Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
Ricorda la storia  |      
Autore: Elrais    25/01/2016    4 recensioni
Fai per parlare, ma il tuo orgoglio ti blocca: le promesse di un bambino non si possono pronunciare in una bella mattinata di fine aprile, come se foste solo due ragazzi che ricordano l’infanzia, e non un essere dannato e la sua sposa inconsapevole.
Piccola one shot ambientata alla fine della saga del Campania.
Questa storia partecipa al contest "I still haven't kept my promise" indetto da E u c h a r i s sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

L’organza sgualcita

La carta ruvida tra le tue dita è tinta d’inchiostro; leggi le righe scritte con una grafia che hai imparato a conoscere bene, righe che ti portano altri obblighi nascosti sotto un tono dolce e preoccupato. Victoria comanda, il Cane della Regina obbedisce.

La grande finestra alle tue spalle ha le imposte aperte: il sole di aprile si rifrange sulla lettera che tieni davanti agli occhi e i caratteri vergati in nero diventano quasi illeggibili; diligentemente posi la carta sulla grande scrivania in legno che era appartenuta a tuo padre, dietro la quale la tua piccola figura quasi scompare, ingoiata da una poltrona troppo alta e da responsabilità troppo pesanti. Reclini il capo, con le palpebre abbassate, e per qualche istante svuoti la mente; ma l’imbottitura morbida dello schienale pigia contro il nodo della benda e quel contatto perenne ti impedisce di dimenticare.

Socchiudi gli occhi e volgi lo sguardo intorno a te: nonostante la luce della finestra, parte dello studio resta in penombra. Individui i contorni dei libri che conosci, che fai spolverare ogni giorno nonostante tu non li apra da anni, nonostante alcuni non li abbia mai letti. Sicuramente il tuo predecessore li conosceva tutti. Eri troppo piccolo per chiederglielo, ma la certezza infantile che tuo padre abbia speso ore su quelle pagine è sedimentata dentro di te.
Nella dimora regna un insolito silenzio, che si allarga fino al tuo studio e lo ingloba come una bolla. Forse, se rimarrai immobile abbastanza a lungo, tutto resterà così, in eterno: la carta dei libri smetterà di ingiallire; il pulviscolo, che ora si agita sotto un raggio di sole, proprio sopra la superficie della tua scrivania, perderà il suo movimento in una fissità senza calore e senza aria. Per un istante, sembra che la tua dimora sia in grado di sfuggire alla vita che scorre.

Quasi a volerti contraddire, uno sferragliare di carrozza si alza dal viale del giardino e arriva dritto alle tue orecchie, attutito dal vetro della finestra; la bolla si rompe e tu riprendi in mano la lettera con un gesto automatico, mentre la voce della tua promessa sposa si alza, felice. Alla sua si aggiungono altri accenti noti, acuti, gioviali: i tuoi servitori sono riemersi dalle loro faccende insolitamente silenziose. Li immagini riunirsi attorno a Lizzie, desiderosi di sottrarsi al suo entusiasmo e tuttavia disposti a soddisfare qualsiasi suo capriccio.

Perché Elizabeth Midford è la promessa sposa del loro padrone e i tuoi servitori farebbero qualunque cosa per te, lo sai bene.

Sospiri e ti prepari a vederla entrare da un momento all’altro, mentre riconosci, tra le voci confuse, quella più bassa e suadente del tuo servo per eccellenza; la porta del tuo studio si spalanca e lo vedi, la figura slanciata che si erge alle spalle di quella più piccola e minuta della fanciulla che un giorno sposerai.
Elizabeth lascia i battenti in noce spalancati dietro di sé e ti corre in contro; sul suo viso è dipinta la stessa felicità che sembra pervaderla ogni volta che ti vede, quell’espressione che è riservata solo a te. Ti abbraccia e tu resti immobile, incapace sia di restituire appieno il suo affetto, che di respingerla. Per qualche istante respiri con i suoi capelli sul tuo viso e riconosci il familiare odore di acqua di rose: tutte le donne della tua famiglia lo portano, è come una tradizione. Inspiri solo un po’ più a fondo, mentre ti vengono in mente altre braccia che ti hanno stretto, braccia che ora stringono la terra e non profumano più di acqua di rose.

Ma è solo un istante e il conte Phantomhive non ha bisogno dei ricordi.

«Lizzie, cosa ci fai qui?» le chiedi, e la tua voce è quella di sempre, non ha in sé sfumature di pulviscoli rappresi, bolle di silenzi o profumi di donna.
Lei ti sorride, le braccia ancora attorno al tuo collo. «So che sei molto impegnato, Ciel, ma ho parlato con Sebastian e abbiamo concordato di farti una sorpresa! Per distrarti un po’. Non ti fa bene pensare solo al lavoro.»
Lanci uno sguardo infastidito al tuo maggiordomo, che è rimasto immobile accanto alla porta; il sorriso che ti restituisce affascinerebbe chiunque, tranne te, che conosci il suo segreto quanto lui conosce il tuo. Il divertimento del tuo servitore cresce ad ogni novità, ad ogni passatempo che i piccoli esseri che è costretto a riverire hanno da offrirgli.
«Lady Elizabeth ha ragione, padroncino.» Lo noti, il veleno sotto il suo sorriso. «Un piccolo svago vi farà bene. Non perderete affatto tempo prezioso e non resterete in arretrato con il lavoro, ve lo assicuro.»

Gli occhi verdi di Lizzie scintillano a pochi centimetri di distanza dai tuoi, carichi di aspettativa. Vorresti dire di no, vorresti tornare alla tua bolla di silenzio, ma poi ricordi: l’ultima volta che siete stati così vicini, lei stava piangendo.  Le avevi strappato il vestito per convincerla a scappare da una nave piena d’acqua, la sottoveste bagnata le aderiva gelidamente al corpicino sottile e la tua giacca non era abbastanza lunga per coprirla. Piangeva, curva su di te, e uno dei due fioretti che teneva nelle mani affondava nelle carni putride di un essere che lei non avrebbe dovuto vedere, né tantomeno combattere; le sue lacrime cadevano sulle tue guance, mentre si scusava di non essere abbastanza femminile, mentre ti mostrava cosa può fare una ragazzina dalle scarpette di raso e dagli abiti pieni di nastri quando il suo promesso sposo rischia la vita.
È così che ti senti rispondere: «Va bene, d’accordo. Ma vi concedo solo due ore.»

§

L’aria è tersa e luminosa; il giardino di villa Phantomhive risplende di verde, mentre l’odore della terra e dell’erba curata si attacca ai vestiti e ai ricordi.
I tuoi servitori sorridono attorno a una tavola imbandita, preparata in silenzio perché la sorpresa riuscisse; Sebastian fa accomodare te e Lizzie l’uno di fronte all’altra.

«Aprile è un mese particolare, qui in Inghilterra» commenta il maggiordomo, «oggi sembra una splendida giornata, non fa neanche particolarmente freddo.»
«Ormai maggio è vicino» risponde Elizabeth, sorridendo. «Speravo tanto che riuscissimo a pranzare in giardino almeno una volta, prima di Pasqua. Proprio come facevamo sempre da piccoli!»
“L’inaugurazione della bella stagione”, pensi, stupito. Non credevi che avresti più avuto modo di ricordare quei giorni.
«Quindi, mi sembra di capire che quella di mangiare fuori quando inizia il bel tempo sia una specie di tradizione.» Sebastian si china gentilmente sulla tua promessa sposa. «Il padroncino non me ne ha mai accennato.»
«Sono tradizioni morte» mormori, infastidito; ma Elizabeth e Sebastian sembrano non aver sentito.
«Il festeggiamento della bella stagione era un evento meraviglioso» sta spiegando Lizzie al maggiordomo. «Gli zii davano dei bellissimi pranzi qui in giardino, a cui venivano invitati molti esponenti dell’aristocrazia. Solo una volta quella ricorrenza è saltata, a causa di un aggravamento dell’asma di cui soffriva la zia Rachel: quell’anno si decise di festeggiare in intimità, per risparmiarle la fatica di un evento mondano. Te lo ricordi, Ciel?ۛ»

Temporeggi, per mantenere la tua maschera di distacco, ma in realtà le immagini si formano nella tua mente con tale velocità da lasciarti disarmato.
Sebastian posa di fronte a te un pasticcio di carne dall’aspetto succulento; ne tagli un boccone e lo assaggi, lasciando che il calore del cibo si spanda dalla bocca fino allo stomaco. Mangi senza parlare, ma la mente è ancora catturata dal ricordo di quel giorno di un’altra vita: tua madre era vestita con abiti più pesanti del necessario, il viso ancora pallido; accanto a lei, il conte Phantomhive leggeva un libro, le gambe tese di fronte a sé in un atteggiamento di morbida rilassatezza che raramente si permetteva in pubblico. Due bambini si tenevano per mano, seduti l’uno accanto all’altra: due paia di occhi chiari, seppur di colori differenti, erano fissi sulla donna vestita di cremisi che leggeva per loro.
«E fu così» proclamava con enfasi la zia Annie, «che la povera fanciulla vide il suo vestito ridotto a brandelli, mentre la malvagia strega rideva, soddisfatta. ‘Non sarai mai bella come prima e nessuna sarta riuscirà ad aggiustarlo!’ esclamò la malefica creatura, con una risata di trionfo.»
Ricordi di aver visto Lizzie sobbalzare e stringere più forte alle ginocchia il vestitino ornato d’organza, tenendolo lontano dalla terra del giardino. Le sorridesti. «Non devi preoccuparti, Lizzie! Streghe così malvage non esistono.»
Gli occhi verdi della bambina si erano posati su di te, ancora angosciati. «Ne sei proprio sicuro, Ciel? Come fai a saperlo?»
«Lo so e basta!» Le avvolgesti la mano in una carezza. «E se anche creature del genere esistessero, non dovresti preoccuparti: non permetterei mai a nessuno di rovinare il vestito della mia futura sposa.»
«Davvero, Ciel? Me lo prometti?»

Il giuramento di un bambino sugellato dallo stringersi di dita delicate.

Sorridi, amaro e divertito, e alzi lo sguardo: la strega cattiva, vestita in un elegante frac scuro, sta versando dell’acqua nel bicchiere della tua fidanzata. Quel giorno mentisti due volte.
Le streghe malvage esistono e non hanno dita arcuate o denti storti: sorridono melliflue in camicie perfettamente stirate e guanti bianchi; ridono davanti a un altare; sorseggiano il thè, con una benda poggiata sull’occhio. Ormai le conosci bene, le streghe cattive.

«Ciel, qualcosa non va?»

Elizabeth sorride, ma il suo sguardo è ansioso: i suoi sentimenti le rendono gli occhi più acuti. Avverti una morsa di fastidio, perché l’amore non ricambiato mette in imbarazzo; ma l’affetto che provi per lei ti rende impossibile restare indispettito a lungo. «No, va tutto bene. In effetti, mi ricordo di quell’anno in cui inaugurammo la bella stagione tra di noi, in famiglia.»
«Davvero?» esclama lei, rasserenandosi. «Era una bella giornata, proprio come questa. Noi eravamo seduti vicino al roseto insieme alla zia Annie.» Si interrompe, meditabonda. «Stava leggendo per noi, ma non riesco a ricordare cosa… Qualche favola, forse…»
«Strano che tu non te lo ricordi» commenti, asciugandoti le labbra con un tovagliolo. «La storia della principessa a cui viene stracciato l’abito più bello ti aveva colpita molto.»
«È vero! Non ricordavo che la zia ce l’avesse letta in quell’occasione.»

Elizabeth sembra la stessa bambina di sempre, mentre si complimenta con Sebastian per l’ottimo pasto; ora sai che anche lei è cambiata, eppure l’allegria che si sforza di emanare non è mutata da quando aveva sette anni e tremava al pensiero che il suo abitino di organza si sgualcisse. Sul suo viso, la luce del sole si riflette allo stesso modo di quando la vostra preoccupazione più grave era che fuori piovesse e il giardino vi fosse negato.

Eppure il suo vestito si è rovinato, Ciel. Hai mentito due volte.

Le hai strappato le vesti e l’hai costretta a barattare i nastri con dei fioretti. È vero, eri un bambino quando promettesti che nessuno avrebbe rovinato gli abiti della tua futura sposa, ma quella promessa è più urgente ora che non quando fu pronunciata.

«Ciel, ho deciso: diamo un ballo!» Elizabeth si sporge in avanti, nel vano tentativo di colmare lo spazio che vi separa. «Sarà divertente e posso chiedere il permesso di organizzarlo nella dimora dei Midford, così non verrai disturbato mentre lavori. Dovrai solo venire da noi e divertirti! Penserò io a sistemare tutto.»
Sebastian ti posa davanti un piattino di ceramica: la fetta di torta è perfettamente tagliata, la panna sembra soffice al tocco.
«Fai come vuoi» rispondi, senza entusiasmo. Assaggi un boccone di torta e la tua mente torna al giuramento di tanti anni prima, rivolto a una bimba vestita d’organza. «Se proprio vuoi dare un ballo, avrai bisogno di un abito. Te lo regalerò io. D’altronde, te lo devo.»
La tua fidanzata ti guarda, stupita. Fai per parlare, ma il tuo orgoglio ti blocca: le promesse di un bambino non si possono pronunciare in una bella mattinata di fine aprile, come se foste solo due ragazzi che ricordano l’infanzia, e non un essere dannato e la sua sposa inconsapevole.

Ripetitelo, Ciel, e tienilo a mente: il conte Phantomhive non ha bisogno dei ricordi.

Così continui: «Sul Campania ti ho promesso che ti avrei fatto cucire un altro vestito da Nina, ancora più bello di quello che si è rovinato.»
“Almeno questa promessa è facile da mantenere” pensi.
Il chiassoso entusiasmo di Elizabeth ti comunica la sua gratitudine: la ragazza si alza di scatto, correndo verso di te e avvolgendoti in un abbraccio. Hai rischiato che anche quelle braccia sottili stringessero la terra: hai avvertito la morsa della paura e dell’angoscia, quando creature né vive né morte si sono accanite su una fanciulla vestita solo di una sottoveste fradicia. Sull’orlo del baratro hai accettato il supplizio e la dannazione, e non te ne penti; tuttavia, un bambino con degli anelli troppo grandi alle dita ha bisogno del profumo dell’acqua di rose.
La allontani, infastidito. Non hai voglia di pensarci.
«Puoi scegliere qualunque modello ti piaccia» mormori, per compensare i tuoi gesti rudi. «Sono sicuro che Nina farà un buon lavoro.»
«Mi farò cucire un vestito meraviglioso!» esclama Elizabeth tornando al suo posto, le guance arrossate dal piacere. «Grazie, Ciel. Non credevo te ne saresti ricordato.»
§

La carrozza avanza all’imbrunire su una strada di campagna; gli zoccoli dei cavalli affondano nel terriccio, producendo un rumore attutito. Hai le gambe accavallate e la fronte poggiata al vetro freddo, mentre gli occhi scrutano il paesaggio erboso che conosci bene.
Elizabeth non ti ha detto nulla riguardo al vestito che Nina le ha cucito: vuole che tu glielo veda indosso stasera, alla festa. L’hai fatta felice con poco, ma non sei soddisfatto.

In fondo, tra le pieghe in cui nascondi i ricordi e i sentimenti di cui hai imparato a fare a meno, qualcosa bussa per tornare alla luce.

«È stato un gesto davvero cavalleresco regalare a lady Elizabeth un abito per la festa, padroncino.» Sebastian è seduto di fronte a te, perfettamente composto. «Che stiate finalmente imparando a trattare col gentil sesso? Come educatore, sarebbe davvero una gioia per me.»
Sbuffi, impaziente.  «Era solo una stupida promessa che le ho fatto sul Campania per convincerla a scappare. Ho dovuto rovinarle il vestito per farla passare attraverso le condutture d’areazione.»
«Capisco. Immagino non ci sia altro, quindi.»
Lo guardi, colto di sorpresa: il demone sta sorridendo nella penombra. Il tuo comportamento assente nell’ultima settimana deve averlo insospettito.

Di nuovo qualcosa bussa per tornare alla luce: un giardino assolato, due bambini che si tengono per mano e una donna vestita di cremisi, con un libro aperto in grembo. La stessa immagine che nei giorni scorsi ti ha colto nei momenti più impensati, costringendoti a bloccarti mentre controllavi i conti dell’azienda di famiglia o sorseggiavi il tuo thè. Ricordi che Sebastian ti aveva scrutato, perplesso, quando la tazza colma di Earl Grey si era bloccata a mezz’aria prima di arrivare alla tua bocca, e tu avevi osservato, immobile, il liquido scuro. Per quanto tempo eri rimasto a fissare un vestitino d’organza riflesso in una tazza da thè?

Gli attimi scorrono, segnati dal rumore attutito degli zoccoli; con la coda dell’occhio, vedi le sagome scure degli alberi alternarsi attraverso il vetro.
Sebastian attende, in silenzio. Sa tutto di te, ma un istinto atavico ti impone di non riversare su di lui anche questo: il tuo senso di colpa e di pochezza riprendono a schiacciarti.
Avevi detto che non avresti permesso a nessuno di rovinare l’abito della tua fidanzata, perché un bambino non immagina che ai propri cari possa accadere qualcosa di più grave che questo; a sette anni, proteggere un vestitino di organza sembra essere un degno scopo a cui votare l’esistenza.
Eppure, su quella nave, tu giacevi ferito ed era lei a proteggere te. L’organza si è sgualcita.
È questo il massimo a cui puoi arrivare? È questa la forza del conte Phantomhive?

«Padroncino?»

Sebastian sembra planare su di te come un corvo su una carcassa. Non cederai, non mostrerai la tua debolezza.
Torni a guardare il vetro, mentre la tua voce prende quel tono infastidito che ti è congeniale quando vuoi avere l’ultima parola. «Ovvio, non c’è altro. Non permetterti stupide insinuazioni.»
Il tuo servitore inclina la testa di lato, divertito: la complessità dell’animo umano lo affascina. «Perdonatemi, padroncino. Non era mia intenzione darvi noia.»
Non l’hai convinto, ma non insisterà.
 
La magione dei Midford si staglia contro i profili ombrosi degli alberi, luminosa, circondata dal buio della sera. La campagna è avvolta dall’oscurità, ma dalle mura solide provengono calore, risate e musica; di fronte al portone di ingresso, un viavai di carrozze ti annuncia la grandiosità dell’evento che la tua fidanzata è riuscita a mettere in moto.

Sospiri e lasci che Sebastian ti aiuti a scendere dalla vettura: l’aria è fresca e tu rabbrividisci, lasciando che la pelle d’oca ti pervada. Ogni passo verso la magione ti è di peso. Non hai voglia di perdere il tuo tempo insieme a nobili che non sanno nulla del dolore, della vita e della morte; non hai interesse nel parlare con loro, non c’è nulla da imparare, nessuna esperienza da condividere. Tuttavia, la tua fidanzata ha richiesto la tua presenza e tu non puoi tirarti indietro: il decoro lo impone. Il decoro, e un abito regalato.

Lo sguardo severo di tua zia è il primo che incontri quando varchi la soglia della dimora.
«Speravo che almeno per un evento mondano avresti curato il tuo aspetto, Ciel, invece noto che i tuoi capelli sono scomposti come al solito.»
Quelle parole sanno proprio di lei, sono l’essenza di Francis Phantomhive; se un giorno dovessi descriverla, i suoi commenti sui tuoi capelli ti tornerebbero inconsciamente alle labbra. Le rivolgi un sorriso tirato, ma non privo di calore: la sua voce e quelle di tuo zio, di Edward e di Lizzie sono talmente incastonate nella tua persona da non risultare mai totalmente fastidiose, qualunque siano le parole pronunciate. Forse perché sono gli unici suoni umani che conosci da prima di diventare ciò che sei e, in qualche modo che ancora non ti spieghi e che non vuoi conoscere, arrivano alle tue orecchie tramite una via diversa.

La marchesa sta spostando il suo sguardo inquisitore su Sebastian, che si profonde in un inchino ossequioso. Francis Phantomhive non lo sa, ma conosce l’ombra; per colpa tua, anche tua zia è venuta a contatto con la strega cattiva. Lei e tutte le persone che ti circondano.
Sarà Sebastian a rovinare il vestito di Lizzie? Sarai tu?

«Ciel! Eccoti arrivato!»

Elizabeth si fa strada tra gli ospiti, sorridente: indossa un abito dello stesso colore dei suoi occhi. Si ferma di fronte a te, in attesa, e in ritardo ti rendi conto che sta aspettando un complimento.
«Sapevo che Nina avrebbe fatto un buon lavoro» mormori. Non sai fare di meglio, ma dal sorriso che ti rivolge intuisci che per Lizzie è abbastanza.
Per lei sembra sempre che tutto sia abbastanza: il tuo sporadico affetto, le tue parole mozzate. Anche adesso, mentre gira su se stessa per farsi ammirare, sembra accontentarsi di quell’abito verde che ai tuoi occhi non è altro che un surrogato.

Tuttavia non hai il tempo di rimproverarti: Elizabeth ti porta al centro della sala, tra le luci vorticanti, e per la durata di un valzer sei salvo, lei è salva ed è salva quella giornata di sole di tanti anni prima, perché l’oscurità è al di fuori di quella cerchia danzante e non può afferrarvi. Prima o poi verrà il momento, lo sai così come lo sa Sebastian, ma quel momento non è ora. Ora è solo calore, musica, Elizabeth viva di fronte a te e tu vivo di fronte a lei e il vestito di organza si è sgualcito, ma non è ancora rovinato per sempre.

Conosci già le parole che prendono a risuonare nella tua mente, eppure hanno un sapore diverso dall’ultima volta in cui le hai pronunciate.

“Non permetterò a nessuno di rovinare il tuo abito, Lizzie. Tantomeno a me stesso.”











Angolo autrice
Ciao a tutti! Torno su questo fandom dopo tantissimi (troppi...) mesi! Appena ho letto il bando del contest mi sono fiondata e ne ho approfittato per provare a mettere in luce il rapporto tra Lizzie e Ciel, che mi ha sempre affascinato tantissimo (ma temo di essere l'unica a cui interessi XD Vi prego, se c'è qualcun'altra che non odia Elizabeth, batta un colpo!), perché nonostante sia palese che il nostro Bocchan non ami la sua fidanzata, questa è comunque tra le poche persone al mondo di cui lui si preoccupi sinceramente; questo rapporto ambivalente mi intriga e, secondo me, rende la psicologia di Ciel ancora più complessa! *v*
Un grazie di cuore a chiunque sia arrivato fin qui :**
Elrais
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler / Vai alla pagina dell'autore: Elrais