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Autore: Levyan    22/01/2016    1 recensioni
Il Pianto delle stelle è un fenomeno naturale che si manifesta ogni dieci anni nei cieli di Sidera. È di nuovo il momento, numerosi gruppi di turisti provenienti da tutto il mondo si raggruppano nelle città di questa calda regione nel pieno della sua estate. Per un giorno speciale. Speciale soprattutto per due ragazzi, che inizieranno il proprio viaggio verso la Lega e per un terzo... che quel giorno vedrà per la prima volta la luce.
Il Pianto Delle Stelle fa parte della saga dell’orizzonte alternativo Pokémon One Soul, ambientato nell’universo del manga Pokémon Adventures.
Le stelle piangono, ma nulla è mai come appare.
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Levyanbräu (Pokémon Adventures)'
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Capitolo 21 – Stimolo

 

‒ Quindi aspetta, spiegami bene, se tu avessi vinto io avrei rifiutato di continuare il viaggio con te? ‒ chiese Xavier un po’ infastidito dalla situazione. ‒ Non hai pensato a quanto mi avrebbe dato più fastidio il sentirmi trattato come un bambino o un Allenatore alle prime armi?
Cassandra taceva, testa bassa e occhi socchiusi, non proferiva parola.
Xavier la fissò un lungo attimo. Si chiese perché le stesse dando contro, perché stesse facendo la persona di merda con lei. Capì che non aveva apprezzato il suo gesto, ma ci era passato subito sopra, mentre ciò che più lo aveva infastidito era il fatto che lui fosse già impegnato. Stava reagendo non benissimo ma stava esponendo le ragioni sbagliate. E nel momento in cui un ingranaggio del suo cervello gli fece ricordare che la Capopalestra non sapeva nulla a proposito della sua relazione con la lontana Julie, un sorriso nacque sul suo volto e la sua finta rabbia riuscì a sbollire.
‒ Scusami… ‒ mormorò lei a bassissima voce.
‒ Ehi… ‒ il ragazzo le mise una mano sulla guancia. Non aprì bocca per qualche istante. ‒ No, scusa tu, me la sono presa troppo ‒ disse poi cercando i suoi occhi.
Cassandra ancora una volta non parlò.
 
Celia era entrata nel Centro Pokémon. Mezzo vuoto come sempre: qualche ragazzino annoiato dall’attesa seduto sui divanetti e due o tre infermiere che si raccontavano pettegolezzi inutili per ammazzare il tempo. Cercò con gli occhi e… eccolo, il telefono del centro. Si sentiva nel secolo precedente ad inserire la monetina per poter chiamare, ma sia lei che Xavier avevano fatto la scelta di non portare dietro i cellulari per quel viaggio in modo da concentrarsi più sul dispositivo PokéNet e capire tutte le sue potenzialità. Celia attese qualche istante in compagnia dello squillo cadenzato nella cornetta. Quindi giunse la risposta.
‒ Allevamento Pokémon di Delfisia, come possiamo aiutarla?
‒ Julie, sei tu? Sono Celia ‒ fece lei.
‒ Ehi, Celia, ciao… ‒ mormorò la ragazza dall’altra parte. ‒ come va?
Stavolta decise di dedicare più tempo ai convenevoli.
‒ Tutto bene, mi trovo nel percorso tra Porto Acquario e Idresia, fa un caldo terribile…
‒ Immagino ‒ rise ‒ da noi si sta bene, c’è un venticello gradevole.
‒ Il lavoro? ‒ chiese la bionda.
‒ Ah. I Wurmple si sono evoluti, l’influenza non gira più, abbiamo già seminato le bacche… non c’è quasi nulla da fare… ‒ fece lei con voce serena.
‒ Beh, ma allora potresti passare a far visita a Xavier, no?
‒ Mh… mi piacerebbe ‒ ammise. ‒ Non lo so, si vedrà… ‒ e rise di nuovo.
‒ Comunque… ho bisogno di un altro grosso favore... ‒ cominciò la ragazza dagli occhi lilla.
‒ Dimmi tutto.
‒ Ecco… ‒ e Celia prese in mano il foglietto su cui poco prima si era annotata i nomi di alcuni Pokémon. Tre, per la precisione. ‒ Dovresti mandarmi Amber, Sybil e Samurott ‒ disse soltanto.
‒ Va bene, non c’è problema ‒ acconsentì l’Allevatrice.
‒ E… un’altra cosa… ‒ proseguì Celia con voce greve.
‒ Certo, ascolto.
‒ Vorrei rilasciare tutti i miei altri Pokémon ‒ pronunciò.
Julie tacque per qualche istante.
‒ Potresti prepararli alla liberazione nella maniera più delicata possibile? ‒ chiese la bionda.
‒ Oh… va bene… ‒ rispose un po’ sconsolata Julie.
‒ Grazie mille, mandali a questa posizione.
Ancora una piccola pausa.
‒ Va bene, io li invio… ci sentiamo la prossima volta…
Riattaccò.
Celia rimase con in mano la cornetta per alcuni secondi, finché non decise di mollarla e rimetterla al proprio posto. Si sedette su un divanetto si guardò le spalle. Non c’era alcun ragazzo con strani vestiti a dormire con una rivista in faccia come la volta precedente. Fissò il dispositivo di trasferimento Pokémon finché su questo comparve la prima richiesta di trasferimento da accettare. Immediatamente acconsentì e così fece per tutte le altre. Si ritrovò con una Luna Ball e due Poké Ball per le mani. Tutte e tre emettevano uno strano calore, un calore ben conosciuto e allo stesso tempo nuovo. Le ricordavano casa.
Trasse un profondo respiro e si avviò verso l’uscita. Poco prima di fare il primo passo fuori ricordò che aveva bisogno di alcune provviste per la giornata e tornò indietro al bancone del reparto bar. Ne approfittò anche per riempire la tasca dei rimedi del suo zaino. Sapeva, anzi, era certa che ne avrebbe avuto bisogno. Uscita dal Centro fece uscire tutti la sua squadra.
“Un Reuniclus, una Gabite, una Skarmory, una Clefable, un Flareon e un Samurott” lesse mentalmente i loro nomi scorrendo lungo le loro sagome. Rapidi furono i convenevoli con i tre membri della squadra che erano appena stati riconvocati dopo tanto tempo.
“Ho scelto solo voi perché siete i più forti e i più promettenti, quelli più propensi al miglioramento…” tossì, si diede della stupida da sola e ricominciò parlando a voce alta. ‒ Ho scelto solo voi perché siete i più forti e i più promettenti, quelli più propensi al miglioramento. D’ora in poi sarete la mia squadra, la squadra che mi porterà a Holon, ognuno di voi… ‒ si corresse. ‒ …di noi dovrà dare il massimo e allenarsi fino allo stremo delle forze.
I Pokémon annuirono, la capacità di comunicazione tra gli umani e quegli esseri simil-animali aveva sempre stupito chiunque, ma mai nessuno si era chiesto quale fosse il segreto di tale taciuta intesa.
‒ Chi di voi vuole fare un po’ di riscaldamento ‒ chiese poi abbozzando il primo sorriso della giornata.
 
Xavier appallottolò quello che era rimasto del cartoccio del panino, lo ficcò nel sacchetto che avevano relegato a cestino dei rifiuti in occasione del pranzo e si alzò in piedi.
‒ Vogliamo partire? ‒ domandò poi a Cassandra.
‒ Sì, penso sia il caso.
Avevano passato la mattinata sulla riva del lago, entrambi erano riposati e freschi come appena svegli, forse fare qualche chilometro di strada avrebbe giovato sia all’uno che all’altro. Tenuto in considerazione anche il fatto che il loro obbiettivo era ancora piuttosto lontano e nessuno dei due aveva voglia di passare un’altra notte in un sacco a pelo.
I due ripresero il passo in maniera cadenzata e silenziosa. Senza spiccicare parola. Del resto l’imbarazzo generale che si era creato tra i due dopo il bacio di Cassandra non se ne sarebbe andato via facilmente, a meno che uno dei due non avesse fatto finta di niente per tentare un passettino avanti nei confronti dell’altro.
‒ Ti sei ripresa? ‒ domandò Xavier.
‒ Sì, sto bene ‒ rispose Cassandra.
Il castano aveva imparato che nelle situazioni in cui non si sa bene cosa stia succedendo alle donne, o bisogna ignorare quest’ultime facendole sentire ancora più sole, o bisogna mostrarsi anche solo apparentemente affettuosi. E lui non aveva scelta, era l’unico essere umano che gli faceva compagnia in quel momento.
‒ Senti, Cassandra, vorrei chiederti una cosa… ‒ cominciò.
La ragazza lo guardò negli occhi.
‒ Davvero hai finto di perdere per venire con me? ‒ chiese, facendo la stessa domanda con cui l’aveva “accusata” prima, ma con un tono soffice e delicato e per nulla infastidito.
La Capopalestra inghiottì e guardando a terra rispose affermativamente con una vocina flebile flebile.
Xavier sorrise, stando bene attento a far notare la sua espressione serena alla ragazza in modo da comunicarle indirettamente la sua gratitudine per quell’attrazione forse ricambiata. Si maledisse un attimo dopo, aveva visto troppi filmacci romantici a casa e al cinema con Julie. Julie. Si morse la lingua.
 
‒ Forza, Sybil fammi vedere che cosa ti ricordi, Magibrillio! ‒ ordinò la bionda.
La sua Clefable sfogò la sua energia sotto forma di un fascio di luce accecante che investì immediatamente entrambi i suoi avversari.
Come era solita allenarsi quando era da sola e quando i Pokémon selvatici locali erano troppo deboli per lei, aveva messo due dei suoi compagni che avrebbero agito da soli contro un altro che invece sarebbe stato guidato da lei. In questo caso gli avversari erano Reuniclus e Skarmory, rispettivamente Gel e Karma. I due Pokémon, non ancora sconfitti reagirono con Introforza e Alacciaio.
Minimizzato! ‒ Clefable ridusse la sua dimensione notevolmente consentendosi di evitare entrambe le mosse avversarie. Quindi tornò alla normalità.
Fulmine su Skarmory e Palla Ombra su Reuniclus!
Le due mosse, scagliate quasi simultaneamente dal Pokémon Fata, si abbatterono con violenza sugli avversari causando loro ingenti danni ma non mandandoli al tappeto.
‒ Ottimo lavoro, Ondasana e poi torna dentro, vedo che non sei ancora in forma, bella mia ‒ ammiccò Celia.
Sybil curò Karma e Gel, quindi poté rientrare nella Luna Ball.
‒ Amber, ora è il tuo turno ‒ chiamò all’appello il suo Flareon. Il Pokémon Fiamma entrò in campo fiero e avvolto nella sua calda pelliccia fulva.
Rogodenti su Karma!
Il canide partì all’assalto verso il pennuto e lo addentò con le sue zanne infuocate. Skarmory subì parecchio il colpo e scese a terra per riprendersi. Nel frattempo Amber era già partito con la seconda avanzata nei confronti di Reuniclus su ordine della sua Allenatrice. Gel aveva tentato di scagliare un attacco Psiconda, ma quest’ultimo venne evitato da Flareon che subito si gettò in un violentissimo Fuococarica.
Mentre i suoi Pokémon combattevano, Celia tornò con la mente al giorno in cui aveva tenuto tra le mani per la prima volta il suo Amber. Si trovava a Kanto assieme a Xavier e aveva scambiato con un ragazzino che le aveva proposto di uscire la sua Ambra Antica per quell’essere tanto tenero e soffice. Era un Eevee quando lo conobbe per la prima volta, e conoscendo bene quella specie, aveva subito deciso che non avrebbe forzato la sua evoluzione. Per gli Eevee, evolversi è come oltrepassare un momento della vita dopo il quale non si può più tornare indietro, per questo motivo il suo Amber, chiamato così da quel giorno, aveva deciso di evolversi solo qualche mese dopo, pronto finalmente a compiere il grande passo. Aveva proposto lui stesso la pietra, Celia ricordava bene quel giorno. Amber che col suo musetto picchiettava sulla sua borsa proprio in corrispondenza della tasca che conteneva quel minerale tanto particolare. Era rimasta soddisfatta del suo gesto, Flareon si era da subito rivelato un compagno affidabile e potentissimo.
‒ Basta così, via che ripartiamo! ‒ esclamò Celia interrompendo l’allenamento.
I suoi Pokémon si erano stancati un pochino, ma nessuno di loro aveva bisogno di un Centro Pokémon o altro, farli giacere qualche ora nella Ball sarebbe stato sufficiente. La bionda diede un’occhiata alla mappa sul suo Pokénet, la strada rimanente per raggiungere Porto Acquario non era lunghissima ma neanche era il tratto della passeggiata tra casa sua e il negozio di alimentari della via adiacente. Si fece coraggio.
 
‒ Forse è arrivato il momento di andarsene ‒ mormorò Kalut.
“Ne sei così convinto?”
‒ Anche se vorrei rimanere un altro po’ a dormire… ‒ proseguì.
“Decidi tu.”
‒ È vero che ho sentito il tuo pensiero nel sonno?
“Sì… è vero.”
‒ Xatu, ho una brutta sensazione ‒ gemette il ragazzo.
“Che cosa senti?”
‒ Non lo so, mi sembra di avere un vuoto in pancia, un senso di disagio…
“Questo tuo sentore ti suggerisce di muoverti?”
‒ Di lasciare questo luogo.
“E tu vuoi ascoltarlo?”
‒ Penso di sì…
“Perché vuoi ascoltarlo?”
‒ Perché…? Che domanda è? Ho preso una decisione…
“Perché vuoi ascoltarlo?”
Kalut tacque per dei lunghi secondi.
‒ Perché una sensazione irrazionale è l’unica cosa che non può essere contrastata dalla ragione…? ‒ tentò il ragazzo dai capelli bianchi.
“Bella risposta, mi piace.”
‒ Ah, ecco…
“Muoviamoci, sveglia Growlithe e Venipede.”
Il ragazzo, il pennuto, l’invertebrato e il canide si mossero tutti assieme, Kalut si avvolse il lenzuolo a mo’ di mantello attorno al corpo. Lo faceva sentire più sicuro.
“Che direzione vogliamo prendere, capitano?”
‒ Verso qua.
Si incamminarono tutti verso nord, Kalut aveva ancora in testa la mappa impressa come una fotografia nel suo cervello. Sentiva che qualcosa stava per accadere, ma non aveva idea di cosa, quindi per sicurezza prendeva precauzioni. Erano appena passate le sei del pomeriggio, essendo il quattro settembre ancora il sole illuminava l’atmosfera anche se si accingeva appena a toccare l’orizzonte. Kalut non si sentiva sicuro al massimo nel muoversi a quell’ora, preferiva di gran lunga il buio, ma decise che non era il momento di sindacare sui gusti personali.
‒ Xatu, dici che riuscirò a capire quale sia il mio obbiettivo almeno stanotte? ‒ chiese l’umano.
“Non so, Kalut” rispose il volatile.
‒ Che cosa credi?
Xatu lo guardò con occhio curioso.
‒ Secondo me sei troppo abituato ad affidarti a quello che sai, hai visto cos’è successo ora? Io avevo una sensazione e l’ho seguita, senza affidarmi alle mie conoscenze ‒ spiegò il ragazzo. ‒ Che cosa credi? ‒ ripeté.
“Che se ti impegni davvero potresti avvicinarti alla meta.”
‒ Non sei così incoraggiante... ‒ rise Kalut.
   
 
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