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Autore: Chirubi    23/01/2016    0 recensioni
Molti anni dopo, invece, a Lady Jaina Proudmoore le guance si tinsero di rosso per un altro motivo.
Arthas – o meglio, il Re dei Lich – si ergeva dinanzi a lei, fiero e brutale.
Nei suoi occhi morti scintillava solo l'eco remoto di quelle iridi di cristallo; della sua folta chioma bionda erano rimaste le fronde di brina che gli ricadevano sciatte sul viso.
Le venne la pelle d'oca.
Si artigliò un braccio con l'altra mano, contenendo le lacrime frementi di scorrerle sul viso.
Jaina sapeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto l'amore della sua vita.
Improvvisamente, non le importò più di quando Arthas rifiutò la sua proposta di matrimonio; non le importò più del fatto che fossero stati lontani per tutto quel tempo.
L'unica cosa di cui davvero le importava era averlo lì ancora per un po', in quell'antro congelato e perduto da qualche parte nella Corona di Ghiaccio.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Al mio Arthas,

affinché tu sia sempre

eterno nella mia memoria

 

 

 

La giovane Jaina Proudmoore danzava allegra tra i prati della corte di re Terenas II, volteggiando goffamente tra una siepe e l'altra. Tra le mani piccole dalle dita affusolate stringeva un grezzo cuore di ghiaccio, dalla forma alquanto discutibile.

Sembrava più una pagnotta congelata, ma la bambina non poteva far altro se non ammirarlo estasiata. La sventolava orgogliosa: era la sua prima creazione di ghiaccio.

Ad un certo punto prese a correre nel labirinto floreale, alla ricerca del suono secco della spada di legno del principe Arthas Menethil, il quale quotidianamente si destreggiava barcollante tra orde di manichini.

«Principe, la spada va puntata alle costole in queste situazioni».

La voce di Uther si impose gentilmente sul cinguettio degli uccellini di Lordaeron, placando il loro canto ma non le loro acrobazie in aria.

Jaina si nascose timidamente dietro una siepe di rose; il Paladino la metteva un po' in soggezione, per quanto potesse essere buono e addirittura paterno nei confronti dei due bimbi.

Scorse la figura esile di Arthas, più grande di Jaina di circa tre anni: la superava di qualche centimetro in altezza, era parecchio più magro di lei e lasciava sempre che i capelli biondo scuro gli incorniciassero il viso rosso e madido per lo sforzo.

Da piccolo non era di gradevole aspetto, ma nonostante ciò alla futura Maga non dispiaceva affatto. Del resto erano compagni di gioco affiatatissimi, e peraltro erano soliti a simulare battaglie contro i manichini o ad optare per un più comune “principe e principessa”.

Ci giocavano spesso: Jaina si nascondeva nel giardino del palazzo con un lenzuolo bianco a mo' di abito da principessa e ad Arthas toccava cercarla, cosa che spesso richiedeva ore ed ore prima che lei si stancasse e corresse a braccia aperte dal suo principe.

Al solo pensiero le si arrossarono le gote, e non appena se ne accorse si nascose la faccia tra le mani; solo dopo pochi secondi si ricordò del cuore di ghiaccio e sobbalzò al contatto delle guance bollenti con le mani fredde.

I due paladini – il veterano e il novellino – si accorsero di lei, uno abbastanza confuso e l'altro sorridente.

«Lady Jaina, sei venuta a far visita al principe?».

Di fronte alla verità pronunciata dall'uomo, la biondina non poté far altro se non annuire e alzare il cappuccio viola del suo mantello.

L'Araldo della Luce si lasciò andare ad una grassa risata mentre con una mano si arricciò i baffi aurei. Abbassò lo sguardo su Arthas, che lo stava supplicando con gli occhi di lasciarlo andare per stare un po' con quella che sarebbe stata sua moglie – se le cose fossero andate diversamente.

«Vada pure, principe, oggi non è andata male» e gli strizzò l'occhio, allontanandosi con un passo ancora piuttosto giovane.

Uther li aveva lasciati soli.

Non era affatto una novità, ma quell'incontro nascondeva più di quanto la bambina pensasse.

Prese un respiro profondo, con tante piccole farfalle che le punzecchiavano lo stomaco, e deglutì.

Arthas era il suo primo – e ultimo – amore, e Jaina non poteva spiegarsi il perché di tutta quella tensione.

«Non volevo mandare via Uther, scusa» mugolò nervosa, prima di allungare frettolosamente le braccia «Questo è per te». E corse via, senza nemmeno accertarsi che l'amico avesse accettato il “cuore” di ghiaccio, cosa che avvenne.

Si rigirò quella strana pietra di gelo tra le mani, guardando la bambina correre a grande velocità.

Inclinò il capo lateralmente e non spiccicò una singola parola, non poteva; era stato tutto così repentino, così improvviso, che gli ci volle un po' prima di realizzare.

E non appena comprese che quello della compagna era un cuore di ghiaccio fatto appositamente per lui, le guance gli si arrossarono non più per la fatica dell'allenamento.

 

 

 

 

 

 

Molti anni dopo, invece, a Lady Jaina Proudmoore le guance si tinsero di rosso per un altro motivo.

Arthas – o meglio, il Re dei Lich – si ergeva dinanzi a lei, fiero e brutale.

Nei suoi occhi morti scintillava solo l'eco remoto di quelle iridi di cristallo; della sua folta chioma bionda erano rimaste le fronde di brina che gli ricadevano sciatte sul viso.

Le venne la pelle d'oca.

Si artigliò un braccio con l'altra mano, contenendo le lacrime frementi di scorrerle sul viso.

Jaina sapeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto l'amore della sua vita.

Improvvisamente, non le importò più di quando Arthas rifiutò la sua proposta di matrimonio; non le importò più del fatto che fossero stati lontani per tutto quel tempo.

L'unica cosa di cui davvero le importava era averlo lì ancora per un po', in quell'antro congelato e perduto da qualche parte nella Corona di Ghiaccio.

La Sala dei Riflessi sembrava far risuonare il suo battito per tutto il luogo, pressoché deserto.

C'erano solo loro due, a pochi metri di distanza.

Un passo in avanti e Jaina sarebbe morta; un passo indietro e non si sarebbe mai perdonata di essersi allontanata dal suo amato.

Pochi attimi prima aveva visto anche il fantasma di Uther, l'uomo che aveva fatto tanto per loro due e che era stato come una figura paterna. Lo stesso uomo morto per mano del Re dei Lich.

Le aveva detto che sarebbe stato meglio fuggire, ma ella, testardamente, aveva voluto restare.

Notò che la gentilezza e l'affetto nei gesti, nelle movenze dell'Araldo della Luce erano rimaste le stesse, al contrario di Arthas che altro non stava facendo se non vomitarle addosso minacce e insulti.

Li parò uno ad uno, così come i fendenti che aveva preso a tirarle con Frostmourne, quella lama infame che aveva rovinato le vite dei due amanti; ad ogni colpo del principe, l'Arcimaga rispondeva creando scudi di gelo.

La mente, completamente soggiogata dal cuore, avrebbe voluto farla restare lì, a lottare con lui per sempre per avere ancora l'illusione di poter stare insieme; fortuna volle che il gruppo di esploratori tecnicamente adibito ad accompagnarla – appunto per evitare inconvenienti simili – accorse in suo soccorso.

Mezza dozzina di alleati urlò infervorata, alcuni addirittura presero a scuoterla per farla rinvenire: la donna era in uno stato di trance, stava rivivendo uno ad uno tutti i momenti trascorsi con Arthas mentre assestava un colpo e ne parava un altro.

Alcuni credettero addirittura di sentirle sussurrare “perché?” o “non è giusto”, con gli occhi di zaffiro sbarrati.

Si ricordò di quando giocavano nei giardini del palazzo, di Uther, di re Terenas II, della piaga di Stratholme, di Muradin, di Kel'Thuzad, di Archimonde e di tutto ciò che aveva contribuito a cambiare, in bene o in male, quello che sarebbe stato il suo compagno per tutta la vita.

Fu lì che si rese conto, nonostante le fosse stato ampiamente detto, che di Arthas Menethil in quel corpo era rimasto poco o nulla.

Se non ha ancora distrutto Azeroth vuol dire che una parte di Arthas è ancora intrappolata nel Re dei Lich, le aveva confessato Uther, ma non è recuperabile; è stato un nobile sacrificio, il suo.

Sacrificio.

Che parola crudele.

Se non fosse stato per i suoi ideali così ferrei, se non fosse stato per quel popolo che altro non faceva se ricordare il Re dei Lich e non Arthas, adesso l'Arcimaga avrebbe potuto tenergli la mano sul trono di Lordaeron.

Era un pensiero quasi egoistico, il suo.

Ma ad ogni modo, non avrebbe reso vana la scomparsa del suo grande amore.

Si prese qualche secondo in più per canalizzare la magia, poi dal suo scettro fuoriuscì un flusso cristallino e rapido che andò ad avvolgere l'uomo per intero, come un involucro; si voltò di scatto verso i suoi commilitoni e gridò loro di fuggire.

Ma non finì lì.

Jaina Proudmoore ebbe l'occasione di guardare Arthas Menethil negli occhi un'ultima volta fuori dalla Sala dei Riflessi, prima che le flotte dell'Alleanza bombardarono delle rocce pericolanti, che lo seppellirono.

Era stato uno sguardo intenso, deciso.

Gli occhi dell'Arcimaga si erano concatenati a quelli di ciò che era rimasto del re di Lordaeron con malinconia, con rabbia, con disprezzo e, ancora, con amore.

Si voltò per evitare di assistere alla frana, spezzando quel contatto visivo così intenso ma al contempo doloroso.

«Avrei dovuto ascoltare Uther, non so cosa mi sia preso» annunciò, affettando serenità «Ma era una cosa personale, dovevo guardarlo negli occhi per l'ultima volta».

Nessuno degli esploratori osò proferir parola. Alcuni sapevano dei trascorsi dei due amanti, altri no, altri se n'erano fatti un'idea, ma decisero all'unanimità di chinare il capo in segno di rispetto.

Restarono a capo basso per pochi secondi, perché poi Jaina, non volendo restare lì per un secondo di più, si avvicinò ai vascelli.

In cinque la seguirono, ma l'ultimo, probabilmente l'esploratore più giovane, si intrattenne per qualche istante in più.

Ad aver attirato la sua attenzione fu un cristallo di ghiaccio incastonato tra la neve, poco più avanti delle rocce franate.

Gli si avvicinò, era davvero singolare: aveva la forma di un cuore.

Non aveva nessun valore a livello commerciale, ma era senz'altro carino.

Il ragazzo si sistemò il grande – e ingombrante – copricapo beige sul capo biondo.

Si guardò intorno con circospezione, si abbassò di scatto e recuperò la gemma glaciale, intascandola.

Nessuno avrebbe mai saputo che quello era un dono per Lady Jaina Proudmoore mai consegnato.

   
 
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