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Autore: imtheonekeepingyoualive    16/03/2009    8 recensioni
- Frank, io... Devo dirti una cosa. -
Appoggiò la tazza, leccandosi le labbra per togliere le gocce di caffè.
- Dimmi. -
Doveva farlo subito, cosa aspettava. Era andato lì per dirglielo, no? E allora perchè non ci riusciva?
[Frerard ambientata negli anni '40]
Genere: Malinconico, Song-fic, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Me And Mrs. Jones'
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Mrs. Jones
Me And Mrs. Jones

Me and Mrs. Jones, we got a thing going on
We both know that it's wrong
But it's much too strong to let it go now

We meet every day at the same café
Six-thirty I know she'll be there
Holding hands, making all kinds of plans
While the jukebox plays our favorite song

Me and Mrs., Mrs. Jones, Mrs. Jones, Mrs. Jones
We got a thing going on
We both know that it's wrong
But it's much too strong to let it go now

We gotta be extra careful
That we don't build our hopes too high
Cause she's got her own obligations and so do I
Me, me and Mrs., Mrs. Jones, Mrs. Jones, Mrs. Jones

Well, it's time for us to be leaving
And it hurts so much, it hurts so much inside
And now she'll go her way, I'll go mine
But tomorrow we'll meet at the same place, the same time
Me and Mrs., Mrs., Mrs., Mrs. Jones





Gerard si allacciò gli ultimi due bottoni del pesante cappotto nero, guardando il suo riflesso nel grande specchio posto all' ingresso.
Sospirò un' ultima volta, prima di voltarsi e afferrare il cappello ed uscire. Chiuse la porta e percorse il vialetto, a passo sostenuto.
Doveva incontrarsi con lui, erano quasi le sei e trenta. Non era mai arrivato in ritardo ad un loro appuntamento, non voleva iniziare proprio oggi.
Non sapeva perchè continuasse ad andare in quel bar, per incontrarlo. Non sarebbe stato più semplice andare a casa di uno dei due?
No, sarebbero sicuramente nati pettegolezzi, l' attenzione su di loro sarebbe aumentata e li avrebbero scoperti.
E sarebbero stati arrestati, per quello.
Non riusciva ancora a credere che, nel 1944, esistessero ancora persone che non accettavano quelli come lui.
Eppure doveva sempre stare attento a non far scoprire a nessuno che preferiva accompagnarsi a degli uomini, piuttosto che a sciocche ragazzine di buona famiglia, capaci di pensare soltanto a quale colore di rossetto s' intonasse mglio con la loro carnagione.

Alla fine, pensò, era diventato troppo importante anche il solo vedersi, guardarsi negli occhi sorseggiando un caffè caldo e mentre la loro canzone preferita veniva suonata dal jukebox. Bastava quello.
Gli tornò in mente quando lo conobbe, al bancone di quello stesso bar, qualche mese prima.
Di quando, voltandosi per andare a sedersi ad un tavolino, si scontrò con lui, rovesciandosi addosso tutto il liquido nero, che gli macchiò i vestiti. Successivamente le parole velenose che gli uscirono dalla bocca, i tentativi di scuse dell' altro e le sue mani che lo toccavano, cercando di asciugarlo.
Quandò tornò dal viaggio in bagno, lo trovò seduto allo stesso tavolino che aveva addocchiato lui all' inizio, che lo aspettava insieme a due tazze fumanti.
Si ricordò i grandi occhi nocciola, i capelli castani tirati indietro con la brillantina e il completo grigio scuro che indossava. E il sorriso imbarazzato che gli regalò, gli fece completamente dimenticare l' incidente di prima.
Pensò che non si rese nemmeno conto di essersi seduto accanto a lui, se ne accorse quando l' altro gli porse la mano, con un grande sorriso felice.
- Piacere, Frank. Mi scuso per tutto. - Disse, imbarazzato.
Anche la sua voce sembrava infantile, era come un bambino troppo cresciuto.
E poi la sua mano che si congiungeva con quella dell' altro, provocandogli una piacevole scossa elettrica al contatto.
- Piacere Gerard. Mi offri il caffè? -

Si ritrovò a sorridere, inconsapevolmente.
Quel ragazzo gli aveva cambiato la vita, si ritrovava ad aspettare le sei e trenta febbrilmente, per l' intera giornata, solo per poter reincontrare di nuovo quel viso da bambino e sentire quella risata fanciullesca.
Quando raggiungeva il bar, apriva la porta di verto con il cuore in gola, beandosi di vederlo già seduto al tavolo, con due tazze davanti. Era sempre così.
Non era mai riuscito ad arrivare prima di lui, non sapeva quanto tempo passasse seduto lì, ad aspettarlo.
Sapeva solo che, quando lo raggiungeva con un sorriso stampato sul volto, si illuminava salutandolo.
L' unico contatto permesso era quello della stretta di mano, quello casuale mentre si passavano lo zucchero o il giornale.
Anche se Gerard avrebbe tanto voluto sentire se la sua pelle fosse liscia e morbida come sembrava. Se le sue labbra sapessero di nicotina, dopo che aveva finito una sigaretta, se le sue mani fossero sempre calde, a differenza delle sue gelide.
Ma doveva accontentarsi, perchè poteva guardarlo, poteva ascoltare la sua voce e sentire la sua vicinanza.
Ricordava quando, un giorno uno, un giorno l' altro, si alzavano dal tavolo, si avvicinavano al grande jukebox all' angolo e sceglievano una canzone.
Sempre quella, sempre lei. Ormai era diventata la loro preferita perchè, quando si erano stretti la mano la prima volta, il sottonfondo era quello.

Gerard si accese una sigaretta, nervoso. Attraversò la strada, mentre una leggera foschia si alzava rendendo difficile la visuale.
Era nervoso, perchè quando l' avrebbe visto, tutto sarebbe stato difficile. Molto più difficile di quanto si fosse immaginato nella sua mente, quando pensava a come si sarebbe comportato, come avrebbe reagito alla notizia.
Espirò una boccata di fumo, sorpassando una signora anziana.
Vide la facciata del bar, con le luci dei lampioni riflesse nel vetro, le figure delle persone che passavano...
Si fece coraggio e aprì la porta, sentendo il peso farsi più forte su di lui, come un fardello.
Eppure non poteva tirarsi indietro, doveva farlo. Era obbligato, d' altronde.
Lo vide di spalle, seduto al tavolino. Lo avvicinò silenziosamente, si tolse il cappello e cercò di sorridere come sempre.
- Buonasera Mrs. Jones. - Gli disse, chiamandolo con il nomignolo che si erano dati durante le loro lunghe chiacchierate e i miliardi di piani che avevano costruito nel tempo.
Lo vide voltare il viso, colpirlo con il suo sorriso solare e i suoi grandi occhi.
- Buonasera a lei, Mr. Jones. -
Si sedette davanti a lui, dopo essersi tolto il cappotto e averlo appoggiato sullo schienale della sedia.
Prese un grosso respiro e afferrò la tazza, per sorseggiare il caffè come calmante.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, come non lo erano mai stati. Gerard non riusciva a conversare normalmente, si sentiva così male che gli veniva da piangere.
- C'è qualcosa che non va? - Lo sentì chiedere.
Alzò lo sguardo su di lui. Era preoccupato e si vedeva, non aveva mai avuto la fronte così aggrottata prima. E nemmeno quell' espressione sul viso.
- Frank, io... Devo dirti una cosa. -
Appoggiò la tazza, leccandosi le labbra per togliere le gocce di caffè.
- Dimmi. -
Doveva farlo subito, cosa aspettava. Era andato lì per dirglielo, no?
E allora perchè non ci riusciva?
- Questa sarà l' ultima volta che ci vediamo. - Disse, forse più freddamente di quanto volesse.
Lo sentì trattenere il respiro, sorpreso. Poi lo vide sporgersi con le spalle verso di lui.
- Cosa stai dicendo? Perchè? Ti hanno detto qualcosa? -
Come sempre iniziava a parlare senza prendere fiato, sommergendolo di domande. Come un bambino.
Scosse la testa, sentendo il magone aumentare.
- No, Frank. Non è per quello. -
- E allora perchè non vuoi più vedermi? -
Chiuse gli occhi, per evitare di far scendere le lacrime.
- Perchè devo partire per la guerra. -
Si coprì il viso con una mano, appoggiando il gomito sul tavolo. Avrebbe voluto piangere, ma non voleva mostrarsi debole.
- Cosa? - Soffiò l' altro, sorpreso.
Anche se aveva fatto di tutto per evitare di scoppiare a piangere, una lacrima riuscì lo stesso a rigargli una guancia.
- Devo andare in guerra, Frank. Mi è arrivata la lettera stamattina. Chiamato alle armi. - Disse, sfogandosi.
Aveva paura, lui. Paura che non sarebbe tornato, paura che non avrebbe più rivisto i suoi genitori, suo fratello e lui. Anche Frank.
- Ma... Com' è possibile? -
Anche l' altro non voleva crederci, doveva esserci stato un errore.
- Ero andato a registrarmi prima che ti conoscessi, quando non avevo nulla da perdere, quando anche la guerra sarebbe stata una via di fuga da questo mondo. Poi sei arrivato tu e tutto è cambiato. -
Lo guardò negli occhi, ormai lasciando che le lacrime fossero libere di bagnargli il viso. Si accorse che anche Frank aveva gli occhi lucidi.
- Ma... Ma... Non puoi non presentarti? -
Fece un mezzo sorriso, triste.
- No, è reato. E mi verrebbero a prendere loro comunque. C'è la guerra, Frank. Siamo tutti condannati. -
- E allora? S... Scappiamo io e te, andiamocene via, troveremo qualcosa da fare. - Lo pregò l' altro, piangendo anche lui.
Scosse la testa più forte.
- Non posso Frank. Non posso. -
Si alzò velocemente dal tavolo. Non riusciva più a stare lì, a sentirlo dire tutte quelle cose così belle. Altrimenti avrebbe iniziato a pensare che forse avrebbe potuto, che gli sarebbe piaciuto.
Si vestì di fretta, mentre l' altro cercava di fermarlo. Recuperò il cappello e mosse un passo verso l' uscita.
Frank continuava a tenerlo per il cappotto, impedendogli una fuga veloce.
- No, Gerard, aspetta. Non... Non puoi lasciarmi così, io... -
- Mi dispiace Frank. Ti scriverò. -
Si liberò dalla sua presa, con uno strattone e aprì la porta, uscendo nel freddo pungente della sera.
La nebbia era aumentata, facendo sembrare tutto più brutto e freddo. Si strinse nel cappotto e corse a casa.
Quando si chiuse la porta alle spalle, si lasciò andare ad un sopiro che sembrava più un singhiozzo.
Fece inconsciamente tutti i gesti che faceva ogni volta che entrava in casa, si tolse il cappotto, lo appese vicino al cappello e si diresse in cucina, per prepararsi la cena.
Quando sul tavolo vide una lettera aperta e abbandonata lì, si bloccò.
Sul foglio un pò ingiallito, campeggiavano le parole scritte a macchina.

"Mr. Gerard Arthur Way, chiamato alle armi.
Presentarsi il giorno 5 febbraio 1944 al fronte."

Quelle parole, ogni volta che le rileggeva, riuscivano a fargli provare quella sensazione di paura che gli attanagliava lo stomaco e gli faceva pensare che non sarebbe più tornato.
La ripiegò, cercando di riprendere a respirare normalmente. La infilò di nuovo nella sua busta e andò in camera, a preparare la valigia.
La prese e l' aprì sul letto, ci infilò dentro poche cose. Lo stretto indispensabile e basta.
Quando la richiuse gli sembrò che ci avesse chiuso dentro anche il suo cuore.
Si disse che poteva sempre scrivere ai suoi genitori, che sicuramente Mikey lo avrebbe sommerso di lettere e gli avrebbe raccontato perfino del libro che aveva letto per ultimo.
Sorrise debolmente.
Poteva sempre scrivere anche a Frank, gli avrebbe risposto.
Gli avrebbe scritto che, se fosse ritornato dalla guerra, sarebbe andato via con lui, avrebbero girato il mondo, solo loro due, finalmente liberi di dirsi che si amavano.
Sì, l' avrebbe fatto.
Prese la valigia per il manico e scese le scale, la lasciò accanto alla porta, pronta per quando ne avesse avuto bisogno.
Tornò in cucina, sentendosi come ovattato, come se non capise bene nulla di quello che gli succedeva intorno.
Mentre apriva la dispensa, si ricordò.
Lui non aveva neppure l' indirizzo di Frank.  




Ringrazio chiunque abbia letto questa one shot.
Alla fine la canzone per cosa l' ho usata, mi chiedo? Bah. Per chi non la conoscesse, è quella di Michael Bublè. La sonorità si prestava bene al contesto della storia. Ho immaginato che fosse questa che loro ascoltano in continuazione, al bar. 
E' un pò da spararsi in bocca, questa storia. Vero...
Ma non fa niente, a volte un pò di malinconia ci vuole. u.u
Xoxo, Sory
   
 
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