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Autore: Ilune Willowleaf    16/03/2009    5 recensioni
EDIT BIS: modificato il titolo, modificati i primi due capitoli con limatine e aggiunte. Sono acnora in rodaggio con lo yaoi, abbiate pazienza ^_^ aggiunto il terzo e ultimo capitolo, se è troppo melenso, bersagliatemi pure di pomodori e uova!
Buffo, vero? Non è neanche bello, per la maggior parte delle persone. Talvolta qualcuno mi chiede perché io, amante della bellezza, io che non ricordo i nomi e i volti delle persone brutte, resti in questa Compagnia, piena di brutti ceffi, di persone volgari e rozze, così lontane dalla mia perfetta bellezza.
Bene, se vuoi, te lo rivelerò.

Yumichika ci racconta, nel suo edonistico modo, il suo passato, e il suo ambiguo rapporto con Ikkaku, la sua lotta contro un corpo bellissimo che non sente come "giusto", e l'accettazione di ciò che è e di ciò che prova. Ikkaku ci racconta la SUA versione, di come Yumichika sia entrato nella sua vita e come l'abbia sconvolta. La storia di come La Strana Coppia della Soul Society sia diventata la coppia di migliori amici che ci sia nell'aldilà e nell'aldiquà! Tranquilli, non è una sdolcineria! Raiting giallo per accenni yaoi ma solo accenni e sottintesi!
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2
Capitolo 2 - Parla Ikkaku
 
Così hai parlato con Yumichika.
Ommeglio, lui ha parlato e tu hai ascoltato.
Quanto ti ha riempito le orecchie con le sue cazzate sulla bellezza e puttanate del genere? No? Davvero? Ah, ti ha raccontato di QUELLO?!
Umh.
E adesso vorresti sentire la mia versione.
Va bene. Tanto, resterà tra noi.
Perché se lo spiattelli in giro…
 
(Ikkaku tocca l’impugnatura della zampakuto)
 
Ecco, ci siamo capiti.
Vogliamo cominciare dal principio? Dal MIO principio, intendo.
 
L’esistenza che conducevo nel mondo terreno non era molto diversa da quella che conducevo a Rukongai. Vagabondavo, e cercavo la rissa, cercavo il combattimento, per mettermi alla prova, per combattere, perché era l’unica cosa che mi faceva sentire veramente vivo.
E poi sono morto.
In un modo veramente idiota: appendicite fulminante.
La mattina stavo bene, la sera gemevo come un cane sul bordo della strada, tormentato da atroci dolori, e la mattina dopo ero morto. Che non si sappia in giro, eh, che ho una reputazione da difendere.
Quando scoprii che a Rukongai, come anima, sentivo solo la sete e non la fame, e che per il resto c’era tanta gente forte, mi sentii davvero felice.
Quindi ripresi a vagabondare, a cercare gente abile con la spada, a sfidarli e a batterli.
A ucciderli.
Questo a volte mi procurava la gratitudine di un certo numero di persone, specialmente ragazze.
Non mi andava male. Una bella vita.
Arrivi, affetti un avversario, accorrono fanciulle riconoscenti che ti gettano le braccia al collo per aver liberato la zona dai cattivoni, e per una settimana o dieci giorni te la spassi.
Poi basta.
Poi la noia prendeva il sopravvento, e io tornavo a vagabondare senza meta alcuna.
 
Ricordo abbastanza bene il giorno in cui arrivai al ventesimo distretto.
Era caldo, avevo camminato a lungo sotto il sole e avevo mangiato tanta polvere, e avevo una sete maledetta, volevo bere, acqua, meglio sakè, ma ero arrivato a notte fonda, e i locali erano chiusi.
C’era solo un posto con una luce accesa.
Quando entrai, capii subito che non era un bar, o una taverna.
Era un posto elegante.
E c’era una donna che pareva molto depressa.
Ora, non che me ne fotta alcunché della gente depressa, donna, uomo o bambino.
Ma avevo sete, e non ero entusiasta all’idea di passare la notte sulla terra nuda.
Chiesi da bere, e me ne procurò.
Desideravo solo bere in silenzio, ma mi raccontò dei suoi guai.
Forse aveva scambiato il mio silenzio da non-ho-voglia-di-parlare con quello da sono-pronto-ad-ascoltare.
Aveva problemi con un piccolo boss locale, e mi prudevano le mani. Così mi dissi, “perché no?”.
La mia ricompensa sarebbe stata il sangue.
C’era qualcosa in quella donna che mi lasciava perplesso.
Forse le spalle troppo larghe, l’altezza eccessiva - per quanto in seguito ho avuto modo di vedere donne anche più alte di me: il luogotenente della 4° compagnia fa paura per quello - o la voce che era troppo bassa.
Mi lasciò una strana sensazione.
Che mandai via con un bel po’ di sakè.
 
Dormii davvero bene, su quei cuscini e quei tatami.
Tanto che la mattina dopo, ero fresco e riposato.
Solo otto uomini.
Preferisco i combattimenti uno a uno, ma quelle nullità non meritavano né si sarebbero presentati per uno scontro uno a uno.
Li massacrai senza rimpianti, se non quello che erano troppo deboli, nemmeno un riscaldamento mattutino.
Quella strana donna era rimasta a guardare come imbambolata.
Questa parte Yumichika te l’ha già raccontata?
Vabbé, allora andiamo oltre. Ho ammazzato quel tipo e poi… oh. Ti ha raccontato anche di questo, eh? E allora saltiamo via. Per me, è stato un combattimento come tanti altri, se proprio vuoi saperlo.
 
Come ho reagito quando ho scoperto che è un uomo, lì, sulla montagna?
Beh, lascia che ti dica che ero davvero… boh. Non saprei come dirtelo.
Mi fu chiaro perché mi dava quella strana sensazione.
Mi fece un po’ incazzare.
Ma ognuno ha i suoi segreti, quindi…
Lo medicai, con l’unguento che so fabbricare e che molte volte mi ha salvato la pellaccia - Ichigo potrà confermare che è davvero una forza, questa roba, anche se Yumichika sostiene che abbia un odore disgustoso. Meglio che tu non sappia con che COSA lo faccio.
Comunque, più lo guardavo, mentre cercava di rivestirsi, più mi davo dello stupido per non averlo capito prima.
Innanzitutto, non mi era saltato al collo abbracciandomi. Ok, non lo fanno tutte le donne, ma quelle che tiro fuori dai guai con teppisti locali di solito lo fanno.
Poi era troppo femminile, anche per essere una femmina.
A parte il fatto che mi innervosiva… continuare a usare il femminile? Ma è un maschio. O usare il maschile? Ma sembra una femmina.
Beh, maschio è, e da maschio decisi che l’avrei trattato.
E dato che posso prendere in considerazione l’idea di proteggere una donna, dietro adeguata ricompensa, ma non un uomo, gli dissi chiaro e tondo che gli avrei insegnato a usare quella katana che aveva sottratto a uno dei teppisti del villaggio che aveva lasciato, per seguirmi come un cagnolino.
Mi aspettavo che protestasse. Che reagisse.
Invece chinò il capo e disse che andava bene.
Mi mandava in bestia.
Così lo allenai.
Ogni volta che prendeva in mano il bastone che usavamo all’inizio, sentivo la rabbia montarmi. Cazzo, sei un uomo, gli dicevo, che cazzo fai la donnetta? Più forza in quelle braccia! Muovi quelle gambe!
Lo riempivo di lividi, e non protestava, come la più passiva delle femmine. E questo mi mandava ancor di più in bestia.
Poi, quando si toccava cautamente le parti doloranti, e sussultava, e diceva sorridendo che non faceva così male, mi vergognavo da morire, perché mi sono sempre fatto punto d’onore non infierire su avversari inermi.
Eppure, quando la volta dopo prendeva in mano il bastone, la rabbia nel vederlo così effeminato, così passivo, mi rimontava, e di nuovo lo colpivo.
 
Col tempo, divenne meno femminile.
Prima si sbarazzò di quei ridicoli sandali tutti decorati che gli facevano storcere una caviglia ogni momento, alti come trampoli.
Poi di quell’obi, che ingannava più di tutto, così elegantemente femminile.
Infine, imparò a camminare come si deve. Camminare per bene, per vagabondare, non quei passettini che ogni tanto mi dovevo fermare ad aspettarlo, in salita.
E da dietro continuavano a scambiarlo per una donna.
Ma quei capelli lunghi proprio non li voleva tagliare. Era irremovibile.
Una volta disse che tra tutti e due così facevamo una media di capigliatura.
Giuro che quella volta l’avrei ammazzato.
Ma alla fine, mi abituai talmente tanto ad averlo alle calcagna, che se non c’era lui a guardare i miei divertenti, mortali scontri uno-a-uno, il divertimento era la metà.
Guardava sempre, con la massima indifferenza.
Anche quando mi portavo delle prostitute nelle stanze delle locande che condividevamo, una per me e una per lui, e lui le respingeva, sedendosi in un angolo buio della stanza, e guardava.
In quei momenti mi sentivo di nuovo a disagio, ma scacciavo questa sensazione, tra il sakè e i corpi di quelle donne.
 
In che rapporti sono con le donne?
Beh, sono donne. Ce ne sono di brave a combattere, ottimi avversari. Alcuni non mi sognerei mai di sfidarli, come il Capitano Unohana. Perché, mi chiedi? Prega di non scoprirlo mai. Riesce a costringere il Capitano Zaraki a riposare a letto, quando è gravemente ferito, quindi, non chiedere. Io non voglio sapere. Tu non vuoi sapere. Fidati.
Poi ci sono donne che sono buone solo per passarci un’ora. Donne che si fanno usare e gettare, da tutti.
Le puttane, insomma.
Non fare quella faccia, anche qui nella Soul Society ci sono, e lavorano. E molti Shinigami sono loro clienti.
D’altra parte, scopare è uno dei piaceri della vita, assieme a combattere e a bere. E lo sono ancora di più dopo la vita, qui a Soul Society.
 
(Ikkaku si muove, come se fosse a disagio. Ora arriva la parte difficile.)
 
Oh, quando siamo diventati shinigami.
Yumichika ti ha detto di come lo siamo diventati? Sono andato a sfidare Zaraki Kenpachi, mi ha spalmato a terra col solo reiatsu, ha riso, e ha detto che ci voleva nella sua Brigata.
Ho accettato.
Volevo diventare shinigami, per diventare più forte, e ammazzarlo.
Quando questo desiderio è stato soppiantato dall’ammirazione che ho per lui, dal desiderio di combattere e morire sotto il suo comando, non saprei dirlo.
Insomma, eravamo ufficialmente shinigami da alcuni giorni, e il giorno dopo ci sarebbe stata la riunione di capitani in cui Zaraki voleva proporci, anzi, imporci, come suoi terzo e quinto seggio.
Yumichika si presentò in camera mia con del sakè.
Dannato bastardo, lo sa che poi io non sono contento finché non vedo il fondo della bottiglia.
E quella era una bottiglia maledettamente grossa.
E un bicchiere dopo l’altro, un brindisi dopo l’altro, ce la scolammo.
Me la scolai.
Yumichika ha sempre bevuto molto meno di me. Sostiene che l’alcol gli rovini la pelle.
Mi versava da bere, un bicchiere dietro l’altro, io bevevo, porgevo, e lui riempiva.
Come una donna.
Come una servilissima donna.
Mi irritai con lui.
Quando propose quel brindisi di addio ai suoi capelli – gli avevano detto che se non li tagliava gli sarebbero stati di impiccio mortale, raccontando orride storie di shinigami uccisi perché impicciati dai capelli – dicevo, quando propose quel brindisi ai capelli, glie lo dissi, che erano una cosa da donna. Che lo avrebbero fatto ammazzare, così.
Ero sulla buona strada per la sbornia pesante.
Volevo solo mimare il gesto.
Invece, quando gli afferrai davvero i capelli, non so perché lo afferrai e lo tirai a me.
 
(Ikkaku arrossisce vistosamente, guarda da un’altra parte, si agita come se fosse seduto su un cuscino di spilli)
 
Ricordo di aver confusamente pensato che quei capelli erano davvero molto più belli di quelli di qualunque donna avessi usato per un’ora o poco più.
Che aveva davvero un viso da donna.
E che, dannazione, se non avessi saputo che è un uomo, avrei davvero giurato che era una donna.
E quindi lo baciai.
Si, non fare quella faccia. Lo ammetto, sono stato io a iniziare. Ero ubriaco lercio, se vuoi saperlo.
Ma una volta ingranato, è stato lui a continuare, e a invitarmi.
Dove cazzo aveva preso quel sakè, ancora me lo chiedo.
Perché sembrava leggero, ma doveva essere forte, e dovevo essere ubriaco fradicio.
Fu completamente diverso dalle donne con cui ero stato. Mi si aggrappava addosso con foga.
E anche quando recuperai un po’ di lucidità, non me ne fregò nulla e continuai.
 
(Pausa. Ikkaku si guarda ora le mani. Inizia a parlare lentamente, come se non volesse davvero raccontare, ma ormai c’è…)
 
Fu solo quando mi trovai steso, nudo, nel futon, con Yumichika nudo e attaccato al petto, che me ne resi conto.
Mi ero scopato il mio migliore amico.
Mi sentii malissimo. Un verme, meno di un verme.
L’avevo usato.
Lui scansava le donne che volevano toccare la sua pelle e i suoi capelli, e inorridiva anche solo alla vista degli uomini, e io l’avevo usato come una puttana da due soldi.
Mi resi conto di colpo che era il mio solo amico.
Un tempo me ne fregavo del fatto di non avere amici, di essere una bestiaccia randagia senza nulla se non la sua spada.
Ma mi ero talmente abituato alla sua presenza, che l’idea di non averlo più vicino mentre camminavo, a guardarmi mentre lottavo, mentre scopavo, mentre vivevo, mi terrorizzava.
Rimasi a lungo sveglio, anzi, a metà tra il sonno e l’essere sveglio, a cercare di pensare, di capire.
Non aveva reagito. Anzi, aveva reagito come una donna, invitandomi.
Ricordo vagamente che questa sua sottomissione mi aveva fatto incazzare, che ero stato violento, che ancora una volta dovevo averlo riempito di lividi, sulle braccia, le gambe e il petto.
Avrebbe ancora detto sorridendo che non era nulla, che non facevano poi così male?
O mi avrebbe dato invece quello sguardo freddo che riservava alle cose disgustose e brutte?
Volevo baciarlo. Non volevo baciarlo. Se l’avessi fatto e mi avesse respinto, mi sarei sentito davvero peggio di uno stupratore. Se mi avesse accolto, mi sarei di nuovo infuriato per la sua mollezza, e gli avrei fatto ancora male.
Mi sentivo meno che una merda.
Arrivò l’alba, e io ero ancora lì, non sveglio, non addormentato.
Lo sentii svegliarsi, tremare. Uscire dalle coperte e vestirsi.
Se mi avesse piantato la mia stessa zampakuto nel cuore, me lo sarei meritato.
Glie l’avrei lasciato fare, anche se avevo sempre disprezzato quel suo modo iniziale di uccidere da femmina, alle spalle, con l’inganno.
Invece, si sedette nell’angolo più buio della stanza.
Mi guardava.
Che cazzo gli passava per la testa in quel momento, me lo sono sempre chiesto.
Finsi di svegliarmi, alzandomi a sedere. In realtà non avevo chiuso occhio.
Forse voleva dire qualcosa, sorridere come nulla fosse, ma non riusciva a dire nulla.
Schivava il mio sguardo.
Diceva sempre che il mio sguardo furioso nella battaglia e nel sangue era bellissimo. Perché lo schivava?
Era arrabbiato? No, si vergognava. Come se la colpa fosse la sua. La stessa espressione di quando ho visto per la prima volta il suo petto di uomo, su quella montagna.
Mortificazione per non essere una donna.
Idiota.
Idiota, idiota, idiota!
Glie l’avrò detto un milione di volte. È un uomo, deve comportarsi da uomo, e non frignare perché non è una fica con due tettone e due belle gambe! Pensavo l’avesse capito, in quegli anni!
-Yumichika...-
Sedeva sulle ginocchia. Odiavo quando stava così, sembrava ancora di più una donna. Cercai di dominare la mia irritazione.
-Quello che è successo stanotte...-
-È stata una sciocchezza da ubriachi. - disse, secco. Si guardava le mani. Ricordo ogni dettaglio di quel momento. Ho dimenticato molte cose e molte persone, da quando sono a Soul Society, ma campassi mille anni, quel mattino rimarrà nella mia mente per sempre.
Ricordo che mi sentii sollevato. Eravamo ubriachi. Tutti e due. Da ubriachi si fanno sciocchezze di cui poi ci si pente.
Poteva essere tutto come prima, forse.
-Siamo sempre amici, vero?-
Non gli chiesi se poteva essere come prima. Non lo sarebbe stato mai più. Non dopo che l’avevo usato. Potevo solo sperare che mi perdonasse.
Dicono che gli amici si feriscono a vicenda, senza volerlo, e poi si perdonano. Quante volte l’avevo ferito e lui mi aveva perdonato, senza dire nulla? Troppe, mi resi conto.
-Si. Sei il mio migliore amico. -
Accolsi quelle parole come acqua nel deserto.
Mi buttai sul futon. C’era il mio sudore, su quel lenzuolo, e anche il suo.
Chiusi gli occhi. Mi sentivo esausto, come dopo un combattimento di quelli tosti.
Ma stavolta era la mia mente, ad essere esausta.
Lo senti alzarsi, e aprire la porta.
-La prossima volta, il sakè lo prendo io. Qualcosa di forte, non quell'acquetta leggera che trovi tu. - dissi, ad occhi chiusi. Lo dissi tanto per dire, una cosa che un amico dice a un altro. Giuro, voleva essere una proposta innocente. Lo GIURO. Di solito offrivamo una volta per uno.
Solo dopo aver pronunciato quelle parole, mi resi conto che erano estremamente ambigue. Cazzo, io sono uno che parla spiccio, non ci penso ai doppi sensi!
-Va bene. Qualcosa di forte. - mi disse, prima di lasciare la stanza.
Rimasi tutto il giorno a chiedermi se aveva colto il doppiosenso che io non volevo mettere, o se l’aveva presa come un semplice invito a bere di nuovo, tra amici.
Per tutto il giorno, schivò il mio sguardo.
Mandai in infermeria una dozzina di shinigami, sfidandoli con la bokuto, sfogando su di loro la mia rabbia.
Ma lui non venne a vedermi combattere.
E questo mi faceva incazzare ancora di più
 
 
E così la continuo.
Mi ero detta che doveva essere una one-shot su Yumichika.
Ma poi ieri sera, infilandomi nel mio lettino, le mani intirizzite che scricchiolavano per aver scritto a lungo, la mente che vagava per piani tutti suoi, mi sono detta “ok, ora l’abbiamo vista dal punto di vista di Yumichika. E Ikkaku, come vede e vive il fatto che il suo migliore amico non aspetti altro dalla vita, oltre a una nuova crema idratante per la pelle agli estratti di rosa, che infilarsi nel suo futon e fare zumpappappero?”.
Ed eccomi qui.
Maledizione.
Mi hanno trascinato sulla riva dello yaoi, questi due. X-D Mi sto anche comperando delle doujinshi yaoi su di solo (del circolo Super Nova, sono BELLISSIME, disegnano anche meglio dell’originale, e le copertine ad acquerello sono così sbav che potrei stamparmele e mettere in camera – si, giuro che lo faccio, tanto Yumichika sembra una donna).
Nel prossimo capitolo (spero l’ultimo, se non si rimettono a fare zumpappappero nella mia capa tormentando la mia povera immaginazione eterosessuale con yaoi spinto), la chiarificazione tra i due, vista sempre dal punto di vista dei ricordi di Ikkaku e di Yumichika.
Spero di aver reso la grezzezza di Ikkaku. Yumichika è più facile, è una femmina mancata. Per fortuna ho una certa esperienza di convivenza forzata con maschi grezzi e burini (5 anni di superiori = 5 anni di purgatorio), quindi riesco a immaginare anche come possa pensare Ikkaku, ma è più difficile.
 
Dato che molte autrici ringraziano a fine capitolo per i commenti al capitolo precedente, ringrazierò anche io ^_^
Ringrazio tutte (le lodi sono concime per l’umore!), ma in particolare aiechan! Grazie, amo le recensioni articolate!
Per la cronaca, a me Byakuya come personaggio piace. È stato sviluppato molto bene, svelandosi poco per volta, passando con una semplice rivelazione, in poche pagine, da “ghiacciolo stronzo” a “uomo che combatte in primis contro sé stesso”. Kubo-sensei ha fatto un lavoro meraviglioso con lui, tratteggiandone una figura piena e complessa, che neanche le persone più vicine capiscono appieno.
Ciò nonostante, o proprio per questo, una persona come Yumichika, che non ha davvero modo di conoscerlo, se non di vista o poco più, lo può tranquillamente giudicare un tipo da “palo nel culo” (SENZA riferimenti yaoi, solo come atteggiamento).
Grazie anche a lye. Guarda, contenta? La continuo! Arriverò al capitolo tre, se quei due dopo smettono di fare cose indecenti nella mia povera mente di novizia dello yaoi… ;-D
E soprattutto grazie a Eternal Fantasy. Per le scan di bleach, per le chiacchierate, perché è bello essere in sintonia sui gusti e le interpretazioni dei personaggi!
 
Probabilmente nella terza e ultima parte, lo stile cambierà leggermente: non si rivolgeranno più a un ipotetico ascoltatore (al quale cuciranno poi la bocca con orride minacce). Sarà piuttosto un raccontare a sé stessi, un raccontarsi e ricordarsi. Spero vi piaccia ^^ Il raiting dovrebbe restare giallo, o al massimo passare all’arancione, non credo di riuscire mai ad arrivare al rosso, per lo yaoi. Non ancora.
 
  
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