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Autore: _armida    23/01/2016    1 recensioni
Ade si chinò sul suo volto, quasi volesse sfiorarglielo con il proprio. “Lo sentì il sole sulla tua pelle, Persefone?”, soffiò sulle sue labbra. Un gesto elegante della mano e le foglie secche ancora attaccate ai rami sopra le loro teste si staccarono, permettendo così ad un raggio di sole di penetrare all’interno del cerchio, finendo a lambire le loro due figure.
“Il bell’Apollo, il tuo caro Dioniso, loro parlano del sole, del suo calore sulla pelle, ma tu ti limiti a sorridere ed annuire, fingendo di sapere di cosa parlano ma in realtà non lo sai. Senti solo un leggero torpore, niente a che fare con la sensazione divorante che provano loro. La pelle delle divinità che conosci si scurisce e diventa ambrata, la tua rimane invece sempre pallida. Ti sei mai chiesta il perché di tutto questo?”
Parlava davvero di lei? Oppure c’era anche un pochettino di sé stesso in quelle parole?
“Io e te non siamo poi così diversi”
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IV: La Festa, parte I

"Io quello non lo metto!", urlò Persefone, una volta scoperto l'abito che sua madre avrebbe voluto farle indossare per quella sera. 
Era rosa. 
Tanto rosa. 
Troppo rosa. A stile impero, lungo fino a terra e con tanti merletti e pizzi. Per completare l'orribile opera poi, un grande fiocco, sul retro.
Afrodite, alle sue spalle, si mise a sghignazzare.
Le figlie di Zeus si trovavano tutte riunite nel grande salone su cui le loro camere affacciavano, intente a prepararsi per l'imminente festa.
Artemide, infastidita dal comportamento infantile della dea della bellezza, le tirò una gomitata tutt'altro che gentile nelle costole. Sorrise, quando la sentì genere per il dolore.
Atena, al suo fianco, fulminò la dea della caccia con lo sguardo. Poi osservò la sorella minore con compassione: non doveva essere per niente facile avere Demetra come madre.
"Piuttosto che indossare quello, vengo vestita così come sono", continuò ad urlare Persefone, ancora sconvolta alla vista di quell'abito. Neanche quando era una bambina, avrebbe mai indossato un abito simile di sua spontanea iniziativa, o con almeno un minimo di volontà propria.
"Non hai molta scelta...", disse Atena, con il solito tono di voce pacato. Non era saggio contraddire Demetra.
"Certo che ha scelta", ribattè Artemide, ignorando deliberatamente le occhiate di fuoco della dea della saggezza. "Può scegliere di indossare quell'abito ridicolo ed essere presa in giro a vita da tutti gli invitati...Oppure indossare un altro abito"
Atena alzò gli occhi al cielo mentre osservava Persefone guardare la sorella con pura ammirazione. "Oh certo, certo", borbottò tra sè e sè, "Infondi pure nella nostra sorellina un po' di ribellione, poi la sentiamo io e te sua madre"
"E' ora che Demetra capisca che sua figlia non è più una bambina", esclamò Artemide, esasperata.
Afrodite, che fino a quel momento era rimasta in disparte, a sghignazzare, si fece avanti. "Persefone, ora mi occupo io di te", disse, prendendola per mano e conducendola nelle proprie camere.
Atena e Artemide le guardarono allontanarsi. Mentre la seconda si limitò ad un alzata di spalle, la prima continuava a borbottare tra sè e sè. "La vestirà da prostituta, con uno dei suoi soliti abitini striminziti, ecco cosa farà!"
"Meglio così che da bambina", commentò la dea della caccia. Prese una mela dal portafrutta su uno dei bassi tavolini presenti al centro della sala e l'addentò. "Vado a tirare un po' con l'arco, ci vediamo dopo alla festa", disse con la bocca ancora piena.
"Ma hai appena indossato l'abito per la festa, non mi sembra il caso che tu vada ad allenarti, con il rischio di rovinarlo...", le urlò dietro Atena. Le sue parole però furono buttate al vento.
 
***

Un paio di ore più tardi...

La festa era già incominciata da un un po', quando Persefone e Afrodite misero piede nel grande salone addobbato a festa da Ebe.
Tutti gli invitati si girarono ad osservarle: per la prima volta, non guardavano solo la dea della bellezza con ammirazione, ma anche la figura più minuta al suo fianco.
La dea della primavera si stupì, sia per la reazione delle persone che vedeva scostarsi al suo passaggio e, poi, di sè stessa: non avrebbe mai immaginato di riuscire a gestire così bene lo sguardo di tanta gente. Camminava tra la folla, con il passo lento e misurato, in perfetta sincronia con quello della sorella, e teneva il mento alto e la schiena composta, come la principessa che sarebbe dovuta essere.
Afrodite le aveva fatto indossare un abito rosso, monospalla, che le lasciava completamente scoperto un braccio, mentre l'altro aveva la manica lunga, il corpetto era stretto e la gonna era particolare: fatta di stoffa spessa fino a metà coscia e poi sottile, di seta semitrasparente, quasi impalpabile, con un ampio spacco, che le lasciava scoperta quasi tutta la gamba destra, e  un breve strascico. Inoltre, per far risaltare meglio il suo sottile punto vita, era stata messa una sottile cintura d'oro, con dei ricami floreali. Afrodite aveva insistito per truccarla, applicando un po' di polvere di Cipro sulla sua pelle, stando attenta a non coprire troppo le lentiggini, poi le aveva messo un po' di ombretto nero e altre strane cose di cui la giovane dea non ricordava il nome, che le davano uno sguardo all'apparenza più grande e magnetico, e del rossetto rosso sulle labbra. Era perfino riuscita a districare i suoi riccioli ribelli, pettinandoli in una treccia a corona, in cui aveva inserito qua e là alcuni piccoli fiorellini di bosco.
Camminarono tra i vari invitati, facendo qua e là qualche cenno di saluto, e si diressero verso il trono, su cui sedevano Demetra e Zeus.
Se il re dell'Olimpo sorrise, al vedere la sua figlia minore finalmente valorizzata da ciò che indossava, la sua consorte fece una faccia truce.
Atena, in piedi di fianco al trono del padre, per un attimo credette di aver visto del fumo, uscirle dalle orecchie. Certa fu la ventata d'aria gelida che invase la sala, zittendo tutti gli invitati, che si girarono verso i sovrani.
"Vai a cambiarti e togliti quella roba dalla faccia", sibilò alla figlia.
"No, madre", ribattè la giovane dea della primavera con un tono sicuro e non da lei; quella era la prima volta che contraddiceva così apertamente la dea dei raccolti.
"Kore, vai", ripetè ancora, questa volta con un tono di voce decisamente più intimidatorio. Era incredibile come, anche in quel momento, la chiamasse con quell'odioso soprannome.
"Demetra, lasciala un po' in pace", sbottò Afrodite.
"Tu non osare..."
"Perchè? Cosa mi faresti se no? Tu non sei mia madre", urlò la dea della bellezza, al limite dell'esasperazione. Prese la sorella per mano, conducendola a lunghi passi lontana dal trono.
Demetra sospirò, sconfortata.
"Lasciala divertire un po'", le sussurrò dolcemente Zeus ad un orecchio. "Nostra figlia è ormai un'adulta, è in grado di badare a sè stessa"
Per un attimo, davanti agli occhi di Demetra, comparve un'immagine di molti anni prima, del giorno in cui la sua Kore era venuta alla luce. Rivide le moire, mentre davano la loro profezia. Sentì le loro infauste parole rimbombarle nelle orecchie.  "No, non lo è", disse semplicemente.

"Complimenti", disse Apollo, avvicinandosi alle due sorelle. Alle sue spalle, Dioniso si mise a battere le mani. Osservarono entrambi con sguardo curioso la sorella minore. "E questo splendore chi è?", chiese ironico, mentre si portava una sua mano alle labbra, per un lento baciamano.
Persefone arrossì, di fronte al comportamento del fratello. 
"Finalmente la piccola Persefone ha deciso di entrare nel mondo degli adulti", commentò divertito.
"E che entrata!", gli fece il verso Dioniso. "A proposito, i miei complimenti a entrambe per la spassosa scenetta a cui ci avete fatto assistere"
I due dei si prostrarono in un improvvisato inchino. Mossa studiata apposta per far ridere le due sorelle.
"Certo, certo...", disse Afrodite, liquidandoli con un gesto della mano, distratta: tutta la sua attenzione era focalizzata sull'avvenente dio della guerra, che la osserva con aria maliziosa, appoggiato ad una delle numerose colonne della sala. "Vi affido la piccola Persefone. Mi raccomando, non la voglio veder tornare sobria, stanotte". Ormai era si era già allontanata di qualche passo, si rigirò verso i fratelli. "Anzi, non voglio proprio vederla tornare nei propri alloggi". Li fece l'occhiolino, in un gesto d'intesa.
 Apollo si rigirò verso Persefone che aveva osservato la scena con la fronte aggrottata, non riuscendo a capire bene i sottointesi del discorso che quei tre si erano scambiati. Sospirò, guardandola con un sorriso furbetto sulle labbra. "Ah, beata innocenza", disse, prendendola sotto braccio. "Andiamo a prendere qualcosa da bere"
Stava per dirigersi verso il buffet, ma si fermò, soffocando una risatina sulla spalla della sua sorellina. "Dioniso!", urlò, facendo sobbalzare il dio del vino, immerso in pensieri tutt'altro che casti sulle giovani ridenti e in abiti succinti che gli danzavano davanti agli occhi. "Smettila di correre dietro alle sottane di qualche insulsa ninfetta. Per una volta accontentati della piccola Persefone". Apollo la guardò con attenzione e il suo sguardo attento scivolò lungo le forme della giovane dea. "Che poi accontentarsi è un termine decisamente troppo riduttivo"
"La nostra sorellina potrebbe fare invidia anche ad Afrodite", commentò Dioniso, ritornato con i piedi sull'Olimpo.
Il dio della musica gli tirò un'amichevole pacca sulla schiena. "Si, ma non dirlo a voce troppo alta: sai benissimo quanto Afrodite possa essere permalosa", disse ironico.
Persefone, qualche passo più indietro , osservò con aria divertita i due fratelli, che non facevano altro che tirarsi frecciatine.
Dioniso le si avvicinò, arpionandole la sottile vita con un braccio. "Sorellina, dopo la squisitezza che ti farò bere questa sera, schiferai persino l'ambrosia"

Sarà stato per il troppo vino, intervallato qua e là con qualche liquore -il tutto a stomaco vuoto- ma Persefone si sentiva davvero leggera, quella sera.
Non sembrava neanche un clima da guerra imminente, quello che si respirava nel salone.
Osservò Dioniso, intento a danzare con una mezza dozzina di ninfee, poco lontano da lei e, istintivamente, guardò Apollo con lo sguardo implorante: quanto le sarebbe piaciuto ballare un po' anche lei!
Il dio delle arti le sorrise, prendendole una mano e portandola al centro della grande pista da ballo. 
Quasi a volerlo fare apposta, i musici si misero ad intonare una musica lenta e dolce. 
Persefone arrossì, distogliendo lo sguardo da quello del fratello. "Forse sarà meglio rimandare a più tardi", mormorò imbarazzata.
Apollo rise. "Ormai è troppo tardi per tirarsi indietro"
Le cinse la vita con braccio stringendola a sè e con la mano libera strinse quella della sorella, che appoggiò la restante sulla sua spalla.
Il ritmo era lento e, di conseguenza, anche i loro movimenti lo erano.
"Come stai trovando la festa, sorellina?", le chiese ad un orecchio.
"Mi sto divertendo molto", rispose lei con un largo sorriso.
"Decisamente meglio che nascondersi sotto le sottane di Demetra o Atena", commentò il dio.
"Sai benissimo che non potevo fare altrimenti". Per un attimo il suo sguardo si staccò da quello del fratello, vagando pensieroso per la stanza. Sapeva benissimo che, anche senza notarlo, sua madre la stava tenendo d'occhio. Era certa che ci sarebbero state delle conseguenze, il giorno successivo.
La musica cambiò e il ritmo divenne leggermente più movimentato.
"Quando te lo dico, proviamo a fare un casquet", l'avvisò Apollo.
Persefone annuì, curiosa di provare nuovi passi.
Nessuno dei due sentì l'improvviso cambio di atmosfera, che fu simile ad una folata di vento gelido, o la musica che di colpo si interrompeva all'arrivo di quell'ospite tanto atteso. 
Il Signore degli Inferi fece il suo ingresso nella sala, provocando un silenzio tombale e una generale sensazione di inquietudine negli invitati.
"E casquet...", disse Apollo, ma il suo sguardo fu immediatamente catturato dalla figura che avanzava lentamente verso i due sovrani del Monte Olimpo. Si dimenticò perfino di Persefone, in precario equilibrio tra le sue braccia, lasciandola semplicemente andare.
La giovane dea della primavera aveva fatto tutto come il dio delle arti le aveva consigliato, ma non si aspettava assolutamente che, una volta cessata la musica, Apollo l'avrebbe semplicemente lasciata andare. 
Inevitabilmente, cadde a terra, sbattendo il fondoschiena in modo tutt'altro che delicato sul freddo -e duro- marmo bianco del salone. Le scappò un piccolo urlo di protesta.
Si guardò intorno, mentre le sue guance pallide si coloravano velocemente di rosso, al vedere lo sguardo di tutti gli invitati incollato alla propria figura. Fortunatamente, ripresero subito tutti a guardare qualcosa, poco lontano da lei.
Anche Persefone, istintivamente, si mise ad osservare in quella direzione: davanti a lei vi era una persona sconosciuta, con un viso pallido, decisamente più pallido del suo -e ce ne voleva per apparire più bianchi di lei-, lunghi capelli di un biondo talmente chiaro, da apparire quasi bianchi, raccolti in un'austera coda. Indossava una veste nera, lunga fino a terra e con le maniche lunghe, che lo faceva apparire ancora più smorto. Sul capo indossava una specie di corona d'oro, con alcune pietre incastonate, ma, nel complesso, relativamente semplice.
Lo vide avvicinarsi a lei ed osservarla con aria curiosa.
Solo una volta a terra, Persefone si rese conto che, forse, aveva un po' esagerato con il vino: la stanza le pareva che girasse e, se solo avesse provato ad alzarsi da sola, era certa che sarebbe caduta nuovamente. Meglio evitare una seconda figuraccia.
Inaspettatamente, lo sconosciuto le porse una mano mano per aiutarla ad alzarsi. Mentre una Persefone ancora decisamente incerta sulle proprie gambe accettava di buon grado l'aiuto che le veniva offerto, i propri occhi, colore dei verdi pascoli primaverili, si scontrarono con quelli del Signore dell'Averno, di un azzurro chiaro, quasi come se fossero fatti di ghiaccio.
Gli osservò attentamente, anche quando il dio, dopo averla aiutata a rimettersi in piedi, le fece un lento baciamano. 
La giovane dea sentì un brivido, simile ad una scossa, quando le fredde labbra del dio toccarono la della sua mano, soffice e vellutata.
"E' un piacere rivedervi, Ade". Fu Demetra, seguita da Zeus, ad interrompere quello strano momento.
Persefone sbattè più volte le palpebre, cercando di ritornare alla realtà. Distolse immediatamente il proprio sguardo da quello del dio, improvvisamente intimorita da lui. Le sue guance, nel frattempo, stavano assumendo un colore tendente al rosso vermiglio.
"Mi rincresce molto per la triste scena a cui avete dovuto assistere", continuò la dea, con un tono di voce che cercava di essere il più rammaricato possibile. "Ci saranno delle conseguenze, per quello che è successo". Osservò con aria truce la figlia.
"Non preoccupatevi, Demetra. E' stato un piacere poter aiutare vostra figlia Persefone". La voce aveva una tonalità molto bassa e le parole venivano scandite con lentezza, quasi con fare ammaliatore.
Persefone per un attimo lo guardò, chiedendosi come facesse a sapere il suo nome. Ma venne presto riportata alla realtà da Demetra, che, approfittando del breve scambio di convenevoli tra Zeus e Ade, le arpionò malamente un braccio, portandola via.
"Ora tu vai immediatamente in camera tua", le sibilò, furiosa.


Nda
Ammettetelo, un Ade così non ve lo immaginavate proprio ahahahahah. Avevo detto che era una versione un po' alternativa ;)
Ma, per questa descrizione, ho la scienza dalla mia parte: l'Averno è un luogo senza la luce del Sole e, nei luoghi con scarsità di luce, gli abitanti non presentano di certo caratteristiche fisiche dai colori scuri; prendete per esempio i paesi della Scandinavia: quei poveretti non vedono il Sole per quasi sei mesi all'anno e hanno tutti la pelle bianca, gli occhi azzurri e i capelli biondi. Ahahahah spero di avervi convinti.
Per l'outfit di Persefone avevo pensato ad un misto tra questi due abiti: abito1 e abito2

   
 
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