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Autore: trizmurray    19/03/2009    5 recensioni
[...Allora giocava a fare il principe, e in realtà non stava giocando, perché lui ERA il principe, e quello era il suo regno, con i suoi cavalieri buoni, i suoi draghi da sconfiggere e le sue principesse da salvare...] breve fic sui pensieri del principe in un momento "magico" per lui. Perche Arthur è un uomo d'azione, ma ogni tanto la sua mente lavora veloce. Troppo, forse.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Playing the Prince

PLAYING THE PRINCE

-Beetween Tales of Knights, Dragons and Princesses-

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-All wishes can come true when you wish with all your might.-

Blackmore’s Night, “Peasant’s Promise”

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Mentre i suoi occhi si chiudono e le sue labbra entrano lentamente in contatto con quelle di Merlino [Dio, quanto tempo ci ha messo quell’idiota di un servitore a colmare la distanza che separava i loro volti? Voleva farlo morire nell’attesa?], Arthur sente che le cose, per la prima volta in vita sua, vanno esattamente come aveva desiderato nei suoi sogni più inconfessati. Per una volta, gli sembra che tutto sia a posto.

Come in una storia, di quelle che gli raccontava la sua nutrice quando era ancora bambino, quando non doveva preoccuparsi troppo del suo ruolo di principe. Storie di cui conosceva bene lo schema, sempre lo stesso, tipico, tranquillizzante schema: i buoni in qualche modo vincono, i cattivi sono sconfitti. Era sempre così, nelle storie della vecchia Elinor. Il piccolo Arthur aveva imparato a riconoscere già dalle prime parole della nutrice quali fossero i buoni e quali i cattivi. E allora saltava su, e diceva “Ma la principessa si salverà, vero Elinor? E’ buona, deve salvarsi per forza! Il cavaliere la salverà dal drago cattivo, no? No, Elinor?”. In tutta risposta la vecchia nutrice chinava il capo, e sorrideva, e diceva “Si, Arthur, un giorno i cavalieri buoni salveranno tutte le principesse.

E io guiderò i cavalieri buoni, vero? Vero? Sarò un buon re, come il mio papà! Vero, Elinor?”

“Sì, Arthur, sarai un buon re. Il più buono di tutti i re.”

Ma un giorno, mentre guardava la vecchia Elinor venir trascinata via a forza dalle guardie comandate dal padre che, furente, le riversava addosso accuse di stregoneria, sputando con disgusto insulti rivolti a lei e al mondo della magia, il piccolo Arthur si era accorto che tanto piccolo non era più, che era cresciuto. E aveva iniziato a pensare che forse i buoni non sono sempre grandi cavalieri dalla specchiata moralità e dall’armatura scintillante, e che talvolta i cattivi sanno essere più buoni dei buoni. E non riusciva più a vedere la sua vita come la fiaba di cui lui era il protagonista buono. Anzi, non sapeva nemmeno più se era il cavaliere, la principessa, o il drago cattivo, e andava alla ricerca di se stesso, un personaggio in cerca di ruolo, oltre che d’autore.

Era in cerca della sua storia da favola, e non si accorgeva che, intanto, la sua favola la stava già narrando, giorno dopo giorno, e che più tempo passava a cercare il libro su cui era scritta, meno ne avrebbe avuto per narrarla davvero.

Allora giocava a fare il principe, e in realtà non stava giocando, perché lui ERA il principe, e quello era il suo regno, con i suoi cavalieri buoni, i suoi draghi da sconfiggere e le sue principesse da salvare, anche se lui non capiva più chi fossero i veri cavalieri, i veri draghi, le vere principesse. Allora cercava sostegno nelle parole del padre, nelle leggi del Codice.

Finchè non era arrivato uno sciocco, idiota, ragazzo di campagna, che prima lo aveva insultato e lo aveva messo in ridicolo, poi gli aveva salvato la vita, era diventato il suo servitore personale, e lo aveva cambiato da dentro. Lo aveva sconvolto, mettendo sottosopra il suo mondo da fiaba. E le principesse non erano più principesse, i draghi non erano più draghi, i cavalieri non erano più cavalieri. E lui non sapeva più chi era. O meglio, lo sapeva ancora meno di quanto non lo sapesse già prima.

Però in questo momento, mentre le labbra di Merlino danzano sulle sue e le loro lingue si intrecciano, gli sembra di averlo trovato, il suo ruolo. In un attimo, tutto va a posto.

-Arthur

-Sì, Merlino?

-Ho… ho fatto una cosa idiota, vero?

-No, Merlino. Per stavolta no.

-Allora perché siete silenzioso e avete lo sguardo perso nel vuoto?

-Stavo solo pensando, Merlino.

-E a cosa pensavate?

-Che sono stanco di giocare a fare il principe.

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Sì, ogni tanto riappaio sulla scena di efp… Stavolta in zona Merlin.

Boh, che dire? Idea-flash, pensata in due secondi e scritta in una sera. Perché scriverla e tediarci con questo schifo, direte voi. Così, tanto per fare, perché ogni tanto i miei neuroni connettono e mi viene voglia di buttare giù qualche riga, sperando che a qualcuno possa risultare gradito il risultato.

Prima fic su Merlin, senza troppo impegno di scrivere chissà che cosa. Piccolo tentativo di entrare nella testa di Arthur. Perché Arthur è un personaggio complesso, più di quanto non sembri a prima vista, come autori/autrici assai più autorevoli di me in materia hanno già avuto agio di mostrare.

L’idea della nutrice accusata di stregoneria l’avevo già letta in altre fic (non solo in italiano) di cui al momento non ricordo né titoli né autori (mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa *si batte ripetutamente il petto*). Ho poca memoria purtroppo. Comunque avevo bisogno di un fatto drastico, eclatante, che facesse crollare il mondo fantastico in cui si rifugia il piccolo Arthur (cioè, no, dico, ve lo immaginate un Arthur formato chibi? Dev’essere una visione troppo puccia!!!), ed eccolo qua. Povera vecchia Elinor. U.U

Ok, chiudo qui, che se no divento prolissa. Un grazie stra super a chi legge! (e se proprio avete tempo da perdere, commentate, che le recensioni sono la cartina a tornasole di noi poveri autori…)

Un bacio, yaya86

Nota: “Playing the Prince” ha due significati in inglese: “giocare a fare il principe” e “recitare la parte del principe”. Nella fic sembra privilegiato il primo significato, ma in realtà tutto si gioca sull’ambivalenza del titolo. Risparmio peregrinazioni filosofiche sulla vita come rappresentazione teatrale e sulla metafora della maschera…

   
 
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