Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Sylphs    26/01/2016    3 recensioni
"Quando le aveva porto gentilmente la mano per aiutarla a rialzarsi, lei non l’aveva presa subito, era rimasta un attimo con la propria a mezz’aria, guardandolo dritto negli occhi in un modo che gli aveva smosso qualcosa dentro, un modo innocente e curioso allo stesso tempo, desideroso non di indagare il suo interlocutore, ma di stabilire con lui un contatto diretto, senza veli; nessuno lo aveva mai guardato così nel suo regno, e aveva compreso subito che giocare secondo quelle regole sarebbe stato un rischio, ma si era detto che, da un’altra parte, era anche una sfida nuova ed eccitante, un sistema per mettersi alla prova, e non vi si era sottratto, aveva ricambiato lo sguardo di lei sorridendole a sua volta, chiedendosi quanto sarebbe riuscita a reggere il confronto, quasi avido di adeguarsi a degli schemi a cui non era abituato.
Sarà in grado di riconoscere cosa sono davvero? O riuscirò comunque ad ingannarla, anche con gli occhi?"
E se Hans si fosse realmente innamorato di Anna? Finale a sorpresa!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna, Hans
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A tale of liars
 
 
 
 
 
Hans aveva avuto sempre delle difficoltà a prendere sonno. Nelle Isole del Sud, l’ampia camerata che condivideva con i suoi fratelli era troppo affollata e rumorosa per permettergli di riposare in pace, c’erano sempre grida, passi in corsa sul legno del pavimento, richiami, domande, risate, pianti, e il più delle volte i principi che gli erano maggiormente vicini di età architettavano qualche scherzo ai suoi danni – se si ricordavano della sua esistenza, dettaglio non trascurabile – da cui doveva guardarsi. Trascorreva le notti sdraiato rigido sul suo letto, il più piccolo e modesto – all’ultimo arrivato spettavano immancabilmente gli scarti – ascoltando i mormorii e il russare dei fratelli profondamente addormentati e fissando il paesaggio fuori dalle finestre, fantasticando su un futuro in cui non sarebbe stato più il fratellino minore, bonariamente preso in giro dagli altri ragazzi e ignorato dai genitori, reso erede della fetta più piccola e meno rigogliosa del suo regno e destinato a trascorrere la sua esistenza in un maniero di umile foggia, con una sposa non particolarmente altolocata, ma una figura di spicco idolatrata dalle masse e apprezzata dai suoi parigrado, il sovrano di vaste terre, con un lussuoso castello, stuoli di domestici sottomessi, una splendida moglie e un potere pressoché illimitato che gli garantisse quella notorietà che non aveva mai avuto nella sua prima giovinezza.
Aveva iniziato a fare piani per conquistare quel potere proprio la notte, quando era sicuro che nessuno sarebbe venuto a disturbarlo e a carpirgli i suoi segreti, quando il buio lo proteggeva e poteva smettere di recitare la parte del piccolo e ingenuo Hans, il ragazzino che i fratelli maggiori non avevano ragione di temere perché totalmente privo di ambizione e che quindi godeva di una sicurezza completa. All’insaputa loro e di tutto il suo regno, aveva in principio valutato l’idea di mettere astutamente i suoi fratelli l’uno contro l’altro, seminando zizzania e discordia, e di scatenare una faida sanguinosa che li portasse ad uccidersi a vicenda, ma dopo aver curato i particolari del piano aveva deciso di scartarlo, perché troppo precario. Con dodici pretendenti al trono sarebbe dovuta avvenire una vera e propria strage perché proprio lui, il tredicesimo, se lo aggiudicasse, e non era detto che tutti i suoi fratelli si sarebbero lasciati condizionare. Per quanto desiderasse il dominio sulle Isole del Sud, era una meta troppo irraggiungibile e irta di pericoli perché la sua mente calcolatrice potesse correre il rischio di ottenerla. Così aveva diretto la propria attenzione sui regni confinanti, passando intere nottate sveglio a disegnarsi nella mente mappe e a ricordare ogni singola famiglia reale alleata della sua. C’era un unico modo per salire su un trono straniero, ed era sposarne l’erede.
Hans era consapevole di essere un giovanotto prestante, di buone maniere e con numerosi talenti, dunque appetibile agli occhi di una qualsiasi principessa, ma durante le sue veglie non avrebbe mai, mai supposto che avrebbe finito, nella maniera più incauta, controproducente e sciocca, per innamorarsi della sua preda.
 
Aveva urtato, con una goffaggine che a tratti inteneriva, contro il suo cavallo, e quando Hans l’aveva vista giacere a gambe all’aria sul fondo della barca, con un’alga tra i capelli e le guance infiammate dall’imbarazzo, benché fosse abbigliata di un vestito pregevole, aveva pensato che fosse tutto fuorché una principessa, anzi, LA principessa, quella che stava cercando e per cui era venuto all’incoronazione di Elsa. L’aveva presa per un’invitata tra le tante, forse la figlia cadetta di qualche nobile, e qualcosa nel suo impaccio, nella sua espressione sveglia e ingenua allo stesso tempo, nei suoi occhi azzurri che brillavano di una gaiezza quasi infantile, lo aveva fatto sorridere dentro di sé di un misto di beffardo sarcasmo e di strana amarezza. Sul volto grazioso della fanciulla si leggeva una sincerità assoluta, un’ansia di vivere senza il minimo freno, il minimo sotterfugio, che a lui, cresciuto in una famiglia dove ci si contendeva il potere come un branco di cani si contende un osso e dove aveva dovuto fingersi sciocco per non essere insidiato, era totalmente estranea, e che da una parte gli provocava del superiore disprezzo, dall’altra quasi un senso di dolcezza, di protezione.
In ogni caso si era affrettato a scusarsi per l’incidente, come volevano le regole del galateo, e la ragazza aveva confermato le sue impressioni rispondendo quasi a balbettii, visibilmente a disagio per la figura fatta e di fronte alla sua avvenenza – Hans non aveva mai avuto problemi a riconoscerla, non gli importava particolarmente di essere bello, ma un’apparenza gradevole tornava utile ai suoi piani di conquista – addossandosi tutta la colpa dell’accaduto. Quando le aveva porto gentilmente la mano per aiutarla a rialzarsi, lei non l’aveva presa subito, era rimasta un attimo con la propria a mezz’aria, guardandolo dritto negli occhi in un modo che gli aveva smosso qualcosa dentro, un modo innocente e curioso allo stesso tempo, desideroso non di indagare il suo interlocutore, ma di stabilire con lui un contatto diretto, senza veli; nessuno lo aveva mai guardato così nel suo regno, e aveva compreso subito che giocare secondo quelle regole sarebbe stato un rischio, ma si era detto che, da un’altra parte, era anche una sfida nuova ed eccitante, un sistema per mettersi alla prova, e non vi si era sottratto, aveva ricambiato lo sguardo di lei sorridendole a sua volta, chiedendosi quanto sarebbe riuscita a reggere il confronto, quasi avido di adeguarsi a degli schemi a cui non era abituato.
Sarà in grado di riconoscere cosa sono davvero? O riuscirò comunque ad ingannarla, anche con gli occhi?
Se la fanciulla lo aveva guardato con ammirazione e curiosità, come per cercare di accettare la sua presenza, di metabolizzare che fosse reale, Hans al contrario l’aveva studiata letteralmente, con il suo animo da predatore, mentre le prendeva infine la mano morbida e calda, affusolata ma energica, e la tirava su. Era molto giovane, non doveva avere più di diciotto anni, e il verde dell’abito, cucito secondo l’uso di Arendelle – dunque veniva proprio da quel regno! – si sposava alla perfezione con la carnagione rosata, cosparsa di lentiggini sulle spalle, le guance e il naso all’insù, e i capelli rossi, raccolti sulla nuca da un nastro di seta. I lineamenti erano piacevoli e delicati, il viso tondo e ben colorito ricordava quello di una bambina, una bambina furbetta e un po’ birichina che tuttavia non aveva nulla di ambiguo. Avrebbe dovuto lasciarle andare subito la mano per non risultare sfacciato, eppure l’aveva trattenuta più del dovuto nella sua, forse scioccamente catturato da quell’esame sincero e diretto in cui qualsivoglia norma sociale sembrava troppo artificiosa, e quando si era ricordato del protocollo era stato sorprendentemente fastidioso staccarsi ed eseguire la riverenza.
“Principe Hans delle Isole del Sud”.
“Oh!” lei aveva avuto un lieve, tenero sussulto, e si era affrettata ad inchinarsi a sua volta, ma senza un’oncia della grazia che Hans aveva visto in sua madre e nelle altre dame di corte “Principessa Anna, di Arendelle”.
Questo lo aveva colto di sorpresa, cosa che non succedeva spesso. Quella, la principessa? Com’era possibile? Come poteva una creatura del genere, limpida, goffa e poco avvezza a trattare coi giovanotti, essere una reale, nata e cresciuta in un palazzo dove obbligatoriamente spadroneggiavano giochi di potere, rivalità e segreti, che tuttavia non sembravano averla minimamente sfiorata? Forse un tempo era stato come lei, nella sua infanzia, innocente e pronto a sorridere mostrando tutti i denti a chiunque incontrasse, ma ci avevano pensato i suoi fratelli e i suoi genitori, la loro indifferenza, la loro sottovalutazione, a farlo riprendere, a ficcargli in testa che, di quel passo, se avesse sorriso troppo alla vita, la vita gli avrebbe rotto tutti i denti. Invece quella fanciulla, pur essendo quasi una donna, era riuscita a mantenere intatta la sua purezza? Forse fingeva, come lui? Indossava una maschera che celava un volto ben più segnato, ambizioso e marcio?
Se sì, è l’attrice migliore che abbia incontrato, e un’avversaria pericolosa per i miei piani.
“Mi scuso per aver urtato la principessa di Arendelle col mio cavallo… e per ciò che è successo da allora” aveva detto, riferendosi al momento in cui, perdendo entrambi l’equilibrio, se l’era ritrovata fra le braccia, più formale, cercando di sondarla cautamente e senza scoprirsi troppo, di spingerla a rivelare la sua vera natura.
“Oh, no, no, no, non fa niente!” aveva però ribattuto di slancio la principessa Anna, lasciando andare le parole di getto, come se non avesse aspettato altro che di poter parlare con qualcuno, a prescindere da chi egli fosse, da cosa volesse, da quali fossero i suoi scopi “Non sono quel tipo di principessa, se avessi urtato mia sorella Elsa sarebbe stato un oh, mamma! Ma per tua fortuna… sono soltanto io” aveva concluso con semplicità.
Era davvero, ciò che sembrava? Davvero non stava recitando, ed era a tal punto ingenua? A tal punto inconsapevole del proprio rango, delle proprie possibilità? Se era chi diceva di essere, a frapporsi tra lei e il trono aveva una sola sorella… eppure si minimizzava, si auto proclamava la più innocua e meno temibile delle due, con completa umiltà?
“Solo tu?” non era riuscito a nascondere la perplessità – anche se aveva occultato la punta di sgomento biasimo che provava – e l’aveva di nuovo fissata dritto negli occhi azzurri, correndo un rischio, sì, ma divorato da una troppo forte curiosità per impedirselo.
Nei suoi occhi non c’era menzogna, solo luce, una luce ampia e priva di ombre, come un lago su cui si specchiava il riflesso del sole. Più Hans cercava di andare a fondo, più sprofondava in quel bagliore che lo lasciava senza parole. Era venuto lì con lo scopo preciso di ottenere la mano di una delle due principesse, di avere il lussureggiante Arendelle – meglio se la maggiore, ma gli era stato detto che era una donna chiusa e fredda, quasi impossibile da avvicinare – eppure si era preparato a dover sostenere una lotta estenuante, di avere a che fare con fanciulle coperte di corteggiatori e bene avvezze alle bugie e alle tecniche di seduzione, che avrebbe dovuto penare e sudare per catturarne l’attenzione.
Quella davanti a lui, invece, era una ragazza che lo osservava come se fosse stato la personificazione dei suoi sogni, con un sorriso perso e trasognato, inconsapevole del mondo circostante, una ragazza che gli era crollata tra le braccia, metaforicamente e letteralmente, senza che lui avesse dovuto fare nulla, che sembrava non volere potere, gloria o ricchezza, ma solo amore e considerazione – proprio come lui da piccolo, prima di divenire amareggiato – e ciò lo obbligava a rivedere completamente le sue prospettive e i suoi progetti.
E persisteva il dubbio, assillante.
Sta mentendo? Deve stare mentendo.
 
Disteso tra le coltri, Hans ripensava alle varie fasi del ballo che si era tenuto dopo l’incoronazione, a come si fosse sentito fastidiosamente teso nell’aggiustarsi la giubba e nel fare il suo ingresso nell’ampio salone decorato con ghirlande floreali e stucchi dorati, dove coppie di nobili volteggiavano sul parquet in una nuvola di seta e di chiffon. Aveva, nel corso della precedente cerimonia, incrociato per un istante lo sguardo di Anna mentre il Gran Sacerdote posava la corona sul capo della sorella, proprio quando il suo vicino di panca gli russava sulla spalla, e gli era bastato assecondare l’istinto, salutarla con una smorfia buffa, perché lei ridacchiasse sotto i baffi, genuinamente divertita.
Aveva cercato di studiarla meglio, di comprendere se la sua era messinscena o verità, e più si rendeva conto che gli atteggiamenti della principessa erano sinceri, più aumentavano in lui stupore e irritazione, dati dall’incomprensione e dall’incredulità. Se Elsa, al suo fianco, era come una statua di ghiaccio, altera e inavvicinabile, irreale, Anna era calda di vita e di gioia, quasi incauta nel suo offrirsi completamente al mondo, senza barriere a proteggerla, un rifugio tiepido e sicuro da cui non ti saresti aspettato trappole o tradimenti, un’isola di colori in una distesa di ghiaccio acuminato. E come potevi ingannare, la verità? Come potevi convincerla del falso?
Semplice: offrendole a tua volta piccole perle di verità.
Questo aveva fatto quando era riuscito a rubarle un valzer, e poi un altro e un altro ancora, e conducendola in giardino senza che lei protestasse minimamente, fiduciosa in un estraneo dal volto affascinante e dalle maniere suadenti e nelle sue ignote intenzioni. Era stato se stesso. Non c’era stato bisogno di vanterie, infiorettature, arti seduttive. Anna apprezzava i lati piatti e talvolta imbarazzanti della realtà, ci si identificava, ne partecipava con entusiasmo, la facevano ridere. Le bastava narrarle un aneddoto divertente del suo passato, essere tanto pazzo da confidarle l’inadeguatezza con cui aveva vissuto da tredicesimo fratello, perché la benevolenza nel suo sguardo e nel suo sorriso aumentasse, facendolo per contro sentire strano, quasi sporco, ad utilizzare la verità ai fini di un inganno, a confessarsi e accogliere le confessioni di quell’anima energica e infantile, ripudiata da una sorella troppo rigida, sola in un castello polveroso dove nessuno era stato in grado di capirla, desiderosa di una persona che le stesse a fianco, scherzasse con lei, la facesse sentire importante, per poi usarla come mezzo per ottenere il potere.
Ma una cosa non escludeva l’altra.
Lentamente, mentre si lasciava guidare da Anna, dalla sua mano calda e fremente di vita, negli angoli più nascosti e impensati del giardino, mentre le sorrideva e le parlava come se fosse tornato piccolo e innocente, non sapendo più se la sua allegria fosse vera o simulata, aveva cominciato ben presto a prendere piede nella sua mente un nuovo piano: se avesse sposato la ragazza, il prima possibile, approfittando della sua sete d’amore, se l’avesse resa la propria compagna di vita…
… se la proteggessi, la facessi sentire meno sola, ascoltassi le sue chiacchiere interminabili, la sorreggessi tutte le volte che inciampa, la aiutassi ad ottenere ciò che merita e che tuttavia non vuole perché troppo modesta, se la rendessi brillante e fiera…
… avrebbe potuto architettare un incidente mortale per la sorella, orchestrato in modo tale da rimanere fuori da ogni sospetto, e poi salire al trono come re di Arendelle con Anna a fianco come regina, e governare al suo fianco fino alla morte. Avrebbe regalato ad entrambi la felicità: Anna avrebbe vissuto nell’amore di un consorte, e lui…
… anche…
… avrebbe avuto il potere che desiderava più di ogni altra cosa. Il potere, il lusso, una creatura delicata e spumeggiante che lo avrebbe sempre guardato con ammirazione e affetto. Tutto sarebbe andato secondo i piani.
Se solo Elsa, che a differenza della sorella era avvezza al sotterfugio e all’inganno, non fosse stata anche più brava di lui a serbare un enorme segreto di cui non avrebbe mai sospettato l’esistenza, e che in qualche modo le sue azioni avrebbero portato alla luce.
“Posso dire una follia?” si era inginocchiato, tenendo con delicatezza la mano morbida di Anna, intenerito alla vista dello stupore e della gioia che le scoppiettavano nelle pupille, e aveva aggiunto: “Vuoi sposarmi?”
La bocca di lei si era dischiusa, gli occhi spalancati e fatti di gran lunga più grandi e intensi – bellissimi – e le piccole dita si erano serrate sulla sua mano in una presa convulsa ed emozionata: “Posso dire una follia ancora più folle? Sì!”
 
“No…”
Anna aveva perso tutta l’ingenua contentezza che l’aveva pervasa da quando Hans l’aveva urtata col cavallo: giaceva sulla riva del fiordo come un fiore calpestato, tremante di freddo ma troppo presa dalla figura lontana di Elsa per prestare attenzione ai suoi bisogni, e il principe delle Isole del Sud si era affrettato a coprirla delicatamente con la sua giacca, sopportando a denti stretti le folate di quell’innaturale vento artico che gli frustavano le guance.
“Ehi” sussurrò alla ragazza, ma lei pareva non ascoltarlo, affondava le dita nella neve sorta da così poco tempo e teneva il capo chino, oppressa da quanto appena successo. Hans non era mai stato empatico e non aveva mai reagito con benevolenza alla sofferenza degli altri, al contrario, se quella sofferenza significava benefici per lui era ben lieto di contemplarla, ma per qualche ragione vedere Anna in quelle condizioni, sapere che era bastato il rifiuto di quel mostro a distruggere i suoi progetti e la felicità di lei, lo faceva ardere da una mescolanza di rabbia e odio. Se Elsa non si fosse opposta al matrimonio, se non avesse messo loro i bastoni tra le ruote, avrebbe già avuto la corona in tasca e Anna il sorriso sulle labbra.
“Ehi” ripeté piano, attirandola a sé e facendole poggiare il capo sul proprio petto: “Ehi, tranquilla. Andrà tutto bene”.
Parlò dolcemente senza impostare la propria voce, gli venne istintivo, perché lei era così piccola, triste e piena di rimorso, così pentita di aver scatenato la sorella, da destargli nel petto una morsa atroce e nella gola un nodo molto stretto.
“No…” ancora con il viso rivolto al fiordo ormai ghiacciato e frustato dal vento nevoso, dove la sagoma della regina di Arendelle era svanita, Anna scuoteva la testa come un automa, a scatti “No… lei è andata via… per colpa mia…”
“Anna” Hans le prese la faccia tra le mani e la costrinse a guardarlo, incrociando con risolutezza i suoi lucidi occhi azzurri, sinceri anche nella tristezza e nel dolore, che lo colpirono come un pugno allo stomaco ma a cui non si sottrasse, tra loro ormai era così, occhi negli occhi, senza alcun velo; e fu colto dalla sensazione eccitante e terrorizzante che la sua pelle e le sue ossa erano tanto delicate, e che era come una farfalla posata sul palmo della mano, che avrebbe potuto schiacciare solo stringendo le dita. “Anna, non dire sciocchezze. Tu non hai alcuna colpa. Hai capito? Cercavi solo di farle capire come ti sentivi, quanto era importante per te costruirti un futuro da sola. Non potevi sapere che sarebbe successo questo. Sei una vittima. D’accordo?”
Lacrime empirono quegli occhi limpidi, lei sbatté le ciglia per cercare di trattenerle, ma annuì e trasse un profondo sospiro.
“A… andiamo” mormorò con voce malferma “Torniamo a palazzo, vediamo com’è la situazione lì”.
Hans non discusse e la aiutò ad alzarsi in piedi, sostenendola e lasciandole addosso la sua giacca. La stringeva quasi con possessività, perché lei non era della sorella, anche se la sorella ne aveva rimarcato il possesso, era sua. Sua, e l’avrebbe avuta, a qualunque costo, avrebbe avuto lei e il trono. Forse era un bene che Elsa si fosse tolta di mezzo, forse no… del resto si era lasciata dietro un inverno perenne che avrebbe trasformato Arendelle in una landa impoverita e destinata al caos, tutt’altro che appetibile… ma una cosa era certa, Anna, la sua preda, la sua protetta, non l’avrebbe ceduta tanto facilmente.
 
Forse avrebbe dovuto seguirla, quando aveva decretato, con quella risolutezza testarda che la caratterizzava, che sarebbe andata in cerca della sorella. Era deciso a farlo, ma quando lo aveva nominato reggente di Arendelle su due piedi, senza pensarci due volte – incauta, incauta – non era riuscito a resistere alla tentazione. Di assaporare finalmente il potere e la sensazione di essere il primo e il più in alto, non il tredicesimo, l’invisibile, l’ultimo arrivato. Se l’avesse seguita, non avrebbe perso un’occasione imperdibile? Lei non avrebbe scelto, a quel punto, un altro sovrano provvisorio – magari quel laido e ridicolo duca di Weselton – che se ne sarebbe approfittato e avrebbe scavalcato lui? Non poteva rinunciare a quel regalo inaspettato, solo per… cosa? Accompagnare una sciocca ingenua in un’impresa suicida? Viaggiare nel gelo e nelle intemperie, su montagne troppo alte e troppo ripide, col rischio di precipitare in un crepaccio o essere divorato dai lupi?
Saresti un pazzo, come lei.
Così era rimasto. Era rimasto e l’aveva vista galoppare via in un turbine di zolle di neve, con nient’altro che un mantello e il suo coraggio, fino a svanire, ed era stato… insopportabile. Non era preparato alla stretta alle viscere, alla paura paralizzante e alla rabbia di non poterla trattenere e vincolare a sé, tenere al sicuro, di vederla scegliere la sorella e avviarsi incontro a morte certa senza poter fare niente.
Aveva realizzato, mentre cercava di interpretare il pietoso e buon sovrano e intanto non riusciva a smettere di pensare a dove potesse essere la principessa e a cosa le fosse accaduto, che non desiderava più solo il potere… ma anche lei. Anche la coraggiosa, ingenua, vivace, birichina Anna. E che non era disposto a rinunciare a nessuno dei due.
Così era partito, mettendosi volontariamente in pericolo mortale. Per riprendersi parte della ricompensa.
 
Aveva sentito le voci durante la notte, qualche ora prima che il sole nascente infiammasse il paesaggio innevato e apparissero le guglie scintillanti del palazzo di Elsa. Cavalcava sulle montagne con gli uomini che il duca di Weselton gli aveva messo alle calcagna, probabilmente per eliminare la regina – ma Hans non glielo avrebbe permesso, era lui che doveva avere in pugno la sorte delle due reali di Arendelle – e quei mormorii noti e vivaci lo avevano paralizzato sul posto, gli avevano rimescolato il sangue nelle vene.
Anna!
Lei era lì! Era vicina, di nuovo vicina, e parlava, e questo… questo gli scatenava dentro emozioni che non conosceva e che non avrebbe saputo esprimere. Si guardò freneticamente intorno, mentre i suoi compagni proseguivano ignari la marcia, e la vide, sotto ad un piccolo burrone che stava costeggiando, in una vallata coperta di neve. Anche se era lontana e abbigliata di una mantella viola che non aveva addosso al momento della partenza, la riconobbe con un solo colpo d’occhio, la figura snella e goffa, che camminava sbandando e ondeggiando, gli era rimasta impressa a fuoco nelle retine.
È lei. L’ho trovata. L’ho trovata e non la lascerò mai più.
Ma poi una consapevolezza bruciante come acido lo aveva sommerso, spegnendo l’esaltazione e il trionfo.
Perché Anna non era sola.
C’era un uomo con lei.
Un montanaro, o almeno così sembrava dagli abiti rozzi e imbottiti, con una renna sellata a fianco, che le camminava fin troppo vicino, le sfiorava il gomito e si protendeva su di lei per parlarle, in toni che ad Hans sembravano insostenibilmente intimi. E lei non si scansava, non rifiutava quell’indegna prossimità, al contrario, gli pareva che sorridesse e che assecondasse quello sconosciuto, con lo stesso entusiasmo con cui aveva trattato lui.
Lo stomaco, il palato, gli avevano bruciato di bile, le mani si erano strette in due pugni ferrei, tanto che le unghie erano affondate nella carne. Era stato come quando credeva di essere importante per i suoi fratelli, ma loro lo rimandavano al mittente con indifferenza, la stessa insopportabile umiliazione, la consapevolezza che, benché adulto e smaliziato, benché furbo, si fosse lasciato ingannare da due occhi dolci e da un sorriso allegro, che fosse bastato così poco a ridurlo all’impotenza.
Pensavi davvero che fosse sincera, aliena ai sotterfugi, sincera, intoccata dai giochi di potere in cui tu eri immerso fino al collo? Che ti considerasse il suo cavaliere, la sua salvezza? Guardala… lo stesso teatrino con cui ti ha fregato, replicato uguale per un pezzente qualunque! Pezzente che sicuramente ha raccattato per essere difesa e scortata… e tu che sei venuto fin qui, invece di rimanere nel regno che ti aveva messo tra le mani, che hai affrontato il falso inverno per riprenderla… patetico.
Un odio sanguinoso, assoluto, atavico lo aveva fagocitato, spegnendo il tiepido sentimento che Anna gli aveva acceso dentro, un odio che cresceva nella vista della ragazza che rideva e scherzava con quell’inutile essere, inconsapevole del suo sguardo.
Lo aveva ingannato. Da preda si era trasformata in predatrice, ed era stata tanto abile da risultargli realmente pura, genuina. Credeva di essere l’unico mostro, lì, invece avevano giocato in due allo stesso gioco. E forse Anna era persino in vantaggio, perché lui era lì, con pochi foschi bravi, alla sua ricerca, mentre lei passeggiava serenamente nella neve con un altro uomo, magari proponendogli le stesse lusinghe e confessioni che lo avevano sciolto.
Ma non importa… non importa. Anzi, è meglio così. Se lei è una strega, una bugiarda, lo sarò ancora di più, le toglierò tutto ciò che ama. Prenderò la sua adorata sorella, la costringerò a mandare via l’inverno dal mio regno e poi farò in modo che muoia davanti ai suoi occhi, che la veda soffrire e agonizzare. Dopodiché la sposerò, mi prenderò la sua virtù e ucciderò anche lei. Perché tornerà… forse ha sedotto quel montanaro, ma so che tornerà. Nessuno rifiuta un palazzo reale.
Anna lo aveva tradito, lui l’avrebbe distrutta.
 
Era andata esattamente come aveva previsto. Aveva catturato Elsa, l’aveva condotta nelle segrete del castello, aveva cercato di convincerla ad annullare il maleficio che aveva gettato sul reame, senza successo.
Non conta. Morendo i suoi poteri si annulleranno, l’inverno sgelerà.
Dopodiché, in capo a poche ore, puntuale come tutti i bugiardi, si era presentata una Anna in condizioni disperate, mezza congelata da un incantesimo letale che la sorella le aveva gettato, con i capelli bianchi come la neve e una nota di mortale stanchezza e di intorpidimento negli occhi un tempo lucenti che aveva provocato in lui una piccola, stritolante morsa, ma ormai aveva compreso i suoi trucchi, l’aveva smascherata prima che lei smascherasse lui, e non soccombeva più ad essi.
“Hans” aveva esalato, disperata, artigliandosi alla sua giubba con…
…. angoscia…
… opportunismo e avvolgendolo nel suo profumo, ancora percepibile sotto l’odore asettico di ghiaccio che aveva iniziato ad emanare dalla sua pelle e dai suoi capelli privi di colore “Hans, devi baciarmi, ti prego… solo il bacio di vero amore può salvarmi…”
Come in una favola, ovviamente. Era tornata per questo, per essere salvata dal principe senza macchia e senza paura, dall’eroe che credeva lui fosse, e doveva aver ritenuto il montanaro meno adatto, doveva averlo scacciato, dopo avergli concesso chissà cosa. Era lì, prostrata e supplicante, ad offrirglisi completamente, e Hans aveva assaporato la sensazione inebriante di averla in pugno, di tenere la sua sorte tra le dita, la vita di quella delicata farfallina che il giorno prima avrebbe risparmiato – l’avrei baciata, avrei sciolto il suo cuore di ghiaccio e insieme avremmo governato Arendelle, ma mi ha ingannato – e che adesso però avrebbe punito per crimini di cui si era macchiato a sua volta, schiacciandola.
“Oh, Anna” aveva sussurrato ad un millimetro dalle sue labbra che oh, quanto desiderava baciare, succhiare, mordere, fino a restituirgli il colore che avevano perso, mostrandole per la prima volta il suo vero, terrificante volto “Se solo qualcuno ti amasse davvero”.
Non aveva importanza che avesse appena detto una menzogna, del resto ne avevano dette entrambi, si erano confuse tra di loro, una in più non avrebbe cambiato niente.
La confusione e lo spaesamento erano apparsi sul viso pallido della ragazza, quei suoi occhioni falsamente ingenui lo avevano fissato con stupore assoluto, quasi non si capacitassero del suo cambiamento: “Che… che cosa?” aveva sussurrato, sgomenta, e Hans aveva gioito, pazzamente, di aver gettato la maschera, di averla sconvolta e scalfita, fatta soffrire, ripensando ai sorrisi che aveva donato a quello sconosciuto – com’ero anche io – e sentendosi infiammare dall’odio.
Che sapesse, che sapesse tutto… lo vedeva che, a dispetto della sua sporca natura, ne ricavava dolore, un dolore fortissimo, ed era prova del fatto che era stato capace di essere indispensabile, a suo modo, per quella creatura, anche se lo aveva tradito.
Così si era messo a nudo, sentendosi trionfante e meschino al tempo stesso nel contemplare l’orrore che cresceva nei suoi occhi chiari e disperati.
 
Erano giunti all’ultimo atto, il momento in cui sarebbe rimasto l’unico giocatore ancora in campo, il vincitore, il più potente. Anna, probabilmente, era morta congelata nel salottino, un triste mucchietto di stracci a cui aveva distrutto i sogni…
… perdonami amore mio, perdonami…
… ed Elsa giaceva ai suoi piedi, impotente e schiacciata dal senso di colpa, il volto fra le mani, inconsapevole della spada che brandiva sopra la sua testa come un angelo vendicatore. Forse non l’aveva notata, o forse non le importava di morire. L’elsa bruciava ghiacciata nel palmo del principe e non avvertiva quasi la pesantezza dell’arma, era disperato ed euforico insieme, pronto a squarciare quelle membra esili, a prendersi definitivamente la sua vendetta, a rivendicare la sua esistenza.
Addio, Vostra Maestà.
Abbassò la lama con la risolutezza salda di un boia, ma improvvisamente, senza che avesse potuto minimamente prevederlo, una figuretta sbucò come dal nulla, quasi la sua stessa coscienza le avesse dato vita – forse era davvero così, non poteva essere viva, non poteva – e alzò una mano con il gesto angosciato e maestoso di una divinità protettrice, come se bastasse questo a fermare il colpo. Il cuore di Hans si fermò, sobbalzando, le dita tremarono sull’elsa, e gli occhi si spalancarono nell’incontrare, per l’ultima volta, quelli azzurri, luminosi e risoluti di Anna, eretta davanti alla sorella come un muro umano, così piccola eppure così grande, con i capelli candidi mulinanti e il volto ormai bluastro e irrigidito dall’ipotermia.
Il principe si vide riflesso nei suoi occhi, un mostro assetato di sangue con la spada levata e il viso contorto dall’odio e dalla pazzia, e si fermò, la lama non incontrò la carne della ragazza, ormai più simile a ghiaccio che a pelle organica. Rimasero immobili, l’uno davanti all’altra, senza maschere, a fissarsi, non più un gentiluomo galante e una principessa vestita di verde, ma due creature ansimanti ed esauste, che tremavano di freddo, sputavano nuvole di vapore e si fronteggiavano paralizzate e impotenti, bagnate di neve e di acqua ghiacciata.
Anna non aveva tentennamenti, era pronta ad accogliere la morte, e le sue labbra violacee tremavano, lui sentiva il suo cuore pulsare debolmente, come una cosa che si prepara a morire. In sottofondo, una voce maschile invocava il suo nome a squarciagola, ma lei guardava lui, Hans.
“Ti prego…” sussurrò, pianissimo, in modo che nessuno, neanche la sorella, potesse udirla a parte lui.
Hans la fissò, come una bestia placata, il petto che si alzava e si abbassava affannosamente. Era ridotta all’ombra di se stessa, semi congelata, sbiancata dal maleficio, spenta, eppure magnifica nel suo sacrificio, e lentamente il suo odio, la sua rabbia, sfumarono, risucchiati da quello sguardo lucido e risoluto che lo catturava inesorabilmente. Ogni inganno, ogni piano, sembrava non avere senso in quel fiordo morto, cristallizzato.
La spada cadde sul ghiaccio con un tonfo sordo, senza spezzarlo, e subito dopo le sue braccia muscolose afferrarono i fianchi della ragazza – così rigidi, così duri – e la attirarono a sé con uno strattone urgente e violento, mandandola a cozzare contro il suo petto. Lei trasalì ma non si scostò, forse non ne era nemmeno in grado, i suoi movimenti ormai erano quasi cessati e toccandola Hans la sentì fredda come un cadavere, attraverso la stoffa del vestito non udiva battere il suo cuore. Ma gli occhi, quelli davano un ultimo palpito di vita, ed erano pieni di domande.
Non rispose a nessuna di esse. Seguendo un impulso che per una volta gli veniva dal cuore, che non era calcolato, abbassò il volto e schiacciò le labbra su quelle gelide della principessa, le schiuse a forza, soffiandole nella bocca il suo alito caldo, avvinghiandola come se da lei dipendesse la sua intera vita, affondando le mani nella sua carne irrigidita dal gelo, nei suoi capelli candidi che liberò dalla morsa delle trecce. La baciò come un invasato, divorandole le labbra, combattendo contro il freddo che la ragazza diffondeva intorno a sé, e improvvisamente percepì i battiti del cuore di Anna che riprendevano, di colpo affannosi, singhiozzanti, le mani di lei che salivano a circondargli le guance, la bocca che si risvegliava, rispondendo al suo bacio con eguale passione.
Si baciarono nel modo in cui si erano guardati negli occhi, senza alcun velo, senza finzione, nell’attonito silenzio dell’altro e di Elsa, e Hans la sentì divenire più calda, pesante e viva, più morbida tra le sue braccia, quasi infiammata, e non si stupì quando, staccandosi per riprendere fiato, scorse il rosso acceso dei suoi capelli, le guance pervase di colore e gli occhi sfavillanti, magnetici. Il cuore di lei pulsava veloce e attivo come una farfalla.
“Il bacio…” ansimò Anna, stupefatta “Il bacio del vero amore…”
Boccheggiante, avido di avere ancora di quel piacere che il trono non gli aveva dato, Hans la guardò per un lungo istante in silenzio, le mani ancora immerse nei suoi capelli soffici, e si accorse che lei non si allontanava, pur dopo tutto ciò che le aveva fatto, che stava per fare ad Elsa.
“Ma come…”
Poggiò un dito sulle sue labbra, zittendola. Lei tacque all’istante, come se non avesse aspettato altro. Lentamente, Hans lasciò scorrere le dita sulla sua pelle vellutata e di nuovo calda, sulle sue labbra dischiuse, sul suo seno, e la sentì trattenere il respiro. In sottofondo il mormorio sconvolto della Regina delle Nevi.
“Si sarebbe sacrificata… avrebbe sacrificato la sua vita per… ora… ora comprendo!”
Anna scosse la testa, strabuzzando gli occhi: “È… è una follia!”
A dispetto della situazione, Hans si lasciò sfuggire un sorriso tra il beffardo e il malinconico: “Adoro le follie”.
 
Hans aveva sempre trascorso notti insonni, ma da quando c’era lei gli capitava di dormire molto di più. Anna era capace, con un sorriso, un capitombolo buffo, una battuta, uno stratagemma, di placare la bestia insoddisfatta e avida che gli si agitava nello stomaco, di addomesticarla, e anche se non aveva ottenuto il trono, anche se viveva con lei da semplice principe consorte, talvolta arrivava a pensare che fosse abbastanza. Che lei fosse abbastanza.
C’erano notti, come questa, in cui si smarriva a ripensare al passato, a come l’aveva conosciuta, a come ingannandola aveva ingannato se stesso, come si era persuaso di un tradimento mai avvenuto perché un tempo credeva che nessuno potesse rimanere sincero, poteva avvertire di nuovo tracce di quella rabbia e quel desiderio di rivalsa che lo avevano quasi trasformato in un mostro.
“Hans!” una mano energica spuntò da sotto le coperte e afferrò la sua, guidandola freneticamente al ventre ricurvo della ragazza, che come al solito si era svegliata senza che lui se ne accorgesse e, dopo l’intontimento iniziale, era scattata arzillissima; il principe avvertì la morbidezza di quella pancia rigonfia e un rumore diverso, che gli fece distenere le labbra in un sorriso.
“Senti!” esclamò sua moglie, emozionata come suo solito “Scalcia come un cavallo imbizzarrito!”
Si volse, incontrando il sorriso abbacinante di lei, e lo ricambiò.
Certe notti i fantasmi del passato potevano tornare, ma Anna era in grado di mandarli via senza nessun problema.  

 
  
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