colazione che mi aveva svegliata significava che era davvero ora di alzarsi. 
Mi stropicciai gli occhi, diedi un'occhiata alla sveglia e saltai giù dal letto. Avrei davvero dovuto sbrigarmi, o l'autobus se ne sarebbe andato alla Westfield High da solo. Beh, in effetti proprio da solo no.. sicuramente ci sarebbe stato il ragazzo con la felpa nera. Lui c'era sempre. 
Corsi in bagno e mi preparai in tempo record poi raggiunsi la cucina. Il mio delizioso croissant alla crema era ancora li, affiancato da una tazza di thé. 
Divorai la mia solita colazione e poi corsi fuori di casa, diretta alla fermata dell'autobus. All'incrocio fra Garlic Row e Ditton Walk incontrai il solito gruppo di persone: la giovane donna con il tailleur nero (presumevo ne avesse di tanti tipi diversi, ma non l'avevo mai vista con un colore diverso dal nero), il ragazzo della Eastfield High con cui giocavo da piccola e che ora mi irritava con la sua puzza di erba e una coppia di anziani che litigava due giorni sì e uno no. Li incontravo ogni giorno, alla stessa ora e nello stesso luogo da quando avevo iniziato a frequentare le superiori. Ma loro non erano gli unici che incontravo ogni giorno.
La fermata dell'autobus era deserta e non saprei dire se questo mi rese più tranquilla o delusa. Lui non c'era, quindi potevo stare tranquilla e pensare a cose diverse rispetto all'imbarazzo di fare anche solo un piccolo passo. Ma se lui non c'era io non avevo la possibilità di fissare di nascosto i lineamenti del suo viso.
Decisi di mettere a tacere i miei stupidi e insensati pensieri con la musica e aspettai l'arrivo dell'autobus.
Quando il veicolo si accostò al marciapiede sentii un rumore di passi e in cuor mio sperai che si trattasse di lui, ma repressi l'impulso di girarmi a controllare. Salii i gradini e salutai il vecchio autista, poi andai a sedermi nella fila sinistra. Finalmente potei vedere chi era salito sull'autobus dopo di me e una fitta di delusione mi colpì il petto. Non era lui.
Sbuffai e alzai il volume della musica, concentrandomi sulle strade ancora poco trafficate di quella mattina.
Non mi resi conto del passare del tempo e nel giro di quelli che a me sembrarono pochi secondi arrivammo alla fermata davanti al Fellows Garden. Quel parco, guardandolo bene, non era davvero niente male e mi annotai mentalmente di venire a scattarci qualche foto il prima possibile. L'autobus ripartì troppo presto e io lanciai un'occhiataccia al Signor Mongomery che dallo specchietto retrovisore controllava che il nuovo arrivato obliterasse il biglietto.
Riconobbi subito la linea della sua mascella, tanto perfetta da sembrare quasi irreale. Era lui, il mio ragazzo con la felpa nera. Sì beh, non "mio" in quel senso.
Quel giorno però non indossava una felpa, una camicia, un maglione o un qualsiasi indumento di questo tipo di colore nero, ma una maglietta grigia con lo scollo a V. Gli stava terribilmente bene, dovevo ammetterlo. Teneva lo sguardo basso, una mano in tasca e l'altra ad aggiustare l'auricolare bianco, come sempre. Presto si sarebbe reso conto che il suo solito posto era occupato e l'unico posto vuoto rimasto fosse quello accanto al mio. Realizzai tutto ciò nel momento stesso in cui lo pensai e mi irrigidii all'istante. Trovavo quel ragazzo bello da morire, ma nel senso letterale del termine. C'era qualcosa, in lui, che mi faceva sentire un vuoto freddo dentro al petto, un vuoto freddo che associavo alla morte.
Mi spaventava, terribilmente, ma allo stesso tempo mi sentivo attratta da lui. Era come il rapporto con l'oscurità della mia cameretta d'infanzia : mi avevano sempre intimorito i mostri che vi avrei potuto trovare all'interno, eppure continuavo a tenere gli occhi aperti.
Un rumore mi fece tornare al presente e mi girai di scatto. Era lui e stava realizzando che avrebbe dovuto condividere il suo spazio vitale con la ragazza che lo fissava come una stalker quando guardava altrove. 
Deglutii e respirai profondamente mentre lui si lasciò cadere svogliatamente sul sedile. Abbassai il volume della musica, in caso potesse dargli fastidio... non è vero, volevo solamente essere in grado di sentirlo se avesse provato a rivolgermi la parola. 
Passarono i secondi e i minuti ed entrambi continuavamo ad ascoltare la rispettiva musica in rigoroso silenzio, poi lui prese un libro ed io cercai di reprimere l'improvvisa voglia di  saltellare.Se qualche istante prima credevo che ci fosse qualcosa di diverso in lui, quel gesto me ne diede la conferma. Ma io avevo sempre amato ciò che si distingue.
Contai fino a dieci prima di sbirciare alla mia destra e questo perchè volevo sembrasse un gesto naturale, non quello di una lettrice accanita e con una sorta di ossessione per quel povero ragazzo, ma non ero del tutto sicura che il risultato ottenuto fosse coerente alle aspettative. Era un libro piccolo che aveva sicuramente visto giorni migliori ma sembrava antico, importante e scritto in una lingua che assomigliava a quella che nonno George si impegnava a tradurre. Ero quasi sicura si trattasse di latino ma avevo paura di domandarlo a mio nonno perché se avessi sbagliato mi avrebbe rincorso per tutta Burlington con il bastone da passeggio.
Il ragazzo probabilmente si era accorto che stavo fissando lui e il suo libro e si girò verso di me. Sollevò un sopracciglio.《Desideri qualcosa?》
Rimasi qualche secondo immobile, limitandomi ad osservarlo. Il colore dei suoi occhi era davvero particolare, difficile da descrivere. La pupilla era color cobaldo, come l'iride, ma quest'ultima mostrava anche le varie sfumature del colore. Nell'insieme sembrava di guardare il cielo notturno in tutta la sua bellezza. Non avevo mai visto occhi del genere, non sembravano nemmeno reali. SenzaNome si schiarì la voce.
《Ehm, no. Cioè, mi piacerebbe sapere in che lingua è scritto quel libro.》
《E' una lingua molto antica.》Grazie tante, questo lo avevo capito anche da sola. Quando abbassai di nuovo lo sguardo sul libro una parola mi sembrò improvvisamente famigliare così mi avvicinani e la indicai al mio compagno di viaggio.
《Questa parola, "obscuri". Cosa significa? Mi sembra di conoscerla.》
Le labbra piene del ragazzo si trasformarono in una linea dura e la sua espressione passò da infastidita a preoccupata. 《E come potresti conoscerla? Non sai nemmeno di che lingua si tratta.》 
Senza nemmeno darmi il tempo di riprendermi dalla sua risposta decisamente poco carina, il ragazzo si alzò e corse fuori dall'autobus. A quanto pare eravamo arrivati a scuola, al mio primo giorno dell'ultimo anno delle superiori, ed io non me ne ero accorta.
   
 
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