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Autore: G RAFFA uwetta    25/01/2016    2 recensioni
Serghal Wingaffrin ha una missione da compiere, un giuramento a cui prestare fede. Basterà l'odio che nutre ad aiutarlo? La vita, se ben vissuta, riserva delle sorprendenti soprese.
Dal testo: "Vi era rimasto per tre interminabili anni, durante i quali ogni giorno fu scandito dal ricordo del tonfo della trave che aveva schiacciato il padre, dallo sfolgorio del tramonto arancione che poteva ammirare da dietro la finestra sbarrata, dal desiderio macerante di porre fine alla vita del Re e del suo drago."
Questa storia partecipa al contest "Cavalieri di Draghi" indetto da Najara87 sul forum.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sovrintendente del Re

Da tempo immemore – tempi bui si accompagnavano al destino degli uomini – il sole aveva lasciato il posto alla nebbia impalpabile: una cappa umida che imprigionava ogni cosa distorcendo i contorni. Il vento pungente percuoteva sonoro le cime degli alberi, spogliandoli dei loro mille colori; le foglie, disseminate lungo i viali della cittadina di Ganganor, avvizzivano impotenti. Una pioggerellina fastidiosa scrosciava di sghembo, rendendo inutile sostare sotto i pergolati delle casupole dai tetti di paglia, i pochi avventori si muovevano in fretta e con circospezione, quasi aspettandosi un agguato a ogni angolo. Lo scalpiccio dei passi era impregnato dell'acqua che ristagnava nei piccoli avvallamenti del lastricato in porfido e le suole, incuranti, ne spezzavano il pallido riflesso mentre un'ombra offuscava, per un attimo, il cielo plumbeo. Nessuno avvertì lo spostarsi repentino dell'aria, l'ombra nera discese e si diffuse come inchiostro tra le alte mura di un cortile. Dall'oscurità emersero due grandi occhi gialli, seri e vigili, puntati verso la parete grigia dell'androne dove due figure erano abbracciate e intente in un lungo bacio. Le strette pupille verticali del drago Okhinal, simbolo del potere del Re Bankum, colsero ogni particolare della scena; per esempio le piume nere del copricapo a punta che oscillavano in balia della testa china in avanti, oppure le mani forti, allo stesso tempo delicate, del giovane uomo mentre tenevano, con desiderio, imprigionato il viso della donna che si donava pallida e triste. Le iridi dell'animale indugiarono sull'esile busto della ragazza, vestita di azzurro, che sembrava protesa e intenta a trattenere il giovane, quasi fosse timorosa di vederselo sgusciare via. Aveva ben ragione di preoccuparsi perché il piede del moro era poggiato sul gradino e sembrava proprio sul punto di far scattare i muscoli tesi delle gambe, fasciate in attillati pantaloni rosso fuoco, verso una nuova avventura.

— Devi per forza partire? — Sospirò la ragazza sulle labbra del giovane.

— Temo di sì, mia cara. Il Re mi vuole al suo fianco, come alchimista sono il migliore, lo sai. — Ribattè calmo, senza la minima traccia di superbia.

— Ho paura, ho un brutto presentimento, — ansimò, — è come un cancro che corrode la mente, non mi da tregua. — Cercò di spiegare Hejlien. — Ho sognato di nuovo quell'uomo a dieci teste cornute mentre si contorce e urla, brucia e contemporaneamente ribolle nel suo sangue di un colore cupo, quasi melanzana. Tu sei lì, indifferente, ad ascoltare le sue maledizioni che ti scivolano addosso come olio su una superficie liscia. I tuoi occhi, Cielo Divino, i tuoi occhi sono così freddi e innaturali! — Appoggiò il capo sul petto del giovane in cerca di conforto.

— Mia adorata Hejlien, non temere per me e continua a pregare la Stella Mantuz, come i padri dei nostri padri ci hanno insegnato. Nulla potrà accadermi sapendo che il tuo costante pensiero mi veglia. — Cercò di rassicurarla con la sua voce cadenzata.

— Sei in grado di giurarmelo, mio sire? — Un sorriso sghembo nacque sulle labbra del giovane mentre un guizzo malizioso attraversava gli occhi chiari.

— No! — Replicò pronto. — Purtroppo noi non possiamo sempre essere gli artefici del nostro Destino, a volte bisogna solo subirlo. Vedi, — aggiunse con un tono da grande cospiratore, — niente e nessuno è in possesso del Potere per governare il Futuro, si può solo sperare nella Buona Sorte ed è per questo che tu, — gentilmente le premette un dito all'altezza del cuore, — ed io, affidiamo la nostra vita alla Stella Mantuz. — Ora l'indice era rivolto verso se stesso.

Un basso ringhio riempì l'aria mentre una voce possente rimbalzava tra i muri disadorni, facendo sobbalzare le due figure avvinte.

— Dobbiamo andare, sovrintendente Serghal Wingaffrin, — il drago si palesò in tutta la sua magnificenza. Repentine le due figure si separarono e i loro occhi annegarono nel nero pece della pelle squamosa. "Mai provata la sensazione di non sapere se sei sveglio o se stai ancora sognando*"? Ebbene la ragazza cadde in ginocchio, terrorizzata, tenendosi aggrappata alla corta cappa marrone che avvolgeva il suo compagno. Era sempre stata convinta che fosse solo una favola – quella dei draghi che solcavano i cieli – da raccontare davanti al camino nelle buie sere invernali, invece lui era lì, concreto, davanti ai suoi occhi stralunati.

— Guardami, Hejlien. — Le disse gentimente il ragazzo moro mentre l'aiutava a sollevarsi, — lui è Okhinal, il drago del Re Bankum. È venuto a prendermi per portarmi a Palazzo, per i prossimi sei mesi sarò la sua ombra, poi scoppiò a ridere per l'assurdità della frase.

— Posso toccarlo? — Chiese con tono riverente e contemporaneamente timoroso Hejlien. Serghal le rivolse un sorriso splendente per poi inchinarsi al drago e ottenere così il suo consenso. Incerta, la fanciulla, allungò la mano e la pelle, al suo tocco, risultò leggermente ruvida – ricordava la lingua di un gatto – solida e calda. Emanava un senso di liquida protezione che, avvolgendo, rendeva tutto claustrofobico, come se mancasse davvero poco per affogare dentro tutto quel nero. Il muso allungato dell'animale mostrava una fila di denti appuntiti e luccicanti mentre le narici fremevano sotto la spinta dei vapori bollenti, le lunghe orecchie, solitamente aperte come ventagli, erano appiattite ai lati della nuca. Gli occhi erano ambra liquida, un mare di miele denso che catturava, un po' come fa la luce con le falene. La compattezza del corpo non diminuì la grazia fluida dei movimenti mentre si raddrizzava in una posizione fiera e regale trattenendo, sulle forti zampe, la lunga coda. Le enormi ali erano appoggiate chiuse lungo i fianchi dove spiccava una sella in lucida pelle di daino, guarnita di iscrizioni in oro. Osservando meravigliata il capo disadorno di corna, Hejlien chiese spiegazioni. Il compagno le raccontò che Okhinal era l'ultimo dei draghi antichi, la sua stirpe, dopo essere stata ingannata, fu sterminata dal Re Bankum.


 


 

Ai tempi del VanWender, oscure presenze avevano infettato e ucciso quasi tutta la popolazione della nazione di Fonder; piaghe purulente si cibavano della carne senza che nessun rimedio umano potesse impedirne l'avanzamento. Quindi, il Re Bankum si era rivolto ai draghi chiedendo protezione e aiuto affinché la loro magia debellasse quel morbo rovente. I draghi erano creature sagge e schive, sapevano riconoscere la menzogna e la viltà dell'uomo, individuando i loro sotterfugi. Ma il Re Bankum era un uomo scaltro, aveva aggirato i potenti animali fiondandosi famelico sul loro ultimo cucciolo che irretì, facendosi poi sussurrare tutti i segreti della magia, in cambio aveva portato oboli avvelenati dal xaxa, – un potente fungo allucinogeno che induceva alla sottomissione chi ne abusava. – Aveva usato un sortilegio per carpire l'essenza vitale dalle possenti bestie per poi convogliarla su di sé, diventando così immortale; aveva prosciugato lentamente ogni goccia di linfa da quei corpi statuari, li aveva osservati mentre si accartocciavano fino a diventare paglia. Infine, aveva imbrigliato il cuore di Okhinal con filamenti in oro intrecciati con la viola blu e un'erba magica che cresceva solo nelle valli di Senkonà, costringendolo a servirlo per l'eternità; aveva spezzato anche le piccole sporgenze in osso sulla nuca del drago per sottolineare l'umiliante appartenenza ad un umano. In più di mille anni il Re Bankum aveva conquistato quasi tutte le terre calpestabili, soggiogando la popolazione di ogni etnia e razza che aveva incontrato lungo il cammino. In suo nome, protette dalla magia di Okhinal, intere legioni di soldati avevano sterminato eserciti avversari, lasciando, dietro di sé, desolazione e sofferenza.

 


 

— Ma è un abominio! — Urlò la ragazza, per poi piegare il capo mortificata davanti all'espressione rigida del compagno.

— Non sta a noi giudicare il comportamento del nostro Re, Hejlien, senza contare che dovrei ucciderti perché gli hai mancato di rispetto. — Con un gesto della mano fermò il drago in procinto di spalancare l'enorme bocca. — Ti perdono solo perché so che sei sconvolta; in futuro, ti invito a usare meglio il tuo raziocinio, — concluse con tono grave.


 


 

A Serghal non era piaciuto essere stato così brusco ma bastava davvero poco per rischiare di venir uccisi dagli emissari del Re, che erano ovunque, ancor prima di avere una qualunque possibilità d'appello. Oltremodo indispettito, si congedò frettolosamente dalla ragazza che, pentita e provata, pianse silenziosa tutto il suo dolore per l'imminente abbandono. Con un movimento fluido salì sul dorso del drago che, con una potente spinta, si librò in cielo; sotto di sé il nervosismo di Okhinal si sprigionava ad ondate.

— Dovevi lasciare che la uccidessi! — Esclamò il drago, la sua voce era così possente da superare il fischio dell'aria e gli schianti delle ali in movimento. Per un tempo indefinito Serghal rimase in silenzio corrugando la fronte.

— Non ho potuto, porta in grembo mio figlio, — disse, — è turbata perché dovrà affrontare tutto da sola, nemmeno so se ci sarò alla nascita del bimbo. — La sua voce era piatta, come se non gli importasse veramente. Il drago non ribatté, condividevano un segreto, loro due, un segreto che era riuscito a raggirare il potere dello xaxa.

 

 

 

 

Okhinal non poteva sapere com'era vivere tra i draghi, era troppo piccolo quando il Re lo aveva reso suo schiavo, ma il peso di mille anni in solitudine aveva cominciato a scalfire la sua imperturbabilità. Aveva viaggiato nei cieli sconfinati senza sentire il benché minimo tormento, aveva aperto le fauci e il suo fuoco aveva incenerito ogni cosa, anche la sua debole volontà. Aveva vissuto rinchiuso in una bolla trasparente, dove le immagini scorrevano tanto veloci da non riuscire ad afferrarle. Non aveva cura di nulla tranne l'obbedienza che doveva al suo padrone. Eppure aveva rinchiuso nel cuore il ricordo prezioso del primo incontro con Serghal.

Il Re gli aveva ordinato di distruggere la città di Nandower, nel lontano Zengabor, e lui l'aveva rasa al suolo uccidendo tutti gli abitanti, o per lo meno così aveva creduto. Invece, da sotto un cumulo di macerie ancora fumanti, era uscito un esile bambino con il corpo annerito dai fumi e la pelle lacerata in più punti, reggeva un corto pugnale, che, nelle sue mani, sembrava una possente spada. Le braccine, pur tremando in modo vistoso, non avevano accennato ad abbassarsi; quello che aveva stupito il drago era stato leggere, in quegli occhi chiari, l'odio feroce rivolto al Re Bankum, l'astio era così profondo che sembrava scaturire dal centro della Terra, dal fulcro della Vita stessa. Per qualche inspiegabile ragione, Serghal era stato risparmiato e rinchiuso nelle segrete del Palazzo Reale, da dove era riuscito a fuggire per ben otto volte e riacciuffato altrettante mentre cercava di attraversare l'immenso deserto che circondava il palazzo del Re.

— Re Bankum, perché mi affidate a questo ragazzino? — aveva chiesto sorpreso Okhinal quando il Re gli aveva presentato Serghal.

— Ehi! — Aveva esclamato indispettito il ragazzetto venendo prontamente ignorato.

— Non serve neanche a sfamare l'unghia del mio piede, che dovrei farci con lui? — Con un semplice movimento della coda, il drago aveva mandato a gambe all'aria il moro che aveva cominciato a pungolarlo. Il Re aveva alzato una mano e al centro del palmo si era formata una sfera lattigginosa e fluorescente, questa si divise in due e raggiuse entrambi fermando così il diverbio; il volto del Re era una maschera di rabbia trattenuta.

— Serghal ho grandi progetti per te. Questo è il tuo destriero, — aveva cominciato a parlare tra i denti indicandogli il drago, — ti prenderai cura di lui e lo cavalcherai nelle battaglie future. In cambio della tua vita risparmiata, mi servirai da uomo libero, ti insegnerò tutto ciò che c'è da sapere sull'alchimia, — intanto la voce aveva ripreso la sua abituale compostezza, — ti istruirò perché tu possa diventare un ottimo cavaliere, condividerò con te alcune delle mie conoscenze affinché tu possa affrontare qualsiasi nemico e abbatterlo. — Dopo una veloce occhiata al drago, il Re aveva concluso dicendo: — così ho deciso! — Poi, voltatosi, si era diretto con passo fermo verso l'entrata del palazzo. Era calato un pesante silenzio, solo lo scricchiolio della ghiaia mossa dai passi del Re turbava l'apparente quiete che aveva avvolto il cortile antistante alle scuderie.

— Non penso proprio! — Aveva urlato ribelle il piccolo Serghal alla schiena ormai lontana del Re, — non farò la balia a questo ammasso puzzolente di sterco di bue.

— A chi sterco di bue? A chi ammasso puzzolente? — Aveva ruggito con ferocia il drago sputandogli addosso la sua fiamma infernale. Serghal era sempre stato un ragazzino smilzo ma dai riflessi pronti, aveva scansato il getto e, nel farlo, aveva raccolto una manciata di fine pietrisco dal suolo che poi aveva soffiato direttamente nelle narici frementi del drago. Quest'ultimo, davvero arrabbiato per non essere stato in grado di incenerirlo, aveva cominciato a pestare stizzito le enormi zampe facendo tremare il suolo, crepandolo in più punti. Improvvisamente un raggio verde era sfrecciato nell'aria facendola ribollire e risucchiando tutto l'ossigeno, i due litiganti erano caduti in ginocchio tramortiti.

— Questo vi serva da lezione! — Aveva tuonato con voce imperiosa il Re.

Da allora, insieme, avevano preso parte a molteplici battaglie e, seppur con fatica, avevano imparato a conoscersi e rispettarsi. Durante gli estenuanti allenamenti avevano trovato anche il tempo per affezionarsi.

 

 

 

 

Una volta raggiunta la reggia, che era stata l'antica dimora dei draghi, Serghal si recò immediatamente al cospetto del Re. La grande sala, in cui un tempo si venerava il Dio Otzam aveva alte colonne in granito bianco ed era illuminata da migliaia di candele che galleggiavano a ridosso del soffitto, erano così numerose da riuscire a non generare la minima ombra. I suoi passi scivolavano leggeri sul lucido pavimento dall'intricato disegno geometrico; era così complicato che seguire le linee portava allo smarrimento, dando la sensazione di un doloroso capogiro e pesantezza mentale. Neanche una guardia era presente, il Re non temeva nessuno, non c'erano nemmeno ai lati dello scranno in rovere antico e pietre preziose, che poggiava sotto l'unica finestra. I riverberi dei gioielli creavano una sorta di velato sfolgorio, un gioco di luce ideato per ammaliare gli avventori. Tutto in quella sala, dai piedistalli, con i busti di valorosi guerrieri, ai mosaici colorati, raffiguranti battaglie e paesaggi ormai perduti, era un inno per celebrare l'immenso potere del Re.

Il Re Bankum era seduto altero e vigile, i suoi occhi castani, distanti tra loro, erano puntati sul giovane che avanzava, senza tradire alcun sentimento. Vestiva una pesante tunica color vinaccia, senza maniche, sopra una candida camicia in seta, i cui polsini arrivavano a metà avambraccio. I pantaloni, che si intravvedevano appena dagli spacchi laterali della sopravveste, fasciavano le gambe corte come una seconda pelle. Preziosi gioielli adornavano il collo e le dita tozze mentre, sul capo, era in bella mostra una graziosa tiara in filigrana di platino e diamanti, incastrata tra i folti capelli del colore del grano maturo. Decisamente non era un bell'uomo e l'uso della magia ne aveva logorato ulteriormente il fisico, nonostante nelle vene scorresse la linfa dei draghi.

— Mio Sire. — Il ragazzo si inchinò servizievole, aveva imparato da tempo a mascherare l'odio che provava per il Re; da fuori, nella notte che avanzava, li raggiunse il canto triste del drago.

— Ho un nuovo incarico per te. — La voce calma del Re era fredda, come una sottile lastra di ghiaccio pronta a tradirti. — Devi recarti a Denghepukoi nel Zangabor, guidare le tre compagnie di Fonder, e preparare la via per il mio arrivo. Bada bene che non rimanga nulla dei rozzi Dei di quegli infedeli.

Serghal ebbe un impercettibile sussulto ma rispose prontamente: — Come desidera, potente Re Bankum.

Detto ciò, si ritirò. La mente del giovane era in febbrile movimento, un leggero velo di sudore gli imperlava la fronte: non era più tempo di procrastinare! Mentre un servo lo aiutava ad indossare la scintillante armatura, ripensò al giorno in cui il suo cammino si era incrociato con quello del Re e del suo drago.

 

 

 

 

Serghal aveva sette anni quando il Re aveva preso la decisione di conquistare la sua città. Durante l'incursione rovinosa del drago suo padre era rimasto incastrato sotto il crollo di una casa, Serghal lo aveva trovato mentre cercava di reggere a mani nude una pesante trave che stava minacciando di schiacciarlo. Il padre era stato sollevato nel vederlo e, senza indugiare, gli aveva detto: — Figliolo corri nei sotterranei del Tempio e cerca il pugnale della Stella Mantuz, — la voce gli era uscita a stento per la fatica.

— Ma padre... — aveva cercato di protestare il piccolo Serghal.

— Non c'è più tempo, sei l'unico in grado di trovarlo. Ascolta, — ormai prossimo alla fine, la voce aveva assunto un tono accorato, — è in una nicchia segreta dietro la statua della Dea e sull'impugnatura ha inciso in rilievo una rosa blu. Conservalo con cura perché è l'unico mezzo per sconfiggere il Re Bankum e il drago Okhinal. Promettimi che te ne andrai senza voltarti.

— Ma padre... — aveva tentato di nuovo di protestare il ragazzino mentre cercava di spostare la grossa trave.

— Promettilo! — Gli aveva ordinato il padre con le ultime forze rimastegli in corpo. Serghal con gli occhi offuscati dalle lacrime aveva piegato il capo in un segno d'assenso. — Ed ora vattene, fai presto! — Lo aveva incitato il padre, Serghal, a malincuore, lo aveva abbandonato ed era sceso nei sotterranei; nell'esatto momento in cui aveva imboccato le ripide scale, un tonfo gli aveva preannunciato la fine. Un dolore sordo si era propagato in lui a macchia d'olio facendolo urlare e stramazzare sul pavimento freddo. Era rimasto a lungo in quella posizione mentre sopra di sé i rumori della battaglia arrivavano attutiti. Fedele alla promessa che il padre gli aveva strappato, si era trascinato fino alla statua e, individuato subito il piccolo meccanismo per forzare l'apertura del pertugio, aveva raccolto nelle sue piccole mani il grande pugnale.

— Ma è enorme! — La sua voce era risuonata sinistra nella piccola sala. Solo allora si era accorto del silenzio innaturale che lo circondava. Allarmato, aveva corso per un lungo tunnel invaso dai detriti, cadendo e rialzandosi più volte, finché, una volta riemerso, si era trovato sotto un pallido e polveroso cielo tinteggiato d'arancio. Con sguardo vitreo aveva fatto scorrere gli occhi su un paesaggio desolato: cumuli di mattoni fumanti, corpi rigidi e laceri, chiazze di sangue ovunque e quel silenzio che avava avvolto ogni cosa come un sudario. Da dietro era sopraggiunto lo sdrucciolare del pietrisco, con il cuore che gli era balzato in petto dalla felicità, si era voltato aspettandosi di trovare ancora qualcuno vivo, invece, con suo immenso orrore, si era trovato al cospetto del drago cavalcato dal Re Bankum. Un odio feroce lo aveva colto lasciandolo senza fiato. Aveva imbracciato il pesante pugnale, barcollando nello sforzo di tenerlo alzato, e aveva urlato:

— Ti ucciderò Bankum, mi vendicherò! — In quel momento, il pugnale era investito dagli ultimi raggi del sole morente, la rosa blu aveva cominciato a brillare catturando l'attenzione del Re.

— Non ora! — aveva risposto in tono lapidario il Re mentre lanciava una piccola sfera a Serghal, tramortendolo. — Portatelo a palazzo e rinchiudetelo nelle segrete. — Aveva poi comandato ai soldati mentre raccoglieva da terra il pugnale e se lo rigirava pensieroso tra le mani. Infine era risalito sulla groppa del drago ed era ritornato vittorioso a palazzo.

Il Re lo aveva rinchiuso nelle segrete con il compito di tenere puliti i locali dagli escrementi dei prigionieri. Era stato assai difficile adeguarsi a quella nuova vita; a piegare il capo ogni volta che il Re aveva il desiderio di convocarlo; a morsicarsi la lingua ogni volta che sentiva esplodere dentro di sé l'odio per quell'uomo. Vi era rimasto per tre interminabili anni, durante i quali ogni giorno fu scandito dal ricordo del tonfo della trave che aveva schiacciato il padre, dallo sfolgorio del tramonto arancione che poteva ammirare da dietro la finestra sbarrata, dal desiderio macerante di porre fine alla vita del Re e del suo drago. Aveva tentato invano di scappare fino a quando il Re, esasperato, aveva ordinato ai suoi sicari di lasciarlo vagare per tre giorni nell'assolato deserto. Al suo rientro, ogni resistenza era stata domata e a Serghal non era rimasto che piegarsi al volere del Re.

— Senti, Okhinal, — la voce soffocata di Serghal era giunta attutita attraverso la finestra della sua camera, — credi che il Re si arrabbierà perché ho prenso in prestito il mio pugnale?

— Perché non dici che l'hai rubato? — La voce infastidita del drago aveva fatto tintinnare le teche colme di testi antichi.

— Non posso rubare ciò che è mio, — aveva ribattuto pronto il ragazzo, scavalcando con un agile balzo il davanzale, — suvvia sei davvero antipatico, che ti costa assecondarmi per una volta. Mai un attimo di respiro, — aveva continuato con tono lamentoso mentre faceva ruotare il pugnale, — tra amici non si usa così.

— Noi non siamo amici. — Aveva puntualizzato Okhinal colpendo con la coda la mano protesa che reggeva il pugnale, facendolo così cadere sul suolo duro.

— Ehi, attento!

Il danno ormai era fatto, dall'impugnatura si era staccato un petalo della rosa blu. Serghal si era chinato, terrorizzato all'idea del castigo che il Re avrebbe attuato per punirlo. Delicatamente aveva raccolto il pezzo e, nel girarlo, si era accorto di un piccolo segno inciso in oro bianco. In tutta fretta era rientrato in camera e, elettrizzato, aveva guardato il pezzo sotto una potente lente, scoprendo così che si trattava di una runa.

— Okhinal, guarda, anzi no, stai lontano prima di combinare altri guai con la tua grazia. — Il drago aveva sbuffato spazientito facendo sollevare le pagine dei libri impolverarti che stavano sulla scrivania dimenticati. — Vedi che ho ragione! — Aveva urlato Serghal mentre sistemava quella confusione. — Conosci questo simbolo? Tutti i petali si staccano e c'è una runa su ognuno di essi. — La voce del ragazzo era eccitata mentre incantava un grande foglio affinché volasse fuori dalla finestra fino al drago, — mi sembra di averne viste di simili ma non ricordo dove.

— Non conosco il suo significato ma so dove trovarne altre — Gli aveva risposto Okhinal. — C'è una stele incastrata nel portone della città di Ganganor, puoi chiedere ai monaci che vi abitano se sanno qualcosa. — Serghal aveva accolto con gioia il suggerimento e aveva preteso di essere trasportato subito nella città in questione. Dai monaci aveva appreso che si trattava dell'antica lingua usata dai primi umani per comunicare con i draghi e che ormai era andata perduta da più di mille anni. Frustrato ed impotente, aveva abbandonato il Convitto dei Poveri Orfanelli e si era messo a correre per le strette vie della cittadina. Nella sua folle corsa, svoltando una curva cieca, era finito addosso ad un piccolo carretto contenente della frutta.

— Ehi, attento! — La voce stridula di una ragazzina l'aveva colto di sorpresa, — ti sei fatto male? — Aveva insistito la voce con un lieve accenno di preoccupazione.

— No, grazie e scusa ma non potevo sapere che voltato l'angolo avrei trovato il tuo trabiccolo fermo in mezzo alla strada. — Aveva risposto polemico Serghal.

— Bhe, invece di correre come un folle, camminavi, ti saresti accorto subito del carro che, per essere precisi, è sempre fermo qui. — Avendo sentito la voce della ragazzina farsi sempre più stizzita a Serghal era nato un sorriso sghembo sulle labbra piene. Ancora seduto in terra aveva alzato gli occhi su di lei e si era perso nell'acerba bellezza della ragazzina che, scarmigliata e furiosa, aveva cominciato a sistemare tutto quel disastro.

— Ciao, sono Serghal e quando sarai abbastanza grande diventerai mia moglie. — Si era presentato il moro, mentre le sue guance avevano assunto un colorito rosato. La ragazzina aveva spalancato la bocca e, sgomenta, aveva replicato:

— Ciao, sono Hejlien e ti prendo a calci da qui all'eternità se non mi aiuti a raccogliere la frutta caduta e, per inciso, non ho nessuna intenzione di sposarti! — Serghal era scoppiato a ridere e si era affrettato ad eseguire l'ordine; non avevano più scambiato una parola ma si erano scrutati a lungo. Finito di sistemare era ritornato dai monaci con uno spirito più bendisposto. Dall'anziano capo dell'ordine aveva appreso che esisteva un'antica iscrizione, incisa sulla tomba del primo benefattore del Convitto, scritta con quelle rune. I monaci erano a conoscenza della traduzione della frase e forse, comparando i simboli, avrebbe potuto decifrare quelli sui petali della rosa. Preso dall'entusiasmo, nei successivi tre anni, Serghal si era dedicato, nel tempo libero, al delicato lavoro di traduzione arrivando, infine, a decifrare le rune: "vi è un luogo non baciato dal male, imprimi un piccolo foro e il dolore purificherà ogni cosa".

Serghal aveva frequentato anche Hejlien, nelle sue visite a Ganganor, approfondendo l'amicizia; aveva giustificato i suoi innumerevoli spostamenti dicendo che era l'alchimista al servizio del Re Bankum senza rivelare, però, l'esistenza del drago. Aveva chiesto a Hejlien di sposarlo una sera d'estate, sotto l'ulivo che si narrava fosse stato piantato dalla Stella Mantuz. Con una cerimonia semplice i due ragazzi si erano uniti ed avevano preso dimora in un vecchio palazzo di Ganganor. Serghal aveva conosciuto un nuovo tipo di felicità che andava ben oltre la complicità di due esseri che si rispettano. La vicinanza con Hejlien l'aveva aiutato ad accettare il trasporto emotivo che, a sua insaputa, si era insinuato nel suo cuore. La calma riflessiva della ragazza l'aveva portato a rendersi conto dell'importanza che il drago aveva assunto nella sua vita. Nel corso degli anni aveva compreso che Okhinal era uno strumento in mano ad un uomo malvagio, era senza volontà e senza la possibilità di ribellarsi, ed era per questo che si era prefissato il compito di riuscire a strapparlo dalle grinfie del Re.

 

 

 

 

Quando fu pronto, con il vessillo del Re che sventolava in cima alle lunghe lance dei guerrieri assiepati nel cortile, salì in groppa a Okhinal e ordinò agli uomini al suo servizio di marciare verso Zangabor, passando per il confine più a ovest; facendogli percorrere il percorso più lungo otteneva una manciata di giorni di vantaggio, così da essere sicuro di avere il tempo necessario per attuare il suo folle piano.

 

 

 

 

La città di Denghepukoi era magnifica, vista dall'alto: la perfezione geometrica delle strade, le case ricche di verde, le piazze pittoresche e la variopinta moltitudine della sua popolazione facevano di lei un angolo di pace; qui avevano trovato asilo le etnie e le razze bandite dal Re. Era circondata da campi coltivati che facevano da corona ai piedi del dolce colle su cui era stata eretta. Ad ovest il mare ne mitigava il clima, avvolgendola nei profumi dei frutti estivi; una roccaforte di inespugnabili montagne vigilava e proteggeva tutto il versante che si estendeva da nord ad est; a sud si espandeva, a perdita d'occhio, una fiorente pianura, un tempo una maleodorante palude. A ridosso dei monti, su un pianale, completamente ricavato nella dura roccia, c'era il tempio dedicato alla Stella Mantuz, il più antico a memoria d'uomo. Le alte guglie toccavano le soffici nuvole che solcavano il cielo e il candore dei marmi riluceva al sole come un diamante, visibile anche a miglia di distanza. Gli enormi blocchi delle colonne, che sostenevano il tetto, erano dei perfetti cubi, tutti uguali e precisi al millimetro. Il pavimento era un'unica lastra su cui, al centro, poggiava un altare, grande quanto un giaciglio per draghi. Intorno all'altare c'era un canale di scolo i cui fori sembravano inoltrarsi molto in profondità; sul piedistallo s'intravvedeva una striscia che delineava un'entrata segreta. Nessuna runa o iscrizione era presente, anche perché non c'erano pareti intorno al tempio, c'erano solo dei boccioli di rosa blu, uno per ogni base delle colonne, da dove partiva un tubo che le collegava ai fori di scolo dell'altare. Serghal non aveva mai dato importanza al fatto che le rose del tempio fossero uguali a quella del pugnale.

— Perché siamo qui, Serghal? — Chiese il drago; la sua possente voce risvegliò le rose che schiusero i petali al sole nascente. Prima di rispondere il ragazzo compì un'evoluzione con il braccio, pronunciando un'antica formula.

— Ora il Re non può sentirci, Okhinal. — Esordì in tono trafelato, — non abbiamo molto tempo, prima che se ne accorga e cerchi di distruggere lo scudo, quindi presta attenzione a ciò che ti dico. Non temere l'influsso del xaxa, perché sono anni che ne assumi una dose minima, sufficiente a farti obbedire, ma non abbastanza da prendere il totale controllo. — Serghal rise alla smorfia sbigottita del drago. Mentre l'alba colorava le superfici lisce e lucide, in un crescendo di colori sempre più accesi, il giovane raccontò al drago come, in cerca di un modo per vendicarsi, avesse appreso la funzionalità del xaxa. Il Re aveva disposto che gli fosse somministrato regolarmente insieme al pasto, ma Serghal, avendo scoperto che in realtà era una droga, ne aveva diminuito progressivamente la dose.


 


 

Serghal aveva speso ore per cercar di dare un senso alla frase che aveva ricavato dalle rune, senza molto successo.

— Okhinal, vuoi stare fermo! — La voce del giovane aveva rimbombato per tutto il cortile esterno, — possibile che devi fare sempre la stessa sceneggiata ogni volta che ti devo lavare? — Dal drago era pervenuto un forte grugnito e un tonfo accompagnato dal rumore di acqua che stava trasbordando. — Accidenti a te! — stava inveendo Serghal ormai irrimediabilmente zuppo come un pulcino, — l'hai voluto tu. Preparati perché uso la magia così la prossima volta te ne starai buono e tranquillo. — Era inconcepibile per un drago rimanere impassibile a subire la magia di un altro essere, eppure, tra di loro, avevano raggiunto una tale affinità che l'invasivo solleticare degli incantesimi lanciati da Serghal non rappresentava più un pericolo. Con un gesto della mano aveva sollevato l'enorme bestia e l'aveva fatta roteare su se stessa mentre potenti getti d'acqua lo colpivano da più direzioni.

— Mettimi subito giù stupido moccioso! — Aveva cominciato a tuonare Okhinal. — Se ti metto i denti addosso... — Aveva poi minacciato. Serghal non aveva degnato il drago di uno sguardo, stava seduto pensieroso a rigirare tra le mani il grosso pugnale. La magia, rafforzata dai suoi pensieri turbolenti, aveva bloccato il drago a mezz'aria con le zampe divaricate, come se fossero trattenute da funi invisibili, la coda, invece, era stesa e allineata con la testa.

— Serghal... Serghal mi ascolti? — La voce possente del drago aveva investito il giovane facendolo sobbalzare dalla sorpresa. Aveva alzato gli occhi contrariato e poi era rimasto imbambolato ad ossservare un punto della coda che stava roteando pigra sopra la sua testa. Serghal era scattato in piedi e, in preda all'euforia, aveva cominciato a danzare per tutto il cortile pronunciando frasi senza senso.

— Ma certo! Che sciocco, perché non mi è venuto in mente prima?! Era così evidente, che stupido, tutto questo tempo ed era sotto il mio naso.

— Serghal, ti spiacerebbe farmi scendere!

— Oh, si certo, scusa. — Aveva ribattuto tutto allegro il giovane. Finalmente aveva compreso il messaggio nascosto nei petali della rosa blu e, in quel momento, gli sembrò che il mondo avesse trovato la sua giusta collocazione. La sera stessa era ritornato a casa, nella sua città, da sua moglie e, in preda all'euforia, l'aveva amata per tutta la notte con un nuovo ardore impregnato di una felicità senza eguali. Solo al risveglio si era accorto che, in mezzo a tutta quella gioia, un puntino nero ne offuscava il candore. Mentre il drago volteggiava in aria, aveva scorto sulla sua coda una piccola voglia a forma di rosa e, secondo le rune, quello era il punto in cui avrebbe dovuto incidere con il pugnale il corpo di Okhinal. In seguito, ciò che lo turbò fu rendersi conto che, nel momento in cui lo avesse colpito, il flusso sarebbe stato inarrestabile e il drago sarebbe morto dissanguato. Il suo cuore si era spezzato a quella consapevolezza, diviso tra la sua coscienza e il forte sentimento che lo legava al drago. Come era possibile prendere la giusta decisione? Certo, il mondo come lo conosceva era oppresso da un uomo malvagio ma tutti loro erano irrilevanti se confrontati all'amore che sapeva di provare per Okhinal. Mentre il cuore sprofondava sempre più nello sconforto, gli giunse una lettera dalla moglie in cui gli annunciava che presto sarebbe diventato padre. Serghal non aveva reagito alla notizia, era rimasto pietrificato, con il cuore in subbuglio e la mente un foglio grigio. Era stordito e sempre più incapace di prendere una decisione. Una notte, mentre i richiami degli sciacalli spezzavano il silenzio che avvolgeva il deserto, fuori dalle mura, Serghal era intento ad osservare il disegno che rappresentava la rosa sulla coda del drago.

— Che mi venga un colpo! — Aveva esclamato sorpreso. — La rosa ha due steli che proseguono paralleli lungo la coda. Che vorrà dire? — Sempre più agitato aveva raggiunto il giaciglio del drago. — Okhinal, Okhinal, svegliati, vecchio pelandrone.

— Che modi sono questi! — Aveva sbuffato il drago per poi scattare in piedi pungolato dalla magia del ragazzo.

— Scusa non ho tempo per i convenevoli, devo verificare una cosa. Ecco, da bravo così, stai fermo un attimo. — Serghal aveva illuminato la pancia prominente della bestia, su di essa i due steli erano ben visibili: uno moriva all'altezza del cuore del drago, l'altro si fermava all'attaccatura del grosso collo. Serghal non aveva perso tempo e aveva incantato le squame in modo che rivelassero cosa c'era sotto. — Per tutti i numi! — Aveva esclamato soffocando la gioia premendosi le dita sulla bocca. — Ma quello è un uovo!

— Cosa c'è Serghal, sento la tua agitazione. — Il ragazzo aveva guardato serio Okhinal e, con gli occhi che bruciavano intensi, aveva esclamato:

— Auguri papà!

Ora Serghal aveva ben chiaro cosa fare.


 


 

— Non posso permetterlo! — Tuonò il drago, facendo tremare l'intera struttura.

— Non hai scelta, — replicò calmo il ragazzo, — sei l'unico che ha abbastanza potere da contrastare il Re e poi, chi coverà il tuo uovo? — Chiese affranto, rilasciando un lungo sospiro. — Ti dono la mia magia e il mio sangue, Okhinal. Vivrai e con te il tuo cucciolo; sarai libero e lo saremo tutti noi.

— Ma tu non ci sarai, non pensi a tuo figlio? — Osservò il drago, guardandolo con sguardo assente mentre girava tutt'intorno gli occhi. Okhinal, come folgorato da una nuova consapevolezza, gli sorrise ambiguo. — Non hai idea a cosa serva in realtà questo luogo, vero? — Sogghignò. — Per anni avete venerato il vostro Dio senza chiedervi come dei semplici umani possano esser riusciti a costruirlo senza gli adeguati mezzi. — Un barlume di comprensione si fece spazio nelle iridi chiare di Serghal. — Esatto! È stato costruito dai draghi, precisamente è il luogo dove facevano schiudere le uova; il piedistallo è una "camera da cova" dove venivano riposte una volta espulse. — La speranza colorò le gote del ragazzo mentre chiedeva tremante:

— Come fai a saperlo? — Il drago rispose:

— Credo sia nell'istinto dell'animale sapere queste cose, un po' come quando essi preparano la tana per accogliere i cuccioli, è nel bagaglio che viene tramandato tra le generazioni.

Tra loro calò un quieto silenzio.

— Bene, alla luce di questa nuova verità, non è necessario che ti sacrifichi, Serghal. — Il drago, con stizza, sbattè la zampa sul pavimento facendo tacere le rimostranze del cavaliere. — Salirò sull'altare, farai l'incisione con il pugnale e lascerai che il sangue defluisca nel canale di scolo. Il mio compito è quello di espellere in tempo l'uovo che poi porrai nella camera. Presumo che i liquidi, durante la normale procedura, siano sempre stati sufficienti a far scattare il meccanismo che apre la porta che si intravvede, in ogni caso il sangue che uscirà dalla ferita sarà abbastanza per rimediare all'inconveniente. — Nel frattempo si accucciò sulla dura pietra che, al contatto con lui, sembrò intiepidirsi. — Lascia sgorgare il sangue dal mio corpo, fino all'ultima goccia, solo così saremo sicuri che il Re morirà, non essendo più protetto dalla mia magia, finendo così il suo dominio di terrore e liberando, finalmente, tutti gli esseri viventi.

— Ma tu non ci sarai più, — constatò mogio Serghal, mentre perforava la coda di Okhinal e il suo sangue cominciava lento a gocciolare nel canale.

— Non abbatterti per così poco, ti affido il compito di istruire mio figlio, fai in modo che nessuno approfitti di lui come fece Bankum con me. Hai le conoscenze per lanciare un maleficio che duri per l'eternità, poiché la tua forza proviene dalla purezza del tuo cuore. — La voce del drago era flebile; la mente, concentrata sull'espellere l'uovo, combatteva anche l'istinto di sopravvivenza, perdendo molte più forze del previsto. Dopo quasi un'ora, di inutili sofferenze, – la camera si era già aperta, – il drago era palesemente provato.

— C'è qualcosa che non va, Okhinal. — Il ragazzo girò intorno al drago, tutto agitato. — Non hai ancora espulso l'uovo e non manca molto al tuo totale dissanguamento.

— Serghal! — Intimò la bestia con il poco fiato che le rimaneva, — sono troppo debole, devi squarciare il mio collo, appena sopra l'addome, e prelevarlo a mano; fai in fretta perché se muoio, prima che lo estrai, cesserà di vivere con me. — Il cavaliere eseguì l'ordine in fretta, senza prestare ascolto al cuore che batteva impazzito; immerse il pugnale ben al di sotto del punto indicato e poi lo fece scorrere attraverso il torace, la lama era talmente dura e affilata da aprirsi un varco, come se le squame fossero fatte di burro fuso. Lesto agguantò l'uovo, cercando di non farselo sgusciare dalle dita umide e, combattendo contro il velo che gli offuscava gli occhi, lo depose nella "camera da cova" che, immediatamente, si chiuse.

— Fatto! — Esclamò fiero per poi incupirsi una volta riportati gli occhi sul drago.

— Grazie, Serghal. Sei un ottimo cavaliere e un amico fidato. Il mio ruolo nel mondo si conclude qui. Cresci mio figlio affinché diventi saggio e ripopoli la terra con i nostri simili. — Rantolò Okhinal, ormai allo stremo delle forze. Serghal era impietrito dal dolore, più il momento era prossimo, più sprofondava in un abisso che lo lacerava dall'interno.

— Non voglio perderti, — singhiozzò tra le labbra appena dischiuse, — ho imparato ad amarti come un fratello, Okhinal, non voglio sentirmi di nuovo solo.

— Non sei solo, hai una moglie e presto anche un figlio... — Cercò di consolarlo il drago tremando inconsapevolmente.

— Risparmia le forze per...

In quel momento la voce del Re Bankum li raggiunse. — Giovane cavaliere, non sei stato scelto a caso, tra tanti. Ho riconosciuto subito il pugnale in tuo possesso, quel lontano giorno, quando sei emerso dalle macerie; era stata la Regina, mia moglie Mantuz, a donarlo agli uomini perché lo nascondessero alla mia cupidigia. Un tempo non ero così accecato dall'ingordigia. Mi ero avvicinato ai draghi per tentare di salvare il mio popolo da un'epidemia incurabile, le mie intenzioni erano le migliori ma poi, per soffocare i dolori del male che propagava dentro di me, cominciai a fare uso del xaxa. Soggiogato dall'influsso del fungo, ho commesso due crimini per i quali non c'è assoluzione: ho sterminato i draghi, assoggettando a me il loro cucciolo Okhinal, e ho condannato a morte la mia adorata moglie, perché diventata un ostacolo. Mantuz aveva capito fin da subito quando dipendessi dal fungo e prese dei provvedimenti. Si fece ingravidare da uno schiavo e, mischiando il suo seme con il mio, diede alla luce una bambina che portò avanti la discendenza – attraverso il grembo femminile per le generazioni successive – fino a quando i tempi non sarebbero stati maturi per il concepimento di un bambino maschio: te. Sei sangue del mio sangue, il figlio che non ho mai voluto avere: l'erede al trono di Zangabor. Mantuz, però, non si limitò a questo: scoprì che, per qualche arcana ragione, c'era un piccolo punto, sulla coda di Okhinal, rimasto immune al dominio magico che gli avevo imposto. Così si fece costruire dai migliori armaioli e gioiellieri del regno, un pugnale con incisa la rosa blu, il suo fiore preferito, dove nascose il segreto per annientarmi. Nel frattempo, incurante di qualsiasi sentimento, io minai il nostro rapporto fino a consumarla dal dolore e un giorno, troppo sfinita per potersi frenare, mi maledì. Mentre se ne stava stesa sul nostro talamo, diventato il suo letto di morte, accecato dall'ira, la uccisi a mani nude. Così il destino si compì; ho vagato nel tempo, assecondando l'irrefrenabile desiderio di potere, ho fagocitato popoli e terre, tradendo me stesso e gli ideali con cui ero stato forgiato. Devo ringraziarti, giovane Serghal, figlio mio, perché diminuendo la dose di xaxa, che propinavo a Okhinal, di riflesso, anche su di me si è ridotto il suo potere. Avrei potuto ucciderti ma sono stanco, mille anni sono lunghi da vivere per un uomo. Sono rimasto solo con la mia inutile gloria e muoio solo, come è giusto che sia. Non chiedo perdono per i peccati commessi sotto l'inflenza del fungo e nemmeno pietà per la mia fine, non merito nulla di tutto questo. Ho solo un desiderio: che il mio nome finisca nell'oblio e che questi secoli vengano ricordati come un buco nero da non ripetere. Ti affido il mondo, sovrintendente del Re, che la tua saggezza ti guidi nel crescere nel giusto le generazioni future; fa che il sacrificio della Stella Mantuz non cada invano.

All'improvviso, come era venuta, la voce pacata del Re si spense.

Dalla valle sottostante giunse il canto melodioso del risveglio della natura mentre il sole baciava la terra con i suoi raggi caldi. La luce invase il tempio rendendo più nitido e crudele quel fiume di sangue che gorgogliava ai piedi dell'altare. Un giovane uomo, chiuso nel suo dolore, osservava spegnersi l'ultimo dei draghi antichi. Con le braccia tremanti cercava inutilmente di avvolgere la testa inerme, soffocando nella gola i singhiozzi che prepotenti gli facevano sobbalzare il petto. Le lacrime sgorgavano incessanti, offuscando le iridi chiare, per poi scivolare lungo le gote arrossate come bisce acide. La mente era sgombra, invasa solo da una distesa liquida di colore viola che palpitava in sincronia con il debole battito del drago. Sbuffi caldi fuoriuscivano dalle narici investendo Serghal con il loro carico di morte.

— Non mi lasciare, — sussurrava impotente, — non andartene, ti prego. — Supplicava. Sapeva che era la cosa giusta ma faceva un male terribile assistere all'agonia di Okhinal e non poter far nulla. Una grossa lacrima si formò sulle ciglia serrate del drago; nell'esatto istante in cui si staccò, Okhinal emise il suo ultimo respiro. Dalla gola di Serghal eruttò un urlo che percorse la valle sottostante per chilometri, in tutte le direzioni; la natura si acquietò per rendere omaggio ad Okhinal, l'ultimo dei draghi antichi. Una sfera di luce scaturì spontanea dal cuore del cavaliere che avvolse il corpo immobile del drago, lo sollevò e, dopo averlo trasformato in una statua di cristallo puro, lo depose all'ingresso del tempio, come monito per gli uomini.

— Arrivederci, mio buon amico, conto di incontrarti nella Valle dei Giusti. — Così Serghal rese omaggio al drago.


 


 

Sono passati dieci anni, dalle vicende appena narrate, e, per l'ultima volta, mi soffermo ad osservare il mondo. Con fatica gli uomini si sono reimpossessati della loro dignità, ricostruendo una civiltà con ideali più nobili. È tornato il benessere e la voglia di vivere serenamente la vita, guidati da Serghal Wingaffrin, il sovrintendente del Re. Poco lontano da qui, nel giardino della villa reale, un cucciolo di drago e un ragazzino smilzo giocano felici a rincorrersi sul prato.


 


 

Note autrice: Questa storia partecipa al contest "Cavalieri di Draghi" indetto da Najara87 sul forum.

Il contest prevede l'inserimento di tre elementi all'interno della storia e, tra quelli proposti, ho scelto questi:

immagine F - Francesco Hayez - Il bacio,

citazione 10 - * “Mai provata la sensazione di non sapere se sei sveglio o se stai ancora sognando?” Matrix,

elemento b - Rosa ( io l'ho inteso come fiore ).


 

   
 
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