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Autore: Daughter_of_the_sea    03/02/2016    1 recensioni
Cambiò tutto quel giorno in cui mi bloccò mentre stavo tornando a casa per chiedermi di rendergli la sigaretta che mi aveva dato.
Ero sconvolta. Il ragazzo che mi squadrava sempre con aria di sufficienza ora se ne stava dritto di fronte a me, con un sorriso sghembo in viso a chiedermi di dargli indietro una sigaretta che gli avevo chiesto settimane prima. Al mio rifiuto il suo volto si aprì in un sorriso smagliante: pretendeva la sua sigaretta e non avrebbe accettato di perdere. Continuai a rifiutarmi di dargliela. Eravamo testardi entrambi. Riuscimmo infine a contrattare, o meglio fu lui a decidere, che un bacio di arrivederci tutte le sere sarebbe stato più che sufficiente a saldare il mio debito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta che lo vidi avevo 16 anni. 
Ero andata a cantare ad un provino per poter partecipare ad un festival organizzato dal mio paese. 
Volevo fare bella figura. Ci tenevo talmente tanto che permisi alle mie migliori amiche di farmi trucco e parrucco. 
Non vedevo l'ora di salire sul palco per, nonostante non sia mai stata un "animale da palcoscenico", ricevere tutti gli apprezzamenti del pubblico. Avevo lavorato moltissimo sul pezzo che avrei portato e ne ero veramente orgogliosa, anche perché ero sicura che sarei stata l'unica ragazzina della mia età, se non addirittura forse l'unica del concorso, a cantare un pezzo jazz. 
Quindi non potete immaginare quanto fu grande la mia amarezza nel vedere che, alla fine dell'esibizione, tra tutti solo un ragazzo dai capelli cioccolato se ne stava immobile appoggiato allo stipite della porta. 
Sebbene non lo conoscessi mi sentii profondamente ferita: avevo lavorato moltissimo, e la mia esibizione era stata pressoché impeccabile.
Lo destai subito.
Ed il mio rancore nei suoi confronti aumentò quando scoprì che quel ragazzo era il migliore amico della mia migliore amica. 
Quando ci presentarono non si degnò nemmeno di fare un sorriso; alzò solo gli occhi per squadrarmi da capo a piedi, per poi distogliere lo sguardo ed accendersi una sigaretta. 
Lo odiavo profondamente.
Durante il tragitto a piedi verso casa mia non proferii mai parola; ero sicura che se avessi aperto bocca sarei scoppiata in lacrime per la rabbia e per il risentimento. 
A cena non mangiai, e passai la notte in bianco, rigirandomi nella sdraio del terrazzo, rodendomi l'anima al pensiero che, nonostante la mia performance ed i continui elogi delle mie amiche gli avessero fornito una buona opportunità per attaccare bottone, lui preferisse comunque fingere la mia non esistenza, attaccandosi a quelle sue stupide sigarette, che credevo fossero il suo unico amore. 
Fortunatamente il mio egocentrismo si sentì offeso solo per un paio di giorni, dopodiché  tornai ad ignorarlo.
Passavo le mie serate nella squallida piazzetta del mio paese, a comprare pacchetti di sigarette che avrei fatto finta di fumare. 
Odiavo quelle serate in "compagnia"; per la maggior parte del tempo me ne stavo zitta immobile in un angolo a far finta di fumare. Volevo che gli altri avessero l'impressione che a me non fregasse nulla di loro, così non mi avrebbero trascinata all'interno di conversazioni alle quali apparentemente non volevo partecipare. In realtà morivo dalla voglia di farmi accettare da quei ragazzi più grandi di me, ma avevo il terrore di farli scappare via. Ero convinta che la mia mente funzionasse in un modo per gli altri incomprensibile. 
Cosicché per me fu un incubo quando mia madre e le mie migliori amiche mi obbligarono a partecipare, come animatrice, ad il grest parrocchiale. 
Detestavo la mia parrocchia ed ancora di più l'essere costretta a passare una giornata intera a stretto contatto con tutti i miei coetanei.
La mattina partivo sempre di cattivo umore ma mi risollevavo quando i miei animati mi imploravano di passare la ricreazione con loro. Piacevo ai bambini e non piacevo ai miei coetanei, a dire la verità non ci provavo nemmeno, ma per qualche contorta ragione ci stavo male. 
Quando tornavo a casa mi sentivo come se mi stessero togliendo il cappio dalla gola, ed il mio umore cambiava notevolmente. 
Durante quel mese passato a fare da animatrice mi dimenticai quasi completamente di Giacomo, il ragazzo dai capelli cioccolato; ero conscia che anche lui fosse un animatore, e che spesso ci avessero messo a lavorare a stretto contatto, ma me ne importava talmente poco che mi facevo scivolare addosso la sua presenza. 
Cambiò tutto quel giorno in cui mi bloccò mentre stavo tornando a casa per chiedermi di rendergli la sigaretta che mi aveva dato. 
Ero sconvolta. Il ragazzo che mi squadrava sempre con aria di sufficienza ora se ne stava dritto di fronte a me, con un sorriso sghembo in viso a chiedermi di dargli indietro una sigaretta che gli avevo chiesto settimane prima. Al mio rifiuto il suo volto si aprì in un sorriso smagliante: pretendeva la sua sigaretta e non avrebbe accettato di perdere. Continuai a rifiutarmi di dargliela. Eravamo testardi entrambi. Riuscimmo infine a contrattare, o meglio fu lui a decidere, che un bacio di arrivederci tutte le sere sarebbe stato più che sufficiente a saldare il mio debito. 
Ero talmente scioccata da quell'improvviso scoppio di interesse nei miei confronti che non ebbi il coraggio di rifiutarmi, così gli concessi il bacio, quella sera come per tutte le successive, ma verso di lui continuavo a non sentire nulla.
Eravamo ad inizio agosto.
In quel periodo però il padre della mia migliore amica, malato di cancro, peggiorò ed io mi sentivo talmente tanto in pena per lei che cambiai completamente atteggiamento con gli altri. Mi sentivo svuotata nel cercare di farle capire che le ero vicina e nello stesso tempo a cercare di comportarmi come nulla fosse, che feci crollare qualsiasi muro avessi innalzato con le altre persone, in prims con Giacomo.
Cominciai piano piano a rendermi conto di come il suo atteggiamento che tanto detestavo svanisse quando era preoccupato per la mia amica. 
Stavo iniziando a guardare oltre il muro che lui si era costruito attorno.
La nostra relazione, se così la si può definire, prese una svolta radicale un girono in piscina: era fine Agosto, il 25 più precisamente, ed il padre della mia amica sembrava stare meglio. Quando Giulia ci diede la notizia vidi gli occhi di Giacomo farsi più leggeri. Fu di buon umore per tutta la giornata e riuscì a contagiare persino me, la lunatica del gruppo.
Avevo quasi completamente scalato il muro che lo circondava, e cominciai a guardarlo con occhi nuovi. Quel giorno gli permisi addirittura, io che detesto il troppo contatto fisico, di abbracciarmi stretta stesi sul mio asciugamano sotto il sole. Ogni tanto ci guardavamo negli occhi e potevo vedere le mie iridi verdi perdersi nelle sue nocciola con sfumature tanto simili al mio colore.
Cominciai a guardarlo con occhi diversi.
Ricordo ancora ora, come se le sue dita avessero lasciato dei solchi indelebili sulla mia pelle, la sensazione che provai con le sue carezze, con i suoi baci, con il suo continuare a spostarmi i capelli dal volto per potermi vedere gli occhi. Stavo male perché volevo di più. 
Per quanto brutta questa cosa sia da dire quel giorno mi dimenticai persino della mia , a quei tempi, migliore amica il cui padre stava morendo. Vedevo solo lui, era come se fossimo rinchiuso dentro la nostra bolla personale. 
Quando salii in macchina mi resi conto che mi mancava.
Mi innamorai di lui quando morì il papà della mia amica. Vidi tutta la sua bontà quando la consolava, e vidi cadere la sua maschera onnipresente di cinismo e menefreghismo quando, nascosti, consolava me perché non sapevo come comportarmi con la mia amica.
Divenne una droga per me, anche se non glielo dissi mai. Mi mancavano le sue mani, le sue unghie sempre lunghe perché gli faceva schifo tagliarsele, i suoi occhiali, la sua voce, il suo parlare talmente veloce che a volte ero costretta a dirgli di calmarsi. La voce..aveva un bel suono, a volte secco e a volte caldo e morbido. Il suo profumo, un misto di tabacco, dopobarba e bagnoschiuma. 
Ma la cosa che mi mancava, e ancora ora, mi manca di più sono le sue contraddizioni. I suo gesto e i suoi sguardi non erano mai in sintonia con le sue parole. Diceva sempre che faceva una cosa perché gliela imponevano ma non vedevo in nessun altro la passione che trasmettevano le sue mani, la postura delle spalle, il tono di voce, il suo balbettare ed i suoi occhi.
Non capivo fino in fondo cosa volesse dire essere innamorati ma lui era il mio unico pensiero. 
Mi sentivo legata a lui, come se avessi avuto un filo che partiva dal centro del mio busto e si attaccavo al centro del suo perché, per quanto strano sembri, tutte le emozioni più forti non le ho mai sentite provenire dal petto, come sostengono tutti, ma dallo stomaco. 
E tutto ciò che provavo per lui me lo faceva capire il mio stomaco, sia quando stavo bene che quando, nella maggior parte delle volte, mi faceva stare male. Forse è per questo che ora il mio stomaco è così malridotto. 
Si. Lui era come se fosse il prolungamento del mio stomaco, la parte più viscerale, contorta e sporca di me. 
Il mio non è mai stato un amore felice, perché non era ricambiato. 
Ci ho sperato con tutte le miei forze, illudendomi tutte le volte che dimostrava interesse nei miei confronti.
Non ho mai capito le sue intenzioni.
Ora non c'è più nulla, non ci parliamo e non ci guardiamo nemmeno più, siamo diventati due estranei.
Questo mi ha cambiata, mi ha resa più forte. Ha contribuito a formare quel muro di cinismo ed ironia che uso come corazza. Mi ha fatto capire che la prima persona che devo amare sono IO. 
Ora suppongo di dover dire che lo ringrazio ma non lo farò. Lo biasimo.
Forse ora potrei sapere chi sono veramente. Potrei capire che io non sono solo le miei idee politiche, sociali o artistiche. Forse avrei più chiaro il mio ruolo con i ragazzi della mia età. Ma no. Sono cresciuta troppo in fretta dal punto di vista sentimentale. Ho provato a 15 anni quello di solito si prova quando ci si innamora di qualcuno a 30. 
Quindi se penso ai momenti passati insieme piango, perché vedo un futuro che la sua arroganza mi ha negato.
   
 
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