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Autore: inside of londondreamers    25/01/2016    1 recensioni
Perrie Dubois ** è una persona che generalmente non piace, insoddisfatta della sua vita, sempre sgarbata e scontrosa, costretta a fare un lavoro che non sente suo, sognatrice, che si ritrova a doversi trasferire dalla sua amata Parigi a Londra. Perrie però non ne vuole sapere dell'Inghilterra, la odia.
Zayn Malik è esattamente l'opposto: con la testa sulle spalle, conduce una vita semplice, lavorando ad una tavola calda, sempre cordiale, amante della sua città. Una cose però li accomuna: entrambi sono consapevoli che manca qualcosa nella loro vita. Un giorno Perrie e Zayn si incontrerrano e forse Perrie sarà in grado di cambiare la sua opinione su Londra, anche grazie ad un rumoroso inquilino irlandese, Niall Horan.
(** Per questioni linguistiche, Edwards è diventato Dubois)
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Perrie Edwards, Zayn Malik
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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PORTERO' CON ME IL TUO MONDO. 



Parigi.
Sole pallido.


Perrie Dubois avrebbe potuto avere una carriera splendente nel teatro. Aveva quell’indole drammatica e tragica senza eguali. 
Perrie Dubois era talmente acida, scontrosa, pungente e sarcastica, non ammetteva repliche. Era una di quelle antipatiche a vista, che voleva sempre averla vinta e riteneva la gente troppo conformista, sciocca e banale per essere degna di un suo sorriso. Perrie non rideva mai.
In realtà lei era molto più di questo, era anche una povera squattrinata, con pochi amici, costretta a fare un lavoro che nemmeno le piaceva. A diciotto anni si era convinta d’aver trovato la sua vocazione tra i testi affascinanti di antichi filosofi, così era andata all’università col sogno di studiare la storia e la filosofia, per poi insegnare in qualche scuola superiore e chissà, forse avere una famiglia – non sentiva di pretendere molto. Si laureò in fretta, con il massimo dei voti, e tanto in fretta svanirono anche i suoi sogni: dopo aver passato un anno e mezzo a lavorare come barista in un autogrill scadente e in periferia, decise di smetterla di credere che i desideri sarebbero diventati realtà e tornare nel mondo vero. Come si ritrovò, nei mesi successivi,  a lavorare in una piccola, squallida, redazione come giornalista, benché non avesse nessun master o qualificazione per tale mestiere, non lo capii mai. Fu un colpo di fortuna – o sfortuna, a seconda dei casi – incappato nel suo cammino. Non che Perrie fosse entusiasta della vita che conduceva, ma almeno non doveva pesare sulle spalle del padre e poteva permettersi di pagare l’affitto di un monolocale. Anzi no, a pensarci bene Perrie Dubois sostanzialmente detestava la sua vita, sapeva che mancava qualcosa. Ma cosa?
Era il 21 marzo quando il suo capo redattore, così dal nulla, volle dare una svolta al giornale, fare un salto di qualità – parole testuali – costringendola a fare i bagagli, a partire per l’Inghilterra, a Londra, e a scrivere un saggio sulla “nuova capitale del mondo” – come la definiva lui. E  Perrie davvero credette che la sua vita non poteva prendere piega peggiore. Quando seppe la notizia per poco non si mise a piangere davanti al capo. Non lo fece solo perché ci teneva ad avere un contegno. Così non le restò altra scelta se non quella di accettare, nonostante lei –  tra le tante cose – non pensasse minimamente di avere la stoffa della scrittrice.
 
Se c’era una cosa che odiava Perrie Dubois era proprio l’Inghilterra, anche se forse questo era troppo riduttivo. Più precisamente lei odiava gli inglesi, il loro odioso accento e la pronuncia da perfettini; come se non bastasse si sentivano padroni indiscussi del mondo coi loro bei skinny jeans firmati, con la convinzione di saper cucinare e avere dei buoni formaggi, quando tutti sapevano che non era così. E se c’era proprio una cosa che Perrie Dubois detestava profondamente era la presunzione delle persone – difetto che lei stessa aveva, ma di cui preferiva non parlarne e dimenticarsene. La verità è che lei non sapeva con precisione quando era diventata così cinica e facilmente irritabile, forse il suo atteggiamento nei confronti della vita era cambiato non appena aveva lasciato la sua amata Francia e si era ritrovata in mezzo a figli di papà con la puzza sotto il naso, oppure ancora molto tempo prima, quando aveva realizzato che tutti gli anni di studio e i soldi spesi per un pezzo di carta erano stati totalmente inutili e sprecati.
Perrie Dubois odiava davvero tante cose, specialmente la sua stupidità. Se avesse potuto ritrovarsi davanti la se stessa di diciotto anni, si sarebbe presa a schiaffi e non avrebbe rincorso un inutile sogno che l’aveva portata sull’orlo della miseria, in uno stretto vicoletto nei sobborghi di Londra.
 
Londra.
Pioggia.
 
Zayn Malik era un ragazzo pacifico, che non perdeva mai la calma, con voce languida, modi di fare pacati e il sorriso sempre sulle labbra. Non aveva mai avuto grandi sogni nel cassetto, era sempre stato una persona coi piedi per terra e lavorava sei giorni su sette in una tavola calda. Finita la scuola superiore aveva capito subito che non era portato per lo studio e che la sua unica grande passione, quella per il disegno, non l’avrebbe mai portato distante. Così si era rimboccato le maniche, aveva trovato presto un lavoro ed era andato via di casa, trovandosi un piccolo appartamento in una zona tranquilla. Nel tempo libero continuava a dedicarsi ai suoi quadri e quando aveva un po’ di fortuna riusciva addirittura a venderne qualcuno.
Zayn Malik era sempre stato soddisfatto della sua vita, non si era mai spostato da Londra e non aveva mai sentito realmente il bisogno di farlo: continuava a stupirsi ogni giorno dei luoghi che vedeva, nonostante fossero sempre gli stessi. Quella era una città che lo affascinava, che aveva tante meraviglie nascoste ancora da scoprire e tanto da offrire, per qualsiasi genere di persona. Era una città in cui si poteva semplicemente passeggiare e ammirare ciò che di bello aveva da offrire, era una città senza pretese, in cui era facile sentirsi a casa. Fino a quel giorno, Zayn Malik era stato soddisfatto della sua vita fino a quel giorno, quando le cose iniziarono a cambiare non lo seppe nemmeno lui. Semplicemente una mattina si rese conto che non era abbastanza, che niente era abbastanza e che ci voleva più colore nelle sue giornate.
Zayn si domandava se non ci fosse dell’altro da scoprire, se non valesse la pena rischiare qualche volta. Magari prendere il primo volo per un Paese sconosciuto e girarlo in sacco a pelo. Non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo, ma a volte era bello sentirsi un poco temerari.
 
Il 28 marzo era un venerdì. Zayn Malik ogni giorno si svegliava alle 4.15, rassettava il letto, prendeva una colazione veloce e andava al parco a correre, prima di recarsi alla tavola calda. Gli piaceva davvero correre, gli permetteva di riflettere e al contempo rilassarsi, liberare la mente. Quella mattina però si alzò in ritardo, il giorno prima era stato trascinato ad una festa dal suo migliore amico – Zayn non era il tipo da pub e in verità non reggeva molto bene l’alcool, ma quella volta aveva fatto un’eccezione, solo per far contento l’amico. Così si ritrovò a correre a perdifiato  con un caffè scadente in mano pur di non arrivare in ritardo a lavoro, senza accorgersi della ragazza che camminava a capo chino, arrivando dalla parte opposta e che andò ad urtarlo facendogli rovesciare tutto il caffè addosso.




Il 28 marzo era un venerdì e se avesse avuto un colore sarebbe stato rosso: rosso come il sangue di quel passante imbranato che le aveva versato tutto il caffè addosso. Perrie si guardò la camicetta tutta macchiata, per poi passare al ragazzo che tentava di scusarsi in ogni modo. Siccome non era dell’umore adatto per discutere o rispondergli sgarbatamente, decise di ignorarlo, raccolse i fogli che le erano caduti di mano e svoltò l’angolo.
Era a Londra da una settimana o poco più e già avrebbe voluto andarsene a gambe levate, tornare dal suo stupido capo redattore, dirle che si licenziava e fare la mendicante per strada. Qualsiasi prospettiva era meglio che stare in quell’umida e grigia città – e per Dio, lei odiava la pioggia!
Svoltò l’angolo e raggiunse in fretta il suo appartamento, corse in camera e infilò una maglietta pulita. Accese il computer e cominciò a scrivere qualcosa per il saggio – da quando era arrivata aveva osservato attentamente le abitudini di quella gente, era andata per musei e aveva cercato di visitare la città al meglio, ma niente era riuscito a farle cambiare l’opinione estremamente negativa che aveva sull’Inghilterra. Continuava a restare del parere che fosse una città decisamente troppo, troppo sopravvalutata. Stava per chiamare il suo capo e dire che gettava la spugna, non era in grado di scrivere qualcosa di totalmente imparziale e poi, davvero “un salto di qualità per la redazione”? Quel tugurio cadeva a pezzi ed era una grazia se non aveva già chiuso. Perrie era ben consapevole delle sue capacità, della sua intelligenza e non nascondeva il fatto che si sentisse la migliore tra i suoi colleghi al giornale. Ma non era quella la sua strada.
Bussarono alla porta. Improvvisamente Perrie si ricordò che sarebbe dovuto arrivare un coinquilino irlandese, che aveva deciso di trascorrere un anno sabbatico nella capitale. Semplicemente fantastico.
«Ciao sono Niall Horan! Piacere di conoscerti!» disse il ragazzo tutto trafelato, con le guance arrossate e il fiato corto, porgendole la mano.
«Perrie Dubois. Entra.»
«Oh sei francese! Hai un accento carinissimo!» rispose lui sorridendo e mostrando una fossetta sul mento. Perrie sbuffò, alzò gli occhi al cielo e gli mostrò la casa palesemente irritata. Non sopportava quando facevano riferimenti al suo accento, che non era per niente “carinissimo”, ma troppo marcato, il che la faceva sentire un’idiota e lei detestava sentirsi in quel modo.
 
I giorni trascorsero relativamente in fretta e Perrie Dubois non solo si era resa conto di non sopportare gli inglesi, ma anche gli irlandesi. Niall Horan era la persona più rumorosa e disordinata che avesse mai conosciuto, rideva sguaiatamente per ogni minima cosa, anche la più stupida e si ostinava ad essere gentile e cordiale anche quando lei non lo era affatto. Se avesse potuto permettersi un appartamento tutto per sé non avrebbe esitato ad andarci: Niall Horan era ufficialmente entrato nella sua lista nera, insieme a quell’inutile fossetta, le guance perennemente arrossate e quell’accento fastidioso.
Era mattina presto, Perrie stava passeggiando tranquillamente per il centro, guardandosi accuratamente intorno, in cerca di ispirazione per quel noiosissimo saggio. Era certamente a buon punto e aveva scritto più di venti pagine, anche se Niall la interrompeva spesso per chiederle cose futili e stupide mentre lei se ne stava con il PC acceso in grembo. Una sera aveva perso mezz’ora solo per spiegare a quello sciocco irlandese dove fosse il caffè all’interno della dispensa e lui si era dilungato nel spiegarle gli effetti che la caffeina, se usata in eccesso, procurava ai tessuti celebrali; soltanto allora capì che si stava laureando in Educazione Alimentare e a Perrie risultò patetico pure quello. Patetico come il contesto in cui era costretta a ritrovarsi. Maledetta laurea in filosofia.
Una cosa l’aveva imparata certamente in quei giorni che aveva soggiornato a Londra: in quella città non si poteva passeggiare tranquillamente senza essere spintonati da una parte all’altra, perché la gente non era capace di essere puntuale?
Aveva analizzato tutto di quel’insipida città, tuttavia non aveva ancora approfondito la sua ricerca per quanto riguardava i prodotti tipici alimentari della zona, a quel pensiero Perrie si rese conto che non aveva ancora fatto colazione e decise di cogliere entrambe le opportunità entrando nella prima tavola calda che le sarebbe capitato sotto mano, avrebbe analizzato i prezzi, l’igiene del posto e la qualità delle cibarie, magari al suo capo sarebbe piaciuta come idea.
 
Zayn era in piedi da ben cinque ore, ed era già stanco alle dieci del mattino, si passò distratto una mano tra i capelli. Per lui sarebbe stato un altro semplice giorno, avrebbe servito alla tavola calda, avrebbe fatto la sua pausa pranzo con un bel panino e sarebbe ritornato al lavoro fino all’ora di chiusura, per poi concludere la giornata noleggiando un bel film alla videoteca. Era da un po’ di tempo che si domandava se non stesse sprecando gli anni d’ora della sua vita, conducendo una vita normalissima e  fin troppo semplice, arrivando a convincersi che non ci sarebbe mai stata una svolta nelle sue giornate e non riusciva a capire se questo pensiero gli stava stretto, lo rattristava o gli era indifferente.  Proprio mentre era assorto nelle sue riflessioni, quella svolta entrò dalla porta.
«Salve signorina, buongiorno, cosa le porto?» chiese cordialmente, seguendo il solito copione.
La ragazza aveva un’aria fredda, distaccata e pungente che lo metteva in soggezione. Si guardava intorno scrutando ogni angolo del locale, quasi cercando qualcosa che non andava. I capelli biondissimi raccolti in modo severo in una coda alta, il rigido contorno delle labbra rosse, un sopracciglio alzato mentre scorreva il menù: sembrava un cliché vivente. Tutto di quella donna lo metteva a disagio, per la prima volta da quando faceva il cameriere Zayn non sapeva come comportarsi, la guardò accigliato, aspettando una risposta.
«Latte scremato, un caffè doppio e una brioche vuota.» disse la sconosciuta, con voce calma e tagliente, porgendogli il listino. Zayn si avviò tranquillamente verso il bancone e, scrutando ancora quella ragazza, si mise a preparare il latte scremato. Aveva un aria familiare, anche se dall’accento non sembrava di lì. Stava scrivendo qualcosa e continuava a guardarsi intorno, mentre il giovane si avviò con il vassoio in mano verso il tavolo della giovane.
 
Le brioche non erano di certo come quelle francesi e di questo Perrie ne era sicura. Non era il massimo della pulizia ma quel piccolo bar non era affatto male, le piacevano i quadri appesi alle pareti e anche il caffè non era male, aveva gradito anche la gentilezza del barista, ma ciò non voleva dire che tutti gli inglesi fossero come lui, magari quel grazioso barman non era di Londra. Anzi, sicuramente dai tratti somatici non lo era, ancora una volta Perrie uno, Londra zero.
Stava per andare a pagare e continuare la sua visita della città, magari sarebbe andata a Camden Town, tanto per togliersi uno sfizio, quando il suo sguardo cadde su qualcos’altro. Si incantò ad osservare un piccolo dipinto che raffigurava la Senna, i colori scelti erano davvero belli e per un istante le parve di essere proprio nella sua amata Parigi, le sembrò di sentire scorrere le acque di quell’enorme fiume che aveva attraversato molte volte, di vedere le luci fioche della Tour Eiffel e per un attimo si ricordò perché aveva fatto le scelte che l’avevano condotta lì. Quel quadro le piacque talmente tanto da non sentire la voce del barista.
«Signorina, ha gradito la colazione? Mi sente, sign— »
«Sì, che ti sento! Non sono sorda! Il latte era troppo scremato comunque.» in quel momento Perrie ritirò tutto ciò che aveva pensato sul barista – troppo impiccione e lei non sopportava gli impiccioni –  lasciò una buona mancia nel vassoio, si infilò i guanti e si diresse verso la porta, quando la sua voce la bloccò.
«Ecco dove l’ho vista! Le ho versato il caffè sulla camicia, nel parco!»
«Sono molto colpita, signore, dalla sua memoria. Se mi vuole scusare avrei da fare ora.» aveva cercato di dimenticare quel terribile episodio e ora aveva di fronte l’idiota che le aveva rovinato la giornata, oltre che la camicia.
«No, la prego, non ho avuto il tempo di scusarmi come si deve. Mi dispiace immensamente per la sua camicetta— io, ecco, ero in ritardo. Mi scusi, comunque sono Zayn Malik, piacere.» Zayn le porse amichevolmente la mano, che lei scrutò con disprezzo e senza nemmeno stringergliela gli rispose acida: «Che novità, un inglese in ritardo, per me non è affatto un piacere ma accetto le scuse, questo lo fa sentire meglio?» Zayn restò allibito da quella freddezza, Perrie lo poteva leggere benissimo negli occhi di quel poveretto.
«A dire il vero no, non mi fa stare meglio la sua risposta, ma non importa. Arrivederci e grazie per aver scelto il nostro Bar.» si avviò lentamente verso il bancone. Zayn non era mai stato audace, non aveva mai fatto nessuna pazzia, ma non si risparmiava di dire ciò che pensava. Per un attimo si compiacque di se stesso per quella risposta, almeno aveva zittito la ragazza.
Perrie dal canto suo non era abituata ad essere trattata freddamente, di solito avveniva il contrario. Non seppe cosa la spinse a fermarsi e a concedere un altro sguardo al ragazzo, forse fu  la sua velata innocenza, forse una strana gentilezza, o il semplice fatto che la colpì a prima vista.
«Ehi, arriviamo ad un compromesso.» Zayn si voltò con un sorriso, e si avvicinò a lei, «Io sono Perrie. Ma di la verità, tu non sei inglese, sei troppo gentile per esserlo.» aveva usato un tono scherzoso e, dopo tanto tempo, un brevissimo sorriso le si dipinse in volto.
«Perrie, sei francese, lo sospettavo.» ammiccò.
« Sì, sono francese e orgogliosa di esserlo.» Perrie sollevò un sopracciglio, ma non era irritata come lo era stata con quel coinquilino da soffocare. Spinse la porta d’entrata e prima che riuscisse a chiudersela alle spalle Zayn la bloccò, «Comunque, se ti fa sentire meglio, sono un inglese purosangue.» per poi lasciarla andare. Perrie sorrise sinceramente divertita. Forse l’Inghilterra sarebbe potuta piacerle di più, forse sarebbe tornata in quella tavola calda.
  
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