Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: martaparrilla    26/01/2016    8 recensioni
Henry ha 8 anni e non parla più da diciotto mesi. Sua madre, Regina, è convinta che quella sia la giusta condanna per non essere riuscita a proteggerlo dal dolore per la perdita del padre. Un giorno, le loro vite incrociano quelle di Emma che, cauta e silenziosa, riuscirà a conquistare la fiducia del piccolo Henry.
E forse, anche quella di sua madre.
Basterà questo a farlo parlare di nuovo? Henry odia davvero sua madre come essa afferma?
Anche stavolta ho dovuto alternare il punto di vista dell'una e dell'altra, è una cosa che non riesco a evitare per riuscire a spiegare al meglio le decisioni prese da entrambe e come queste influenzino positivamente la crescita del rapporto dei tre protagonisti.
La storia è puramente frutto della mia fantasia, nonostante si tocchino argomenti che troppo spesso le donne sono costrette ad affrontare da sole e in silenzio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Con Henry da tenere sott'occhio ogni due secondi, fare la spesa è diventato un incubo. Non che mi sia mai piaciuto, ma almeno prima era divertente dirgli continuamente no a tutte le schifezze varie ed eventuali che voleva mettere nel carrello. Ora è tanto se lo convinco a scendere dalla macchina e venire con me.

La trafila ormai è sempre la stessa: scende, sta ad almeno tre metri lontano da me e va a prendere le salviettine umide (almeno tre pacchetti), e il gel disinfettante da mettere in borsa. Una volta concluso il suo acquisto, si sposta per i fatti suoi senza una meta, e il 90% delle volte dimentico esattamente quello che devo comprare. Seguirlo è faticoso, ma i suoi psicologi mi hanno consigliato di non forzarlo a tenerlo fermo in un posto se lui non vuole. E lui non vuole mai.

Sono passati diciotto mesi dall'ultima volta che ho sentito la sua voce. Diciotto.

Le sue ultime parole sono state: “Ti odio, non voglio parlarti mai più”.

E direi che ha mantenuto la parola.

Questo pomeriggio sembra tranquillo, segue il mio passo dietro di me e io mi concentro sugli scaffali del supermercato, spostando ogni tanto lo sguardo su di lui.

«Henry, che ne dici se prendiamo queste nuove merendine?». Mi ignora ma non per questo devo smettere di parlare con lui.

Come previsto, lui non c'è più. Mi dirigo velocemente alla cassa per pagare, pregando poi la cassiera di chiamare il nome di Henry al microfono sperando di vederlo spuntare da qualche parte come al solito.

Uno.

Due.

Tre tentativi.

Al terzo la mia agitazione ormai alle stelle mi impedisce di pensare lucidamente. Torno indietro e percorro tutti i corridoi avanti e indietro come se fossi in una piscina a gareggiare i duecento metri stile libero. Henry però non c'è. Inizio a chiedere agli altri clienti facendo vedere una sua foto, ma nessuno sembra averlo notato.

La guardia giurata del supermercato continua a chiedermi se sia possibile una sua fuga in autonomia e a quel punto esplodo.

«Certo che è scappato autonomamente, è la centesima volta che succede, questo non significa che non mi debba preoccupare, o sbaglio?».

Mi volto infilando le mani tra i capelli, perché mi odia così tanto? Perché vuole attirare così la mia attenzione? Perché non mi parla!

Non è la prima volta che mi pongo queste domande, lo faccio tutti i giorni da un anno e mezzo, ma non trovare risposte non mi ha fatto arrendere, anzi, mi ha reso ancora più combattiva e arrabbiata con lui ma soprattutto con me stessa.

Velocemente, mi scuso con le persone che in qualche modo hanno cercato di aiutarmi e, afferrate le buste della spesa, ripercorro a mente tutti i posti in cui Henry è solito rifugiarsi quando decide di farmi impazzire.

Prima tappa: cimitero. La tomba del padre è decisamente il luogo più gettonato. Lo avevo trovato accucciato sulla terra di fronte alla lapide almeno sette volte, di cui due con la polizia, dopo quasi dodici ore di ricerche. Il solo pensiero mi fa venire la pelle d'oca. Mi aveva terrorizzata. Il padre era morto appunto diciotto mesi prima, poco dopo avere avuto un brutale litigio con la sottoscritta. Durante il litigio (seguito da un mio “vattene e non farti più vedere”) non aveva nemmeno avuto il coraggio di negare che per un numero imprecisato di anni si era portato a letto una certa Marian che, testuali parole sue, “è lei la donna della mia vita”.

Auguri e figli maschi.

Peccato che non sia arrivato per tempo dalla sua amata. E in tutto questo ovviamente io mi sono presa la colpa, visto che Henry non sa e non deve mai sapere che razza di uomo piccolo e senza palle fosse suo padre. Preferisco odi me piuttosto che un uomo morto che lui adorava.

Ma comunque la prima tappa è andata a vuoto, probabilmente non avrebbe nemmeno avuto il tempo di arrivare fino lì a piedi, l'avrei raggiunto prima con la macchina.

Seconda tappa: castello di legno in riva al lago.

Per mia fortuna il paesino in cui viviamo non è così grande, per cui è facile arrivare a piedi in ogni sua direzione in poco tempo. Sulla zona ovest c'è appunto un piccolo lago con una sorta di spiaggia e un castello di legno che era stato costruito tempo fa per far giocare i bambini. Ormai è quasi tutto diroccato e anche pericolante, a dir la verità, ma a lui piace andarci, si siede sul piccolo ponte levatoio e guarda il lago. Ma, stavolta, non è nemmeno lì.

Terzo tentativo: biblioteca. Una decina di volte l'avevo trovato seduto in un angolino nascosto a leggere un pesantissimo libro di fiabe che alla fine avevo deciso di comprargli. Ma ovviamente quello che avevo preso per lui non l'aveva nemmeno mai aperto, preferiva scappare e leggere l'originale in biblioteca.

Quarto tentativo: la piscina. Ignoravo il motivo per cui si sedesse sugli spalti a guardare gli altri bambini nuotare soprattutto visto che lui andava in piscina due volte alla settimana. Forse lo faceva semplicemente per farmi impazzire, non c'era davvero un perché.

Per arrivare alla piscina devo necessariamente passare per il centro del paese dove è situato un piccolo parchetto con alberi e giochi per bambini. Distrattamente volgo lo sguardo verso destra dove scorgo un giubbino verde alquanto familiare. Accosto dall'altro lato della strada e aguzzo lo sguardo. E' assolutamente lui. E' in compagnia di una giovane donna bionda e sembra sorridere.

Henry sta sorridendo mentre accarezza un grosso cane color miele. Non ricordo l'ultima volta che l'ho visto sorridere.

Scendo dalla macchina e, a passo svelto, mi dirigo verso di loro, quando vedo una cosa che mi lascia senza parole: annuisce alla giovane bionda, afferra il guinzaglio del cane che poco prima stava accarezzando e si allontanano. Il cane lo segue senza strattonarlo e Henry sembra rilassato come non l'ho mai visto prima. Poggio una mano sull'albero che ho accanto e dietro il quale mi sto nascondendo e seguo Henry con lo sguardo fino a quando scompare dietro la curva del percorso di pietre. A quel punto il mio sguardo torna su di Lei.

Quella donna.

Quella bambina direi.

E' riuscita in qualche modo a comunicare con mio figlio e non posso fare altro che odiarla profondamente perché se non ci riesco io, non possono e non devono riuscirci nemmeno gli altri.

Jeans, stivali, camicia... inguardabile e giubbino di pelle marrone. Avrà su per giù vent'anni, insomma può essere tranquillamente mia figlia.

Mi faccio coraggio. A grosse falcate percorro la distanza che ci separa e mi piazzo di fronte a lei con aria di sfida, pronta a combattere.

«Salve» fingo cordialità. Un mezzo sorriso compare sulle sue labbra ma non accenna a rispondere.

«Buonasera» una voce tenera e cordiale si rivolge poi a me, spiazzandomi.

«Vedo che conosce mio figlio» alzo automaticamente il tono di voce, mi sento un cane che marca il proprio territorio abbaiando.

«Come scusi? Ci conosciamo?» Stupida ragazzina. Come osa. Sembra avere difficoltà a guardarmi in faccia, probabilmente per via del sole che le arriva direttamente sugli occhi cerulei. No, sono verdi, un verde molto chiaro. Si volta alla ricerca di mio figlio che intanto si è seduto su una panchina e giocherella con quel cane.

«Lei è la madre di Henry?»

Eh no, questo è troppo. Metto le mani sui fianchi ed esclamo.

«Come diavolo fa a conoscere anche il suo nome?»

Il cuore inizia a battere più velocemente del normale in attesa della sua risposta.

«Gliel'ho chiesto e me l'ha detto, tutto qui» la semplicità quasi imbarazzante della sua risposta abbatte la rigidità del mio corpo. Le mani mi cadono sui fianchi. Non riesco a crederci. Lei continua a fissare i miei occhi come se volesse leggere chissà che cosa.

«Come prego?» aggiungo.

«Gliel'ho chiesto ovviamente, non leggo ancora nel pensiero» sembra sincera.

«E lui ha risposto?» aggiungo io prima di sedermi accanto a lei sulla panchina.

«Si, certo che ha risposto».

Esterrefatta.

Questa è l'unica parola che mi viene in mente per descrivere il mio stato d'animo in questo momento. Con la bocca semi aperta, volto lo sguardo verso Henry per poi tornare sugli occhi di quella ragazza.

«Come ha fatto a farlo parlare?» la sua risposta non si fa attendere.

«Ho aspettato che avesse voglia di rispondere alla mia domanda». È così sicura e assolutamente poco consapevole del miracolo appena accaduto che non riesco davvero a trattenere le lacrime.

«Non apriva bocca da due anni, non...» mi porge un fazzoletto con cui tampono gli occhi, piano.

«Grazie» dico.

La fisso, guardo Henry, fisso ancora lei, cercando qualcosa, un indizio, un punto che possa farmi capire cosa abbia portato Henry a comunicare con quella donna, cosa che nessun altro psicologo era riuscito a fare in un anno e mezzo di terapia. Forse per questo a un certo punto lei riprende a parlare, il mio atteggiamento è facilmente interpretabile, volevo sapere di più.

«Si è seduto accanto a me poco più di un'ora fa, era spaventato e uno dei miei cani si è avvicinato a lui per giocare. Lui ha accarezzato Shila, che è il cane che sta con lui ora e ha sorriso. L'ho salutato e chiesto come stava, ma nulla» ha le labbra leggermente rosate e parla con un tono amichevole. «Allora mi sono messa a leggere e dopo un quarto d'ora circa mi ha chiesto se questa banda canina fosse mia e sono riuscita a strappargli il suo nome. Poi gli ho chiesto se volesse portare in giro Shila e ha acconsentito».

Lui ha acconsentito. Lui ha detto il suo nome. Ha fatto vibrare le corde vocali e ha fatto uscire un suono dalla sua bocca. Probabilmente sta anche cambiando voce e di certo non posso saperlo.

«Lei...lei non sa cosa significhi per me e Henry il fatto che lui abbia parlato».

Più per me che per lui.

«Probabilmente no ma la sua reazione me lo rende facilmente intuibile». Forse non è così piccola come sembra. Forse non avrei dovuto giudicarla solo perché lei è riuscita dove io ho fallito. In fondo non è la prima volta che fallisco nei rapporti umani. Non posso fare a meno di sorriderle sperando di trasmetterle la mia gratitudine. Poi sposto di nuovo il mio sguardo su Henry. Carezza quel cane in un modo che non gli ho mai visto fare. Gli ho sempre impedito di avere un cane, forse perché avrei dovuto occuparmene io, perché non volevo animali per casa, perché il mio ex marito ormai defunto era allergico al pelo del cane.

Ripensandoci avrei potuto farlo fuori prima con quello.

«Se vuole glielo chiamo, l'ho avvertito che mi sarei avvicinata io quando l'orario della passeggiata fosse terminato» grazie al cielo ha interrotto il mio flusso malvagio di pensieri. Ultimamente mi capita spesso di pensare a lui in modo più negativo del solito.

«No io... preferisco guardarlo ancora un pochino qui, da lontano. Forse per lui c'è ancora speranza di avere un contatto col mondo esterno. Passeggiavamo in un centro commerciale e l'ho perso di vista. Ultimamente scappa spesso».

Annuisce comprensiva. Le gote si sono leggermente colorate da quando abbiamo iniziato a parlare e quegli occhi non possono far altro che darmi fiducia. All'improvviso un abbaiare in lontananza desta la sua attenzione e si allontana dopo aver preso due guinzagli.

E' una giovane donna che ancora non ha avuto preoccupazioni. Sul suo sguardo cristallino è palese leggere serenità e tanto amore. Probabilmente da piccola è stata coccolata anche più del dovuto anche se non sembra viziata. Da lontano capisco che i suoi cani sono desiderosi di giocare con un gattino sull'albero. Porto il busto in avanti e strizzo gli occhi: devo assolutamente prendere un paio di occhiali, di certo non vedo bene. Proprio allora anche Henry con quel cane si avvicina a loro e il suo viso è di nuovo contratto e preoccupato: mi ha vista.

Tiro un profondo sospiro ma rimango incollata alla panchina. Le gambe tremano e cerco di bloccarle stringendo le mani sulle ginocchia. Mi mordo il labbro mentre osservo mio figlio. Come può un esserino che abbiamo portato dentro di noi per nove mesi, cresciuto e amato come se fosse l'unico motivo della nostra esistenza, farci soffrire in questo modo? Perché essere madre è così debilitante per me? Di certo con la madre che ho avuto non potevo contare su una buona figura a cui ispirarmi, ma almeno con Henry è presente, disponibile e soprattutto comprensiva. Un po' meno con me dato che mi ha inculcato l'idea che nessuno doveva sapere che il mio amorevole marito mi tradiva da anni. Ed è stata talmente convincente che nessuno l'ha mai saputo. Quindi lui rimane il santo e io la stronza. Di una sola cosa lo ringrazio: Henry. Mi ha dato un figlio meraviglioso e sono certa che un giorno riuscirò a riportarlo nella mia vita.

Henry e la sconosciuta continuano a parlare o meglio lei parla e lui annuisce, poi tutti insieme tornano indietro e il viso di lei è davvero raggiante.

«Eccoci qui, ho ripreso i miei figli e anche il suo» il mio sguardo si posa su Henry che ovviamente mi ignora.

«Ciao Henry» silenzio. Guardo lei che sorridente inizia subito a parlare.

«Io, Henry e Shila abbiamo una proposta da farle. Io vengo qui tutti i giorni e non so quali siano gli impegni di Henry o i suoi ma mi farebbe piacere se Henry venisse a darmi una mano. Come può ben vedere Shila è pazza di lui!» Henry continua a tenere lo sguardo basso. Lei accarezza uno dei cani e sposta una ciocca di capelli dietro le orecchie.

«Ho chiesto a Henry e mi ha detto che gli farebbe piacere, ma ovviamente dovevamo chiedere prima a lei.»

Ha chiesto a Henry e lui ha risposto. Cosa devo fare? Mi manca il respiro. Quella donna mi guarda in modo incoraggiante e io sono totalmente terrorizzata. Impedirgli di andare mi avrebbe allontanato definitivamente da lui. Per quanto lei sembri una persona affidabile non la conosco e l'idea di affidarle mio figlio non mi piace, però devo almeno provare. A costo di stare fuori dal parco a controllarli tutti i giorni. Così mi faccio coraggio e rispondo.

«Credo che sia una buona idea, domani lo accompagnerò io stessa qui alle... a che ora arriva lei ogni giorno?» solo dopo aver parlato riesco a sorridere. Lei tira un grosso sospiro e Henry ha un piccolo sussulto.

«Sedici e trenta andrà benissimo! D'accordo Henry?»

Fa un piccolo cenno del capo in segno di approvazione, come se abbia paura di farsi vedere da me.

La giovane donna guarda l'orologio e si congeda per riportare i canidi dai rispettivi padroni. Le mani di Henry poco prima dei saluti, si allungano verso quelle di lei per restituirle il guinzaglio del cane color miele che a quanto pare si chiama Shila. La guardo allontanarsi e in me torna la paura di rivolgere la parola a mio figlio.

«Andiamo a casa Henry?».

Un sospiro, poi si volta e cammina lento verso l'uscita.

Afferro la borsa posata sulla panchina e cammino di fianco a lui. Lo precedo di un passo così che possa seguirmi fino alla macchina. Lo sguardo sempre basso, prende una salvietta e si pulisce le mani in modo compulsivo, come sempre quando è in mia compagnia.

«Sembra una brava ragazza, è simpatica» provo ad avvicinarmi a lui una volta seduti in macchina ma il muro che ha eretto è impenetrabile.

«Non vuoi parlare con me, e va bene, però ti prego, ti prego, smettila di scappare, non ti tormenterò più con psicologi e domande o nel tentativo di farmi perdonare ma per favore, ti supplico» le parole si fermano in gola, stanno arrivando le lacrime e al contrario di altre volte non cerco di fermarle. Voglio che capisca quanto male mi fa. Voglio che senta la mia preoccupazione, voglio che smetta di scappare. Posso rinunciare alle sue parole ma non alla sua presenza.

«Non scappare più».

Due lacrime scendono sulle mie guance e io subito le asciugo col dorso della mano. Alza lo sguardo verso il finestrino prima di annuire. Poi si mette la cintura e riprende a guardare fuori dal finestrino.

Ha annuito.

Ha comunicato con me. Dopo un anno e mezzo ha risposto a una mia domanda.

E' bastato un pomeriggio diverso per cambiare qualcosa in lui, quella ragazza gli fa davvero bene. Oppure è il cane. Oppure non lo so e francamente non mi interessa. Quella giornata me la sarei comunque ricordata per tantissimo tempo.

Percorro la strada del rientro con una nuova consapevolezza: Henry può essere salvato.

Fino ad ora ho sbagliato, ho messo la vita di mio figlio nelle mani di esperti che hanno solo detto cose che io sapevo già. Quella ragazza di cui ignoro il nome ha parlato con lui. Lo ha fatto sorridere, gli ha dato un impegno, un obiettivo quotidiano che Henry non aveva più da troppo tempo. E cosa ancora più positiva, ha inserito anche me in tutto questo, lo devo accompagnare, ciò significa che capisce che lo sto appoggiando e che sono felice che faccia questa cosa, insomma qualcosa deve pur valere tutto questo! So che quella piccola risposta di Henry sarebbe stata l'unica per molto tempo ma ora ho di nuovo speranza che qualcosa, col mio impegno e il suo, può veramente cambiare.

Scendo dalla macchina col sorriso sulle labbra. La spesa nel bagagliaio aspetta solo di essere riordinata ma sono ormai le otto di sera e la cena deve essere messa in tavola, per cui scaldo lo stufato che avevo preparato la mattina e apparecchio. Henry si rifugia nei suoi cartoni animati preferiti di fronte alla tv e, per oggi, posso dire che quel distacco non è più così doloroso.

 

 

 

Note dell'autrice: buon pomeriggio a tutti :) Ecco a voi il secondo capitolo di questa storia. Come potete ben notare non ci sono molte novità rispetto al capitolo precedente, era necessario che l'accaduto fosse analizzato a dovere anche da Regina prima di proseguire col racconto.

Ringrazio Susan e Nadia per le correzioni che, volta per volta, daranno ai miei capitoli prima della pubblicazione...qualcosa mi sfugge sempre.

Ah, ogni martedì verrà pubblicato un capitolo nuovo!

Buona lettura :)

 

 

  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: martaparrilla