Film > Alice nel paese delle meraviglie
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Autore: Hermione Jean Granger    24/01/2016    12 recensioni
"Cominciarono a danzare senza fretta, con gli sguardi intrecciati. Alice aveva una strana percezione dello spazio e delle persone intorno a lei: era come se lei e il Cappellaio fossero soli, a ballare fin da quando il mondo era nato; vedeva solo quelle iridi lucenti, percepiva la stretta del cappellaio su di sé, e in qualche modo aveva la consapevolezza che avrebbero sempre danzato, occhi negli occhi, che avrebbero sempre volteggiato insieme in un'immensa stanza vuota e fiocamente illuminata, con polvere di stelle negli occhi e molle sotto i piedi."
[Prima Classificata al contest Multifandom "The Path of Your Pack" indetto da BlackIceCrystal sul forum di EFP e vincitrice dei premi "Gelato di emozioni", "Quando la fantasia supera la fantasia" e "Partecipante modello"]
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Liddell, Cappellaio Matto, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A Vittoria,
e al filo rosso
che ci unisce da tredici anni
e che ci unirà per sempre.


Alice and Mad Hatter's
Neverending Dance

 

La ragazza uscì dall'ufficio straripante di mappe, bussole e oggetti esotici. Si passò le dita tra i lunghi capelli biondi e ondulati, cercando di sistemarli; nella mano, teneva una piccola valigia che aveva tutta l'aria di voler scoppiare da un momento all'altro.
Da quando era entrata a far parte della compagnia di suo padre, sotto la direzione dell'uomo che per un pelo non era diventato suo suocero, aveva fatto carriera rapidamente: la sua intelligenza, unita a un'intraprendenza quasi sfacciata e ad una vastissima curiosità, facevano di lei una donna d'affari temibile, oltre che un'esploratrice ardita.
Insomma, Alice Kingsley era la degna figlia di suo padre, Charles Kingsley, quell'uomo onesto e coraggioso che le aveva insegnato a guardare lontano, più lontano di quanto gli occhi potessero vedere.
Osserva con la testa, Alice. Scruta tutto col cuore.
Era proprio a causa di questi moniti che la fanciulla non poteva più ignorare una promessa che aveva fatto circa un anno addietro.

"Potresti restare" aveva chiesto il Cappellaio, esitante, con una piccola luce di speranza nei grandi occhi verdi.
"Che bella idea. Che folle, pazza, meravigliosa idea" aveva risposto lei, ridente.
"Ma non posso" aveva soggiunto subito, mentre la sua espressione mutava.
"Ci sono domande a cui devo rispondere e cose che devo fare" aveva concluso, fissando lo sguardo su di lui.
"Tornerò prima che te ne accorga" aveva sussurrato, recuperando immediatamente il sorriso.
"Non ti ricorderai di me" aveva detto lui, con gli occhi sempre più scuri dal dolore. In quel momento, forse Alice aveva visto tutta l'oscura pazzia che albergava nel suo cuore e, se possibile, l'aveva amato ancora di più.
"Certo che mi ricorderò! Come potrei dimenticare?" aveva esclamato.
Lui, vedendosi sconfitto, si era avvicinato a lei, lentamente.
"Buon viaggio a vederci" aveva sussurrato a pochi centimetri dal suo orecchio. Per un momento, Alice aveva sentito cedere le gambe, ma subito era ritornata in lei la consapevolezza di dover tornare indietro, se non altro per far sapere a tutti di aver trovato se stessa.
Aveva fissato gli occhi smeraldini del Cappellaio Matto fino quasi a caderci dentro.

E al risveglio aveva ricordato tutto.

Alice si riscosse da quel ricordo, che le faceva compagnia nel sonno e nella veglia da quando aveva lasciato il Paese delle Meraviglie. Al momento le era sembrato facile fare quella promessa: considerava semplicemente ridicola e inimmaginabile l'idea di non tornare più a Sottomondo.
Ma ora, ora che aveva preso in mano la sua vita, ora che tutto sembrava aver preso la giusta piega, tornare indietro richiedeva molto coraggio. E se, come la volta precedente, non avesse avuto più voglia di tornare alla vita "reale", ma le fosse mancata la vera volontà di farlo?
Alice aveva delle responsabilità: portare avanti il lavoro rivoluzionario del padre, innanzitutto, ma anche doveri verso la sua famiglia. Cosa sarebbe successo se fosse sparita all'improvviso, senza lasciare traccia alcuna? Alla madre si sarebbe spezzato il cuore; Margaret sarebbe rimasta senza alleati nella battaglia contro l'infedeltà del marito. Le uniche contente sarebbero state le due gemelle, le quali avrebbero continuato a formulare ipotesi assurde per spiegare la sua scomparsa fino alla fine dei loro giorni.
Basta, Alice, basta.
Da mesi era torturata dalla mente e dal cuore, che ardevano e agognavano a scenari differenti, ma ormai aveva deciso. Sarebbe tornata. Dopotutto, in amore ci vuole coraggio.
Fu così che la ragazza si recò nel giardino degli Ascot e scovò la tana di coniglio che l'aveva condotta a Sottomondo per la seconda volta. Quel giorno indossava un abito ceruleo, semplici scarpe basse e aveva i capelli sciolti e più lunghi che mai. Niente corsetto, niente calze. Sapeva da tempo che ciò che tutti consideravano appropriato, per lei non era altro che un vincolo.
Guardò nella profonda cavità alla base dell'albero, che si apriva davanti a lei immensa e oscura: non riusciva a vedere nulla se non radici contorte. Per un attimo il dubbio tornò ad assalirla.

"Tornerò prima che te ne accorga".

Alice saltò.
La caduta non fu diversa da quella della volta precedente: precipitò per quelle che le parvero ore, tra pianoforti impazziti, divani a molla rotti, strane creature, e infine si schiantò sul soffitto della stanza che subito ruotò, facendola ruzzolare e prendere l'ennesimo colpo.
Si rialzò, con il capo che le doleva, ma la volontà ben salda: prese la chiave sul tavolino e la tenne stretta in mano, mentre beveva il liquido che l'avrebbe fatta rimpicciolire abbastanza da passare per la piccola porticina nascosta dietro la tenda scarlatta.
Infilò la chiave nella toppa e girò senza esitazione, per poi aprire la porta e attraversarla senza difficoltà. Si guardò intorno: il Paese delle Meraviglie era molto diverso da come lo ricordava. In effetti, ora poteva davvero essere definito "delle Meraviglie": non si trovava più nell'inquietante bosco che l'aveva accolta precedentemente, ma in una vastissima distesa di prato verde smeraldo, dove sbocciavano fiori multicolori che non parlavano (e non scocciavano), ma se ne stavano semplicemente fermi, sorridenti e ad occhi chiusi, a bearsi del tepore del sole.
Il clima non era né torrido né freddo: tutto trasmetteva un'aria di mitezza e tranquillità. Non c'erano ostacoli che impedissero la visuale, c'era solo quell'erba tenera, quindi Alice individuò subito Marmorea, che risplendeva alla luce perlacea come un palazzo di scintillanti diamanti.
Si incamminò, anzi, si mise a correre: sperava con tutto il cuore che il Cappellaio fosse tornato a corte dalla Regina Bianca, come prima del terrorizzante totalitarismo di Iracebeth, la Regina Rossa. Lui le aveva raccontato che i membri del suo clan, Altocilindro, avevano sempre lavorato a fianco dei regali: immaginava che la sua vita fosse stata molto felice a palazzo, prima della guerra, circondato da giochi, armonia, serenità, facendo il lavoro che tanto amava.
Nella sua corsa, la ragazza cominciava a distinguere i confini della reggia, circondata da meravigliosi giardini adorni di incantevoli rose bianche.
"Alice!" si sentì chiamare da due voci inconfondibili. Si fermò e gridò: "Pinco? Panco?".
I due ragazzi apparvero davanti a lei, esattamente come li ricordava: pur essendo bassi, in quel momento la superavano in altezza di quasi un metro e avevano due maglie bianche a righe verdi identiche.
"Non è più altalunga, vedi? Tu avevi detto che era così normalmente" commentò Panco, astioso.
"Al contrario, tu l'avevi detto!" ribatté Pinco. I due cominciarono a prendersi a spintoni e Alice si schiarì la voce.
"Potreste portarmi dalla Regina Bianca?" domandò.
"Certo!" risposero loro in coro e, dopo averla presa a braccetto, cominciarono a trascinarla verso l'ingresso di Marmorea, sempre borbottando uno contro l'altro.
La porta si spalancò e Alice poté presto ammirare la candida bellezza della sovrana, seduta elegantemente sul trono, che conversava con lo Stregatto, sospeso a mezz'aria in modo da poterla guardare negli occhi.
Mirana fu la prima ad accorgersi dell'entrata della fanciulla e si alzò aggraziatamente ma tradendo una certa emozione nei dolci occhi scuri.
"Alice" sorrise, tendendo una mano verso di lei. La ragazza corse per ritrovarsi ai piedi della Regina, guardandola dal basso della sua minuscola statura: aveva un meraviglioso abito di seta color panna, lavorato col pizzo e attillato sui fianchi, che scendeva in un tripudio di ampie balze incrostate di brillantini.
Alice non l'aveva mai vista così bella: la sua pelle era candida e luminosa e i suoi occhi grandi e brillanti; i capelli erano molto più lunghi dell'ultima volta, arrivavano quasi a terra in morbidi e lucenti boccoli di oro chiaro.
"Bisogno di un po' di Tortinsù, tesoro?" commentò lo Stregatto in tono affettuoso. Si rimpicciolì a sua volta e volteggiò intorno ad Alice, festoso, mentre la Regina chiamava il Leprotto Marzolino. L'animale arrivò insieme al Ghiro: "Stavamo bevendo il tè, maestà" spiegò Mallymkun, poi i suoi occhi si posarono sulla nuova arrivata.
"Alice!" esclamò con la sua voce acutissima.
"È tornata" commentò il Leprotto Marzolino, studiando attentamente la tazza decorata che aveva portato con sé.
La ragazza sorrise e fece un piccolo inchino a tutti.
"Che gioia rivedervi" affermò sinceramente, osservando i suoi amici stretti intorno a lei.
Però... c'era sempre un però. La regina lo vide nei suoi occhi.
"Vieni con me, Alice, ti farò tornare alla tua normale statura... e poi ci sono altre persone che devi incontrare" cinguettò, con un piccolo sorriso. Con un cenno del capo congedò il Gatto, il Leprotto, il Ghiro, Pinco e Panco e si diresse a grandi falcate verso la cucina che Alice aveva già visto.
"Mi è rimasta giusto un po' di Tortinsù dall'ultima teglia che ha cucinato Helena" bofonchiò, cercando in una credenza e tirandone fuori un pezzo di dolce.
"Ecco" sussurrò chinandosi e porgendolo ad Alice.
La ragazza, impaziente, diede un piccolo morso alla soffice torta, stando attenta a non mangiarne troppa, e di colpo si ritrovò a poter guardare Mirana negli occhi.
"Molto meglio" affermò quest'ultima e Alice le sorrise di rimando, cercando di celare l'imbarazzo per la sua quasi completa nudità.
"Aspettami qui: mancano solo dei vestiti e poi sarai pronta" commentò la regina con tenerezza, lasciando la stanza con passi leggiadri.
"Pronta per cosa?" domandò Alice.
"Per quello a cui il tuo cuore anela" echeggiò la voce soave di Mirana dal corridoio.
Alice si strinse addosso il vestito, che ormai la copriva ben poco: cominciava ad avere freddo e non aveva ancora visto il Cappellaio. Lì tutti sembravano avere l'intero tempo del mondo, ma lei si sentiva scalpitare, il suo cuore selvaggio palpitava nella sua cassa toracica sempre più velocemente.
Per fortuna, in pochi attimi la Regina Bianca fu di ritorno con un semplice abito di cotone color carta da zucchero, che Alice subito indossò, notando le piccole gemme trasparenti che ornavano la gonna non troppo ampia.
"Grazie" disse con gratitudine.
Mirana la prese per mano e la condusse per un dedalo di corridoi immacolati, fino a una porta di legno bianco dipinta a mano con una moltitudine di fiori azzurri.
"È lì dentro" affermò la sovrana. "Sta lavorando, ma sono sicura che apprezzerà la tua visita" aggiunse, ammiccando leggermente. Poi le prese la mano e le diede una piccola stretta. "Ci vediamo dopo, Alice" concluse, e nel giro di un paio di secondi svanì inghiottita dalla vastità del castello.
Alice esitò un attimo di fronte all'uscio: poi prese un gran respiro e bussò.
"Alice?". La voce inconfondibile del Cappellaio la raggiunse da dentro la stanza.
Alice aprì piano la porta e subito se la richiuse alle spalle.
Lo studio del Cappellaio era bellissimo, luminoso e colorato: sull'enorme tavolo da lavoro giacevano cuffie, cappelli a cilindro, papaline, berretti a cono, bicorni, tricorni e numerosi altri tipi di cappelli a cui la ragazza non sapeva dare un nome. Il Cappellaio stava lavorando su una paglietta - rigorosamente bianca - ma si era fermato e la guardava dritta negli occhi.
"C-come...?" cominciò lei, ma il discorso veloce e accorato dell'uomo la travolse come un fiume in piena: "Alice! Sei di nuovo in ritardo, a quanto vedo. Brutto vizio! Da quando te ne sei andata nuovamente gli orologi hanno cessato ancora la loro attività. Da allora, neanche un ticchettio".
"Ma, Cappellaio, mi sembra che tutti gli orologi funzionino correttamente" azzardò lei, osservando anche quello sulla parete, che segnava le sei passate.
Gli occhi del Cappellaio diventarono subito più grandi e tristi.
"Non per me" mormorò talmente piano che Alice riuscì appena a sentirlo.
La ragazza mosse qualche passo verso di lui, che rimase immobile a fissarla. Quando furono a un paio di metri di distanza, la ragazza annullò il loro distacco più velocemente e lo cinse in un abbraccio.
Dapprima sentì il Cappellaio irrigidirsi, come se nessuno l'avesse mai abbracciato; lei non mollò la stretta e dopo qualche momento anche lui si rilassò e la circondò con le braccia.
"Come sapevi che ero io?" chiese Alice, in un sussurro, con la testa posata sul petto del Cappellaio. Sentiva il suo cuore battere all'impazzata e si chiedeva se fosse dovuto a lei.
"Ti riconoscerei fra mille, Alice. La Regina non viene mai qui, sono io a presentarle i miei lavori nella Sala del Trono; in quanto agli altri... beh, entrano e basta. La bussata lieve poteva essere di qualcuno che la Regina aveva mandato a chiamarmi... ma la bussata forte è di Alice" affermò lui con semplicità.
Alice sentì le dita dell'uomo che, un po' goffamente, cominciavano a passare tra i suoi capelli, carezzandoli piano.
Il Cappellaio maneggiava i suoi riccioli biondi con delicatezza, quasi stesse tenendo in mano dei fragili filamenti di sottilissimo vetro, pronti a spezzarsi alla minima distrazione. Ma lui era concentrato: le sue dita danzavano tra la chioma color miele, seguendone la forma, il profilo, le curve.
All'improvviso si sentì un cauto bussare. Il Cappellaio guardò Alice come per dire "Hai visto?" e urlò: "Avanti!".
Il Bianconiglio aprì la porta e mosse due rigorosi passi all'interno.
"Bianconiglio!" esclamò Alice, sorridendo.
"È sempre bello rivederti, Alice" commentò lui stringato ma cortese.
"La Regina Bianca vi desidera entrambi per la cena e il ballo di corte" continuò, leggendo la pergamena che aveva con sé. "Troverete entrambi i vostri abiti ad aspettarvi nelle vostre stanze. Alice, ti accompagno." concluse risoluto, facendole un cenno con il capo.
Lei guardò il Cappellaio, indecisa, ma lui le sorrise, incoraggiante.
"Ci vediamo tra poco" affermò, invitandola ad andare.
Lei lo guardò per l'ultima volta e poi seguì il Bianconiglio fino alla camera preparata per lei.
"Stanza di Alice" era l'insegna sulla porta, decorata con fiori azzurri come quella dello studio del Cappellaio.
"Abbiamo sempre sperato che saresti tornata" rispose il Bianconiglio alla muta domanda di Alice. "Ci vediamo a cena. Quando sei pronta, segui questo corridoio e poi vai a destra, ci troverai certamente". Si congedò con un altro inchino e saltellò via nel corridoio.
Alice si guardò intorno: la sua stanza era grande e luminosa, con un'enorme finestra che dava sul giardino. Sul letto a baldacchino giaceva un abito di seta color fiordaliso, più elegante di quello che indossava al momento. Alice non perse tempo e lo indossò, guardando il suo riflesso nel grande specchio accanto allo scrittoio.
Non era mai stata una ragazza che dava peso al proprio aspetto fisico, ma vedendosi con quel vestito dovette reprimere un'esclamazione di stupore. Le calzava perfettamente, come un guanto: la scollatura a cuore, la schiena di pizzo, la gonna tempestata di strass, tutto sembrava cucito apposta per far risaltare il suo viso e il suo corpo. Trovò anche una catenina con un pendente diamantino da legare al collo e scarpe di raso bianco non troppo alte. Lasciò i capelli sciolti: voleva che il Cappellaio potesse passarci ancora le dita liberamente, senza l'impiccio di un'acconciatura elaborata.
Era pronta; lanciò un ultimo sguardo alla stanza e uscì. Era piuttosto emozionata all’idea della serata, e mentre percorreva il corridoio le sfuggì un sorriso: le era mancato Sottomondo, quell’universo bizzarro e fantastico che tante volte aveva scambiato per un sogno.
Dopo il lungo corridoio girò a destra, come le aveva detto il Bianconiglio, e cominciò a intravedere la grande e luminosa sala da pranzo color crema e rosa antico.
Il tavolo era elegante e apparecchiato per molti ospiti; davanti ad ogni piatto, dei piccoli segnaposti su cui erano scritti i nomi degli invitati in caratteri svolazzanti indicavano la seduta.
Alice cercò il suo posto e si accomodò, mentre salutava coloro che erano già seduti e si guardava intorno: c’erano molte creature che non aveva mai incontrato, animali e persone di ogni tipo, vestiti nei modi più bizzarri. Tutti quanti, però, sembravano conoscerla di già.
Presto arrivarono tutti gli altri ospiti e tra loro anche il Cappellaio, che si collocò al suo posto, accanto ad Alice; perfino lui aveva un completo elegante per l’occasione, con un papillon dello stesso colore del vestito di Alice. La guardò e le rivolse un sorriso dolce.
“Hai un vestito davvero grazioso” si complimentò. Per qualche secondo assunse un’aria pensierosa.
“Sei bellissima” aggiunse poi.
Alice sentì il suo cuore perdere un battito, ma non fece in tempo a dire alcunché, perché in quel momento apparve Mirana, più bella che mai, e venne annunciato l’inizio della cena.
I piatti che venivano serviti erano i più strani ed elaborati che Alice avesse mai visto: con l’acquolina in bocca vide sfilare davanti a sé tantissime prelibatezze e, prima di accorgersene, si ritrovò il piatto riempito di quei fantastici manicaretti.
“Galonfante rimarrà, chi tutto il cibo spazzolerà” decretò il Leprotto Marzolino, al che tutti gli invitati brindarono e cominciarono a mangiare.
La cena trascorse tra chiacchiere e risate, e Alice riscosse molto successo con il suo repertorio di barzellette e storielle divertenti che aveva imparato in quegli ultimi mesi di viaggi; tutti si stavano divertendo un mondo, compreso il Cappellaio, che si sbellicava dal ridere, e dal canto suo Alice si godeva quel suono, desiderando che non finisse mai.
Appena finita la cena, tutti si spostarono nel salone da ballo, bianco ghiaccio e blu cobalto, ricolmo di arazzi dorati e adorno di un enorme lampadario scintillante.
La Regina Bianca portò con sé Alice mentre camminava verso un giovane ragazzo dai capelli ramati e occhi azzurri. "Alice, permettimi di presentarti il menestrello di corte, Edward Ciufforosso".
"Piacere" sorrise Alice, mentre il musicante le baciava la mano.
"Piacere mio" replicò Sir Ciufforosso. "Spero che la mia musica la allieterà, Salvatrice di Sottomondo". Alice arrossì leggermente.
Da lontano, il Cappellaio li guardava con occhi fiammeggianti.
"È ora di cominciare. Buona serata, signorina Alice" la salutò Edward con un profondo inchino.
Lei ricambiò, mentre lui prendeva uno strumento a corde e cominciava a intonare una canzone ritmata.
Alice si divertì immensamente a ballare con gli abitanti e le creature di Sottomondo: le canzoni del menestrello Ciufforosso erano straordinariamente armoniche, con musiche all'avanguardia e parole particolari. La serata era stata bellissima, ma non aveva passato neanche un momento col Cappellaio. Pensò che forse non era un tipo da feste. Mentre si avviava per cercarlo nel suo studio o nella sua stanza, tutte le luci si abbassarono. Alice cominciò a sentire delle note melodiose, subito seguite dalla voce limpida di Edward.

 
Quando non ballerai più la Deliranza con affanno
E non riusciremo più ad andare all'avventura
Le tue dolci labbra mi rimembreranno?
Mi sorriderai ancora con quegli occhi da paura?

 
Alice rimase colpita da quel motivo: era lento e dolce, così romantico da farla emozionare. Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e si girò, trovandosi a pochi centimetri dal Cappellaio.
Lui si inchinò, togliendosi il cilindro.
"Signorina, mi concederebbe questo ballo?" domandò, con un accenno di sorriso. Le labbra e gli occhi di Alice si aprirono in un enorme sorriso.
"Sarebbe un onore" sussurrò, guardandolo a fondo negli occhi. Cominciarono a danzare senza fretta, con gli sguardi intrecciati. Alice aveva una strana percezione dello spazio e delle persone intorno a lei: era come se lei e il Cappellaio fossero soli, a ballare fin da quando il mondo era nato; vedeva solo quelle iridi lucenti, percepiva la stretta del cappellaio su di sé, e in qualche modo aveva la consapevolezza che avrebbero sempre danzato, occhi negli occhi, che avrebbero sempre volteggiato insieme in un'immensa stanza vuota e fiocamente illuminata, con polvere di stelle negli occhi e molle sotto i piedi.

Avvolgimi tra le tue braccia amoreggianti
Baciami sotto mille stelle scintillanti
Posa il capo sulle mie budella palpitanti

 
Vide gli occhi del Cappellaio diventare grandi di colpo.
"Cappellaio?" chiamò.
"Alice" sussurrò lui. "Ti va di andare a prendere un po' d'aria?"
"Certo" lei sorrise e lo guidò fuori dal salone, nei giardini, sulla panchina dove tempo addietro aveva conversato per l'ultima volta con il Brucaliffo. La visuale era mozzafiato: i giardini e la cascata erano rimasti immutati e il cielo era ricolmo di stelle. Tuttavia, la prima cosa che Alice notò fu l'enorme luna splendente, che sembrava in qualche modo farle l'occhiolino - Stregatto?
Si sedettero a respirare l'aria fresca della notte.
"Non amo il rosso. Hai idea del perché un corvo assomigli ad una scrivania?" domandò il Cappellaio.
"Non ancora" rispose Alice. "Perché hai detto che non ami il rosso?".
"È il colore del sangue. È il colore del fuoco. È il colore della Regina Rossa" ringhiò il Cappellaio, con gli occhi fissi a terra.
Alice, timorosa, posò una mano sul suo braccio e lui sembrò calmarsi.
"Ma se sapevo che saresti tornata, era grazie al rosso" borbottò: sembrava in lotta con se stesso.
Alice tacque, aspettando che continuasse.
"Sai, qui a Sottomondo abbiamo una leggenda: la leggenda del filo rosso. Si dice che, tantissimo tempo fa, un abitante di Atwood venne qui per consultare il Brucaliffo in merito alla sua vita amorosa: il Brucaliffo gli disse che la sua sposa non era ancora nata, ma che era ancora nel ventre di sua madre, ormai all'ottavo mese di gravidanza. L'uomo, irritato dall'idea di aspettare così tanto - e indispettito dall'atteggiamento onnisciente del Brucaliffo - chiese a un suo servitore di uccidere la donna e partì per luoghi lontani. Tornò a Atwood ammogliato, ma la donna era fragile e cagionevole; quando le domandò il perché, lei disse che era stata estratta prematuramente dall'utero di sua madre, quando questa era stata uccisa: un miracolo che fosse sopravvissuta, ma ce l'aveva fatta. L'uomo capì che la profezia del Brucaliffo si era avverata e tornò da lui per chiedergli perdono. Il Brucaliffo gli rivelò che esiste un filo... un filo rosso; un filo invisibile che unisce le persone a coppie dalla nascita. E che quindi, se due persone sono destinate a stare insieme, alla fine si troveranno, nonostante tutto". Il Cappellaio arrossì violentemente.
"Cappellaio, pensi che io e te siamo destinati a stare insieme?" domandò Alice, con una semplicità che stupì anche lei stessa.
Il Cappellaio si avvicinò quasi impercettibilmente a lei.
"Sai, Alice, quando ti vedo penso sempre a cose che cominciano con la lettera A" disse piano, cambiando apparentemente discorso.
"Perché è l'iniziale del mio nome?" rise lei.
"No... Insomma... Sì... Alice inizia per A, ed è un bellissimo nome, un nome adattissimo, un nome valoroso, che si presta... Alice, sì... Ammirazione... Tanta ammirazione per una ragazza così coraggiosa... Affetto... Questo non me lo spiego, no, per tutti i cappelli del mondo... Alice... Dal francese antico Aliz o Aalis, forma tronca di Adelais, a sua volta un ipocoristico di Adelaide... Alice... Affinità, Audacia... Alice..."
"Cappellaio!" esclamò lei, afferrandogli una mano. Lui fissò a lungo le loro dita intrecciate, con sguardo pensoso, mentre le sue pupille si ridimensionavano pian piano.
"Amore" sussurrò, spostando lo sguardo dalle mani agli occhi.
"Amore" ripeté lei, quasi scioccamente. "È una parola bellissima" aggiunse dopo un po', con la voce quasi rotta. Si sentiva strana, come se avesse dentro il cuore tutta la gioia e tutto il dolore del mondo.
"La più bella di tutte" sentenziò il Cappellaio, senza distogliere lo sguardo da lei neanche per un attimo.
Alice si sporse verso di lui e gli sfiorò le labbra con le proprie, e in quel momento il dolore che credeva di provare sparì. Si sentiva solamente leggera, rilassata ed euforica allo stesso tempo. Mentre il Cappellaio la baciava a sua volta, abituandosi lentamente a quella nuovissima sensazione che lo liberava di tutto l'oblio, Alice portò entrambe le mani sul suo viso, stringendolo a sé.
Il loro bacio dolce e delicato durò per un tempo incalcolabile: d'altronde, come Alice aveva già detto, il tempo è strano nei sogni, e quello era proprio un sogno, un'oasi di tenerezza per loro due soltanto.
Quando si staccarono, rimanendo abbracciati, Alice ruppe il silenzio: "Cappellaio, perché un corvo assomiglia a una scrivania?" chiese, sorridendo e cominciando ad accarezzargli i capelli rossi e indomabili.
"Perché c'è una "B" in entrambi ed una "N" in nessuno" rise lui, contagiandola.
Alice non sapeva se sarebbe mai tornata in superficie, ora che aveva trovato l'amore, ora che aveva scoperto a chi era legato il suo filo rosso. Probabilmente sarebbe tornata per sistemare i suoi affari, lasciare scritte le sue idee per poter fare comunque la differenza e salutare la madre e la sorella.
Mentre rideva col Cappellaio, pensò a quanti paesi vicini e lontani c'erano da esplorare a Sottomondo: Atwood, per esempio. Pensò a una vita nel Paese delle Meraviglie, a una vita col Cappellaio, a una vita nella quale non avrebbe dovuto rinunciare alle sue passioni e le sembrò di nuovo una bella idea.
Una folle, pazza, meravigliosa idea.  




Note dell'autrice:
Ciao a tutti! Questo è il mio debutto come scrittrice nel fandom di "Alice in Wonderland". Sono rimasta affascinata dal film di Tim Burton, che è uno dei miei preferiti, e di cui questa storia è chiaramente una specie di sequel (senza pretese). 

Qualche nota sul testo: molte parole e espressioni, come "Buon viaggio a vederci", "altalunga", "Tortinsù", "Deliranza", sono prese direttamente dal film, così come i nomi propri dei personaggi. Il villaggio di Atwood che compare nella leggenda del filo rosso è di mia invenzione, ispirato alla costumista del film, Colleen Atwood. Il menestrello Ciufforosso non è altro che una versione "sottomondiana" di Ed Sheeran, così come sono adattate al linguaggio e alle tradizioni di Sottomondo anche il testo di "Thinking out loud" e la leggenda del filo rosso. La risposta del Cappellaio al quesito "Perché un corvo assomiglia a una scrivania?" è una delle tante ipotesi che sono state fatte dopo l'uscita del libro; la risposta è degna di lui, in quanto come affermazione non è vera, ma nessuno può negare che sia una "B" nella parola "entrambi" e una "N" nella parola "nessuno". 
Spero di essere riuscita a rendere i personaggi IC e di aver descritto in modo adeguato quello che ho immaginato: scrivere questa ff è stato un esercizio di fantasia non indifferente! 
Vorrei ringraziare di cuore la giudicia del Contest "The path of your pack" per avermi dato l'occasione di scrivere su una delle mie coppie preferite: questa è una delle storie che più mi ha emozionato immaginare nella mio percorso come scrittrice. 
Un abbraccio a tutti!
Herm

 
  
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