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Autore: HakunaMatata_3    01/02/2016    6 recensioni
Dal primo capitolo:
Appena rientrato, Joe si leva il camice e prende dal cassetto della scrivania due cornetti e due caffè enormi.
"Allora? Come stai?" mi chiede dopo aver scaldato il tutto con un colpo di bacchetta.
"Oh, andiamo, Joe! Come potrei stare, secondo te? Oggi è… "
"Venerdì. Grazie a Dio è venerdì. La solita storia" mi interrompe lui, liquidando tutto con un gesto della mano. Scuoto il capo.
"Tu proprio non capisci" gli dico.

Rose Weasley, 25 anni, Indicibile. Felicemente fidanzata, ha un lavoro che adora e una famiglia che le vuole bene.
Scorpius Malfoy, 26 anni, Spezzincantesimi. Felicemente single, ha un lavoro all'estero e una famiglia che non vede da anni.
Ma il letale morso di un Nundu africano sconvolgerà le loro vite.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Lorcan Scamandro, Roxanne Weasley | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Venerdì, 21 febbraio 2031
 
Quando la sveglia suona, la stanza è completamente immersa nel buio. Cerco a tentoni la bacchetta sul comodino, ma butto a terra qualcosa. Mi alzo di scatto da quello che scopro essere il divano e raccatto la bacchetta sepolta sotto un cuscino. Un lumos rivolto al soffitto, un reparo e un wingardium leviosa alla cornice che ho fatto cadere qualche istante fa e un’occhiataccia dalla me e dalla mia cugina Roxanne nella foto: è questo il mio risveglio oggi.
Mi stiracchio per bene, le ossa e i muscoli contratti come sempre ogni volta che mi addormento in salotto, proprio nel momento in cui la campana della chiesa dietro casa suona undici rintocchi, seguiti da altri tre più acuti: sono le undici e quarantacinque. Mi dirigo subito verso il bagno per una doccia lampo, indosso un jeans grigio, una maglia nera, un golfino verde militare enorme e un paio di scarpe da ginnastica consumatissime.
Undici e cinquantasette. Mi siedo sul divano, in attesa, mentre lego i capelli in un’alta coda.
Undici e cinquantotto. Do una rapida occhiata alla borsa per controllare che dentro ci sia tutto, poi tiro fuori l’agenda.
Undici e cinquantanove. Ultima ripassata agli appuntamenti odierni, poso l’agenda e chiudo la borsa.
Cinque secondi.
Quattro.
Tre.
Due.
Uno.
Oh, sì! penso mentre salto giù dal divano e urlo, a pieni polmoni: << È VENERDÌ! GRAZIE A DIO È VENERDÌ! >>.
Mi precipito fuori di casa, chiudo la porta a chiave e volo giù per le scale della palazzina della zona tre di Londra dove abito.
Amo Londra di notte. È così solitaria e scintillante, ci sono solo io per strada, lo considero un privilegio. Salgo sul notturno che, tre quarti d’ora dopo, mi scarica a Piccadilly Circus, prendo un altro autobus e scendo proprio fuori l’ingresso dei visitatori del San Mungo. Riesco a entrare senza farmi vedere da un gruppo di ragazzoni brilli che festeggiano per non so quale partita di calcio vinta e cerco di assumere l’aria più contrita possibile. Evito di guardarmi intorno e vado subito verso la stregaccoglienza.
<< Salve, cerco il Guaritore McCaine. Ha in cura mio fratello, Christopher John Brown >> snocciolo a memoria, sperando siano i nomi corretti, poi mostro alla strega il lasciapassare che nascondo sotto il golfino. La strega bofonchia il mio numero identificativo, lo cerca su un registro e mi lascia andare per la strada che conosco come le mie tasche, dandomi il nome e il piano di un padiglione a caso. Mi fiondo nel primo ascensore che capita, fortunatamente vuoto. Sto per infilare il tesserino nella fessura che usano medici e infermieri per accedere ai piani privati, quando un’infermiera sulla cinquantina entra con una barella e un paio di infermieri. Uno di loro passa il tesserino e preme il pulsante di un livello. L’ascensore si muove subito e non mi resta che attendere il mio turno per poterlo usare.
<< Maschio, sui venticinque, niente documenti. A giudicare dalle ferite è stato attaccato da una creatura di classe XXXXX. Sarà uno svitato o un Indicibile: quelli si cacciano sempre nei guai >> dice l’infermiera con voce ansiosa.
Soffoco un indignato “ehi” e mi volto curiosa verso il malcapitato. Sembra in preda a una crisi, si contorce tutto sotto il lenzuolo, i capelli biondi e lunghi sparati ovunque sulla testiera della barella. Suda freddo e ha un colorito cadaverico. Lo osservo per un po’ mentre l’ascensore continua ad andare, poi si volta verso di me, sempre in preda a quei tremendi spasmi. Uno strano brivido mi percorre la schiena mentre quei lineamenti mi riaffiorano alla memoria. Cavoli, sono secoli che non lo vedo.
<< Io lo conosco >> dico a nessuno in particolare, schiarendomi la voce. Gli infermieri si voltano verso di me e mi ordinano di andare insieme a loro.
<< Ehm… posso lasciarvi le sue generalità dopo? Ho un appuntamento… >> chiedo, lo sguardo fisso sull’occupante della barella.
<< Un appuntamento alle due di notte? Signorina, lei ora viene con noi >>
<< Ma… ma non posso. Ho un appuntamento con il Guaritore McCaine. Ha in cura mio fratello, Christopher John Brown… >> insisto snocciolando di nuovo la frase identificativa della settimana.
L’infermiera mi guarda male, poi dice che il Guaritore mi aspetterà. La sento borbottare, sprezzante, “Indicibili. Credono di salvare il mondo”, poi le porte dell’ascensore si aprono e un infermiere mi spinge fuori insieme a loro. Mi arrendo e spero che questa storia finisca presto, quando mi compare davanti Joe Carson.
<< Puntuale come sempre, signorina >> mi dice con un mezzo sorriso.
<< Mi spiace rubargliela, Guaritore Carson, ma abbiamo bisogno di lei per le generalità di questo sconosciuto >> dice l’infermiera trascinandomi con sé, mentre la barella viene portata in una stanza dai due infermieri.
<< Qual è il suo nome? >> mi chiede l’infermiera. Mi mordicchio il labbro.
<< Melanie Foster >> rispondo usando il mio nome di copertura.
<< Certo, e io sono Merlino >> mi schernisce quella. La odio. << Il suo nome, prego >>
<< Rose Weasley >> dico sconfitta. Colgo un guizzo di curiosità nei suoi occhi. Si sta domandando se sono la figlia di Ron Weasley e Hermione Granger, ci scommetto la bacchetta.
<< Serve altro? >> le chiedo.
<< Nome e cognome del nostro paziente >>
<< Scorpius Malfoy >>.
La piuma le cade sul foglio di pergamena che sta compilando.
<< Malfoy? >> mi chiede. Una Weasley e un Malfoy durante un noioso turno di notte. Bel colpo, eh?
<< Già. Non so dov’è nato, ma la data forse la ricordo >>. Cerco di spremere le meningi. Forse era a febbraio, era di poco più grande di me.
<< Due febbraio, sì. Duemilasei >>. Mi chiede l’indirizzo e io dico solo che ai tempi di scuola abitava nel nord della Scozia a villa Malfoy. Per il resto non so niente. Le do il mio bigliettino da visita e le scribacchio dietro l’indirizzo di casa e il nome del camino, di modo che, per qualsiasi cosa, possano rintracciarmi per una dichiarazione, poi me la filo dicendo che il Guaritore Carson mi aspetta.
<< Prego >> risponde da dentro al suo ufficio dopo che ho bussato.
<< Oh, eccoti qui! Iniziavo a preoccuparmi >> mi dice. Mi elargisco in mille scuse e spiego cos’è successo in ascensore.
<< Prima buona azione della giornata per il boyscout Weasley! >> mi prende in giro. Io arrossisco e non dico niente.
<< Ok, Rose, sai già cosa fare >> mi dice alzandosi dalla sedia sulla quale è seduto e avvicinandosi a me.
<< Come procede il turno? >> gli chiedo imbarazzata mentre mi slaccio i jeans e levo il golfino e la maglietta.
<< Noioso. Ti aspettavo con ansia >>.
Io ridacchio e gli do un buffetto sul braccio. << Muoviti, alle quattro attacco in ufficio, ho pochissimo tempo >>.
 Joe mi esamina da cima a fondo, dà un’ultima controllata all’ustione sul collo e ai lividi che ho sul braccio ormai da un mese e mi prescrive l’ennesima pomata.
<< Fisicamente sei a posto, un altro paio di settimane e i lividi dovrebbero sparire. Bella idea pasticciare con i cervelli in salamoia, complimenti >>
<< Per l’ultima volta, non erano cervelli in salamoia >> ribatto guardandolo male.
<< Vèstiti, ti controllo i riflessi e i sensi >> mi dice Joe ignorandomi, per poi dire che ha una sorpresa per me.
<< Spero non sia il tuo caffè >> bofonchio prima di farmi controllare i riflessi, la vista e l’udito.
<< E anche questa settimana sei a posto, Rose. Mando la cartella al tuo ufficio e mangiamo qualcosa. Ho saccheggiato un po’ il bar, prima >>.
Ridacchio di nuovo e immagino Joe, un bel ragazzo alto, con occhi color nocciola e i capelli nerissimi, mentre sgattaiola via dal bar dell’ospedale nascondendo cornetti e tramezzini sotto il camice.
Appena rientrato, Joe si leva il camice e prende dal cassetto della scrivania due cornetti e due caffè enormi.
<< Allora? Come stai? >> mi chiede dopo aver scaldato il tutto con un colpo di bacchetta.
<< Oh, andiamo, Joe! Come potrei stare, secondo te? Oggi è… >>
<< Venerdì. Grazie a Dio è venerdì. La solita storia >> mi interrompe lui, liquidando tutto con un gesto della mano. Scuoto il capo.
<< Tu proprio non capisci >> gli dico. << Il venerdì è magia pura! Ho l’Ufficio Misteri tutto per me, lavoro in santa pace e mi diverto a vagabondare qua e là –e a pasticciare con i cervelli in salamoia, borbotta lui- passeggio per la Londra vera, senza tutto il caos frenetico delle persone che vanno a lavoro, fanno shopping, s’incontrano. Il venerdì è l’anticipo del weekend, ceno e dormo da Roxanne. Poi… >>.
Sono in imbarazzo. Odio esternare i miei sentimenti e Joe deve aver capito dove voglio andare a parare.
<< Sì? >> mi chiede serafico con un mezzo sorriso sarcastico. Joe adora vedermi in difficoltà.
<< Be’, poi incontro te >> concludo giocherellando con la manica del golfino verde.
Lui sorride fiero. << Finalmente sei riuscita a dirlo, ormai avevo perso le speranze >> dice serio.
<< Sono riuscita a dire cosa? >>
<< Be’, è implicito, ma tu mi adori >>
<< Sì, alla follia >> borbotto ironica, poi proseguo il mio discorso sul venerdì. << In ogni caso, il venerdì è un giorno speciale. È il giorno che condivido con le persone a me più care: a pranzo, ad esempio… >>
<< Il pranzo! >> si intromette Joe interrompendomi per l’ennesima volta. Ma che gli prende oggi?
<< Cosa? >>
<< Oggi si pranza da me. Non voglio scuse. Sei l’unica che ancora non ha visto casa nuova >> mi dice contrariato.
<< Andiamo, Joe! Lo sai che ho mille cose da fare. E il venerdì a pranzo… >>
<< Oggi si pranza da me >> ribatte Joe perentorio.
<< D’accordo >> concedo sorridendogli.  << Vino rosso? >>
<< Così ti voglio, ragazza >>.
Chiacchieriamo per altri dieci minuti del più e del meno, poi torniamo al distacco che dovrebbe esserci tra di noi.
<< Alla settimana prossima, Guaritore Carson >> gli dico sull’uscio del suo studio.
<< Arrivederci, signorina Foster >>.
Mi incammino verso l’ascensore e penso alla prima volta in cui incontrai Joe.
Mi era appena stato assegnato come Guaritore per controllare il mio stato psicofisico ogni venerdì notte (per evitare di essere vista entrare e uscire dal San Mungo da troppi pazienti o medici). Mi era stato dato un nome da usare anche con lui (il direttore dell’Ufficio Misteri è davvero fissato con queste cose) e mi era stato detto dai miei colleghi che in genere i Guaritori degli Indicibili sono quelli più anziani e con più esperienza. Ma Joe era diverso. Joe è più grande di me di soli cinque anni, mi ha messa subito a mio agio, è un Guaritore eccellente e (anche se contro il protocollo) siamo entrati subito in confidenza.
Poco più di un anno fa lo incontrai per caso al Paiolo Magico, io ero lì per incontrarmi con Lorcan, un mio caro amico, Joe per lasciare la sua vecchia fiamma. Dopo averlo visto solo a un tavolo, mi ero avvicinata per salutarlo e subito ci aveva offerto una Burrobirra e, tra una chiacchiera e l’altra, era palese che qualcosa nell’aria attorno a noi fosse cambiato.
Mi riscuoto da questi pensieri quando, senza sapere come, mi ritrovo vicino alla cabina telefonica che uso di solito per arrivare al Ministero: odio usare i bagni.
Il Ministero della Magia alle quattro del mattino è una delle cose più belle che ci siano al mondo. È freddo, imponente, vuoto, silenzioso. Mi dirigo subito a un ascensore e seleziono il nono livello. Con un sinistro cigolio, le porte si chiudono e vengo scarrozzata giù per i vari livelli. Mi godo il viaggio fischiettando, non notando il trambusto e la frenesia che, nonostante l’ora tarda, si registra in uno dei corridoi che sbircio distrattamente. Arrivo all’Ufficio Misteri e, dopo aver perso un po’ di tempo a cercare la porta giusta, mi precipito nel mio studio.
Sono euforica. Sono al settimo cielo, mi sento sulla luna: la mia ricerca è quasi conclusa.
Sigillo la porta, do un colpo di bacchetta al lampadario che subito illumina la stanza, mi accomodo sulla mia sedia girevole e inizio a fare su e giù per la stanza, raccogliendo vari fascicoli, un bacile di pietra, una vaschetta e mille provette.
<< Eloise*. Eloise, sono io >> trillo prima di avvicinarmi alla sua gabbietta e prenderla.
Eloise è il topo sul quale sto lavorando da due anni. È un bel topolino bianco, gli occhi vispi e intelligenti, il pelo lucente. Apro un cassetto della scrivania e le prendo un po’ del formaggio che le ho portato l’altro ieri, lei mangia tranquilla e io aspetto.
Devo essere sincera, all’inizio Eloise mi faceva un po’ pena. Sono sempre stata contraria alla sperimentazione sugli animali, ed è per questo che ci ho messo tanto a concludere i miei studi, per evitare incantesimi troppo invasivi.
<< Allora, Eloise, come te la passi? Stanotte mi è successa una cosa strana, sai? Ho incontrato al San Mungo un vecchio compagno di scuola, era messo abbastanza male. Poi Joe ci ha invitati a pranzo e devo ricordarmi di portare il vino >> inizio a raccontare, studiando le reazioni di Eloise. Quando sente il suo nome muove il musetto. Quando nomino la scuola o Joe rimane impassibile.
<< Molto bene >> borbotto prendendo appunti e controllando i riflessi di Eloise. Un’altra mezz’ora di chiacchiere inutili, poi le porto la bacchetta alla tempia. Il filo argenteo dei pensieri di Eloise si lascia trasportare via e si lascia cadere nel Pensatoio. Osservo i pensieri di quella che definisco la mia collega e continuo a prendere appunti. Mi soffermo su un frammento della nostra conversazione, quello in cui riconosce il suo nome, e lo modifico. Le restituisco il ricordo, la chiamo e niente, non reagisce.
Ok, ci siamo quasi. Verso il ricordo che ho isolato nella pozione da me ideata secoli fa, poi la verso nella vaschetta ed Eloise la beve.
<< Eloise >> la chiamo. Niente. << Eloise >> ripeto. Niente. << ELOISE >> urlo quasi disperata. Niente di niente. Zero. Vuoto. Eloise non ricorda il suo nome. Scarto la foglia di dragoncello dall’elenco delle cose che ho aggiunto alla pozione per farla funzionare, la pozione per far tornare la memoria perduta alle persone.
Mia madre mi raccontò, quando ero piccola, dell’incantesimo che scagliò sui suoi genitori per poterli salvare dal destino di Babbani e di genitori di una strega considerata impura. Bastò un finitus incantatem per far tornare le cose com’erano prima. Il mio intento, però, non è quello di far ricordare questo. Il mio intento è quello di guarire coloro che hanno perso la memoria, ma non per causa diretta della magia. Voglio intervenire sui ricordi modificati e sull’amnesia selettiva. Voglio poter guarire sul serio la gente.
<< Eloise, devi collaborare >> la ammonisco, prima di passare le seguenti quattro ore a insegnarle, per la decima volta in questo mese, in suo nome.
Alle otto del mattino sono di nuovo fuori, pronta a dormire un po’ prima di recarmi a pranzo da Joe. Passo per il Tesco dietro casa e arraffo e pago la prima bottiglia di vino rosso che trovo, poi accendo il cellulare e chiamo Mark. Sono le dieci.
<< Joe ci vuole a pranzo >> gli dico senza salutarlo. Sono troppo intenta a destreggiarmi tra il mantenere il cellulare, la borsa, il sacchetto con il vino e ad attraversare la strada senza finire spiaccicata sull’asfalto.
<< Buongiorno anche a te! >> mi risponde lui ironico.
<< Stavo attraversando >> gli spiego. Sa che sono un pericolo per me stessa anche da ferma. Lui ride e ricambio il suo saluto.
<< Tutto ok a lavoro? >> mi chiede.
<< Oh, alla grande >> mento. << Eloise fa passi da gigante >>
<< Sono contento. A che ora passo a prenderti? >>
<< Mmm verso l’una. Joe mi ha detto di andare verso l’una e mezza, di modo che abbiano il tempo di mettere su qualcosa prima del nostro arrivo >>. Scambio qualche altra chiacchiera con Mark mentre apro il portone di casa, poggio la bottiglia sul tavolo del salotto e mi getto di peso sul divano. Lo saluto poco dopo, regolo la sveglia e, dopo un sorso di pozione soporifera, precipito in un sonno profondo e ristoratore della durata, purtroppo, solo di due misere ore.
Il suono della sveglia mi riporta alla realtà. Mi alzo di scatto dal divano, mi fiondo sotto la doccia e inizio a lavarmi. Fischietto un motivo inventato, ma mi sento strana. Cambio motivetto, ma mi trasmette più ansia del primo. Un brivido mi percorre la schiena e inizio ad avere una strana sensazione per questa giornata. Poi rido.
<< Rose, è il giorno dei giorni. È venerdì. Tutte le cose più belle della tua vita sono successe di venerdì. Smettila di fare la stupida >> mi dico, poi inizio a canticchiare “Grazie a Dio è venerdì. È venerdì. Grazie a Dio è venerdì”. Sono stonata, ma non m’importa. La frase è presa da uno slogan che ho letto qua e là in città, è il titolo di una catena di ristorazione.
Mi vesto in fretta, mi asciugo i capelli con un colpo di bacchetta e faccio evanescere i verbali e tutto ciò che ha a che fare con il mio lavoro. Nascondo la bacchetta e il badge identificativo nella tasca nascosta e magicamente estesa che ho in borsa e mi siedo aspettando l’arrivo di Mark. Il citofono suona, mi affaccio e vedo un’auto grigia che mi aspetta di fronte al palazzo. Mi fiondo giù per le scale e corro incontro a Mark.
<< Buon venerdì, signorina Weasley! >> mi augura prima di baciarmi.
 
 

*Da grandissima fan di Lost, non potevo non chiamare Eloise il topolino, come quello sul quale Daniel Faraday conduce i suoi esperimenti.

Il titolo del capitolo è preso dall'omonima canzone di Ligabue.

NdA:
Salve a tutti! Eccomi qui con una nuova fan fiction, nata dalla noia di questa sessione di esami.
Non c’è molto da aggiungere, se non che l’idea per questo capitolo (e per la storia in generale) mi è venuta ascoltando la canzone “È venerdì” di Max Pezzali. Che dire, spero possa piacervi il primo capitolo!
A venerdì prossimo ;-)
  
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