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Autore: mila96    24/01/2016    0 recensioni
1943. Una mattina Adelaide salva Liam dalla deportazione del ghetto di Berlino.
Sembra l'inizio di una bellissima storia d'amore, ma lui sparisce senza lasciare traccia, per non mettere in pericolo lei e la sua famiglia.
Un anno dopo un misterioso tenente la trova e le chiede di diventare una spia del governo britannico. Per salvare suo padre, per salvare tutti.
*dal testo*
'E' passato un anno! Non una lettera, un telegramma! Mi hai fatto morire dalla paura! Perchè non mi hai detto di essere vivo?!'
'Perchè avevo bisogno che tu mi credessi morto'.
Avevo bisogno che tu mi credessi morto per impedirmi di venire a cercarti e portarti via con me, penso, ma questo non lo dico.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da dove sono seduta riesco a vedere un pezzettino di cielo. I fiocchi di neve scendono pigramente, depositandosi sui tetti di Berlino. 
Con la mano stiro le pieghe immaginarie della mia gonna, non vedo l’ora di tornare a casa e finire il libro inglese che Dorotea è riuscita a trovare per me. 
La funzione sembra non finire mai. Jacob si agita sulla panca, facendo un rumore terribile. Gli tiro una gomitata e gli intimo di stare fermo, lui mi fa linguaccia ma si quieta un po’. 
Mentre alzo lo sguardo dalla giacca mal abbottonata di mio fratello incrocio gli occhi di un tenente seduto nella zona riservata agli ufficiali. 
Il mio cuore perde un battito. 
Da dove sono non riesco a vederlo bene, ma quegli occhi magnetici mi trascinano da tutt’altra parte…

*Più di un anno prima*
Berlino è ricoperta da un sottile strato di neve. Avanzo lentamente, stringendo il mantello sotto il collo per cercare di contrastare il gelo. Ad ogni passo la pesante borsa mi batte contro il ginocchio. Cerco di non farci caso. 
Lo vedo accadere da lontano. Le porte del ghetto sono spalancate, una colonna di gente attraversa il cancello ricoperto di ghiaccio. 
Ripenso allo sguardo di papà ieri sera. Lo sapeva, sapeva che sarebbe accaduto oggi. 

Sento il cuore aumentare istintivamente i battiti mentre corro verso l’ingresso del ghetto. Non sono l’unica civile ad essersi avvicinata. 
Bambini, anziani, famiglie mi sfilano davanti agli occhi. Ad un tratto il mio sguardo si sofferma su un volto familiare. 

Il grido mi nasce spontaneo nel petto, e senza che io abbia il tempo di controllarmi sto sbracciando tra la folla.
-    No! – urlo. – No! No! Liam!
Quel nome mi è sconosciuto sulla lingua perché non l’ho mai pronunciato ad alta voce, ma solo nella mia mente.

Un ragazzo si volta di scatto. I suoi occhi spalancati incontrano i miei. 
-    Adelaide! – mi chiama. Cerca di raggiungermi camminando contro corrente attraverso il fiume di persone che non si sposta minimamente, forse ormai rassegnati al loro destino.
-    Lasciatelo! – grido. 

Liam mi ha ormai raggiunto. Un soldato lo blocca prontamente mentre un altro mi punta il fucile addosso. 
deglutisco, ad un tratto lucidissima. 
-    Lasciatelo andare – ripeto con calma. Le persone si sono fermate attorno a noi per assistere.

Il soldato che mi punta addosso il fucile sembra a metà tra il divertito ed il sorpreso. Probabilmente non si aspettava di trovare resistenza, di sicuro non da parte di una ragazzina di diciassette anni. 
-    Dobbiamo far evacuare il ghetto signorina. Non opponga resistenza o verrà arrestata. 
Mi concedo la spavalderia di ridere. In realtà le gambe mi tremano così tanto che ho paura che si noti. 
-    Dubito che voglia arrestare la figlia del generale Heinrich – dico con voce incredibilmente ferma.

Mi tolgo il foulard che portavo attorno al capo per farmi riconoscere. Gli occhi del soldato si soffermano sui miei, dello stesso colore del cielo di Berlino in quel momento, lo stesso grigio degli occhi di mio padre, uno dei più temuti generali del terzo Reich. Vedo il soldato deglutire e lentamente impallidire. 
Abbassa istintivamente il fucile. 

-    Sono desolato Miss Heinrich, non avevo idea che foste voi – si perde in scuse e lusinghe. 
Decido di darci un taglio, prima che mi cada la maschera e si veda che sono terrorizzata. 
-    Questo ragazzo è mio cugino. La sua ragazza abita nel ghetto e ogni tanto viene a trovarla di nascosto, niente di male. Ora, dubito che voglia dover dare delle spiegazioni a mio padre sul perché ha arrestato suo nipote, sbaglio?
-    No, no miss – si affretta a rispondere lui facendo segno all’altro di lasciare andare Liam. 

Mi affretto a prendergli la mano e a trascinarlo lontano da lì. Do un’ultima occhiata indietro. Forse, con un po’ di astuzia avrei potuto salvare qualcun altro.
-    Non pensarci – mi dice Liam calmo, intuendo i miei pensieri – non ti avrebbero lasciato prendere nessun altro. 
Stringo un po’ più forte la sua mano, che sembra gigante a confronto con la mia, piccola e pallida. 
-    Andiamo via da qui, prima che si accorgano che non sei mio cugino. 

Camminiamo in silenzio per le vie di Berlino, tenendoci per mano. Fino a pochi istanti prima c’eravamo a malapena rivolti saluti di cortesia e sorrisi imbarazzati. Eppure la sua presenza mi tranquillizza. La sua mano stretta attorno alla mia mi guida, e io mi lascio trascinare, la mente affollata di pensieri e allo stesso tempo svuotata. 

Siamo vicini al centro, poco distanti da casa mia, quando un pensiero mi paralizza.
-    Oh mio Dio – esclamo ricordandomi solo in quel momento il motivo della mia visita al ghetto. – tuo padre. 
La bocca di Liam prende una piega amara. Si ferma accanto a me. Mi sovrasta di almeno trenta centimetri e si china leggermente per guardarmi negli occhi.
-    È morto – dice con semplicità. – Non ha voluto lasciare il negozio. 

Mi si mozza il respiro. Il vecchio Schmil è morto, quel signore dal sorriso gentile e il viso come pagine di libri vecchi non c’è più. Mamma mi aveva portato per la prima volta nella sua libreria, mi aveva insegnato a rifugiarmici quando l’intero mondo sembrava crollarmi addosso. E infatti è lì che mi sono rifugiata quando mamma è morta, protetta da libri impolverati e dalla cioccolata svizzera che il signor Schmil mi offriva. 

All’improvviso scoppio a piangere. Prima le lacrime scendono lentamente sulle mie guance, poi mi lascio andare a veri e propri singhiozzi. 
-    Tutte quelle persone! – esclamo. 
Liam si abbassa leggermente verso di me. Mi stringe calmo ma deciso la spalla. 
-    Lo so, lo so. Ma adesso dobbiamo andare – dice leggermente peroccupato.

Non riesco a smettere di singhiozzare e tremare, come se la tensione mi stesse stritolando all’imporvviso.
Con la coda dell’occhio vedo due SS dirigerci verso di noi. 
Sono terrorizzata, e questo mi fa piangere ancora di più. Liam è troppo riconoscibile, con una vecchia valigia di cuoio in mano e l’aria denutrita, i vestiti troppo grandi per lui e rattoppati più volte. 
Se ci fermassero non riusciremmo a cavarcela di nuovo. 
Liam mi scuote di nuovo, questa volta con più urgenza. 

-    Adelaide, dobbiamo andare. 

Sono paralizzata. Riesco solo a guardarlo negli occhi. Le SS si avvicinano. 
Lo vedo prendere un respiro profondo. 
E all’improvviso mi bacia. La sua barba corta sfrega contro le mie labbra e il mio cuore aumenta ancora di più i battiti. Ma dalla sorpresa smetto di piangere e quasi inconsapevolmente allaccio le mani dietro il suo collo, tirandolo più vicino a me. Il profumo del suo respiro mi riempie il naso e inspiro avidamente, sa di cuoio e caffè. 

Le due SS ci passano affianco. 
-    È bello vedere che anche in tempi così grigi i ragazzi trovino sempre tempo per l’amore – dice ridendo uno all’altro ridendo, e così proseguono per la loro strada. 

Liam stacca lentamente le labbra dalle mie, la sua fronte appoggiata alla mia.
-    Scusa, non sapevo come farti smettere – sorride teneramente, un po’ preoccupato dalla mia reazione. 
-    Vieni, ti porto a casa – rispondo facendo finta di niente. 

*Oggi* 
Mia sorella Elzabieta mi tira per la gonna riportandomi alla realtà.
Sbatto più volte gli occhi, stordita. Non riesco più a vedere il soldato, ma anche mia sorella deve averlo notato.
-    Heidi, pensi che quello fosse…? – lascia la domanda sospesa per aria. 
-    No – rispondo decisa – non può essere, lui è morto.

Wow, lo sto facendo davvero. Non riesco a credere di star scrivendo una nuova FF. 
Non mi sembra vero che quando ho iniziato 'Il ponte dei suicidi' facevo la seconda liceo o ora frequento il primo anno di università...
Comunque, fatemi sapere come vi sembra questo inizio, aggiornerò presto! Baci!


  
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