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Autore: ChiiCat92    26/01/2016    1 recensioni
"Kadaj sapeva sempre dove andare. Kadaj sapeva sempre chi cercare. Kadaj aveva sulla punta delle dita tutta la città. Kadaj sapeva sempre a chi chiedere.
Kadaj aveva sempre tutto sotto controllo. Ma non stavolta.
Benché continuasse a camminare, gli occhi fissi sulla strada, attento ad ogni minimo spostamento, non aveva idea di dove andare, non aveva idea di chi cercare, non sapeva a chi chiedere, la città gli sembrava estranea, nemica persino."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Loz, Reno, Yazoo
Note: AU | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nessun gioco
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28/12/2015

 

Feel it All

 

Camminando ondeggiava appena, da un lato e dall'altro, i lunghi e lisci capelli argentei che seguivano il movimento.

Una canzoncina risuonava nella sua mente in modo così ossessivo che non poteva fare a meno di canticchiarla tra sé e sé, muovendo a ritmo la testa.

L'euforia partiva dal sacchetto di carta che teneva stretto nella mano destra. Poteva sentirla arrampicarsi lungo il braccio, correre lungo le ossa, i muscoli, i nervi, e raggiungere la spalla, il petto, e dal cuore propagarsi in tutto il corpo.

Lo teneva stretto, tanto stretto che per portarglielo via avrebbero dovuto divellere il braccio dal busto. Non avrebbe lasciato che nessuno rubasse l'euforia, il piacere in esso contenuto.

In automatico recuperò la chiave mezza arrugginita dalla tasca della giacca di pelle e la infilò nella toppa. Dovette forzare appena, come sempre, tirando verso di sé per poi spingere.

Non poté non guardarsi intorno mentre entrava. Il corridoio, però, era deserto. Nessuno a destra, nessuno a sinistra.

O forse sì?

La mano corse sul calcio della pistola, infilata nell'elastico del pantalone.

Un topolino trotterellò fuori da un buco nel muro, lo osservò con i suoi occhioni piccoli e neri per un lungo istante, come a volerlo sfidare a sfoderare la sua arma per sparargli, quindi si pulì il musino con le zampine e tornò nel suo buco senza rimanere ferito o peggio, ucciso.

Tirando un sospiro di sollievo, tolse la mano dalla pistola e spinse la porta dell'appartamento per entrare.

Buio all'improvviso, dovette costringere gli occhi verdi ad abituarsi all'ambiente.

Le tapparelle erano chiuse, spandendo ombre tutto intorno e rendendo il pavimento un campo minato su cui sarebbe stato difficile per chiunque camminare, tranne che per lui. Avrebbe potuto anche proseguire ad occhi chiusi in quel marasma di bottiglie, vestiti, piatti, perché era esattamente lo stesso disordine che aveva lasciato quando era uscito da casa.

- Mi avevi promesso che avresti dato una sistemata. -

Disse, ad alta voce, poggiando il sacchetto con il suo prezioso carico sul tavolo dell'angolo cottura. Un trilocale, non potevano permettersi altro.

Il salotto, l'ingresso e la cucina erano un unico ambiente, stretto, asfissiante, in buona parte sempre nelle condizioni in cui sarebbe se ci fosse appena passato un uragano. Poi il bagno, un cubicolo con lo stretto indispensabile, e la loro stanza da letto, il loro piccolo nido, la tana sicura in cui accucciarsi.

Non ricevendo alcuna risposta, sospirò. Mentre si toglieva la giacca entrò nella stanza da letto.

Un raggio di candida lucida tagliava perfettamente in due la stanza, proveniente dall'unica, sottile fessura della tapparella non del tutto chiusa.

E lui era lì, steso sul letto, appena mugolante.

Non poté non sospirare di nuovo alla vista, scuotendo la testa.

- Non mi hai aspettato. -

Mormorò, prendendo posto accanto a lui sul letto.

Gli occhi del suo fratellino erano sgranati, vacui, la pupilla così dilatata da aver quasi ingurgitato l'iride verde. Le labbra screpolate, socchiuse, curvate verso l'alto a dargli un'espressione di piacere, così come le sopracciglia, appena aggrottate tra loro.

Gli spostò una ciocca di capelli dal viso, per potersi beare di quella vista. Con una risatina si accorse che nel braccio aveva ancora conficcata la siringa vuota, il laccio emostatico improvvisato con la solita cintura nera.

Percorse le labbra del piccolo con il pollice, valutando ogni sua minima reazione con un mezzo broncio. Non era ancora ricettivo, quindi doveva aver preso la dose da poco.

Con estrema delicatezza gli tolse la siringa dal braccio, raccogliendo l'unica goccia di sangue sfuggita dall'ago con le dita. Slacciò la cintura, che aveva segnato il piccolo braccio dalla pelle delicata di rosso, e lo voltò sulla schiena per farlo stare più comodo.

I corti capelli d'argento scivolarono nuovamente sul viso, coprendoglielo per metà. Anche così, aveva un che di irresistibile, una bellezza misteriosa. Era quasi geloso di non poter condividere quell'estasi con lui.

- ...Ya...zoo... -

Chiamò, all'improvviso, con una vocetta sottile ma morbida. Lo vide tirarsi su pian piano, e immediatamente gettargli le braccia al collo.

Per abbracciarlo non dovette neanche sforzarsi, tra le braccia era così piccolo ed esile da avere quasi paura di spezzarlo.

- Tenshi. -

Mormorò in risposta al suo richiamo, un bacio già poggiato sulla fronte, tra i capelli che giocavano a nascondergli il viso come se non volessero rivelarlo mai per intero.

- Mi dispiace...non ho...resistito. -

Mugugnò il piccolo, un'espressione all'improvviso fattasi triste, languida.

Yazoo odiava vedere il suo fratellino perdere il sorriso così.

Diciotto anni, ne dimostrava quattordici al massimo, sopratutto a causa delle delicate apparenze: un corpo minuto, un viso angelico, sottile, occhi grandi e curiosi come quelli di un bambino.

L'eroina, poi, dava al quel volto, a quel corpo, una veste eterea, tanto che sembrava potesse sparire da un momento all'altro. E se da un lato il piacere nei suoi occhi profondi come pozzi poteva essere ipnotico, dall'altra i suoi piagnucolii da bambino mantenevano l'attenzione dov'era giusto che fosse.

Su di lui. Sempre.

In ogni caso Yazoo non avrebbe mai voluto guardare, ascoltare, toccare, niente e nessuno che non fosse lui.

- Non importa. -

Yazoo non era tipo da sorridere, né da avere un tono zuccheroso con lui, però ogni tanto, quando sapeva che suo fratello non avrebbe potuto ricordarlo, qualche sorriso extra glielo regalava, giusto perché mantenersi tanto controllato a lungo andare gli risultava noioso, come tutte le motivazioni per cui si manteneva controllato d'altronde.

- Ce n'è ancora un po'...puoi fartene una dose. -

- Oh, sono andato a comprare l'altra. -

- Davvero? -

Una scintilla di consapevolezza accese gli occhi del più piccolo, che quasi fu tentato di saltare giù dal letto per l'euforia improvvisa. Poi però sembrò ricordare di avere tra le braccia Yazoo, che finalmente era tornato, e che il suo corpo, premuto con tanta urgenza contro il proprio, lo faceva vibrare di calda aspettativa.

- Facciamo l'amore. -

Non era neanche una domanda, anzi, tutt'altro. Affondò il viso nella sua spalla, mentre con una mano gli accarezzò il petto, più per piacere personale che per il suo. Tendeva ad essere ridicolmente egoista pur di ricevere piacere.

- Lui è già arrivato ...? -

Mormorò il maggiore, mentre il suo piccolo fratellino lasciava languidi bacetti lungo profilo del suo collo. Labbra morbide, urgenti, bramose, così piccole. Due boccioli di rosa soffici sulla pelle.

- No, non c'è ancora. Ci vorrà un po'. - suonava capriccioso, arrabbiato, frustrato. Non tollerava che non gli desse l'attenzione che desiderava, soprattutto perché il tempo a loro disposizione poteva finire da un momento all'altro. - Dai...Yazzie...la dose... -

Le manine di Kadaj lo tirarono debolmente, gli occhi sgranati e profondi, supplichevoli. Per Yazoo erano un richiamo di irresistibile bellezza.

Si sporse per lasciargli un bacio sulla fronte e si alzò.

- Faccio in fretta. -

- Prima che arrivi, dai, dai! -

Per quanto il tono di voce di Kadaj vorrebbe essere incitante e squillante, la sua vocetta risuona sottile e quando Yazoo si alzò lasciandolo solo sul letto lui si rannicchiò, le gambe strette contro il petto, la testolina argentea tra le ginocchia, gli occhi chiusi e concentrati.

Prima che arrivi, prima che arrivi.

Yazoo volò verso il tavolo dove aveva lasciato il sacchetto. Ne estrasse il contenuto con tale delicatezza che dovette metterci più del necessario perché sentì una bassa lamentela di Kadaj provenire dalla stanza da letto.

Un sacchetto di plastica trasparente pieno di polvere bianca.

Il cucchiaio e l'accendino erano ancora sul tavolo, dov'era giusto che stessero.

Troppo lentamente, ma voleva andare sul sicuro, infilò il cucchiaio dentro il sacchetto per prendere un po' di polvere.

Il cuore martellava già in petto, esaltato all'idea di quello che sarebbe successo di lì a poco.

La polvere si sciolse nel giro di qualche minuto grazie alla fiammella dell'accendino, calda sotto il metallo del cucchiaio. Usò la siringa che Kadaj aveva ancora nel braccio.

Raccolse, tirando lo stantuffo, la sostanza liquida in qui si era trasformata la polvere.

- Pronto. -

Un sussurro appena, ma sapeva che Kadaj l'avrebbe comunque sentito.

Era strisciato silenziosamente giù dal letto mentre lui preparava la dose, quel passo felino tipico di chi è abituato a nascondersi nel buio.

Nonostante le sue condizioni, c'era sempre qualcosa di elegante nel suo muoversi, qualcosa di amorfo che non era mai del tutto...umano.

Le sue piccole mani corsero immediatamente a passargli la cintura attorno al bicipite, stringendo quel tanto che bastava perché la vena nell'incavo del braccio apparisse pallidamente attraverso la pelle chiara.

Yazoo diede la siringa al fratello, gli occhi pieni di sentimenti che il volto raramente esprimeva.

- Non farmi male, Tenshi. -

Fu il suo, piuttosto divertito, sussurro.

Kadaj non poteva fargli male. Non ne era in grado.

Il sorriso regalatogli in risposta fu come un anestetico, tanto che quando l'ago penetrò la pelle Yazoo a stento riuscì a sentirlo.

Il bacio che gli lasciò sul piccolo forellino nella pelle, pungolandolo con la lingua: quello lo sentì eccome.

La scarica di adrenalina successiva lo fece rabbrividire, mentre lo sguardo cadde su Kadaj, il suo Kadaj, il suo Tenshi.

Gli prese il mento con una mano, delicatamente, e si perse per un lungo istante in quegli occhi, così simili ai propri. Brillanti, eppure pieni di ombre.

Lo sguardo gli cadde quasi con urgenza sulle labbra, screpolate dalla sete, spaccate dall'alimentazione povera degli elementi necessari, eppure così invitanti e calde da essere per lui un richiamo irresistibile.

Stava per abbandonarsi ad un bacio quando Kadaj si irrigidì.

Stranito, Yazoo cercò subito il suo sguardo. Non lo stava guardando, i suoi occhi erano persi nel vuoto subito oltre la sua spalla.

- È qui, non è vero? -

Gli disse quindi, la voce un piatto monocordo di disappunto. Quando Kadaj annuì e si aprì in un sorriso, Yazoo sbuffò appena dal naso, lasciando il viso del fratellino e seguendo il suo sguardo.

Per quanto si sforzasse non vedeva niente, e mal celava la frustrazione per non avere l'attenzione di Kadaj.

In ogni caso, lui non se ne sarebbe accorto. Non adesso almeno.

Gli occhi verdi erano grandi, spalancati a fissare il nulla come fosse in ammirazione di qualcosa di visibile solo a lui, uno spettacolo a cui Yazoo non aveva accesso.

Ma durò poco. Giusto il tempo necessario all'eroina che gli circolava nel sangue di fare il suo effetto.

Per prima cosa, come sempre, ad apparire come scintille di smeraldo nel vuoto della stanza furono i suoi occhi. Sempre sorridenti, senza bisogno di sorridere con le labbra, così esageratamente dolci e gentili. Una boccata di bile gli risalì su per la gola, e per un attimo desiderò poter smettere di guardare e vomitare.

Resistette alla nausea almeno finché quegli occhi presero posto in un viso, un viso familiare che lentamente prese forma, così come il corpo.

Loz era sempre stato troppo grosso, ingombrante, rumoroso. In qualsiasi modo si muovesse causava sempre qualche danno. Un vaso urtato per sbaglio, un piede calpestato, una gomitata per sporgersi a prendere qualcosa. Era un urtare continuo e sconveniente che innervosiva Yazoo.

Perché doveva sopportare un fratello così estraneo a parole come eleganza e grazia?

Col tempo Yazoo aveva imparato che a mancargli maggiormente di Loz era proprio questo.

Il suo continuo chiedere scusa, il suo sentirsi inadeguatamente fuori posto, il suo vergognarsi per essere troppo alto, troppo grande, troppo.

Gli mancava arrabbiarsi con lui per questo.

Gli mancava litigare per ogni confezione di cereali caduta a terra per colpa delle sue mani di burro.

Gli mancava, ed era difficile ammetterlo. Ad alta voce non l'avrebbe mai detto, ma dubitava che Kadaj non se ne fosse accorto.

Mancava anche a lui, e il dolore della perdita era condivisibile, ma non cancellabile.

Yazoo lo vide com'era prima che morisse: sempre sorridente e affaccendato a provocare qualche disastro.

- Lo vedi anche tu adesso? -

Trillò Kadaj, su di giri, sopraffatto dalla gioia.

Allungò la mano verso quella di Yazoo che non si fece pregare per afferrarla. Intrecciare le dita alle sue era come tornare intero, ricomporre i pezzi di qualcosa che era andato ormai in frantumi.

- Lo vedo. -

Mai, mai, per niente al mondo, Kadaj avrebbe osato dire a Yazoo che si era accorto del suo tono di voce tremante, delle lacrime nascoste nel mezzo di quelle due uniche parole. Ma entrambi ne erano consapevoli, e bastava il silenzio per sigillare quel segreto.

Loz – quel che rimaneva di lui in quel posto, forse un ricordo condiviso, forse un'allucinazione causata dalla forte dose di droga che entrambi avevano assunto – non aveva voce. I suoi sempre rumorosi spostamenti non facevano adesso alcun rumore sul pavimento. Anche se rivolgeva loro delle parole, potevano a stento capirlo dal movimento delle labbra.

Null'altro che un fantasma, che prese a muoversi come se ignorasse di esserlo.

Indossava il solito, consunto grembiule, quello che si metteva sempre addosso per cucinare per loro, ed era sporco di farina, come sempre. I capelli spettinati, come sempre. Sul viso quel sorriso idiota, come sempre. Gli occhi che brillavano di più quando guardava i suoi fratelli. Come sempre.

Come.

Sempre.

Era tutto come sempre, e forse per questo faceva così male.

Kadaj non avrebbe saputo dire in quale preciso istante aveva capito che Loz appariva solo dopo una dose, né avrebbe potuto dire da quanto tempo succedesse o perché. Sapeva solo che un bel giorno il suo fratellone era tornato, e da allora non aveva più voluto che se ne andasse.

Se il solo modo per poterlo vedere di nuovo riempire la casa, di nuovo ai fornelli, di nuovo con scopa e paletta in mano arrabbiato per il disordine, di nuovo vivo, era continuare a drogarsi, Kadaj l'avrebbe fatto volentieri.

Loz li guardò, ma era difficile capire se stesse guardando loro o attraverso loro, come se il fantasma non fosse lui.

Se solo potessi essere morto io al tuo posto.”

Un pensiero fugace, che non apparteneva né a Yazoo, né a Kadaj, ma ad entrambi: passava dall'uno all'altro attraverso le loro mani intrecciate.

Le labbra del maggiore si mossero, la sua espressione si fece preoccupata.

Siete troppo magri!

Sembrava dire.

Non mangiate abbastanza!
I soliti rimproveri.

Ed era vero. Non mangiavano abbastanza. A volte non mangiavano proprio. Perché sprecare i soldi per la droga in cose inutili come il cibo?

Era più importante vedere Loz che mangiare.

Il maggiore scosse la testa. Li additò, li sgridò, quella voce che non potevano sentire né ricordare.

Kadaj si chiedeva spesso come suonasse la voce di Loz. Frugava nei suoi ricordi alla ricerca di una traccia, senza mai trovarla. Ovunque guardasse, in qualsiasi angolo della sua mente, Loz era muto, come se qualcuno avesse volontariamente tolto l'audio.

Più guardava quelle labbra muoversi, più si sforzava di immaginare la sua voce.

Era profonda, di questo ne era certo, vibrante, con toni piagnucolanti che mal si accostavano a quel corpo così grande, le spalle larghe, il petto che era un rifugio sicuro in cui nascondersi.

Lo videro spostarsi verso l'angolo cottura, frugare silenziosamente nei mobili in cerca delle stoviglie, accendere il gas, prendere cibi invisibili dentro al frigorifero vuoto e cominciare a cucinare.

Benché Yazoo si sforzasse, molti dettagli gli sfuggivano, aveva una visione in bianco e nero di Loz, sfocata, che migliorava solo quando Kadaj aggiungeva per lui i particolari che non poteva vedere.

Perché quand'era in vita non l'aveva guardato di più? Perché non aveva prestato attenzione alla sfumatura argentea dei suoi capelli, a come gli cadevano sul viso se non li tirava indietro, a come la luce colpisse i suo occhi facendoli brillare, alla piega che prendevano le sue sopracciglia quand'era in disappunto anche se sorrideva?

Ricordava tutto a malapena. Se non fosse stato per Kadaj, forse non l'avrebbe visto proprio.

- Pancakes! - saltellò il minore, il naso all'insù per catturare un profumo che Yazoo non poteva percepire - Sta preparando i pancakes. Mmmh...Yazzie, lo senti? - non ci fu bisogno di risposta: no, non lo sentiva, come tutti quei dettagli mancanti della loro routine quotidiana che lui non aveva mai voluto memorizzare. Stupido. - È vaniglia. Vaniglia e...pasta per dolce. -

Yazoo non annuì né negò, rimase immobile a fissare la schiena del fratello maggiore mentre le sue mani reggevano attrezzi da cucina invisibili. Di certo Kadaj avrebbe saputo dire cosa fossero.

Immaginò che avesse tra le braccia una ciotola, considerando la posizione, e un mestolo con cui raccogliere la pastella per lasciarla cadere nella padella sfrigolante.

Si sforzò di vedere, sentire, percepire ogni cosa come se fosse reale, ma ai suoi occhi rimase tutto com'era. Per questo si voltò verso Kadaj, implorante, senza bisogno di dire una parola.

E il minore cominciò a descrivergli quello che vedeva.

- La ciotola verde. Te la ricordi? Adesso non l'abbiamo più. - e mentre lo diceva, qualcosa che ricordava vagamente una ciotola apparve alla vista di Yazoo tra le mani di Loz - E il mestolo di metallo grande. - anche quello, apparve pallidamente ai suoi occhi. Ora Loz non sembrava più reggere utensili da cucina invisibili, quanto meno. - Gocce di cioccolato! Ah Lozzie, hai messo il cioccolato nei pancakes! - ancora una volta col naso all'insù per assaporare quel profumo. Yazoo si chiese come dovesse essere mentre osservava l'elettricità negli occhi di Kadaj, la felicità.

Poco male se lui non vedeva né sentiva le stesse cose del fratello, purché fosse felice.

Rimasero ad osservare il fantasma di Loz che cucinava per un tempo che a loro parve infinito. Insieme provarono a tradurre quello che diceva loro, ma muoveva le labbra tanto velocemente che catturarono solo poche parole. Poi, proprio nel momento di mettere a tavola quello che aveva preparato, cominciò a svanire.

Il corpo divenne sempre più sottile, sempre più evanescente, come se fosse stato fatto di nebbia.

Kadaj lasciò andare la mano di Yazoo, che aveva tenuto stretta fino a quel momento, e saltò in avanti verso la figura opalescente.

Dal momento in cui si staccò da lui, Yazoo non fu più in grado di vedere nulla.

- Lozzie ti prego non andartene! - come avrebbe voluto afferrarlo per un braccio, costringerlo con la forza a rimanere. Ma le sue piccole e tremanti mani, quando si sporsero, afferrarono il nulla. Un singhiozzo rischiò di mozzargli il fiato mentre gli occhi grandi e spauriti si fissarono sul viso del fratello. - Tornerai ancora, Lozzie? Tornerai da noi anche la prossima volta? -

Nessuna risposta. Loz si limitò a sorridere, uno dei suoi sorrisi più dolci, prima di svanire nel nulla.

Kadaj si lasciò scivolare a terra, il corpo all'improvviso svuotato di ogni energia, scosso da singhiozzi che lo prendevano quando lo vedeva andare via.

Ogni volta era come perderlo di nuovo.

Yazoo si accucciò accanto a lui, lo prese tra le braccia, cullandolo al petto come fosse un bambino, mentre il suo piangere disperato gli straziava il cuore.

- Prepariamo un'altra dose. -

Non era una domanda, ma Kadaj annuì, ritrovando tutto d'un tratto la voglia di sorridere, di alzare la testa e guardare Yazoo.

- Più forte. -

- Tutto quello che vuoi, Tenshi. -

Quindi si alzarono, traballanti e stretti in un abbraccio che avrebbe dovuto tenerli insieme e invece sembrava solo accentuare la frana nei loro cuori.

Il sole stava andando a tramontare, e nessuno dei due si rendeva conto dello scorrere del tempo.

E d'altronde, quando qualche minuto dopo Loz comparve, più nitido che mai, intento a sistemare il disastroso disordine dell'appartamento, a nessuno dei due importò più molto del tempo che passava.

 

 

Quando Kadaj aprì gli occhi fu solo per fame.

Lo stomaco sembrava voler mangiare se stesso pur di avere qualcosa da digerire.

La testa gli girava, in gola gli sembrava di avere carta vetrata e tutto il corpo gli doleva.

Yazoo era addormentato al suo fianco, un braccio intorno alla sua vita con fare protettivo. Altrimenti nudo, il lenzuolo gli copriva il bacino e una gamba. Kadaj si perse per un attimo ad osservare il suo petto nudo, a come le costole affioravano dalla pelle chiara, a come l'ombelico spiccasse sull'addome piatto.

Poi volse lo sguardo a sinistra, nella parte del letto di solito occupata dalla calda, ingombrante presenza di Loz.

Il vuoto che trovò gli causò una fitta allo stomaco, tanto che dovette poggiarvi una mano sopra tentando in qualche modo di affievolire il dolore.

Magari avesse potuto fare lo stesso col il proprio cuore, o quello di Yazoo. Prenderlo tra le braccia, cullarlo, stringerlo, ricucire le ferite, cancellare le sofferenze, inondarlo di nuovo amore. Ammesso che lui stesso fosse ancora in grado di provarne.

Delicatamente scostò il braccio del fratello per scendere dal letto. Non ricordava neanche come ci fosse arrivato lì, e una volta in piedi si ritrovò nudo. Tastò il letto con una mano, sfidando i suoi occhi verdi a vedere attraverso il buio denso della stanza, finché non trovò quanto meno i boxer. Probabilmente erano quelli di Yazoo, perché una volta infilati realizzò che erano davvero troppo grandi. O forse era lui ad essere dimagrito ancora?

Traballando uscì dalla stanza da letto, lo stomaco che ringhiava, arrabbiato, aggredendo i suoi sensi.

Mangia, mangia, mangia.

Il frigorifero, quando l'aprì, era vuoto. Provò a richiuderlo e a riaprirlo, ma rimase vuoto.

Quand'era stata l'ultima volta che avevano comprato da mangiare?

Provò un'ultima volta, nella speranza di veder apparire, come in una fiaba, tutto il cibo che desiderava. Tutto il cibo che Loz faceva sempre trovare loro.

Niente.

Mangia, mangia, mangia.

Portò nuovamente una mano sullo stomaco, con una smorfia.

Frugò nella dispensa, aprì tutti gli sportelli. Nulla se non qualche dimenticata bottiglia di olio, una d'aceto, foglie ormai secche e sbrindellate di cipolle rosse, uno spicchio d'aglio che aveva impestato col suo odoraccio tutto lo scaffale.

Storcendo il naso si rassegnò all'inevitabile: non c'era niente di commestibile a casa.

Per qualche ragione gli venne da piangere e dovette trattenersi dal ricominciare a singhiozzare come un bambino. Quanto ci aveva messo Yazoo per farlo smettere? Probabilmente giusto il tempo di preparare un'altra dose.

Il suo sguardo cadde allora sul tavolo. La siringa era ancora lì, buona parte della polvere bianca era sparsa su tutta la superficie, qualche goccia di sangue si stava raggrumando in un angolo.

Si controllò le braccia e sì, forse nella foga di farsi di nuovo si era fatto male: un grosso livido violaceo cominciava ad espandersi nell'incavo del suo braccio.

Di nuovo, storse il naso.

Mangia, mangia, mangia.

Avrebbe voluto prendere a pugni quel dannato stomaco in modo che una volta per tutte tacesse.

Provò ad ignorarlo mentre, con la lama di un coltello ormai arrugginita, raccoglieva l'eroina rimasta sul tavolo. Ce n'era abbastanza per un tiro.

Mangia, mangia, mangia.

Con una mano tenne i capelli all'indietro, mentre con l'altra chiuse una narice per potersi inalare la polvere.

Gli salì subito alla testa, e lo stomaco tacque immediatamente. Aveva ancora fame, certo, ma quanto meno aveva smesso di brontolare e borbottare.

E in più, poté vedere Loz.

Seduto al tavolo della cucina, Loz teneva le braccia incrociate, lo sguardo fisso su di lui. Non sembrava contento.

Kadaj mise su un broncio. Conosceva quell'espressione, lo stava sgridando. Odiava essere sgridato da Loz. Odiava essere sgridato in generale, ma quando si trattava di Loz...

- Non guardarmi così. - borbottò. Solo in quel momento si accorse di avere la gola ostruita e dovette fare qualche colpo di tosse perché la voce tornasse chiara. - Che cosa dovrei fare secondo te, mh? -

Loz non rispose. E d'altronde, anche se l'avesse fatto, non avrebbe comunque sentito la sua voce. Si limitò ad indicare i fornelli, il frigo, la dispensa, e Kadaj seguì la sua mano come se magicamente potesse tornare tutto com'era prima.

E in effetti...per un attimo vide tutto com'era prima. Prima che il mondo gli crollasse sotto i piedi, prima che facessero le conoscenze sbagliate, prima che Loz offrisse la sua vita per salvare la loro.

Vide la credenza piena di merendine al cioccolato, quelle che piacevano a lui e che Loz comprava sempre, vide il frigo con la frutta e la verdura che a nessuno dei tre piaceva mangiare ma che non doveva mai mancare, vide le mensole piene di libri di cucina, consumati a forza di essere letti e sporchi di macchie di sughi improbabili.

Gli bastò battere le palpebre perché tutto tornasse com'era. Desolato. Sporco. Vuoto. Come si sentiva lui.

Loz era ancora seduto al suo posto, le braccia di nuovo incrociate sul tavolo. Lo guardava più intensamente stavolta.

- Lozzie non puoi chiedermelo. - sussurrò. A dividerli c'era il sacchetto pieno a metà di eroina, la siringa, il cucchiaio con cui la scioglievano, il loro laccio emostatico improvvisato. - Non smetterò. - avrebbe voluto essere sicuro di quelle parole, di quell'intenzione, ma lo sguardo del fratello gli fece girare la testa per un attimo - Non voglio Loz, non voglio! - adesso era uno strillo, batté le mani sul ripiano del tavolo. Il fantasma di Loz non mosse un muscolo. - Sai che vuol dire vivere senza di te? Lo sai? Ne hai una minima idea?! Non puoi chiedermelo, non lo farò, per te e per nessun altro! -

- Kadaj? -

La voce di Yazoo, assonnata, dalla stanza da letto. Volse la testa in quella direzione e quando tornò a fissare il punto in cui prima sedeva Loz l'unica cosa che vide fu la sedia vuota.

Strinse i pugni e i denti, che scricchiolarono. Anche se il cuore doleva per averlo visto nuovamente sparire, la rabbia era più forte.

Quasi corse nella stanza, lo sguardo allucinato.

- Yazoo non fa più effetto. - il fratello lo guardò come se fosse impazzito, e non migliorò la situazione il fatto che gli si avventò contro tirandolo per un braccio per costringerlo a mettersi seduto - Non fa più effetto! -

- Kad...che cosa? -

Allora prese a scuoterlo per le spalle, come in preda ad una furia senza nome. Si accorse di stare esagerando quando Yazoo gli prese i polsi per bloccarlo, ora più lucido.

Si pentì immediatamente di aver fatto quella scenata e il suo corpo sembro sgonfiarsi, si accasciò letteralmente sul fratello, la fronte poggiata sul suo petto. Le lacrime cominciarono a scendere ancora prima di rendersene conto.

- Yazoo...Yazoo...non basta più...dobbiamo passare a qualcos'altro...o non vedremo più Loz... -

Non c'era bisogno di aggiungere altro.

 

 

Kadaj sapeva sempre dove andare. Kadaj sapeva sempre chi cercare. Kadaj aveva sulla punta delle dita tutta la città. Kadaj sapeva sempre a chi chiedere.

Kadaj aveva sempre tutto sotto controllo. Ma non stavolta.

Benché continuasse a camminare, gli occhi fissi sulla strada, attento ad ogni minimo spostamento, non aveva idea di dove andare, non aveva idea di chi cercare, non sapeva a chi chiedere, la città gli sembrava estranea, nemica persino.

Paranoia mista ad una paura atavica cominciò a rosicchiargli il cuore, sbocconcellandolo pezzo dopo pezzo, finché lui non divenne un fascio di nervi.

Yazoo lo seguiva stando alla sua destra, come un silenzioso angelo custode.

Come sempre avevano scelto il momento più buio della giornata per scendere in strada, quel momento in cui potevano essere ombre tra le ombre, e trovare in esse il conforto che cercavano.

Ma dopo due ore di inutile girovagare era quasi chiaro che non avrebbero trovato nulla. Non per quella sera almeno.

Far notare il fallimento a Kadaj non era neanche considerabile come opzione. Yazoo avrebbe continuato a seguirlo tutta la notte se necessario, tutto pur di non dirgli che era meglio tornare a casa e riprovare l'indomani.

Kadaj non falliva, Kadaj sapeva sempre cosa fare.

Se quella parte della città fosse stata lasciata al buio appositamente per nascondere chi e cosa ci viveva, non avrebbero saputo dirlo, fatto sta che la maggior parte dei lampioni erano fulminati, alcuni lampeggiavano a intermittenza gettando una pallida luce sui marciapiedi.

L'olezzo di urina, sangue e sporcizia era quasi insopportabile, ma ancor di più lo era la vista dei barboni che si accucciavano negli angoli tra un palazzo e l'altro, oppure semplicemente lì dove trovavano posto: sudici, puzzolenti, pericolosi.

Yazoo non poté fare a meno di mettere la mano sul calcio della pistola, come sempre quando si trovavano a camminare in quella zona, e sapeva che Kadaj aveva fatto lo stesso stringendo le dita intorno all'impugnatura del coltello che teneva sotto la felpa.

Svoltarono a destra, una prostituta sulla strada fischiò verso Yazoo e gli fece l'occhiolino, la sua unica risposta fu uno sguardo di ghiaccio che quasi la terrorizzò più del rigonfiamento visibile della pistola sotto la giacca nera che indossava.

- Dovremmo essere arrivati. -

Disse Kadaj, completamente estraneo a tutto ciò che aveva intorno. Non riusciva a vedere nient'altro la strada che doveva percorrere, l'obbiettivo da raggiungere.

Yazoo annuì appena alle sue parole, gli occhi verdi concentrati a cogliere ogni più piccolo particolare.

Da quando Loz...era diventato più attento ai dettagli.

Il minore si avvicinò a quella che doveva essere la porta sul retro di una qualche attività commerciale. Una panetteria, una pizzeria, una rosticceria? L'odore di lievito e amido impregnava tutto il vicolo, tanto che Kadaj dovette darsi un pugno allo stomaco per mettere a tacere i crampi della fame.

Bussò solo una volta per poi stringersi le braccia al petto come per confortarsi.

Andrà tutto bene Kadaj” si disse, riuscendo persino a convincersene “Ti apriranno, prenderete quello che vi serve, e potrete tornare da Loz.”

Passò un'eternità, però, prima che qualcuno si degnasse di andar loro ad aprire, tanto che Kadaj era arrivato a sfiorare col pensiero l'idea che forse aveva fallito, che forse era stato tutto un errore, che forse doveva rinunciare a Loz per sempre.

Quando però la porta si spalancò, cigolando sui cardini, tirò un sospiro di sollievo, e qualsiasi orribile, spaventoso pensiero fosse arrivato a formulare, svanì in quel medesimo istante.

L'uomo sulla soglia passò dall'essere perplesso all'essere arrabbiato nel giro di trenta secondi, il tempo necessario, probabilmente, per mettere a fuoco i due ragazzini davanti alla sua porta.

- Chi diamine sete, che cosa volete? Non facciamo le elemosina qui. -

Yazoo non ebbe neanche bisogno che Kadaj glielo dicesse, lo fece e basta. Nel momento in cui l'uomo sembrò sporgersi per afferrare qualcosa di simile ad un fucile appoggiato accanto alla porta, lui spostò la giacca quel tanto che bastava per mostrargli il calcio della pistola. E bastò per pietrificare l'uomo.

Che passò subito al patteggiamento.

- Se è soldi che volete avete sbagliato posto, ho la cassa vuota, potete andare a controllare voi stessi se non mi credete. -

- Non siamo qui per questo. - Kadaj aveva un modo tutto suo di parlare. Era un misto tra il cinguettio spensierato di un uccellino, e il raschiare violento e denso di un ringhio felino. Qualcosa che era suo e suo soltanto. Accompagnato da quel leggero piegarsi in un lato della testa che mandava una scarica elettrica su per la schiena dorsale di Yazoo ogni singola volta. - Siamo qui per affari. Vogliamo dello zucchero. -

Da patteggiamento a rivelazione.

Era così chiaro e semplice leggergli il volto quando si sapeva cosa andare a cercare.

- Zucchero? Chi mi dice che avete i soldi per comprarlo? -

Kadaj fece un cenno a Yazoo, impercettibile per chi non aveva occhi per vedere, e lui mostrò all'uomo un mazzetto di banconote da 50 stretto da un elastico che teneva nella tasca della giacca.

Leggere l'ingordigia e l'avidità di quello spregevole individuo non fu così difficile, ma Kadaj sorrise, adorabilmente, un sorriso che sapeva di morte.

- Prova a rifilarci qualcosa di scarsa qualità e torneremo qui domani per ucciderti. -

Di nuovo quel tono, quel dolce e gentile cinguettio, con il retrogusto pungente della minaccia.

L'uomo sorrise. Chiaramente non credeva possibile che due cosine esili e all'apparenza fragili come quei due ragazzini potessero mai mantenere una così altisonante promessa.

Per questo Yazoo fu costretto a sparare.

La sua pistola non faceva alcun rumore, né quando montava il caricatore, né quando la caricava, né quando premeva il grilletto. Era oliata e lubrificata in ogni sua più piccola parte, con un'attenzione e un'amore che non rivolgeva neanche agli esseri umani. Al di fuori di Kadaj, ovviamente.

Yazoo non sbagliava mai, quando sparava colpiva sempre il bersaglio, a meno che non volesse mancarlo di proposito. Ed evitare di far scoppiare il cervello a quell'uomo fu davvero complicato per lui, perché era più semplice centrare in pieno il punto tra i suoi due occhi che far passare il proiettile abbastanza vicino al suo orecchio perché non lo colpisse ma sentisse lo spostamento d'aria e il sibilo da esso causato.

Lo sparo non risuonò più del necessario grazie al silenziatore, e la pallottola si conficcò sibilando alle spalle dell'uomo.

Vederlo diventare pallido, osservare come le sue pupille si dilatarono, come il labbro inferiore cominciò a tremare all'improvviso, fu per Kadaj la conferma che aveva capito, per questo annuì, accondiscendente, come se lui avesse in qualche modo già risposto alla sua domanda.

- Allora, questo zucchero? -

L'uomo non se lo fece ripetere due volte.

 

 

Scorreva nelle vene, le infuocava, incendiava i sensi. La pelle pizzicava di un prurito così profondo che a grattarla si sarebbe arrivati fino all'osso.

E il cuore, il cuore che pompava più sangue di quanto ne servisse, quasi smanioso di mandare in circolo la droga.

Yazoo poté vagamente sentire Kadaj che rideva, steso sul letto fissando il nulla.

La sua piccola mano trovò la propria e allora vide quel che vedeva lui.

Loz, che piegava loro i vestiti, Loz, che raccoglieva i cocci infranti di un vaso da terra.

Loz, che infestava quella casa e permeava i loro pensieri, minimizzando i loro bisogni nel semplice desiderio di riaverlo accanto.

Ancora una volta, per l'ultima volta. Non si sarebbero stancati mai.

Kadaj rotolò su un fianco, la testolina argentea si poggiò sul petto di Yazoo.

Fu con occhi particolarmente verdi e brillanti che lo guardò, come se potesse vedergli attraverso, come se vedesse qualcosa che lui non era più, la persona che non era più da tanto tempo, la persona che non sarebbe mai potuto diventare.

Gli accarezzò il viso con la mano libera, le dita erano fredde eppure Yazoo si sentì bruciare al contatto.

Passò con la punta dell'indice sul naso, percorrendone il profilo, per scendere poi sulle labbra e trovarle particolarmente interessanti, visto che indugiò a lungo, disegnandone ancora e ancora la forma con i polpastrelli come a volersi imprimere il ricordo nel corpo prima ancora che nella mente.

Se solo avessero avuto il tempo di fare lo stesso con Loz.

Kadaj si fermò all'improvviso, scosse la testa in direzione della pallida visione che aveva davanti e diede in una risatina.

- Mi sa che non è d'accordo. -

Mormorò, tornando a cercare lo sguardo di Yazoo. Anche lui, strizzando gli occhi, cercò di capire che espressione avesse il fratello maggiore, ma distingueva appena il suo volto.

Forse neanche quella droga era abbastanza forte.

- Ci è mai importato che fosse d'accordo? -

Fu il suo sussurro divertito in risposta.

Kadaj rise ancora.

Era così bello sentirlo ridere, vedere in lui quella felicità che non durava mai abbastanza per poter rimanere nei ricordi, cogliere la luce di folle, dolce euforia che ormai era raro vedere.

Era bello. E per Yazoo era difficile resistere alle cose belle.

Poggiò piano una mano sul suo viso, carezzandogli la guancia con il pollice. Tentò di tirarlo a sé, ma il minore si ritrasse con l'ennesima risatina.

- Dai, non davanti a Lozzie, lo sai che poi ci tiene il muso. -

Yazoo dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo, ma in fondo non gli importava.

Non poteva negare niente a Kadaj, come non poteva negargli se stesso, non poteva negargli Loz. E aveva più bisogno di lui in quel momento.

Kadaj si tirò su a sedere, le gambe magre incrociate, le braccia stese in avanti come se si aspettasse di essere preso in braccio da un momento all'altro.

Un bambino, un bambino che non aveva mai avuto modo di crescere, né aveva voluto farlo.

Benché fosse consapevole del fatto che Loz non poteva e non avrebbe mai potuto prenderlo tra le braccia come faceva in vita, Kadaj rimase comunque in attesa. Un'attesa carica di aspettative.

Non gli importò quando l'immagine del fratello attraversò le sue mani stese, non gli importò di non poter sentire il calore della sua pelle, non gli importò che non fosse reale.

Era lì. Bastava quell'illusione per farlo felice.

- Ci pensi mai alla vita di prima? -

Chiese Yazoo, lo sguardo rivolto al punto in cui i suoi occhi riuscivano ancora a cogliere l'immagine di Loz.

Le sue spalle larghe, i capelli tirati all'indietro.

Kadaj non rispose, non subito almeno, prima dovette desistere nel suo tentativo di essere accolto tra le braccia del fratello maggiore. Con uno sbuffo di fastidio infantile tornò ad accucciarsi contro il petto di Yazoo.

Anche se era perfettamente coscienze che Loz non poteva, gliene fece comunque una colpa.

- La vita di prima? Quale? -

Vago, come se stentasse a ricordare. Ma entrambi sapevano che c'erano cose che niente poteva cancellare, neanche il loro folle desiderio di provarci.

Furono gli occhi di Yazoo a parlare per lui. Fu il modo in cui, malinconico, abbracciò quella stanza con lo sguardo; il modo in cui fece cadere le iridi verdi su ogni oggetto mancante o presente, ricordando il perché dell'assenza di ogni cosa; il modo in cui poi passò dalla figura opalescente di Loz a quella in carne ed ossa di Kadaj, senza mai cambiare espressione.

Fu questo, e il tiepido luccichio di lacrime che non avrebbe versato, a parlare per lui.

Kadaj sentì qualcosa dentro tremare, una parte di lui che aveva tentato di seppellire e nascondere si stava ribellando, proprio al centro del suo petto.

Passò un tempo infinito prima che trovasse la voglia, o forse la forza, di rispondere.

- Qualche volta. -

Qualche volta pensava a come sarebbe stato diverso se Loz fosse stato ancora vivo.

Qualche volta gli capitava di pensare che gli sarebbe piaciuto finire la scuola, diplomarsi, trovarsi un lavoro vero invece che tenere un coltello nella giacca e rapinare i negozi.

Qualche volta si crogiolava nella fantasia che tutto quello che stavano vivendo fosse il sogno, e il fantasma di Loz la realtà, una realtà che aspettava solo una tirata di coca per diventare, bhé, reale.

Qualche volta si diceva che sì, la fortuna non aveva mai sorriso loro, in primo luogo lasciandoli orfani ancora bambini, in secondo luogo rendendoli incapaci di badare a se stessi, ma che in fondo erano stati fortunati ad avere Loz ed essere sopravvissuti.

Qualche volta pensava anche a tagliarsi i polsi con quel coltello che teneva sempre troppo vicino a sé, notte e giorno, sotto il cuscino, in tasca, infilato in uno stivale.

Qualche volta.

Qualche volta.

Yazoo non chiese altro, né osò dire quel che pensava.

Perché, per lui, “qualche volta” aveva un altro significato.

Qualche volta si chiedeva come sarebbe stato morire.

 

*

 

Kadaj era un bugiardo cronico, questo Loz lo sapeva perfettamente. Ma poche cose al mondo erano difficili come smascherare una delle bugie di Kadaj, oppure come resistere al suo dolce sguardo quando chiedeva scusa.

Anche le scuse erano menzogne.

Loz sapeva anche che mentire come mentiva lui era impossibile. Non aveva la grazia, l'avvenenza, né il sorriso adatti a quello scopo. Forse neanche Yazoo ne sarebbe stato in grado.

Ma quando tornò a casa quella sera, qualcosa nel suo atteggiamento, qualcosa nel suo modo di parlare, qualcosa persino nel suo modo di muoversi, ingannò Kadaj.

Lui, che si vantava con tutti di essere il Re dei Bugiardi, lui, che diceva di non poter essere ingannato.

Avrebbe dovuto capire, avrebbe dovuto vedere.

Ma non capì, e non vide.

Forse non volle farlo.

Tutto ciò che apparve ai suoi occhi fu il suo fratello maggiore, appena ventitreenne, tornare stanco dal lavoro, buttare un sacchetto del Mc Donald's sul tavolo, e rintanarsi nella loro stanza.

Non c'era niente di strano, e il profumo degli hamburger coprì quello della paura.

Loz le stava nascondendo da tempo le lettere della compagnia elettrica, le bollette del telefono, quelle del gas, dell'acqua. Era diventato tanto bravo a nasconderle che Kadaj non ne aveva mai trovata neanche una, non come succedeva con le barrette di cioccolato che Loz disseminava per l'appartamento nella speranza che non se ne abbuffasse prima di cena. Perché quelle riusciva sempre a trovarle.

Loz era riuscito a nascondere, poi, anche le buste nere con il sigillo rosso, quello con su scritto “Shin-ra Electric Power Company” che come Kadaj e Yazoo scoprirono in seguito, non offriva loro un nuovo contratto più conveniente per risparmiare sull'elettricità.

All'inizio fu semplice non accorgersene, anche quando Loz disse di aver trovato un lavoro migliore. D'altronde avevano bisogno di soldi.

Dopo le buste con il sigillo rosso arrivarono anche gli uomini in completo scuro.

Prima una volta ogni due mesi, poi una, poi una settimana sì e una no, poi quasi ogni giorno.

Kadaj ricordava il suono dei loro passi mentre si avvicinavano alla porta dell'appartamento.

Tap tap tap tap tap, il suono di scarpe costose su un pavimento scadente.

E il suono della voce di un uomo dall'altra parte della porta che contava lentamente fino a tre, prima di sfondarla con un calcio, il calore di Loz un attimo prima di spingere Kadaj e Yazoo dietro la sua schiena, lo scintillio della canna della pistola che si puntava alla sua testa.

L'eco dello sparo, il tonfo del corpo di Loz sul pavimento, l'orribile risucchio della moquette che assorbiva il suo sangue.

L'urlo che non gli uscì mai dalle labbra ma che invece straziò il suo cuore, divorandolo, facendolo a brandelli.

E di nuovo la voce dell'uomo. Che gli offriva un'alternativa. Che gli dava tempo. Che voleva risparmiarli. Che non voleva che facessero la stessa fine di Loz. Che volle essere ringraziato.

E...

 

- Kadaj. -

Sbarrò gli occhi nel buio e mise a fuoco Yazoo, il suo bel viso corroso dalla preoccupazione. Avrebbe voluto avere la forza di spianargli le rughe sulle fronte che gli venivano quando aggrottava le sopracciglia in quel modo.

Impiegò diversi istanti per capire che cosa doveva essere successo.

Yazoo gli reggeva entrambi i polsi, fermamente, e lui sentiva di avere in gola del filo spinato.

Doveva aver gridato nel sonno.

- Va tutto bene adesso, Yaz. -

Rantolò. Avrebbe voluto rendersi conto prima di come suonava orribile la sua voce, così avrebbe quanto meno provato a schiarirsi la gola prima di parlare.

Il fratello annuì, ma non lo lasciò ancora andare. I suoi occhi cercarono in lui la bugia che gli aveva appena detto.

Niente andava bene, lo sapevano entrambi.

Però si lasciò convincere, come sempre, e lo liberò dalla presa, lasciandosi cadere nel suo lato del letto.

Kadaj si massaggiò i polsi. Quanto forte doveva aver scalciato e urlato per costringere Yazoo a stringerlo tanto da fargli male?

Ma come avrebbe mai potuto fargliene una colpa?

- Hai avuto di nuovo quell'incubo? -

Provò a chiedere Yazoo, volgendo appena la testa verso di lui.

Tutto ciò che voleva era lenire il suo dolore, gettarlo via e non lasciare in lui altro che l'oblio di nebbiosi ricordi. Se avesse potuto soffrire al suo posto l'avrebbe fatto, cento volte, mille volte.

Ma Kadaj non glielo permetteva, pensando di fargli un favore tenendo per sé quella sofferenza.

- Va tutto bene. -

Ribadì, e accennò persino un sorriso, che però non raggiunse gli occhi. Non raggiungeva mai gli occhi.

- Puoi dirmelo, lo sai. -

- Va tutto bene, Yaz. -

- Kadaj. -

- Va. Tutto. Bene. -

- Perché non vuoi parlarmene? -

- Yazoo sta' zitto. -

- Volevo solo... -

- Sta' zitto, STA' ZITTO. -

Si costrinse ad alzarsi in piedi, pur non sentendosi in grado di poter mantenere la posizione eretta.

Ma non voleva che Yazoo lo vedesse piangere.

- Possiamo parlarne. -

L'ultimo tentativo, lo sapevano entrambi.

Kadaj poteva accettare la mano tesa di Yazoo, la possibilità di condividere il dolore, o continuare a negarsi il sollievo di dimezzarne il peso.

- Ho bisogno di un'altra dose. -

- ...Tenshi. -

Ma barcollava già verso la cucina.

Kadaj avrebbe sopportato gli incubi, se solo non fossero stati tutti sulla morte di Loz.

Anche i sogni in cui erano felici ormai cominciavano a confondersi e oscurarsi, come se qualcuno vi apponesse, notte dopo notte, un filtro di una tonalità d'ombra sempre maggiore, fino a renderli un baratro buio di sofferenza.

Qualsiasi immagine gli ricordava che non aveva fatto abbastanza, che non era stato abbastanza, che si era lasciato viziare da una vita che non si era mai meritato, e che adesso ne pagava le giuste conseguenze.

Perché non aveva mai capito quanto fosse difficile per Loz trovare il modo di andare avanti, perché non aveva capito che quando diceva di non avere fame non era mai sincero, ma si privava di mangiare per loro, perché non aveva capito che se erano sopravvissuti anno, dopo anno, dopo anno fuori dall'orfanotrofio lo dovevano tutto alla coraggiosa forza di volontà di Loz.

Perché.

Non riuscì ad arrivare al tavolo della cucina, perché crollò in lacrime nel tragitto, il piccolo corpo scosso da singhiozzi violenti eppure silenziosi.

Anche adesso che poteva raggiungere Loz aveva paura a farlo.

Bastava così poco, il dolore non sarebbe stato neanche troppo insopportabile.

Bastava fingere di aver sbagliato dose, ad esempio, bastava riempire la siringa quel tanto che serviva per non svegliarsi mai più.

Ma poi Yazoo cosa avrebbe fatto?

Era l'ultima cosa che gli restava al mondo, una colonna in frantumi a cui continuava ad appoggiarsi.

Non poteva essere così egoista da negarsi a lui.

Non poteva essere così egoista da scegliere la morte.

Le lacrime si calmarono solo quando sentì il pungere delicato dell'ago sul braccio. Volse lo sguardo e incontrò gli occhi di Yazoo, un sorriso pallido sulle labbra. Lui premette lo stantuffo fino in fondo, e del dolore di Kadaj rimase solo un'ombra.

L'avrebbe affrontato dopo. E poi dopo ancora, e ancora, e ancora.

 

*

 

L'eco dello sparo risuonava nelle orecchie di Kadaj più forte di quanto non fosse in realtà, forse alimentato da ricordi che per il momento erano solo un lontano martellare alla base del cranio.

L'adrenalina che gli scorreva in corpo inibiva le sue emozioni, seppur la folla gioia della vittoria gli illuminasse gli occhi verdi.

- Guarda quanti soldi! -

Cinguettò, al limite dell'euforia, mentre Yazoo sterzava forse un po' troppo violentemente per svoltare l'angolo.

Le sirene della polizia erano lontane. Yazoo era un buon guidatore.

- Hai idea di quanta roba possiamo comprarci? -

La sua domanda non ebbe risposta, ma sì, sapeva perfettamente quanta roba potevano comprarci. E il solo saperlo gli fece premere il piede fino in fondo sull'acceleratore.

- Ce n'è abbastanza per pagare il debito con la Shin-ra? -

- E poi saremo liberi! -

Rispose Kadaj, come se Yazoo non gli avesse posto una domanda.

Da quanto tempo aspettava quel momento? Da tanto che aveva smesso di pensarci, di sperarci, anche solo di immaginarlo.

Mentre affondava le mani nel sacchetto pieno di banconote, riusciva a scorgere solo un futuro felice.

Se potevano comprarsi la libertà, potevano comprare qualsiasi cosa.

 

Shin-ra Elettric Power Company.

Non avresti saputo trovarla se non avessi saputo dove cercare.

E, di solito, quando la trovavi non tornavi indietro per raccontarlo a qualcuno.

Brutti affari, malavita, donne, droga, armi. Soldi. Un mucchio di soldi. Quelli per cui Loz aveva dovuto vendere la sua anima, e successivamente la sua vita.

Una volta entrati in affari con la Shin-ra, se ne poteva uscire solo in un modo: morti.

E se Loz era riuscito ad uscirne, a rimanerci dentro erano stati Kadaj e Yazoo, perché qualcuno doveva pur pagare il suo debito.

Un prestito, solo quello, per pagare l'affitto, e poi un altro, per le bollette, e un altro ancora, per la spesa.

I soldi non erano mai abbastanza.

Se qualcosa di vagamente vero c'era nel nome della Shin-ra era la sua somiglianza con l'elettricità: veloce, silenziosa, indolore, lasciava dietro di sé i corpi carbonizzati di chi non era riuscito a gestirla.

Kadaj camminava avanti e indietro, consumando il pavimento.

Non c'era più la moquette, né la macchia di sangue torbido che come olio denso e scuro l'aveva impregnata.

I suoi passi sul pavimento facevano ora molto più rumore. Ma non quanto ne faceva la sua mente.

Contava fino a sessanta, aggiungeva un minuto a quelli già contati, e ricominciava daccapo.

Erano passati già 160 minuti da quando aveva cominciato a contare.

Il suo sguardo irrequieto si poggiò su Yazoo, seduto elegantemente al tavolo della cucina, la pisola in grembo. La lucidava, l'accarezzava, ne scrutava ogni profilo in cerca di imperfezioni.

Nessuno di loro sarebbe morto a causa della Shin-ra. Non di nuovo.

I loro sguardi si incrociarono. Non riuscirono a sorridersi, benché volessero farlo.

La tentazione di prendere quel che rimaneva della polvere bianca nel sacchetto e iniettarsela in vena era per Kadaj quasi insostenibile. Avrebbe allentato la tensione, avrebbe sciolto i muscoli, l'avrebbe reso più attivo.

Ma avrebbe fatto comparire Loz.

Non voleva che suo fratello assistesse a quella scena. Si sarebbe arrabbiato.

Poi lo sentì, il rumore di scarpe costose su di un pavimento scadente.

Era arrivato.

Kadaj si volse per guardare Yazoo, che lasciò scattare la sicura della pistola.

Quel “click” voleva dire “Non ci faranno del male stavolta”.

Le scarpe si fermarono davanti alla loro porta, la luce che filtrava da sotto il pavimento permise loro di vedere l'ombra del loro proprietario.

Passò un interminabile secondo, e poi un altro. L'ombra era immobile davanti alla porta.

Poi il bussare di nocche guantate fece eco nell'appartamento.

Kadaj percorse in volo lo spazio che lo separava dalla maniglia.

Era andato ad aprire aspettandosi di trovare l'uomo alto, pelato, dalla carnagione scura che aveva ucciso suo fratello, tanto che il cuore aveva cominciato a battere e battere contro la cassa toracica, mozzandogli il fiato.

Invece si trovò davanti un ragazzo, non più grande di Yazoo probabilmente. Il completo nero che indossava era una presentazione più che sufficiente, così come lo erano gli occhi verde smeraldo, nascosti per metà dalla montatura degli occhiali da sole che scivolano sul naso sottile. Una zazzera di capelli rossi incorniciava il viso dall'incarnato pallido.

Se l'apparenza inganna, Inganno era il suo nome.

La nonchalance con cui infilò una mano nel taschino della giacca per prendere un pacchetto di sigarette per infilarsene una tra le labbra tradiva una sicurezza che non poteva venire solo dalla sua persona.

Nella tempo che il ragazzo impiegò per accendere la sigaretta e tirare la prima boccata Kadaj notò quello che Yazoo gli confermò quando ebbero modo di scambiarsi un'occhiata.

Una pistola alla cintura, insieme con un manganello che doveva essere la meno pericolosa delle sue armi, per essere esposto così. Un'altra pistola sotto la giacca, quasi sicuramente un coltello nel taschino.

Non potevano neanche sperare che fosse da solo. Quelli della Shin-ra non camminavano mai da soli.

- Non mi invitate ad entrare? -

Furono le sue prime parole, inutili, visto che aveva un piede già oltre la soglia, in modo da impedire a Kadaj di richiuderla se fosse stato necessario.

Si sentiva un passo davanti a loro, ma non aveva idea di quanto a fondo vedevano gli occhi dei fratelli.

Kadaj si fece da parte per lasciarlo entrare, e solo quando l'ebbe superato gli chiuse la porta alle spalle. Aveva la comica sensazione di aver sbattuto sul naso la porta al partner del ragazzo. Perché di certo era lì da qualche parte.

Il rosso fece qualche passo, constatò lo stato di disordine della casa, fece una smorfia infantile alla vista della droga sul tavolo, ma poi si ridimensionò: gli bastò appoggiare lo sguardo sulla pistola che, come un gatto, Yazoo teneva sulle gambe e accarezzava incessantemente.

- Bel giocattolo. -

Commentò, serio, al suo indirizzo.
Kadaj conosceva bene l'espressività nascosta nell'inespressività di Yazoo. E sapeva che cosa voleva dire lo sguardo che stava rivolgendo al rosso. Avrebbe quasi voluto ridere.

Quel tipo non sapeva neanche quanto vicino stava andando alla morte apostrofando l'amata pistola di Yazoo con “giocattolo”.

- Possiamo parlare di affari? -

Come Kadaj aveva notato quello sguardo in Yazoo, Yazoo notò la sfumatura eccitata nella voce di Kadaj.

Il rosso tirò una lunga boccata prima di rispondere, l'odore pungente del tabacco saturò per un attimo l'aria e Kadaj pensò a quanto, quanto sarebbe stato arrabbiato Loz. Non solo avevano fatto entrare in casa loro uno della Shin-ra ma gli stavano permettendo persino di fumare.

- Di solito non parlo di affari se prima non mi si è offerto da bere. -

- Non abbiamo niente da bere. -

Ribatté, più freddo, Kadaj. Cominciava ad innervosirlo il modo in cui il ragazzo continuava a guardare lui e Yazoo, rimbalzando lo sguardo come una pallina da flipper dall'uno all'altro, come se stesse valutando chi uccidere per primo e come. Aveva tante armi addosso.

- Niente da bere? Non mi offrite neanche una sedia per sedermi? -

Il tonfo che fece la pistola quando Yazoo la sbatté sul tavolo fece saltare in aria persino Kadaj.

Era un chiaro avvertimento, e se il rosso era più intelligente di quanto sembrava l'avrebbe colto.

- Va bene, parliamo di affari così come siamo. Non è molto professionale, e neanche educato a dirla tutta... - ma Yazoo batté di nuovo la pistola sul tavolo, stavolta a sobbalzare fu solo il rosso - Benissimo, come volete. - tirò una boccata e Kadaj si trattenne dal saltargli al collo quando gli soffiò il fumo in faccia - Immagino ci sia un valido motivo per cui voi abbiate disturbato la Shin-ra. O almeno spero. -

Kadaj poté sentire sulla pelle il bisogno che aveva di Yazoo di sparargli, aprire un foro rotondo e perfetto nella sua fronte, e vederlo cadere all'indietro in un lago di sangue.

- Abbiamo i soldi per saldare il nostro debito. -

Annunciò Kadaj, il petto in fuori, la testa alta, l'orgoglio nella voce. Di questo Loz non sarebbe potuto essere più contento. O quanto meno era quello che sperava.

L'espressione del rosso fu difficile da interpretare persino per loro che erano diventati così bravi a capire i cambiamenti del viso.

Era incredulità?

Sorpresa?

Ammirazione?

Derisione?

Difficile dirlo, ma né Kadaj né Yazoo vollero pensare che era difficile per via del fatto che avevano davanti non una persona qualsiasi, ma un esponente della Shin-ra. Una delle persone responsabili della morte di Loz.

Difficile non era solo tradurre le micro espressioni del suo volto, ma trattenersi dal farlo a pezzi.

Un'altra boccata di fumo, soffiata stavolta di lato, prima di parlare.

- Fatemi vedere. -

Yazoo osservò attentamente il rosso, mentre Kadaj prendeva le due buste piene di banconote. Non lo perse di vista neanche per un istante, e la mano scivolò diverse volte sul grilletto della pistola. Questo perché, ne era sicuro, anche la mano del ragazzo indugiava continuamente verso punto, sotto la giacca, in cui nascondeva la pistola.

Kadaj quasi schiaffò davanti al rosso il denaro, come se per lui non fosse importante. Ma lo era, lo era eccome.

Lui gettò una rapida occhiata al contenuto delle buste, forse provò a contare a modo suo per farsi un'idea generale.

Poi scosse la testa.

Prima Yazoo, poi Kadaj: ad entrambi si strinse lo stomaco in una morsa.

- Non è abbastanza. -

- Come? - incredibile come il tono di voce di Kadaj fosse controllato seppur si poteva sentire nel fondo della sua gola il nascere pericoloso di un ringhio - Abbiamo contato, ci sono tutti. -

- Sì, e gli interessi? Non intendete pagarli? - prima ancora che Yazoo potesse sollevare la pistola e puntarla contro il ragazzo, c'era già la sua di pistola, ferma contro il petto di Kadaj. - Vediamo se ho capito bene. - mormorò divertito il rosso, spuntando a terra quel che restava del mozzicone ormai consumato della sua sigaretta - Scomodate la Shin-ra perché convinti che un mucchio di banconote sporche come queste possano saldare il vostro debito, non avete neanche idea di quanto siano gli interessi da pagare, e tutto ciò per ottenere cosa esattamente? -

- Non vogliamo più lavorare per la Shin-ra. -

Soffiò Kadaj, il veleno di cui era impregnata la sua voce sarebbe stato mortale, come quello di un serpente a sonagli. Ma il rosso ne era immune.

Scoppiò a ridere scuotendo la testa, la pistola sempre puntata verso il suo petto.

Lo sguardo di Yazoo volò dall'uno all'altro. Sarebbe stato più veloce di lui a premere il grilletto, poteva ucciderlo prima che lui uccidesse Kadaj?

Era stato così dannatamente rapido nell'estrarre la pistola. Non se n'era neanche accorto. Stupido.

- Voi non potete volere niente. Siete roba nostra, non l'avete ancora capito? - Kadaj sentì il gelo scorrergli nelle vene, il cuore quasi fermarsi. Deglutì, e a stento riuscì a mantenere quell'espressione decisa. - Non avrete mai abbastanza denaro per “smettere di lavorare per la Shin-ra”. Avete un contratto permanente, e dovreste esserne felici. - vagamente, con la canna della pistola, indicò quello che avevano intorno - Noi paghiamo per questo buco che chiamate casa, noi vi permettiamo di rimanere vivi. E voi cosa pensate di fare? Rapinare un qualche negozio di alimentari come ladruncoli da quattro soldi e convincervi che sia abbastanza? Forse la droga vi ha dato alla testa. - indicò col mento il sottile strato di polvere bianca che ricopriva il tavolo - Ma dimenticavo, la prendete dai nostri spacciatori. Non siete neanche liberi di scegliervi come morire, è esilarante che non riusciate a capirlo. -

Kadaj sentì i muscoli inondarsi di adrenalina, percepì il battito del suo cuore accelerare enormemente, le pupille che si dilatavano come per permettergli di mettere a fuoco ogni più piccolo dettaglio.

Gli occhi del rosso erano piantati su Yazoo, forse perché era lui quello armato e pericolo, forse perché non si era neanche accorto che Kadaj aveva già infilato la mano nella tasca della giacca stringendo l'impugnatura del coltello.

- Sono abbastanza per pagare il debito. - ripeté Kadaj, forse cercando di convincere se stesso più che il rosso - E li prenderai. E te ne andrai di qui. E non tornerai più. -

- Adorabile. - un rapido sguardo. Il ragazzo sapeva che era meglio non distogliere l'attenzione dal fratello armato di pistola. E d'altronde, perché soffermarsi su quella cosa scheletrica e malata che appariva essere Kadaj? - È stato quell'altro, com'è che si chiamava? Loz? È stato Loz a riempirvi di tutte queste ciance il cervello? Vi ha raccontato troppe favole quando eravate piccoli? -

Fu un attimo, giusto il tempo necessario perché il sangue gli andasse alla testa e cominciasse a vederci rosso. Rosso fuoco.

Kadaj scattò in avanti come un gatto nello stesso istante in cui Yazoo si abbassava per ripararsi dietro il tavolo, ora rovesciato. Benché fosse stato veloce, il rosso riuscì comunque a sparare, solo che il suo colpo andò a vuoto, visto che il ragazzino gli afferrò il braccio che reggeva la pistola con una mano, mentre con l'altra gli conficcava il coltello nello stomaco.

Il fiotto di sangue che scaturì dalle sue labbra gli sporcò il viso, ma non si fermò.

Né alla seconda coltellata che gli lacerò il diaframma.

Né alla terza, che perforò lo stomaco.

Né alla quarta, che fu quella mortale.

Né alla quinta.

Né alla sesta.

Settima.

Ottava.

Piangeva, silenziosamente, quando le mani di Yazoo si strinsero intorno ai suoi polsi, impedendogli di affondare il coltello ancora una volta nel corpo martoriato del ragazzo.

La presa sull'arma si fece instabile, per via di tutto il sangue che rendeva l'impugnatura scivolosa, e Kadaj lo lasciò cadere.

Gli occhi sgranati riuscivano a malapena a mettere a fuoco quello che aveva appena fatto.

Ma si sentiva bene.

Si sentiva grandiosamente.

- Dobbiamo andarcene. -

Mormorò a Yazoo, da cui di certo non si aspettava una risposta negativa.

Avrebbe potuto dirgli che prima doveva cambiarsi d'abito, togliersi di dosso i vestiti impregnati di sangue, lavare i capelli argentei che avevano assorbito tutto quel rosso, pulirsi il viso.

Avrebbe potuto dirgli che anche se se ne fossero andati niente e nessuno avrebbe potuto salvarli.

Avrebbe potuto.

Ma non lo fece, perché era certo che lui già lo sapesse.

Non avevano vissuto che in funzione di quel momento.

Quando Kadaj fu in piedi, il coltello insanguinato di nuovo al suo posto nella tasca interna della giacca, Yazoo gli fu subito dietro.

Presero con loro quanti più soldi poterono, e corsero via.

Non avrebbero mai potuto rivedere quella casa, né il ricordo di chi vi era morto. E se da una parte era un sollievo sapere di lasciare lì per sempre lo spirito del ragazzo della Shin-ra, dall'altra era una sofferenza: Loz sarebbe rimasto solo.

Il corridoio che li separava dalla prima rampa di scala sembrava infinito, e già sentivano dei passi all'altro capo, concitati.

Kadaj non avrebbe avuto bisogno di afferrare Yazoo per sapere che era lì, vicino a lui, tanto che il suo respiro gli scompigliava i capelli, ma lo fece comunque. Cercò la sua mano come un conforto, intrecciò le dita alle sue, saldamente.

Qualunque cosa succeda, sembrava dirgli, non ti lascio andare.

Corsero a rotta di collo giù per le scale, saltando i gradini quando potevano, mentre un brusio di voci concitate si accendeva sopra di loro.

Erano già lì, sapevano già che cosa avevano fatto.

Fuori dal palazzo l'aria era statica, carica di elettricità, il sole che si abbassava verso l'orizzonte allungando le ombre, dandogli l'impressione di essere costantemente seguiti.

Il rombo di un motore arrivò chiaro alle loro orecchie, doveva esserci una macchina di grossa cilindrata parcheggiata davanti al palazzo. Una macchina della Shin-ra.

Scivolarono nel vicolo retrostante e continuarono a correre.

Kadaj gocciolava sangue, Yazoo sentiva il cuore stringersi ad ogni passo: quel sangue sarebbe potuto essere suo. Resistette all'impulso di controllare che stesse bene solo perché la ragione gli disse che stava bene, era solo il sangue di quel tirapiedi della Shin-ra, doveva solo farsene una ragione.

Eppure era così difficile.

Svoltato l'angolo, Kadaj sentì le gambe mancargli. In fondo alla strada poté vedere un furgone nero parcheggiato di traverso che bloccava la strada. Non ebbe il tempo di pensare a cosa fare, perché Yazoo aveva già pensato per lui. Lo tirò di lato, imboccando un vicolo largo quel tanto che bastava per permettere solo il passaggio pedonale.

Tirato da Yazoo, Kadaj fu in grado di correre per altri due vicoli. Se si voleva indietro poteva vedere la scia di sangue che si lasciavano dietro ad ogni passo.

- Togliti la giacca. -

Gli intimò, e ancora prima che Kadaj potesse realizzare, Yazoo gliel'aveva già sfilata. La gettò in un cassonetto lì vicino ed entrambi ignorarono lo squish umido di sangue che fece quando si accasciò sul fondo.

Il sangue sulle suole delle loro scarpe si incrostò, rendendo ancor più difficile per i segugi appiedati della Shin-ra il seguirli.

Ma sapevano di essere ancora in pericolo.

Il sole collassava inesorabilmente verso l'orizzonte, in cielo cominciavano a brillare le prime stelle, l'aria si faceva frizzante sulla pelle accaldata dei due che correvano a perdifiato.

Kadaj percorreva con lo sguardo le strade alla ricerca di un posto sicuro dove nascondersi e aspettare che si calmassero le acque. Avevano denaro sufficiente per lasciare la città, ma non potevano farlo subito. La Shin-ra avrebbe fatto in modo di rendere inaccessibile per loro qualsiasi immediata via di fuga.

Quando la mano di Yazoo lasciò la propria si sentì quasi morire. Non ebbe il tempo di chiamarlo, la gola improvvisamente stretta in una morsa di panico.

Ma il fratello si era allontanato solo per...tirare un poderoso pugno ad un motociclista che stava ingenuamente tentando di mettersi il casco e partire con la sua moto. Non poté farlo, dato che crollò a terra come un sacco di patate, il naso spaccato.

Il casco rotolò ai piedi di Yazoo che lo lanciò subito a Kadaj mentre si occupava di far partire il motore e saliva in sella.

Kadaj non se lo fece ripetere, infilò il casco – anche se dentro di sé avrebbe preferito che lo mettesse il fratello – e gli salì subito dietro, le braccia che andarono automaticamente e naturalmente a stringersi intorno alla sua vita.

La moto emise un lento mugghiare prima di prendere vita e partire sfrecciando.

Il vento tra i capelli, la sensazione del corpicino di Kadaj stretto al suo, il vibrare del motore sotto le gambe, la consapevolezza dell'acceleratore che rispondeva ai suoi comandi: per Yazoo significava avere tutto sotto controllo.

Sfrecciò sulla strada principale in contromano, alzando un coro di clacson e insulti che si persero nel vento.

Da qualche parte, dietro di loro, sentiva il ruggito di un veicolo lanciato al loro inseguimento.

Kadaj non osò muovere la testa quel tanto che bastava per sporgersi e vedere se effettivamente c'era qualcuno ad inseguirli, ma lo capì dal modo in cui Yazoo, quasi disperato e all'improvviso, aumentò al massimo la velocità.

Davanti ai suoi occhi la città si confondeva, come se qualcuno avesse volutamente mischiato colori, suoni, forme, rendendo tutto un opaco, sfocato nulla senza contorni. Non avrebbe saputo dire dove si trovavano, ma confidava nella guida del fratello.

Lo stomaco sembrò ruzzolargli nell'addome quando Yazoo frenò di botto e sterzò quasi impennando per voltare bruscamente ad angolo retto in una strada secondaria. Non chiese spiegazioni – e d'altronde con il vento che gli urlava nelle orecchie sarebbe stato difficile non solo chiedere ma anche ottenere risposta – si strinse solo più forte a Yazoo, le braccia che cominciavano a dolergli. Sentiva i suoi lunghi capelli colpire il casco con schiocchi simili a quelli di una frusta e gli diede mentalmente dello stupido: avrebbe dovuto indossarlo lui!

Un'altra brusca sterzata, Kadaj sentì il bisogno di vomitare, e l'avrebbe fatto se solo avesse avuto qualcosa nello stomaco.

Poi la velocità diminuì, Yazoo fermò la moto. Aveva il fiatone e gli occhi rossi per il vento, i capelli spettinati tanto da far sentire a Kadaj il disperato bisogno di avere una spazzola. Non che quando si sfilò il casco fosse messo meglio.

Abbandonarono la moto dietro un cassonetto, dove fosse invisibile dalla strada e ripresero a correre.

Si trovavano in un quartiere industriale in periferia, con capannoni in disuso. Enormi gru si stagliavano contro il cielo, arrugginite e vecchie. Container colorati erano addossati l'uno sull'altro, alcuni erano aperti, offrivano riparo a gatti randagi e barboni.

Tirandosi a vicenda, stanchi, entrarono in quella che doveva essere una fabbrica di un qualche genere, ma sarebbe stato impossibile dire di cosa, i macchinari erano consunti, l'insegna illeggibile, e l'interno pieno di ragnatele e polvere.

Kadaj riuscì a sentire il cuore che rallentava, l'adrenalina che lentamente veniva riassorbita dal suo organismo, la tensione sciogliersi: erano al sicuro.

Incontrò lo sguardo con Yazoo e seppe che pensava la stessa cosa.

Si lasciarono qualche istante per riposarsi, lasciandosi cadere seduti contro una delle pareti corrose dall'umidità.

Avevano ancora il fiatone, come se non ci fosse abbastanza aria per poter respirare normalmente.

- Domani - cominciò Kadaj, fissando un punto vuoto davanti a sé - riprenderemo la moto e ce ne andremo, il più lontano possibile. Non ci troveranno mai. -

- Mai. -

Ripeté Yazoo, un mezzo sorriso sulle labbra pallide.

Kadaj lo guardò, le sopracciglia corrugate. Era così pallido.

- Yazoo... -

Il fratello volse la testa pian piano, ancora quel sorriso sulle labbra. Si teneva una mano sul fianco.

Fu come se all'improvviso gli avessero afferrato il cuore e stritolato in una morsa.

Tremava quando allontanò la mano di Yazoo e vide il sangue. Gli abbassò delicatamente la zip, e quasi sobbalzò quando lo vide fare una smorfia di dolore.

Sangue. Troppo sangue. Usciva dal foro di un proiettile che gli aveva colpito il fianco.

- Quando... -

Soffiò Kadaj, così piano che quasi stentò a sentirsi lui stesso.

Yazoo scosse la testa.

Aveva importanza?

Realizzò che doveva essere stato quando aveva fatto quella brutta frenata. Per via del casco e del vento non aveva minimamente sentito lo sparo, né tanto meno Yazoo gli aveva dato modo di accorgersene, e in più la giacca aveva tamponato il sangue senza assorbirlo.

Le lacrime cominciarono a rigargli il volto, così all'improvviso che per un attimo gli si offuscò la vista.

Provò a fermare il sangue con le mani, schiacciando forte, pur vedendo che il fratello stringeva i denti per il dolore.

- Andrà tutto bene Kadaj. - mormorò Yazoo, sempre più pallido, sempre più assente - Dobbiamo solo nasconderci qui per stanotte, domani ce ne andremo. -

- Non dirmi stronzate! - urlò lui, la voce che era un isterico picco di panico e dolore - Devo portarti all'ospedale, subito! -

- Io non penso che voi andrete da nessuna parte, né oggi, né domani. -

Kadaj provò una strana sensazione di annullamento quando alzò gli occhi e si ritrovò puntata contro la canna di una pistola.

Si sentiva già morto, quindi perché doveva fingere di avere paura, fingere di essere sorpreso, fingere e basta?

Non alzò neanche le mani, rimase concentrato sul tamponare la ferita di Yazoo.

Il ragazzo che aveva di fronte era indubbiamente un membro della Shin-ra. Anche se non indossava la tipica tenuta giacca nera, camicia bianca, e pantaloni altrettanto neri, era chiaro che lo fosse.

Chi altri poteva averli seguiti fin lì?

Negli occhi di Yazoo lesse per un attimo un senso di colpa che si affrettò subito a zittire con uno sguardo.

Non è colpa tua se ci ha trovati dicevano i suoi grandi, ludici occhi verdi.

- Sapete qual è il colmo? - chiese il ragazzo. Era biondo, occhi blu, un viso angelico eppur senza espressioni - Che forse se non aveste ucciso Reno non sarebbe stato necessario arrivare a tanto. Avreste potuto continuare a lavorare per la Shin-ra e rimanere vivi. -

Kadaj non rispose in altro modo se non con uno sguardo astioso.

Sotto le sue mani il sangue caldo di Yazoo continuava a sgorgare, e lui respirava a singhiozzi. Come avrebbe voluto potersi alzare e fare da scudo al fratello. Come avrebbe voluto poterlo difendere fino alla fine.

Chiuse gli occhi, sperando di non dover essere costretto a vedere morire Kadaj. Non l'avrebbe sopportato, sarebbe impazzito.

Quando sentì il click del grilletto e lo scoppio del proiettile, seppe subito chi dei due sarebbe caduto.

Kadaj gli aveva sfilato la pistola dalla cintura e aveva sparato, colpendo il ragazzo biondo al braccio.

Sentì il suo strillare sorpreso, e nel secondo di troppo che le mani di Kadaj, inesperte con le armi da fuoco, impiegarono per caricare un altro colpo, la sua pistola sparò. E non mancò il bersaglio.

Fu strano, perché non sentì alcun dolore. Avvertì solo quella calda, umida sensazione di stare perdendo sangue, la maglia che cominciava ad impregnarsi. Così fastidioso.

Le forze gli mancarono e lascio cadere la pistola di Yazoo, mentre una mano corse al proprio petto, studiando, toccando, osservando il foro rotondo sulla maglia.

Ad ogni battito del cuore corrispondeva un fiotto di sangue. Ma ancora, nessun dolore.

Alzò gli occhi sul ragazzo che ancora teneva la pistola puntata contro di lui come a chiedergli perché, perché morire non faceva male.

E fu allora che lo vide.

Loz, in piedi accanto al biondo. Le braccia incrociate e lo sguardo quasi rassegnato, come se li avesse scoperti a combinare qualche pasticcio e fosse ormai troppo tardi per rimediare.

Gli si fece vicino, passando oltre il ragazzo con la pistola che sembrava non solo non accorgersi di nulla, ma persino immobilizzato, bloccato nel tempo e nello spazio nel momento in cui aveva fatto fuoco.

Solo in quel momento Kadaj poté sentire, chiari e forti, i passi di Loz sul pavimento, come mai li aveva sentiti prima d'ora.

Cercò Yazoo con lo sguardo, sebbene gli fosse difficile distogliere l'attenzione dal fratello maggiore, e lo scoprì intento a guardare la stessa scena, un'espressione sorpresa sul volto.

- Non posso lasciarvi soli un attimo, mh. -

Era la sua voce, la sua voce calda, rotonda, accogliente come il suo abbraccio. Profonda e gentile, vibrante di mille sfumature di affetto e amore. Quella voce che avevano smesso di sentire e che stava diventando impossibile da ricordare adesso era chiara alle loro orecchie.

Loz gli si accucciò davanti e offrì loro le mani.

Per un attimo, Kadaj e Yazoo rimasero immobili a guardarlo con occhi spauriti, ma lui non si mosse, non finché il minore non gli ebbe preso la mano.

Poté toccarla, e stringerla, e lui ricambiò quella stretta.

Stupito, con le labbra spalancare in una “o” quanto di sorpresa quanto di assurda felicità, guardò Yazoo come intimandogli di fare lo stesso.

Anche lui poté stringere la mano che Loz gli tendeva, e all'improvviso tutti i ricordi che aveva perso tornarono vividi in lui, insieme con il calore e quella mano emanava.

Loz li tirò in piedi a forza solo per stringerli in un abbraccio, le due testoline argentee schiacciate contro il suo petto.

Kadaj sentì il battere del suo cuore, l'aria che soffiava nei suoi polmoni, persino lo scorrere del sangue. Lo sentì vivere, come quando la notte si addormentava stretto a lui, cullato dal ritmo del suo sonno.

E lo stesso Yazoo, che a malapena riusciva a crederci.

- Andiamo? -

Chiese Loz, allontanandoli quel tanto che bastava per poterli guardare negli occhi.

- Dove? -

La voce di Yazoo, flebile, rotta da lacrime che non si era accorto di stare versando.

- Dove vogliamo. Siamo liberi adesso. -

- Mi piacerebbe mangiare un gelato. - mormorò Kadaj, gli occhioni grandi e dolci rivolti al fratello maggiore - Possiamo? -

- Tutto quello che vuoi, Kaddie. -

Gli appoggiò un bacio sulla fronte e Kadaj poté sentirlo, poté sentire tutto, poté sentire le sue labbra appena umide sulla pelle, poté sentire il calore sulla sua fronte, poté sentire l'amore nascosto dietro quel gesto. Poté sentire tutto.

Si allontanarono senza voltarsi indietro, stretti l'uno all'altro come parte di unico essere, lasciandosi alle spalle gli involucri vuoti di quello che erano stati in vita.

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The Corner

Eccoci qua, 
un nuovo intruglo sentimentale a tema Advent Children.
Non so se arrivati a questo punto qualcuno leggerà il mio angolino,
ma penso che sai che, come sempre,
questa roba è per te.
Spero che sia buona abbastanza, hai troppe aspettative per il mio lavoro!
La dedico anche all'altro mio fratello, quello scemo che non c'è mai.
Vi voglio bene,

Chii

   
 
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