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Autore: giambo    22/01/2016    6 recensioni
Silenzio.
Dentro di lei c'era silenzio.
...
“Ma sta morendo!” esclamò Marron. “Ti prego mamma...sono i suoi compagni!”
18 si chiuse in sé, percependo una forte stanchezza invaderle tutto il corpo.
...
“Resterai con...me?” ansimò.
Lei trattenne una lacrima, desiderando che quegli istanti passati insieme non terminassero mai.
“Sì.” rispose infine, sorridendogli. “Resterò con te.”
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Crilin, Goku, Marron | Coppie: 18/Crilin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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End

 

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Silenzio.

Dentro di lei c'era silenzio.

Fissò con sguardo impenetrabile, il volto di granito, la porta davanti a sé, mentre attorno a lei la frenesia dell'ospedale la inglobava, pur senza toccarla.

Ma per lei c'era solo silenzio.

Continuò a non muovere un muscolo. Si limitò a restare lì, ferma, immobile, come una statua, le braccia molli lungo i fianchi, il volto impassibile, gli occhi, quegli splendidi occhi cerulei, vuoti, impenetrabili, incapaci di mostrare la benché minima emozione.

Perché lei non ne stava provando alcuna, non più ormai.

Non era una sciocca, non lo era mai stata, né aveva mai cercato di nascondersi dietro a futili menzogne. La verità era una ed una soltanto, e non sarebbero servite a nulla le innuverevoli bugie che i medici avevano cercato di propinarle in quegli ultimi giorni.

Aveva preso la sua decisione, e niente e nessuno l'avrebbe fermata.

La porta si aprì, permettendole di vedere, per alcuni istanti, scorci di quella stanza che, negli ultimi tempi, le era diventata orribilmente familiare. Ne uscì una donna sulla trentina che, nonostante avesse i suoi stessi capelli dorati, era profontamente diversa. Piccole rughe attorno agli occhi ed ai lati della bocca cominciavano a segnarne il volto, gli occhi erano azzurri, ma di un ceruleo vivo ed infuocato. 18 invece, pur essendone la madre, mostrava molti meno anni: il suo viso era liscio come quello di una ragazza che comincia ad affacciarsi all'età adulta, il suo fisico era perfetto, immutato dal passare del tempo, i suoi occhi, anche se dello stesso colore di quelli della figlia, erano profondamente diversi, di un azzurro così limpido e freddo da sembrare inumano. Impenetrabili ad ogni emozione, essi rappresentavano il concetto stesso di azzurro sulla faccia della Terra.

Le due donne si osservarono per alcuni istanti, immobili. Il volto di 18 non mutò innanzi alla figlia, rimanendo impassibile e vuoto, quasi come se non la vedesse. Marron invece sembrava facesse fatica a trattenere l'enormità di emozioni che la dilaniavano da dentro, il tumulto di dolore e disperazione che albergavano ormai da parecchio tempo dentro il suo cuore.

“Mamma...” dichiarò infine, rompendo il silenzio che c'era con il suo genitore. “Sta riposando...ma i medici dicono che difficilmente supererà la notte.” le sue parole furono spezzate da un singhiozzo.

La cyborg mosse le proprie iridi, fissando il dolore affiorare lentamente sul volto di sua figlia. Le labbra di quest'ultima cominciarono a tremare, mentre il suo sguardo si inumidì.

“Dimmi la verità, mamma.” proseguì la donna. “Co-cosa vuoi fare?”

18 rimase in silenzio, ma improvvisamente la sua mano sinistra andò a stringere quella della figlia, trasmettendole così tutto l'amore che provava per lei. Quest'ultima ricambiò la stretta, cercando conforto in quel contatto a lei tanto familiare.

“Lo sai cosa intendo fare.” dichiarò infine l'androide, la voce fredda e piatta, priva di qualsiasi emozione o sentimento.

Marron incassò quella semplice frase con difficoltà. Tremando, la bionda si avvicinò alla madre, sfiorandole il volto con la mano libera.

“Non voglio...” sussurrò, gli angoli della bocca tesi verso il basso, le labbra strette, contratte, nel tentativo disperato di trattenere le lacrime. 18 non potè fare a meno di pensare a come avesse preso tutto da suo padre: la sensibilità, la voglia di aiutare gli altri, l'amore incondizionato verso le persone a lei care. Tutte qualità che aveva avuto la fortuna di vedere in suo marito negli ultimi quarant'anni.

“Non voglio mamma...” singhiozzò. “Ho ancora bisogno di te...non farmi questo.”

Per la prima volta da quando era entrata lì dentro, il volto della bionda si mosse. Le labbra si incurvarono in un flebile sorriso, privo di felicità, ma carico di amore verso la figlia. Afferrò anche l'altra mano di lei, appoggiandosela al volto, godendosi ogni singolo istante di quel contatto con la cosa più preziosa che il fato le avesse mai dato.

“Non sono stata la madre che meritavi.” sussurrò infine, piantanto i propri occhi cerulei in quelli vivi e brucianti della figlia. Avresti meritato molto di più, esattamente come tuo padre. Sei forte, molto più di quanto io sia mai stata. Non hai bisogno di un...surrogato umano come me. Non ne hai mai avuto bisogno...non quanto io ho avuto bisogno di te.

Parole che avrebbe desiderato poter dire con tutta sé stessa alla figlia, ma che non uscirono mai dalla sua bocca. Perché lei non era umana, pur avvicinandosi molto nell'aspetto. Lei non era capace di esprimere emozioni come sua figlia, e non avrebbe potuto dirle tutto quello che desiderava in quegli istanti, tutto quello che il suo freddo cuore di metallo provava.

“No! Non è vero...tu...tu sei mia madre...e sei sempre stata affianco a me. Non avrei potuto desiderare due genitori migliori di voi.” replicò Marron, mentre le prime lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi. “Perché mamma?” bisbigliò poi, alla disperata ricerca di rimandare l'inevitabile. “Perché?”

La cyborg chiuse gli occhi per alcuni istanti, senza lasciare le mani della figlia, mentre ripercorreva gli ultimi quarant'anni di matrimonio con la mente, godendosi ogni singolo istante che la sua memoria cibernetica le inviava. Era stata una fortuna immensa aver potuto godere della compagnia e dell'amore di Crilin, e non avrebbe mai potuto ripagare tutto quello che suo marito aveva fatto per lei. L'aveva salvata, restituita alla vita, resa una persona, circondata dall'affetto e dall'amore di una vera famiglia. No, erano cose che non avrebbe mai e mai potuto ricambiare. Lei, così fredda, così seria, così...inumana.

Perdonami Marron. Tu mi ha dato molto, mentre io non sono riuscita a restituirti nulla.

Riaprì gli occhi, osservando, con un flebile sorriso, il volto di lei, assaporando come se fosse la prima volta la gioia di sentirsi madre.

“Tu e tuo padre...” esordì infine. “mi avete dato tanto, troppo. È tempo che io ripaghi il debito che ho nei suoi confronti.”

Perché so che tu riuscirai ad andare avanti anche senza di me...piccola mia.

Fu a quel punto, quando comprese che avevano raggiunto il punto di non ritorno, che Marron cedette al dolore ed alla disperazione. Scoppiò in lacrime, abbracciando sua madre con tutta la forza che aveva, desiderando che quell'abbraccio non avesse mai fine, mentre anche l'orgogliosa androide stringeva quel corpo al suo, amandolo con tutta la forza di cui era capace.

Ti prego Marron, sii forte e decisa...e ricordami...ti scongiuro.

“N-non credi c-che dovremmo avvisare gli altri?” singhiozzò la ragazza, una volta liberatasi dall'abbraccio della madre.

Quest'ultima sorrise, mentre asciugava con un dito le lacrime della figlia.

“Lo sapevano da molto tempo ormai di questa cosa.” rispose, accarezzandola come quando era una bambina.

“Ma sta morendo!” esclamò Marron. “Ti prego mamma...sono i suoi compagni!”

18 si chiuse in sé, percependo una forte stanchezza invaderle tutto il corpo. Era stanca, di tutto. Poteva anche non dimostrare i suoi anni, ma il suo spirito sì. Ormai non desiderava che una cosa, tutto il resto era diventato ininfluente, quasi fastidioso innanzi ai suoi occhi. Eppure, il tono disperato della figlia, quell'ultima disperata richiesta, la fecero cedere, concedendole la forza di andare avanti ancora per un po'.

Porta pazienza, Crilin...

“Chiamali pure, se pensi che ciò lo renderà felice.” rispose, il volto di nuovo inespressivo. “Ma voglio che mi prometti una cosa.”

“Che cosa?”

Che non mi dimenticherai mai, piccola mia...

Avrebbe voluto dirlo, veramente. Ma ancora una volta, fu costretta ad arrendersi alla sua natura di non-umana.

“Voglio che per nessuna ragione al mondo, quando usciranno tutti da questa stanza, tu torni a casa nostra prima di domani...mi sono spiegata?”

Marron strinse le labbra, consapevole del significato recondito di quella richiesta.

“Fino...a domani?”

“Promettimelo!” gli chiese la madre, con una veemenza nella voce che sfiorava la disperazione.

Per alcuni secondi la ragazza rimase in silenzio, combattuta dal desiderio di assecondare l'ultima richiesta del genitore, e dalla terrificante consapevolezza che, una volta detto di sì, niente e nessuno avrebbe fermato l'inevitabile.

Deglutì il nodo compatto di saliva che le ostruiva la gola, poi, trattenendo a stento una nuova ondata di lacrime, annuì.

18 sorrise, e questa volta fu un sorriso di gioia.

Grazie...amore mio.

 

 

Le ore trascorsero lente, mentre poco alla volta, gli amici di una vita di suo marito vennerò al suo capezzale, portando con loro il loro ultimo saluto. 18 rimase fuori dalla stanza, seduta su una fredda seggiolina, immersa nei suoi ricordi più dolci, con la speranza che tutto quello finisse il prima possibile.

Il primo ad entrare fu Gohan. Il primogenito di Goku si sentì un groppo in gola nel vedere ridotto in quello stato Crilin, il migliore amico di suo padre, suo compagno di mille avventure. Fece fatica a trattenere le lacrime quando constatò come il tempo del suo caro amico fosse ormai finito, e come questa volta nessun drago magico avrebbe potuto salvarlo.

Poi toccò a Trunks e Goten, i quali, vedendo il loro adorato zio adottivo steso a letto, furono molto più emotivi del primogenito di Goku. Le lacrime scesero silenziose dalle loro guance, mentre i ricordi più dolci della loro infanzia li colpirono con la violenza di un pugno. Il secondogenito di Goku fu portato via a forza da Trunks, il volto inondato di lacrime e sfigurato dal dolore, incapace di accettare che il suo amato zio andasse via per sempre.

Il turno successivo fu quello di Yamcha, Oolong e Pual. Questi ultimi due non nascosero le lacrime, mentre il guerriero terrestre, vedendo gli occhi ormai in procinto di spegnersi dell'amico, fu sul punto di cedere, ma decise di resistere fino a quando non fu fuori dalla stanza. Solo allora, nascondendosi il volto con una mano, Yamcha diede libero sfogo al suo dolore. Il dolore di vedere un amico di infanzia, ed un fratello, andarsene per sempre.

Infine, quando ormai un freddo tramonto invernale illuminava le tristi finestre dell'ospedale, arrivò Bulma. La scienziata, anche lei ormai anziana, fu quella che rimase più a lungo dentro con Crilin. Quando uscì, aveva gli occhi lucidi, ma sembrava ancora capace di resistere al dolore che, violento, imperversava dentro di lei.

Tutti coloro che erano venuti, prima di andarsene, lasciarono una parola di conforto a Marron e sua madre, ma quest'ultima rimase impassibile, infastidita da quelle parole che, alle sue orecchie, suonavano vuote e prive di significato. Neanche gli abbracci dei suoi 'nipoti' Trunks e Goten ebbero l'effetto di sciogliere quella barriera di ghiaccio che si era eretta attorno al suo cuore. Immobile, essa aspettava che si prendessero ciò che restava di suo marito, in attesa di poter vivere con lui gli ultimi istanti della loro vita.

“Marron.” ordinò, la voce atona e fredda, quando Bulma uscì dalla stanza. “Vai a salutare tuo padre.”

La ragazza annuì, in procinto di scoppiare di nuovo in lacrime. Mentre entrava nella stanza, un sorriso tremulo stampato sul volto, Bulma si avvicinò all'androide. Non disse nulla, limitandosi a sedersi lì affianco, e fissando l'intonaco bianco dell'ospedale assieme a lei.

“Dunque...è così che finisce.” esordì, dopo un paio di minuti, la scienziata. 18 non rispose. Desiderava soltanto che anche lei sparisse per sempre, permettendole di godere della presenza di suo marito per l'ultima volta.

“Non ho parole di conforto da darti.” proseguì la donna, stringendosi le mani in grembo. “Conosco anch'io il dolore che una simile perdita porta.”

La cyborg proseguì nel suo silenzio, pensando che no, non ne sapeva niente lei. Perché lei non aveva mai provato la sensazione di non essere umana, non aveva mai pensato all'idea di non poter avere emozioni, di non poter avere una vita normale. E soprattutto, nessuna persona a lei cara era stata il suo unico legame con tutto quello, con la vita stessa.

Rimase sorpresa però, quando vide Bulma porgerle, all'improvviso, un piccolo oggetto rettangolare. I suoi occhi cerulei ebbero, per una frazione di secondo, un'esitazione, osservando quell'oggetto che, negli ultimi anni, sempre più spesso aveva animato i suoi pensieri, indecisa su cosa fare della sua vita una volta arrivata a quel punto.

Il telecomando di disattivazione.

“Perché?” fu l'unica parola che le uscì dalle labbra.

“Crilin.” replicò l'altra, scatenando nell'androide un turbine di confusione e dubbio.

Crilin?

“Cosa significa tutto questo?” balbettò, incapace di mantenere il suo autocontrollo.

“E' stato lui a chiedermi di costruirlo.” spiegò la scienziata, il volto impassibile. “Diceva che, se avessi voluto, questo oggetto ti avrebbe dato la possibilità di prendere un'altra strada, la possibilità, in futuro, di trovare la persona giusta.”

La persona giusta?

18 prese il telecomando dalle mani di Bulma, constatandone la freddezza con un brivido incontrollato. Si chiese per quale motivo suo marito avesse voluto che quell'oggetto finisse nelle sue mani, quell'oggetto che, ancora una volta, le dava conferma di non essere una persona, ma solo una brutta copia di un vero essere umano.

Perché, Crilin?

“Se premerai quel tasto, ti risveglierai tra esattamente un secolo, e non avrai più nessuna memoria di tutto questo.” proseguì Bulma, la voce impassibile. “Niente di tutto quello che hai vissuto, o ricordato, rimarrà nella tua memoria. Sarai di nuovo libera di costruirti una vita, una vita senza i ricordi di Gero, Cell o di chiunque altro.”

Fu allora che 18 comprese ciò che voleva dirle suo marito con quel gesto, quale significato aveva tutto quello. Lui, Crilin, quel piccolo, sciocco, adorabile uomo non voleva che lei soffrisse, non voleva che lei compiesse l'estremo gesto di amore nei suoi confronti: era convinto di non meritarselo. Voleva darle una possibilità, la possibilità di vivere una vita incontaminata dal dolore e dalla disperazione, una vita dove nessuno l'avrebbe definita una macchina, una vita dove avrebbe potuto trovare la persona giusta. Mentalmente, la cyborg ringraziò il marito per quel gesto, l'ultimo, estremo atto di amore che le aveva dato, nel tentativo di renderla felice.

Ma lei lo era già stata, e non desiderava esserlo con nessun altro.

Sorrise, un sorriso amaro, mentre distruggeva senza esitazione il telecomando. Aveva fatto la sua scelta, e niente e nessuno l'avrebbe fermata.

Neanche tu, amore mio.

Bulma non mosse un muscolo, limitandosi ad alzarsi, osservando il volto della bionda con un sorriso triste.

“Lo ami molto, non è vero?” le chiese, mentre si stringeva il pesante cappotto attorno al corpo.

“Solo lui.” replicò 18, il volto immobile, perso nei suoi ricordi. “Solo lui.” ripetè con voce atona.

La scienziata non aggiunse nient'altro. Si limitò a sfiorare il volto di lei con una tremula carezza, per poi girarsi ed andarsene, consapevole che quella era l'ultima volta che aveva visto il suo amico Crilin e sua moglie.

Non appena Bulma scomparve dal corridoio, 18 si alzò, carica di fredda determinazione. Era giunto il momento che attendeva da molto tempo, da quando aveva capito che non c'era altra scelta che quella.

Nell'istante in cui aprì la porta, un odore di medicinale e di chiuso le invase le narici, facendole piangere il cuore. Non sopportava più quella stanza, quel luogo, quell'aria. Non tollerava l'idea che finisse lì, tutto quello che era iniziato con un soffice e tenero bacio. Tutto quello che aveva animato la sua triste esistenza da androide.

Marron stava singhiozzando, abbracciando il padre, consapevole che quegli istanti erano gli ultimi che passava con lui. Non appena la cyborg entrò nel suo raggio visivo, la ragazza si staccò molto lentamente, dando un bacio sulla fronte del padre.

“Ciao...papà.” sussurrò, la gola rotta dai singhiozzi.

“Ciao...piccola mia.” replicò, con un roco sussurro, suo padre. Del guerriero possente che era stato ormai non c'era più nessuna traccia. Colui che un tempo era stato il terrestre più forte del pianeta, ora era solo un vecchio magro ed afflitto dalla vecchiaia e dalle malattie. I capelli erano di un bianco latte, quasi spettrale, il volto era di una magrezza inumana, con le ossa degli zigomi che si stagliavano nitide, mentre il ventre incavato si alzava a malapena, sempre più debole, sempre più fioco.

“Marron, è ora.” le disse sua madre, la voce che ebbe un leggero fremito. Anche lei soffriva tremendamente a lasciare per sempre sua figlia, ma non sarebbe mai stata capace di mostrarglielo completamente. “Ricordati la tua promessa.”

Marron annuì, trattenendo un nuovo singhiozzo. Poi, in uno scatto, abbracciò la madre con tutta la forza che aveva, affondando la faccia nel petto di lei come quando era piccola.

“Ti voglio bene, mamma.” sussurrò, incapace di trattenere le lacrime.

“Anche io.” replicò la cyborg, lasciandosi andare al dolore di quella separazione. Una lacrime scese lentamente dal suo occhio sinistro, mentre ricambiava l'abbraccio della figlia. Un gesto che nessuna delle due desiderava che terminasse ma che, come tutto, ebbe una fine.

L'androide prese il volto della figlia tra le mani, beandosi di quella meravigliosa vista un'ultima volta.

“Non dimenticarti di me...” sussurrò, sorridendo.

Marron annuì di nuovo, la gola contratta da un groppo. Poi, quando il contatto con la madre finì, uscì dalla stanza, consapevole di aver appena perso i propri genitori.

Per sempre.

Grazie di tutto...figlia mia.

 

 

“Cosa...intendevi prima?” ansimò Crilin, vedendo la figlia uscire dalla stanza.

18 non rispose subito. Si avvicinò al capezzale del marito, sedendosi sul letto, beandosi di quel viso che, nonostante gli anni trascorsi, ai suoi occhi era il più bello di tutto l'universo intero. Sorrise, accarezzandogli la fronte, godendo di quel contatto.

“Come stai?” gli sussurrò, proseguendo ad accarezzarlo.

Lui le sorrise a fatica, mentre tratteneva un violento scoppio di tosse. 18 si sentì il cuore a pezzi nel vederlo in quelle condizioni, incapace di poterlo aiutare, di poterlo far star bene, di poterlo rendere veramente felice.

“Hai...parlato con...Bulma?” proseguì lui, una volta che la crisi passò.

“Sì.” rispose lei. Non ci fu bisogno di dire altro perché lui capisse.

“Perché?” soffiò, mentre il respiro diventava più lento. “Avresti potuto avere una vita libera, felice, lontana dal dolore e dalla disperazione...lontana da un inetto...un inetto come...”

L'androide gli poggiò un dito sulle labbra, fermandolo.

“Sono stata felice solo con te.” dichiarò, accarezzandogli una guancia. “Non desidero nessun'altro uomo...solo tu.”

Le labbra secche di lui si distesero in un flebile sorriso.

“G-grazie...Juu-chan.” non approvava, ma rispettava la sua scelta. Una scelta che, sapeva, la cyborg aveva fatto molti anni fa. Provò a muovere una mano, facendo uno sforzo disumano anche solo per spostare le dita, ma lei, vedendolo fare ciò, lo aiutò, portandosi la sua mano al viso, godendo di quel contatto da parte di colui che amava.

“Resterai con...me?” ansimò.

Lei trattenne una lacrima, desiderando che quegli istanti passati insieme non terminassero mai.

“Sì.” rispose infine, sorridendogli. “Resterò con te.”

 

 

Lo aiutò a vestirsi. Fuori faceva freddo, aveva cominciato a nevicare, ed anche se breve, il loro tragitto sarebbe stato difficoltoso per lui.

Poteva percepire il suo disagio nel farsi aiutare per pulirsi, vestirsi, pettinarsi. Lo poteva percepire ma non se ne curava. Era felice di rendersi utile per lui, di poter fare qualcosa per l'uomo che amava.

“Sono...solo un vecchio.” borbottò il terrestre, mentre lei lo prendeva delicatamente in braccio. “Un inutile peso per...te.”

Lei gli sorrise, togliendogli una ciocca di capelli dal volto.

“Sono io ad essere stata un peso per te.” dichiarò, gli occhi improvvisamente tristi. “Non sono mai stata capace di essere la ragazza giusta che dicevi sempre di desiderare.”

Crilin la guardò a lungo, in silenzio, mentre il suo respiro si calmava dopo l'ennesimo attacco di tosse. Comprendeva il suo stato d'animo, il suo dolore, e si sentiva il cuore in pezzi, sapendo di non essere riuscito con il suo amore a guarirla dai suoi incubi.

“Dove stiamo...andando?” chiese infine.

Lei aprì la finestra, stringedolo al petto, nel tentativo di proteggerlo dal freddo.

“A casa, Crilin.” sussurrò, osservando i fiocchi di neve cadere con silenziosa lentezza. Rimembrò tutti gli inverni passati, ormai ricordi nebulosi della sua mente, dove Crilin era ancora giovane, e Marron era solo una meravigliosa bambina, la sua. Ricordò la gioia che pervadeva la sua famiglia in quegli istanti, quanta speranza per il futuro sentiva attorno a sé, quanto amore percepiva sgorgarle dal suo cuore di latta.

Ma il futuro si era consumato in un grigio presente, ed ora era tempo per lei di andare.

Strinse la mano di suo marito.

“Andiamo a casa...” ripetè. “Insieme.”

 

 

Lo appoggiò sul loro letto con tutta la dolcezza possibile, assaporando quella visione estremamente familiare e piena di ricordi. Si guardò intorno, vedendo le memoria di una vita assieme a lui circondarla. Una dolce pace le scese nell'animo. Sì, quello era il posto giusto.

Il posto per diventare una cosa sola.

Crilin tossì con violenza maggiore di prima, preoccupandola. Il viaggio, per quanto breve, l'aveva ulteriormente delibitato. Corse a prendergli un bicchiere d'acqua, sperando che funzionasse come palliativo in attesa della fine.

“G-grazie, Juu...” dichiarò, sorridendole, dopo aver bevuto un po', ed essersi calmato. Lei replicò con un sorriso, accarezzandogli i capelli bianchi. Si distese al suo fianco, appoggiando la testa sul petto di lui, desiderosa di rimanere con il suo uomo fino alla fine, fino all'ultimo respiro.

“Stai tranquillo.” dichiarò lei, la voce rotta dal dolore. Con lui poteva mostrare altro, perché solo con lui si era sentita umana. “Ci sono io con te.”

Il terrestre le strinse una mano, consapevole che, in qualunque modo sarebbe finita, lei sarebbe rimasto al suo fianco. Fino alla fine.

 

 

Le ore passarono. La notte avanzò, diventando fonda, mentre fuori la silenziosa tormenta depositava il suo freddo manto sopra la città. 18 rimase lì, sdraiata affianco al suo uomo, osservando come la vita spirava via dal corpo di lui. Il respiro del terrestre diventava sempre più fioco, le sue membra più fredde, il suo cuore più lento. Ormai la sua vita volgeva al termine, e non ci sarebbe stata nessuna magia questa volta a poterlo riportare indietro.

E lui non voleva. Del resto, aveva vissuto la sua vita, ed era stata una vita bellissima. Circondato dall'affetto di amici, di una donna magnifica che aveva sempre amato con tutto sé stesso, e di una figlia meravigliosa. Pochi uomini potevano dire di avere avuto una simile vita, così piena di emozioni, avventure, affetto ed amore. Crilin si riteneva fortunato, ma dentro il suo cuore stanco e vecchio ebbe un piccolo rimpianto: non essere riuscito a rivedere un'ultima volta Goku, suo fratello, l'uomo che amava di più dopo la sua famiglia.

Avrei tanto voluto vederlo...un'ultima volta...

La sua mente fu invasa, mentre cadeva preda di un sonno agitato, l'ultimo, dei ricordi di quando lui e Goku erano piccoli. Di quando erano allievi del grande Muten, con il mondo giovane e pieno di colori, speranze, gioie. Quando aveva ancora davanti a sé una lunghissima strada da percorrere, una strada che pensava di fare assieme a suo fratello Goku.

Goku...si addormentò, cullato dalle carezze della moglie, sognando il volto dell'amico, ormai sparito con Shenron da parecchi anni. Un sorriso sulle labbra, mentre il sonno gli portava i ricordi più dolci della sua infanzia.

Poi, verso l'alba, quando ormai la notte volgeva al termine, Crilin chiamò la moglie.

“J-Juu...” ansimò, le palpebre tremolanti. “Juu...”

Lei alzò subito il capo, andando a prendere con le mani il volto di suo marito.

“Cosa c'è?” sussurrò.

Lui riuscì, con uno sforzo, a fare un fievole sorriso. Il sonno, per quanto pacifico, l'aveva privato delle ultime energie. Anche parlare era diventato per lui un'enorme fatica.

“Mi piacerebbe...moltissimo...vederti sorridere...” mormorò con una voce talmente roca e fioca da non sembrare neanche la sua. Di fronte a quella richiesta così dolce, la cyborg si commosse, incredula per l'ennesima volta di fronte alla fortuna che aveva avuto nella vita: quella di poter vivere affianco ad una persona straordinaria come Crilin.

Sorrise, mentre le prime lacrime cominciarono a sgorgare dai suoi occhi azzurri. Proseguì a coccolare il suo uomo, mentre cercava di non smettere di sorridere, come lui gli aveva richiesto. Voleva che se ne andasse con il suo sorriso davanti, perché nessuno sapeva cosa li avrebbe attesi dall'altra parte.

Perché lei non era umana, e i robot non vanno, una volta morti, dove riposano le anime umane. Questo si era sempre detta, e di questo ne era convinta.

Eppure avrebbe tentato lo stesso, perché non riusciva neanche ad immaginare una vita senza di lui.

Passò un'ora. Il respiro di Crilin divenne più irregolare, il suo battito più debole. 18 non riuscì a fare altro che sorridere tristemente, mentre le lacrime fluivano senza ostacolo dai suoi occhi, osservando il fato prendersi ciò che aveva di più caro.

Poi, una fioca luce arrivò dalla finestra della loro stanza, illuminando il volto morente del piccolo uomo. Crilin ansimò, quasi avesse visto qualcosa di terribilmente doloroso innanzi a sé.

“G-Goku...” rantolò improvvisamente. Con uno sforzo inumano, riuscì a sollevare una mano, provando a toccare la luce che lo illuminava, gli occhi improvvisamente umidi. “G-Goku...sei arrivato...” ansimò, mentre le prime lacrime cominciavano a scendere dai suoi occhi spenti.

Di fronte agli occhi stupidi della cyborg, dove prima c'era solo un fascio di luce, ora era presente un uomo. Era alto, muscoloso e giovane, con la pelle abbronzata, occhi neri, capelli arruffati dello stesso colore, ed un sorriso rilassato sulle labbra.

“Goku...” Crilin pianse di gioia nel vedere suo fratello, nel constatare come non si fosse dimenticato di lui. “S-sei...sei...venuto a prendermi?”

Il saiyan si limitò ad allungare una mano, sfiorando le dita tremanti del terrestre.

“Mi sei mancato, fratello.” dichiarò Goku, la voce giovanile di sempre. “Sei pronto all'ultimo viaggio?”

Il terrestre sorrise, mentre le ultime forze lo abbandonavano, rendendogli sempre più difficoltoso respirare, oltre che tenere la mano sollevata.

“S-speravo...fossi tu...ad accompagnarmi.” dichiarò Crilin. Ormai il suo respiro era quasi assente, mentre il suo corpo era diventato freddo sotto le mani di sua moglie.

“Crilin...no...” nonostante fosse preparata, nonostante tutto quello che si era detta, 18 non riusciva ad accettare tutto quello che stava accadendo, l'orribile sensazione di vedere suo marito, il suo uomo, svanire sotto i suoi occhi. Le lacrime avevano ormai ricoperto il suo volto, lasciate libere di uscire.

Crilin volse lo sguardo verso la moglie, il cui volto era stravolto dal dolore. In quell'istante l'androide, ricordando l'ultima richiesta che gli aveva fatto il marito, sorrise. Fu uno sforzo terrificante, ai limiti dell'impossibile, ma riuscì a distendere le labbra in un sorriso, guardando gli occhi quasi spenti dell'unico uomo da lei amato.

Crilin...amore mio...

“J-Juu...chan...” furono le ultime parole di lui, guardando gli occhi cerulei della donna che, più di quarant'anni fa, gli aveva rapito il cuore.

Senza smettere di sorridere, 18 lasciò con una mano il volto del suo uomo, portandola sopra al cuore. Ci caricò tutto il suo ki, tutta la sua forza, perché non voleva vivere neppure un istante senza di lui.

“Grazie per tutto. Ho amato solo te.” gli sussurrò lei, mentre sentiva il calore del ki-blast scaldarle il petto, pronto a colpire.

Poi, nello stesso istante, Goku afferrò la mano del fratello. Immediatamente, la luce nella stanza scomparve, il saiyan fece lo stesso, mentre la vita abbandonò definitivamente il corpo di Crilin. Senza indugiare oltre, la cyborg rilasciò il ki-blast, percependo dolorosamente il suo cuore spaccarsi in mille pezzi, sotto la violenza del suo stesso ki. Lo percepì, ma fu un dolore dolce, perché sapeva che sarebbe servito a raggiungere il suo scopo.

Amore mio...sto arrivando.

Poi, vomitando un fiotto di sangue nero, 18 crollò affianco al corpo del marito, priva di vita. Gli occhi chiusi, le guance bagnate dalle lacrime, le labbra insanguinate ma incurvate in un sorriso carico d'amore.

Diventiamo una cosa sola...Crilin...

 

 

Lo vide di fronte a sé. Bellissimo, come la prima volta che l'aveva visto. Era giovane, sorridente, allegro.

Crilin...” sussurrò, avvicinando una mano con fare tremante.

Lui si arruffò i capelli neri, allargando il proprio sorriso.

Ciao Juu!” esclamò.

Le loro mani si unirono, in una stretta salda ed indistruttibile. 18 non si accorse che stava piangendo, e la cosa non le interessava. Tutto quello che voleva era diventare una cosa sola con lui, l'uomo che aveva sempre amato, l'unico con cui voleva passare l'eternità che l'attendeva.

Resterai con me?” sussurrò, una volta che i loro volti si sfiorarono. “Mi abbandonerai di nuovo?”

Lui la strinse in un abbraccio, assaporando la meravigliosa sensazione di poter tenere tra le braccia la donna che amava.

No, Juu.” rispose, guardandola negli occhi, quegli stessi occhi di cui si era innamorato molti anni prima. “Non ti abbandonerò mai più.”

Lei sorrise, prendendogli il volto tra le mani.

Poi si unirono, diventando una cosa sola. Una singola volontà.

Per sempre.

 

 

FINE

  
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