Ton
reflet, ton âme et ta vie, ami, donne-les moi !
(Il tuo
riflesso, la tua anima e la tua vita, amico, dammeli!)
Giulietta, atto
III
de I
racconti di Hoffmann di Jacques
Offenbach.
Non so di
preciso quando tutto sia cominciato, so solo che ad un certo punto ho
iniziato
a farci caso.
Così,
semplicemente.
Lasci che mi
spieghi meglio, dottore.
Le capita mai, mio caro
dottore, mentre passa
velocemente accanto ad uno specchio o ad un vetro riflettente, di
cogliere un
movimento ? Intendo a parte il suo, ovviamente.
Un piccolo
movimento sospetto colto con la coda dell'occhio e che ci lascia una
sensazione
di inquietudine, forse perché istintivamente sentiamo che
non dovrebbe esserci.
Ora che ci
penso, forse la prima volta è successo quella notte di sei
mesi fa.
Quel giorno
in cui mi hanno detto che sarei morto in sei mesi.
Buffo no?
Ma andiamo
con ordine.
Deve sapere
che accanto al mio letto c'è un grande specchio a figura
intera appoggiato al
muro, un semplice rettangolo circondato da una cornice nera di plastica
dozzinale; perfettamente utile al suo scopo, pratico e poco
appariscente.
Quella
notte, risvegliandomi da un sonno agitato arrivato dopo aver versato
lacrime
amare, alzandomi per andare in bagno ho dato un'occhiata distratta allo
specchio.
Non so cosa
mi abbia spinto a farlo, non lo faccio mai, ma quella notte l'ho fatto.
Ho lanciato
un'occhiata allo specchio illuminato dalla luce della luna e ho visto
qualcosa.
Qualcosa che
mi ha fatto battere il cuore finché guardando meglio non mi
sono accorto che
non c'era nulla di anormale.
Sì,
è stata
quella la prima volta che l'ho vista.
Non gli ho
prestato
molta attenzione, a dir la verità, non quella prima volta,
convinto che fosse
semplicemente un riflesso casuale, un'impressione prodotta dal sonno
che non mi
aveva ancora lasciato del tutto.
Tornato dal
bagno, in cui, me ne rendo conto solo adesso, ho fatto
molta attenzione a non guardare nello
specchio, mi sono rimesso a letto voltandomi ostinatamente dall'altro
lato.
Non ci ho
più ripensato fino a qualche giorno dopo, quando passando
davanti allo specchio
dell'entrata ho voltato di scatto la testa con la sensazione che ci
fosse nello
specchio qualcuno che mi fissava; assurdità direte voi....
eppure da allora non
ho più smesso di vederla, e la vedo sempre più
chiaramente.
All'inizio
era un lampo di luce, o un'ombra, un movimento fulmineo che registravo
solo con
la coda dell'occhio...un riflesso sfuggente lì, dove non
avrebbe dovuto esserci
niente.
Poi si
è
fatta più chiara.
Riconoscevo
un occhio arrossato o labbra
esangui, un
lampo di capelli bruni o di pelle pallida, un
lembo di veste nera.
Mi sono
chiuso in casa, ho coperto tutti gli specchi e annerito con vernice
nera tutte
le superfici riflettenti.
È
stato
mio fratello a
chiamarla, vero dottore?
Esaurimento
nervoso, l'ha chiamato all'inizio.
Poi psicosi.
E adesso
sono qui con voi, in attesa che lei venga a prendermi.
Non se ne
abbia a male, dottore, non penso che il fatto che sia rinchiuso in
questa
clinica le faciliterà il lavoro: mi avrebbe preso anche se
fossi scappato in
capo al mondo.
Anche adesso
è lì che mi guarda,
riflessa sulla
finestra dietro di lei, Dottore.
No, è
inutile che si giri, non la vedrà... non è qui
per lei.
Io
morirò
stanotte, lo so e ora non ho più paura, ma adesso lo sapete anche voi: quando
cogliete quel
movimento con la coda dell'occhio, quello che vi fa battere il cuore e
vi da i
brividi e poi vi fa sorridere della vostra paura perché li
non c'è niente...
ebbene, qualcosa c'è; sperate solo che non sia li per voi.
Nota: sto
leggendo Lovecraft
e ho scritto questa cosa in un'ora scarsa. Nulla di che, ma mi
piacerebbe avere
un vostro parere...spero di non aver lasciato qualche strafalcione, anche
se
l'ho riletta un centinaio di volte. Un
saluto a tutti.