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Autore: Chiccagraph    03/02/2016    1 recensioni
Questa storia era originariamente una one shot, ma ho deciso di trasformarla in una raccolta di one shots incentrate tutte sullo stesso tema.
Dalla terza one shot:
Tu sei fermo, immobile, sulla soglia. Solo la guardi. Continui a fissarla non riuscendo a deciderti. Potresti girarti e tornartene in camera, lasciarla affogare da sola in questo mare di rimpianto e alleggerirti la coscienza con il frigo bar della tua stanza; ma l’idea di doverla lasciare da sola a scrostarsi di dosso le ferite che questa giornata le ha inciso sulla pelle non ti permette di muoverti.
Ora sei dietro di lei e senti che ha un buon profumo. Questo è l’inizio di tutti i tuoi problemi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Alex Karev, Altri, Derek Sheperd, Mark Sloan
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Just friends




 
Il bar di Joe era considerato una vera e propria istituzione per i medici del Seattle Grace. Non era solo un punto di ritrovo, un luogo dove andare a bere e svagarsi, era qualcosa di più.
Tutti avevano bisogno di staccare la spina ogni tanto e ritrovarsi tra quelle mura li faceva sentire come a casa.
Una casa dove non esistevano malati, non esistevano interventi, paure ed emergenze.
Una bolla d’aria pulita dove poter respirare a pieni polmoni.
Addison era seduta alla fine del bancone, appollaiata su uno sgabello con la sola compagnia di un bicchiere troppo vuoto e una mente troppo piena.
La donna teneva fisso lo sguardo nel suo bicchiere, non era dell’umore di parlare con nessuno, e dopo gli ultimi avvenimenti, nessuno aveva intenzione di avvicinarla.
Possibile che nonostante fosse la donna tradita e umiliata rimaneva pur sempre Satana agli occhi di tutti?
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da una voce alle sue spalle.
 
«Dottoressa Montgomery.»
 
«Dottor Karev.»
 
«Le dispiace se mi siedo qui?»
 
Gli rispose con un cenno del capo mentre Joe ricaricava il bicchiere del suo veleno preferito: puro whisky irlandese, il Tullamore Dew Irish Whiskey, prodotto come Dio comanda nelle verdi terre dell’Irlanda.
Lo studiò attraverso le ciglia abbassate, sembrava esausto. Mark doveva averlo torturato per tutto il giorno.
Tintoria, caffè, pranzo... quell’uomo sapeva come rovinare la vita agli specializzandi.  
Seguì con gli occhi il suo profilo fino a soffermarsi sulle sue mani che stringevano la base di un bicchiere di birra.
Non lo aveva mai considerato un uomo da birra, lui le dava più l’idea di essere uno da bourbon o da scotch. Sicuramente non da birra.
Solitamente riusciva a inquadrare facilmente le persone, fin da piccola si divertiva insieme a suo fratello a servire cocktail agli amici dei genitori. Lei e Archer non sbagliavano mai un colpo.
Con lui invece è stato diverso, il suo primo errore in trentanove anni.
A pensarci bene non lo aveva mai visto con qualsiasi altra bevanda all’infuori di quella, forse a differenza sua, non amava alzare troppo il gomito.
La sbornia del giorno dopo era qualcosa con cui spesso e volentieri aveva fatto i conti.
Mal di testa e fegato ringraziavano per questi ultimi giorni di riposo.
 
Aveva sentito alcune storie su di lui e sul suo passato, ma non era mai stata una donna che dava troppo credito ai pettegolezzi ospedalieri. Le infermiere erano dotate di una fervida immaginazione.
Lei questo lo sapeva bene.
Al Seattle Grace l’unica cosa che si sviluppava più velocemente delle malattie erano i pettegolezzi. Nel secondo esatto in cui varcavi la soglia dell’ospedale, potevi letteralmente sentirne il ronzio.
 
«Lunga giornata?»
 
La sua lo era stata davvero.
 
«Abbastanza lunga» rispose l’uomo stringendosi nelle spalle «sono venuto qui per rilassarmi un po’.»
 
La guardò con la coda dell’occhio, studiandola. «Preferisci che mi sposti?»
 
«No, assolutamente. Non mi dai fastidio.» spiegò, sorridendo debolmente. «Scusa se te lo chiedo ma… perché non sei seduto con gli altri?»
 
Si girò appoggiandosi con un gomito sul bancone del bar per poi appuntare lo sguardo sul fondo della sala dove erano seduti gli altri specializzandi.
 
«Beh, c’è una bella donna seduta sola in un bar... mi sembra ovvio.»  le rispose tornando a guardarla.
 
«Karev.»
 
Non sapeva davvero come comportarsi in presenza di una signora.
Il complimento dozzinale era il suo marchio di fabbrica.
 
«Stai tornando a casa?»
 
Aveva un bicchiere mezzo vuoto davanti a lei. Che fosse un invito per bere qualcosa insieme e poi magari continuare la serata da qualche altra parte?
 
«No, non ora per lo meno. Ma questa è la mia ultima birra, non vale la pena sbronzarsi senza motivo.»
 
«Già.»
 
Lei aveva avuto modo di ubriacarsi poche settimane fa. Una sbronza senza uguali.
Muffin e alcol le avevo assicurato un biglietto di sola andata per il letto di Mark Sloan e sebbene considerasse da sempre catartico il sesso, aveva già avuto la sua dose settimanale di divertimento e non progettava, almeno nell’immediato, di trovarsi un altro compagno di letto.
 
«In realtà, mi piacerebbe rimanere qui se avessi una concreta possibilità di spostarci poi...»
 
«Che cosa?» Addison non lo lasciò finire e si girò a guardarlo con gli occhi sbarrati e le guance leggermente arrossate «Dottor Karev, credo che questa conversazione sia davvero inadeguata.»
 
La guardò sorridendo «Già, così inadeguata… come se non ti fosse mai successo di rimorchiarti qualcuno in un bar» si girò a guardarla felice di vederla imbarazzata «Sono solo sincero, ogni uomo qui dentro vorrebbe uscire da quella porta insieme a te. E per la cronaca, anche io.»
 
«Tu dici?»
 
«Sì, ne sono convinto. Ma io rifiuto l’offerta.»
 
«Io non ti ho chiesto proprio un bel niente.»
 
«Sai, parlare è sopravvalutato.»
 
«Davvero?» contro la sua volontà le labbra di Addison si arricciarono in un sorriso, non appena la rabbia si trasformò in divertimento. «E come mai tu non saresti interessato? Non avrai paura di Mark...»
 
«Stai scherzando? Quell’uomo fa a botte come una femminuccia. Se c’è riuscito il tuo ex-marito, io lo stenderei con un solo sguardo» si guardò intorno per un momento, poi ridacchiò. «Ogni anno c’è uno stagista che va a letto con uno strutturato, è una tradizione. Una sorta di rito di passaggio.»
 
Addison annuì al suo indirizzo, aveva molta familiarità con questa tradizione.
 
«Io voglio essere diverso. Ovviamente so che non potrò essere ricordato come lo stagista più brillante del programma, con Yang e Grey la concorrenza è notevole» si fermò per un attimo prendendo un sorso di birra «Ma ora, dal momento che tutti hanno il loro gran da fare, vorrei cercare di rimanere fuori dal giro. Voglio essere ricordato per la mia professionalità.» posò il bicchiere di fronte a lui. «Te lo dico solo perché tu lo sappia».
 
«Professionale, eh?» Addison sorrise, «E cosa mi dici della storia con quell’infermiera? Com’è che si chiama… ah sì, Olivia.»
 
«Preferirei non parlarne… Non è piacevole essere ricordato per Olivia e la sifilide» Alex rispose colto sul vivo. «La gente ti critica e non sa cosa hai passato».
 
Rimase a guardarlo colta alla sprovvista da quella frase.
Non lo conosceva, se non da un punto di vista puramente lavorativo, eppure aveva ascoltato e creduto a quelle voci di corridoio.
Era stato fin troppo facile dar credito a quelle voci considerando che si riferissero a lui.
Sebbene in quest'ultimo periodo avesse imparato a conoscere un Karev nuovo, non era ancora del tutto convinta di quale lato del suo carattere predominasse in lui.
Un giovane uomo attento e premuroso che forse per timidezza si nascondeva dietro quella maschera di insolenza e aggressività, oppure era davvero un borioso stagista con il complesso di Dio?
Lo aveva fin da subito catalogato come un prepotente, un Mark Sloan in miniatura che doveva essere rimesso in riga; non aveva speso neanche un minuto del suo tempo per pensare che forse, Alex Karev, non era davvero quel mostro arrogante che tutti pensavano.
 
«Nessuno di noi è solo buono o solo cattivo. Siamo luce e ombra. Insieme.» continuò il suo sproloquio rivolto al suo pubblico silenzioso. «Con questo non mi voglio giustificare e non dico di essermi comportato bene, ma io vado a letto con un’infermiera e divento improvvisamente lo stronzo senza sentimenti, Shepherd si scopa Meredith in una stanza dell’ospedale e la sua fedina penale rimane pulita... non è giusto.»
 
Aveva toccato un tasto scoperto, se ne rese conto osservando lo sguardo perso nel vuoto della donna al suo fianco. Il divorzio era stato ufficializzato da una decina di giorni, e anche uno scemo avrebbe saputo che Shepherd era un territorio minato dal quale era necessario tenersi alla larga.
Questa donna era una mina inesplosa.
Una bomba al plastico era annidata sotto i tessuti della sua pelle.
Ormai aveva parlato ed era inutile piangere sul latte versato.
Il suo problema era sempre stato quello di parlare a rotta di collo, non esistevano mezze verità per lui.
I suoi pensieri erano nudi e crudi, nessun filtro veniva applicato per irrorare la pillola.
Gettava le persone in pasto agli avvoltoi come i pezzi di carne sbattuti sul tavolo bianco della macelleria.
 
«Mi dispiace.»
 
«Sì, non farlo.»
 
Aveva una bella scorza questa donna, non poteva negarlo. «Per quanto possa valere, credo che Shepherd per essere un chirurgo del cervello sia l’uomo più stupido sulla faccia della terra» le disse continuando a guardarla, perdendo per un attimo i suoi occhi nocciola in quelli verde smeraldo della donna.
 
Addison abbassò lo sguardo sul tavolo fissandosi le mani. «Non è necessario che tu…»
 
«No, lo penso davvero. Chi uomo sano di mente lascerebbe una donna come te? Capisco che puoi essere particolarmente fastidiosa, a tratti direi quasi odiosa… percepisco la tua aurea di perfezione da qui!»
 
Addison lo guardò sbalordita. Uno minuto la stava elogiando e quello dopo la criticava senza pietà.
Quest’uomo era un pazzo bipolare!
 
«Dovevate mettere un punto a tutto questo. Shepherd è un uomo senza palle, non puoi non avere il coraggio di prenderti le tue responsabilità. Non l'ha fatto né con te né con Meredith, vi ha trascurato e calpestato in parti uguali.»
 
«Sai, prima o poi arrivi al punto in cui il punto lo metti tu.»
 
«È tremendamente vero» iniziò a giocare con gli angoli del tovagliolo al di sotto del bicchiere «e tu sei troppo bella per essere guardata dagli occhi sbagliati.»
 
Addison si ritrovò a fissarlo ancora una volta, colpita dalla sua sensibilità e al tempo stesso divertita al vederlo così concentrato a spezzettare quel pezzo di carta pur di non incontrare i suoi occhi.
Alzò il bicchiere in una sorta di brindisi, accettando implicitamente il suo complimento, poi bevve un sorso della sua bevanda.
 
«Che ne hai fatto del dottor Karev?» disse, cercando di dissipare la tensione che si era venuta a creare.
 
Il ragazzo rise a quell'affermazione improvvisa. La donna non era ancora pronta a parlare del suo ex marito senza sentirsi un groppo in gola, o per lo meno non lo era con lui.
Era contento che avesse accettato silenziosamente le sue parole senza metterlo in imbarazzo.
 
«Mi preferisci sgradevole e arrogante? Lo sapevo che sotto quella corazza da prima donna nascondi la tua vera anima. Hai un debole per me, ammettilo.»
 
«Ecco, ora ti riconosco.» inarcò le sopracciglia guardandolo scettica. «Dopo avermi fatto parlare del mio ex marito nella mia unica serata libera della settimana, credo che il minimo che tu possa fare è raccontarmi come sono andate le cose con quell’infermiera.»
 
Si girò verso la donna pronto a risponderle a tono, era famoso per non andarci troppo leggero con le parole. Nel momento in cui i suoi occhi si poggiarono sul suo sorriso curioso, le parole gli morirono in gola e decise che per questa sera sarebbe diverso.
Sincerità, era quella la carta da giocare per essere ascoltato da questa donna.
 
«Di solito non ho molto controllo in materia. Non sono un ragazzino, non mi tiro mai indietro davanti a richieste di quel tipo. Non potevo sapere che venti minuti di svago mi avrebbero portato in allegato anche la sifilide. Sono caritatevole, che ci posso fare.»
 
Joe lo guardava da dietro il bancone fingendo di asciugare una pila di bicchieri già perfettamente sistemata al loro posto.
Aveva notato da qualche tempo gli sguardi che il giovane dottore rivolgeva a quella donna ed era più che certo che qualcosa sarebbe successo prima o poi tra loro.
I baristi non sbagliano mai!
 
«Chiedi e sarà dato, questo è il mio motto.» si girò verso di lei chinandosi con il busto nella sua direzione. «Sono pronto a soddisfare ogni richiesta ricevuta.»
 
«Sei consapevole di avermi detto esattamente il contrario meno di dieci minuti fa?»
 
«Perché sei tu, è ovvio! Questo non significa che tu non ne vali la pena, ma non ho comunque intenzione di farlo, puoi supplicarmi quanto vuoi, non avrai mai questo specializzando.» puntò le mani sul suo petto mentre si appoggiava allo schienale della sedia con un sorriso soddisfatto dipinto sul volto.
 
«E io che stavo iniziando a pensare che si sbagliassero a chiamarti Lucifero. Non potevi dirmi, che so… che non volevi usarmi per una sorta di rispetto professionale nei miei confronti o perché magari preferisci non trattare le donne come oggetti sessuali?»
 
Ora la donna sorrideva, davvero. Chi lo avrebbe mai detto che Alex Karev fosse meglio del suo whisky!
 
Alex sbuffò l’aria fuori dal naso prima di risponderle. «E tu mi avresti creduto? Io non mento alle persone. Potrei sedurti in un batter d’occhio, lo sappiamo entrambi. Ci vuole poco per iniziare a mangiare alla stessa mensa di Grey, Yang e O’Malley... Ma io non lo faccio.»
 
«Credo che lo prenderò come un complimento, anche se è un po’ ambiguo.»
 
Addison scosse la testa mentre inseriva Alex nella categoria “pericolo” della sua mente. Mise il bicchiere ormai vuoto sul bancone percorrendo con l’indice il perimetro del vetro. «Penso che andrò a casa ora. Grazie Karev, per aver chiarito la situazione.» detto questo si alzò dalla sedia e si infilò la giacca.
 
«Il piacere è tutto mio.» questa volta il ghigno dipinto sul suo volto aveva un contorno ben preciso. «Ah, a proposito...» si girò guardandola serio per un attimo. «Io ti rispetto, professionalmente e personalmente e… sappi che sei sexy, dannatamente sexy. Probabilmente sono l’unico uomo in questo ospedale che non sta facendo a gara per entranti nei pantaloni in un modo o nell’altro. Sarò ricordato per questo, giusto?»
 
Una risata sincera uscì dalla sua bocca mentre si appoggiava con i palmi delle mani sul bancone inchinandosi verso di lui. «Con questo cosa vorresti dire? Che potremmo essere amici?»
 
Fece una smorfia, masticando per un attimo quella parola nelle mente. «Amici. O’Malley deve avermi contagiato se penso che posso essere solo amico con una donna. Ma sì, questo è quello che sto dicendo.» lo sguardo che le diede era pieno di speranza. Vero. «Noi possiamo essere amici.»
 
«Credo che possiamo.»
 
Così fisicamente vicini poteva sentire il profumo della sua pelle, mischiato a quell’odore di disinfettante e chirurgia che ogni medico aveva cucito addosso.
A quel pensiero sentì una vampata di calore correrle per tutta la schiena e sfociarle direttamente nel ventre.
Non poteva pensare di attraversare la linea con il suo primo amico in città!
Avere un amico sarebbe stato bello, davvero bello.
 
«Molto bene. Allora siamo amici, dottor Karev.»
 
«Alex» la fermò, «sai gli amici si chiamano per nome.»
 
«Alex… Ci vediamo domani, Alex?»
 
«Assolutamente sì, Addison.» lui sorrise e prosciugò l’ultimo sorso di birra posato sul fondo del bicchiere, decidendo di poter festeggiare con una seconda.
Non si guadagnavano amici tutti i giorni.
 
Mentre guardava Addison uscire dal locale pensava che non aveva mai avuto un amico con quelle gambe da urlo e che dannazione non sarebbe stato uno specializzando per sempre!
 
 
 

 
 
Nda:
Eccomi tornata!!!
Che ci posso fare, lontana da Grey’s Anatomy non ci so stare!
Non riesco a capire perché provo a scrivere per giorni e giorni storie che non faccio altro che cancellare e ricominciare da capo e poi un giorno mi viene un’idea, mi si accende la lampadina e in un pomeriggio butto giù quello che non sono riuscita a scrivere per settimane.
In inglese mi è capitato di leggere spesso storie di loro due e per questo ero abbastanza combattuta dal pubblicare o meno questa storia, ma che ci posso fare se ho avuto la stessa idea di una ragazza che vive dall’altra parte del mondo?!
Ho deciso che da oggi in poi non mi farò più fisime mentali e pubblicherò qualsiasi cosa, anche se sulla falsa riga di storie scritte in un’altra lingua. Più che altro perché sparse per il web c’è un numero spropositato di storie su Grey’s Anatomy, e non posso mica passarle tutte al vaglio prima di postare le mie!
 
Sono ferma alla quarta stagione, innamorata persa delle prime tre… non faccio altro che rivedermi quelle puntate che mi hanno fatto tanto amare questo telefilm.
Sono una sottospecie di musa ispiratrice, le guardo e la mia mente inizia a viaggiare.
So che il telefilm è andato avanti – dopo dodici stagioni direi che è il minimo - e ha preso strade diverse da quelle delle mie storie, ma io sono troppo legata a questi personaggi per immaginarmeli diversamente.
 
“Nessuno di noi è solo buono o solo cattivo. Siamo luce e ombra. Insieme.”
È una frase ripresa da Private Practice, mi piaceva tantissimo e ho sempre voluto scrivere qualcosa in cui poterla inserire.
 
Credo di aver detto proprio tutto… e allora passo e chiudo e alla prossima!
   
 
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