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Autore: PathosPie    22/01/2016    0 recensioni
Un piccolo ragazzo speciale, una famiglia sovrastata dalla mafia locale, insieme a tutto il paese in cui vive. Una storia che esalta un giovane ragazzo che combatte con la sua semplicità l'arduo sentiero della vita, che riserva dure prove e non guarda in faccia a nessuno
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Raccuja esiste. No, non è in Molise. No, non è sovrastata dalla mafia locale. Si, è un paesello niente male. Niente di ciò è avvenuto realmente ed ogni riferimento ad ogni evento reale è puramente casuale

"Eccolo qua, il nuovo arrivato" il dottore espose il piccolo pargolo, spaventato dalla luce che gli arrivava negli occhietti teneri, ancora non aperti "Congratulazioni, è un maschietto" il piccolo piangeva in continuazione, non la smetteva. Ma per la madre e il padre, appena entrato, erano urli di gioia e musica di vita per le loro orecchie.

"Tuttavia..." i genitori fecero una smorfia di stupore misto a preoccupazione negativa

"Tuttavia cosa?"

"Tuttavia..."

Un bambino di 6 anni che gioca tranquillamente all'aperto, scorrazzando felice con la sua palla Super Santos, insieme a tutti i suoi amici. E i suoi genitori che lavorano le mucche, producendo quel succo cremoso, bianco e delizioso chiamato latte. Sorridendo, come ogni giorno di lavoro, con ogni piccolo problema.

"Mia" il bambino rincorre la palla che si è fermata in un prato fiorito. La riprende e le dà uno slancio con una mano. I bambini, che saranno più o meno cinque o sei, continuano a giocare. Tutti, tranne uno, che se ne sta fermo a guardare con disprezzo i bambini felici di gioia.

"Ma perché giocate ancora con lui?" non ce la fa più a vedere quella scena per lui disgustosa, per gli altri dolce come lo zucchero.

"Perché, cos'ha che non va?"

"Ma l'avete visto com'è?" i compagni di quel bambino lo guardarono per un attimo prima di poter rispondere: aveva degli occhi sottili, un ciuffetto di capelli un po' penzolante e un sorriso stampato sulle labbra, vestiva una magliettina arancione. Tutto normale, insomma

"E allora? Dov'è il problema?"

"Quello è un mongoloide, lo capite, quel coso là" disse il bambino, in preda all'ira "E' UN RITARDATO" l'urlo riecheggiò nel cielo azzurro, spaventando i bambini. Ma loro, con la loro ingenuità, gli dissero

"Non capiamo quello che hai detto. Non vuoi giocare con noi?" l'altro piccolo bambino, adirato, per risposta, iniziò a balbettare

"Ma io non...ahhhh" e se ne andò tutto arrabbiato. Il bambino a cui era diretto l'insulto non aveva capito niente, insieme agli altri: aveva solo percepito la rabbia di quel pargolo.

"Torniamo a giocare?" chiese. Gli altri bambini erano d'accordo.

Tornato a casa, era ora di mangiare. Si pappò il delizioso formaggio che gli aveva offerto la mamma. Buonissimo, un po' piccante, ma con un retrogusto favoloso.

"Ti è piaciuto?"

"Si, grazie mamma" poi le chiese una cosa "Mamma?"

"Si, picciriddu da mamma"

"C'era un bambino che si era arrabbiato con me" la mamma si era un po' incuriosita

"Come mai? Gli hai fatto qualcosa?"

"No, mi aveva solo gridato <>" il padre e la madre sussultarono, poi rimasero in silenzio. Per molto tempo

"Ho detto qualcosa che non va?"

"Senti un po'" il padre si fece serio, abbassando la testa. Aveva fatto qualcosa di male. Si preparava a essere sgridato "Carmelo, tu si un picciriddu d'oro. Futtittinni di chi t'insulta, ok?" gli sorrise.

"Ok, ma che vuol dire insultare?"

"Quando qualcuno ti dice qualcosa di male"

"Ok" il bambino finì la sua deliziosa fetta di formaggio e, stanco, decise di andare a dormire. I genitori fecero lo stesso, coricandosi nel letto di sopra, fatto di paglia, ma comunque abbastanza comodo. Il bambino invece si andò a coricare in un letto con un materasso più morbido, fatto di piume dell'oca più bella esistente.

"Buonanotte, Carmelo"

"Buonanotte, mamma. Buonanotte, papà" e si addormentò, ripensando a quello che era successo in quel giorno.

"Fiu. Come sono stanco, mamma" Carmelo si stava dirigendo con i suoi genitori verso il santuario della Madonna del Tindari: di solito, verso quel periodo, soprattutto i contadini si dirigevano verso il santuario per chiedere benedizioni alla Madonna del Tindari, in modo che li aiutasse per il lavoro.

Vicino alla cittadina di Patti, ci voleva una bella scarpinata, ma sembravano arrivati. Il terreno era roccioso, con qualche ciuffetto d'erba gialla.

Il piccolo bambino stava allegramente trottorellando, mentre i suoi genitori osservavano i suoi movimenti, non perdendolo di vista

"Guarda com'è giocoso, il nostro tesoro" disse il padre. La giornata era calda e ardeva il desiderio di volere tornare indietro, ma il pensiero della vicinanza della meta li incitava a continuare

Fino a che il piccolo Carmelo incappò in un serpente velenoso, una vipera grossa e minacciosa. I genitori del piccolo bambino fecero in tempo a notarlo, ma erano troppo lontani per poter fare qualcosa. Gli gridarono al figlio.

"Figlio, che fai. Vatinni da lì, che da' serpe te morde" ma Carmelo non aveva intenzione di scappare dal serpente. Anzi, si era deciso a guardarlo senza paura ne odio. La serpe, uscendo saltuariamente la lingua a mo' di linguaccoa, ricambiava lo sguardo del bambino con uno sguardo freddo e letale. I due passarono parecchio tempo a guardarsi. Poi, la vipera si defilò, sparendo dalla vista di Carmelo. In fretta, i genitori andarono a prendere e a verificare se il bambino non aveva ferite o morsi. Assicuratosi dell'incolumità di Carmelo, ringraziarono il Signore e proseguirono il loro cammino

   
 
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