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Autore: LubyLover    03/02/2016    0 recensioni
È ora di andare a dormire, ma c'è un problema: lei non è lì con lui.
Che, di solito, il suo disordine lo faceva imbestialire, questo va detto, il suo dimenticare in giro giacche appese alle sedie, ed i guanti spaiati, uno sul tavolo e l'altro sulla credenza, e le sue scarpe con i tacchi abbandonate sul tappeto, che lui ci si inciampava sempre. Sempre.
Ma quella sera guardò le tracce di lei disseminate in casa con un groppo alla gola ed un sorriso triste ed appannato.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Frammenti di una notte d'inverno

Titolo: Frammenti di una notte d'inverno

Fandom: Originale

Coppia: Het

Rating: Giallo

Set In Time: oggi, 2016

Disclaimer: finalmente la soddisfazione di poter dire che i personaggi sono MIEI! Anche se nessuno mi sta pagando.

 

E poi ci fu quella volta in cui lui si trovò a dormire nella loro casa senza di lei.

Era una brutta storia, in verità.

Qualche giorno prima, un ex fidanzato si era invitato a casa loro con una scusa banale, sapendo che lei, quel pomeriggio sarebbe stata sola. Ora, lei tutto poteva immaginarsi ma non che lui, ben nascosto sotto il giaccone, avesse un lungo coltello da macellaio. Ora, lui tutto poteva immaginarsi ma non che lei, spinta da un possente istinto di sopravvivenza, riuscisse in qualche modo a difendersi ed a limitare, quindi, la gravità delle ferite. Ma tant'è. Lei era stata ricoverata in ospedale e lì aspettava che il suo corpo guarisse e le permettesse di tornare alla loro vita insieme.

Lui era in casa per la prima volta da quando era avvenuto il fattaccio, dopo che la polizia aveva finalmente chiuso il caso e decretato che il loro appartamento non era più una terribile e sanguinolenta scena del crimine. Un sollievo, onestamente. Ma, nel frattempo, lui era lì, a cercare di dare un senso alle cose di lei abbandonate negli angoli.

Che, di solito, il suo disordine lo faceva imbestialire, questo va detto, il suo dimenticare in giro giacche appese alle sedie, ed i guanti spaiati, uno sul tavolo e l'altro sulla credenza, e le sue scarpe con i tacchi abbandonate sul tappeto, che lui ci si inciampava sempre. Sempre.

Ma quella sera guardò le tracce di lei disseminate in casa con un groppo alla gola ed un sorriso triste ed appannato.

Era fugacemente entrato anche in salotto. L'impresa di pulizie aveva fatto un lavoro molto più accurato di quello che lei era mai riuscita a fare in tutti i loro anni insieme; stranamente, la stanza gli era sembrata troppo fredda ed impersonale. E no, sul ricordo del sangue che fino a poco prima aveva imbrattato il pavimento si era soffermato solo qualche secondo... va bene, solo qualche minuto... uff, okay, quasi un'ora.

Ma poi, finalmente, si era convinto ad andare a letto e la camera era giusta, era lei sparsa qua e là ed aveva, di nuovo, sentito familiarità ed appartenenza.

Si era infilato sotto le coperte, sprofondando nell'abbraccio caldo del piumone che avevano scelto insieme quando avevano deciso di andare a vivere sotto lo stesso tetto. Quando ex con coltelli e pavimenti rosso sangue non erano nemmeno ipotesi immaginarie. Avrebbe voluto dire qualcosa a mezza voce, bisbigliare qualcosa a lei, che non era lì, ovvio, ma era certo che potesse sentirlo. Ma si era trattenuto, troppo imbrigliato nel suo aspetto serio di uomo che non crede alla magia ed alle sciocche romanticherie. Un aspetto di lui che lei prendeva in giro con tenerezza e dolcezza.  Sospirando, chiuse gli occhi e si mise su un fianco, la solita posizione che assumeva per addormentarsi. Dopo qualche minuto si girò sulla schiena e poi sull'altro fianco e di nuovo sulla schiena. Nulla, il sonno tardava ad arrivare. E la cosa buffa era che non si sentiva nemmeno stanco. Il problema - beh, problema - era lei. Lei ovunque. Dietro i suoi occhi chiusi, nelle sue orecchie, sulle sue labbra, a profumare le lenzuola.

Si mise a sedere di scatto, come un pupazzetto a molla, ed accese la luce della lampada. La stanza fu subito rischiarata dal caldo bagliore, ma a lui sembrava di vedere troppe ombre, troppi spazi neri e minacciosi. Le sue braccia si coprirono di pelle d'oca e si passò le mani sulle maniche del pigiama per scaldarsi. Era nervoso, col cuore in gola. E solo. Lei avrebbe probabilmente riso prima di tranquillizzarlo accarezzandogli il lobo delle orecchie. Ma lei non c'era.

Si alzò, non riuscendo più a stare fermo. Cominciò a marciare per tutto il perimetro della stanza, sentendo le dita delle mani formicolare, elettriche. Muovendosi, afferrava oggetti, liibri e vestiti e li riposizionava in un ordine - o meglio, disordine - nuovo. Dopo qualche istante afferrò il cappotto che aveva messo anche quel giorno e cominciò a rovistare nelle tasche. Era un'altra abitudine delle sue, una di quelle che aveva per controllare l'ansia, una di quelle che lei conosceva bene e che aveva imparato ad amare. Nella tasca interna non c'erano che un paio di monetine. Poca cosa, quelle che gli davano di resto al bar e che lui detestava. La tasca destra celava una carta di caramella mezza stropicciata. Erano le sue preferite, quelle alla menta senza zucchero. Eh già, perché lui persino nei gusti delle caramelle era banale e monotono e scontato. Caramelle alla menta. E senza zucchero. Cosa che quando lei l'aveva scoperto aveva riso fino alle lacrime, lei che adorava tutte le cose più strane ed imprevedibili, lei che, di tanto in tanto, mangiava le patatine col gelato. E lì sì che ci sarebbe stato da ridere, obiettivamente, ma lui la trovava adorabile.

Infilò la mano nella tasca sinistra, pronto a trovare altre tracce della sua scontatezza, ma aggrottò la fronte quando le sue dita sfiorarono un pezzo di carta ripiegata. Era un foglio bianco, semplice, probabilmente strappato da un blocco. E non gli diceva assolutamente nulla. Si sedette sul letto, curioso, e lo aprì. Lacrime improvvise gli sfuocarono la scrittura che il suo cervello aveva riconosciuto immediatamente: era quella di lei. Più tremolante del solito, un po' affrettata e sbavata, ma la sua, con quel suo modo tipico di arrotondare le "g". Gli tornò in mente quel pomeriggio appena passato: lei aveva insistito che lui andasse in mensa a mangiare qualcosa e lui, più che altro per farla contenta, aveva accettato. Aveva il portafoglio nei pantaloni, e quindi il cappotto era rimasto nella camera con lei. Lei che gli aveva sorriso sorniona, salutandolo, lei che aveva trovato un foglio di carta ed una penna, lei che aveva un piano da attuare. Un piano per lui, evidentemente. Perché era lei quella forte, anche se non ne avevano mai parlato per non schiacciare il suo ego.

Poche righe, ma le righe giuste. Le sue righe.

"Ti vedo che non riesci a dormire.

Ti vedo che controlli la stanza e tutta la casa e non la senti tua, ma la senti estranea, lontana.

Magari stai pensando di uscire ed andare a dormire in un hotel anonimo.

Non farlo, per piacere.

Questa è la nostra casa, il nostro letto. Il nostro tutto. Devi restare per rivendicarla, per allontanare per sempre la presenza malsana dell'altro, le sue luride mani, il terribile coltello. Rivendica casa nostra anche per me. Solo tu puoi farlo e voglio che sia tu a farlo. Pecrhé tu ci conosci e sai chi siamo e cosa abbiamo.

Ma soprattutto: chi, se non tu, il mio adorabile orsacchiotto umano, può scaldare il letto in attesa del mio ritorno?

A domani, amore mio."

Passò le dita sulle parole di lei, sul suo coraggio. Sul suo amore. Pensò che erano fortunati. Baciò il foglio e le sussurrò "Ti amo", fregandose se era una sciocca romanticheria da innamorati sdolcinati. Si rimise sotto le coperte, e - c'è bisogno di dirlo? - si addormentò. 

 

--

NdA: Lo so, la notte dovrei dormire...

 

 

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