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Autore: Adeia Di Elferas    23/01/2016    6 recensioni
Il giorno dell'esecuzione di Mary Stuart, Elizabeth è tormentata dai dubbi e dai sensi di colpa. Walsingham, capo delle spie, nonché consigliere fidato della regina, cerca di farla sfogare in privato, sperando di calmarla e dissipare le nubi che hanno avvolto la sua anima.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
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~~ Elizabeth si sentiva la fronte imperlata di sudore e le mani le tremavano in modo impercettibile, ma molto fastidioso.
 Le strinse l'una nell'altra e le tenne vicine al grembo, sperando che nessuno le notasse troppo.
 Doveva essere quello, il momento. Forse proprio in quell'istante la lama del boia stava tagliando il collo a Mary, a sua cugina, alla regina di Scozia...
 Poteva fermare tutto? No, non poteva più. Anche se per assurdo avesse emesso immediatamente un controdine, solo un miracolo avrebbe potuto interrompere in tempo l'esecuzione.
 “Walsingham. Walsingham!” chiamò la regina, attirando l'attenzione non solo dell'uomo, ma anche di molti dei presenti nella sala.
 Francis Walsingham fece un breve sorriso per congedarsi da due uomini con cui stava chiacchierando e si avvicinò alla regina. La vide pallida e scossa e intuì dallo sguardo delle sua dame di compagnia che Elizabeth doveva essere in quello stato da un po'.
 “Non qui.” le disse piano, temendo che la donna potesse in qualche modo rendersi ridicola davanti a troppi testimoni.
 Con voce più alta Walsingham aggiunse: “Certo, vostra maestà, parliamone con calma. Le questioni riguardanti la flotta vanno affrontate con calma e pazienza!”
 Con un cenno del capo l'uomo invitò le dame di compagnia a starsene in disparte e accompagnò Elizabeth in una delle sale più riparate del palazzo.
 Qui, la donna cominciò a camminare a destra e a sinistra, una mano sul fianco, un'altra sulla bocca. Le ampie gonne strusciavano contro il pavimento di pietra, mentre i suoi occhi chiari si spostavano febbrili di qua e di là, come se cercassero un appiglio impossibile da trovare.
 Walsingham poteva vantarsi di conoscere bene l'animo umano. Gli anni passati a fare la spia e a scutare i volti della gente in cerca di un segno di tradimento o di paura lo avevano reso un grande esperto. In quel momento, però, avrebbe voluto non essere tanto acuto.
 Nel viso tirato della sua regina leggeva solo terrore e incertezza, nel suo modo nervoso di muoversi vedeva un senso di impotenza tale dal renderla confusa e pentita delle sue scelte.
 “Vostra maestà...” cominciò a dire Walsingham, sapendo bene perchè la regina si sentiva in quel modo. Era l'8 febbraio, il giorno stabilito per l'esecuzione di Mary Stuart. Un'esecuzione che la regina aveva concesso solo perchè era stato lui a consigliarla. Quanti patimenti c'erano stati, dietro la firma apposta alla condanna di morte...
 “Una regina.” prese a dire Elizabeth, agitando un braccio in aria, mentre i suoi piedi continuavano a mettersi l'uno davanti all'altro, misurando la stanza fredda e silenziosa: “Ho mandato a morte una regina.” si fermò di colpo e guardò l'uomo che, nel frattempo, si era seduto su uno sgabello, l'unico appoggio disponibile in quella sala.
 Elizabeth lo fissò e chiese, con le narici che vibravano: “Vi rendete conto, Walsingham?”
 Francis Walsingham fece un lungo respiro, allacciandosi le mani in grembo e cominciò a dire, alzando un sopracciglio: “Con tutto il rispetto, vostra maestà... Mary Stuart non era più legittima da un pezzo e complottava contro di voi...”
 “Assurdità, Walsingham!” urlò Elizabeth, battendo il piede in terra e stringendo i pugni lungo i fianchi.
 Nel fare questa mossa i gioielli che portava tintinnarono furibondi.
 “Che la ritenessimo legittima o meno, Mary era la vera regina di Scozia!” inveì Elizabeth.
 Walsingham non la interruppe, perchè preferiva che la sua signora si sfogasse lì, in quella saletta deserta, per poi non pensarci più, piuttosto che abbandonarsi a intemperanze e umori scostanti nei giorni a venire.
 Elizabeth era una donna più sanguigna di quello che tutti pensavano. Walsingham l'aveva capito quasi subito, ma trovava opportuno non svelare questo lato del carattere della regina anche al resto della corte. In fondo, meno cose si sanno di una persona, meno armi si hanno in mano per farle del male.
 Nel pensare ciò, Walsingham si disse che la sua forma mentis era irrimediabilmente quella della spia e perciò si lasciò sfuggire un breve sorriso, che fece solo infuriare di più Elizabeth, che prese quel piccolo ghigno come un segno di poco rispetto nei suoi confronti.
 “Mary era la regina di Scozia!” rimarcò Elizabeth, come a voler convincere Walsingham: “Una regina in carne e ossa! Se anche una regina può essere messa a morte, allora significa che il mondo non ha più regole, che non ci sono più confini, che non ci sono più certezze...”
 Man mano che la sua filippica andava avanti, la voce della donna si affievoliva. Sulle ultime parole il tono irruente si era ormai trasformato in un sussurro sofferente.
 Incapace di resistere oltre, Elizabeth si lasciò cadere in ginocchio, poco lontana dallo sgabello su cui era appollaiato Walsingham. Cercava di non piangere, ma la rabbia e la tristezza che quel giorno aveva portato con sé non la lasciavano in pace.
 “Una regina può metterne a morte un'altra, quando il suo potere glielo consente.” le fece notare Walsingham, con voce bassa e rassicurante: “Nessun ordine mondiale è stato sovvertito, oggi, vostra maestà, potete stare certa di questo. Dall'alba dei tempi un regnante più forte ha potuto predisporre della vita di regnanti più deboli. È una legge antica, quella che avete seguito.”
 Elizabeth alzò lo sguardo verso il suo fidato consigliere. Quell'uomo le aveva sempre dato validi consigli, fino a quel giorno. Era stato lui a convincerla che firmare la condanna a morte per Mary era una cosa non solo giusta, ma anche necessaria...
 “Ho ucciso mia cugina.” birbigliò Elizabeth, ammettendo per la prima volta quale fosse il vero nocciolo della questione.
 Walsingham la osservava con attenzione. In quel viso non più giovane, vedeva gli occhi smarriti di una bambina, non i soliti occhi sicuri che erano soliti squadrarlo critici e inquisitori.
 “Un boia lo ha fatto al vostro posto.” disse piano Walsingham.
 “Le mie mani sono lorde di sangue.” lo contraddisse Elizabeth, che ancora lo guardava come se si aspettasse da lui un'assoluzione o una punizione.
 Walsingham scosse il capo: “Avete solo impedito che quelle di ary si lordassero del vostro, di sangue.”
 Elizabeth abbassò gli occhi un momento. Dopodiché si rimise in piedi, come se non fosse successo nulla.
 Walsingham, che tanto si era vantato con se stesso della sua bravura nel saper leggere le persone, era contraddetto. Non sapeva cosa stesse passando nella mente della sua sovrana in quel momento...
 “Andate, Walsingham.” disse Elizabeth, dopo poco, indicandogli la porta con un cenno del capo.
 L'uomo aprì la bocca, per ribattere in qualche modo, mentre si alzava dallo sgabello, ma la regina non gli diede il permesso di dire altro, limitandosi a ripetergli: “Andate.”
 Walsingham accennò un inchino e la lasciò sola, non senza una punta di preoccupazione. La risolutezza che aveva avvertito nel cipiglio di Elizabeth lo lasciava basito, perchè l'espressione del suo viso era in completo contrasto. I suoi occhi erano diventati sfuggenti, le sue labbra erano arricciate in una smorfia disgustata e la sua fronte era aggrottata.
 Però Walsingham restava solo uno dei tanti cani che la regina teneva al guinzaglio e dunque non poté fare altro se non ubbidire in silenzio.
 Rimasta sola, Elizabeth poté finalmente rilasciarsi. Le braccia le caddero lungo i fianchi e le gambe le cedettero, facendola di nuovo crollare sulle ginocchia. Il colpo venne attutito dalle sottogonne che si piegarono sotto al suo peso, ma il peso che aveva nel cuore non venne alleviato in alcun modo.
 “Cosa ho fatto...” sussurrò, comcinciando a piangere silenziosamente: “Cosa ho fatto...”
 Si mise il volto tra le mani e mentre chiudeva gli occhi ripensava a come era arrivata a quel punto. La sua vita era stata come una corsa su un cavallo troppo veloce. Tutto era accaduto troppo in fretta, senza che lei riuscisse a orientarsi... Il paesaggio era sfuocato, la testa era leggera, il pericolo era sempre lì, pronto a disarcionarla... Le era bastato fermarsi un momento per fare una valutazione lucida di tutto quello che era stato, per farla crollare.
 “Mary...” disse piano, tra le lacrime: “Ci rivedremo... Nell'aldilà saremo insieme e allora potrò chiederti perdono...”
 Pianse ancora per qualche minuto, cercando di pregare per l'anima di sua cugina e tentando di chiedere perdono per un peccato di cui si era pentita nel momento stesso in cui aveva apposto la firma sulla condanna a morte.
 Quando la regina uscì dal salottino, una piccola schiera di curiosi era in attesa di vederla per capire che fosse accaduto.
 I lupi restarono insoddisfatti, perchè se avevano sperato di scoprirla affranta o arrabbiata o con le guance rigate di lacrime, erano rimasti a bocca asciutta.
 Elizabeth, infatti, si mostrò loro come sempre. Inespressiva, sicura e senza l'ombra di un'emozione a deturparle il viso.
 Anche se nel suo cuore la tempesta non si era placata – e forse non l'avrebbe mai fatto – il suo volto non avrebbe mai reso partecipi tutte quelle belve fameliche del suo tormento.
 Era l'ordine del mondo che voleva così. Lei era una regina, prima di essere una persona, perima di essere una donna, prima di essere la cugina di Mary Stuart.
 C'erano regole precise e andavano rispettate. Se uccidere una regina non sovvertiva l'ordine del mondo, lo avrebbe fatto vedere un'altra regina piangere per una morte che aveva voluto lei per prima.
 Perciò, camminando con passo lento, le mani ora finalmente ferme e gli occhi distanti e freddi, Elizabeth richiamò a sé le dame di compagnia e propose a tutte loro di andare a leggere qualcosa insieme nelle sue stanze.
 

 

   
 
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