Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |      
Autore: Aiacos    04/02/2016    2 recensioni
(Erika x Sabrina)
« ...e proprio così io ti ho sempre amata. E sempre ti amerò. »
Proprio come un ostinato bucaneve che si facesse largo fra la neve sciolta e l'erba sferzata dal vento gelido, allo stesso modo quelle parole attecchirono nel cuore di Sabrina, vi piantarono le proprie radici e fiorirono, ostinate ed implacabili, incuranti dell'ambiente tutt'altro che accogliente.
Era rimasta senza parole. Non la comprendeva, assolutamente. Forse non l'avrebbe mai compresa. L'aveva salvata così tante volte, senza mai chiedere nulla in cambio, senza mai perdere il sorriso, senza mai neanche solo incupirsi, senza perdere nessuna delle caratteristiche che l'avevano fatta innamorare di lei quando ancora erano due ragazzine sprovvedute senza alcuna esperienza del mondo. Niente e nessuno sembrava in grado di scalfirla, di rovinarla. Neppure lei.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Erika, Sabrina
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

*** Note dell'autore ***

Innanzitutto ci tengo a fare un doveroso ringraziamento ad ellacowgirl in Madame_Butterfly, dato che è grazie alla lei e alla sua stupenda serie al riguardo (~ I fiori del male) che mi sono innamorato della coppia composta da Erika e Sabrina, del bizzarro ma incredibile equilibrio che può crearsi mettendo a contatto due mondi così distanti fra di loro.

Non ho quindi resistito all'impulso di fornire anch'io il mio modesto contributo con una one shot ambientata nell'universo del manga, in cui Sabrina diventa generale del Team Rocket mentre Erika rientra fra I pochi Capopalestra d'animo puro che li combattono. A seguito dello scioglimento del Team viene semplicemente menzionato il fatto che Sabrina e gli altri siano stati assolti per mancanza di prove, quindi ho voluto immaginarmi come lei ed Erika possano aver passato il periodo in cui la prima è stata effettivamente chiamata a saldare il suo conto con la giustizia per le sue azioni criminali.

Il titolo della fiction, Bucaneve, si riferisce ad un piccolo fiorellino che nel linguaggio dei fiori simboleggia tanto la consolazione quanto la speranza, dato che nonostante l'aspetto fragile è così incredibilmente resistente da fiorire subito dopo il periodo dell'anno in cui il clima è più rigido, salutando così in maniera precoce l'imminente arrivo della primavera. Mi sembrava particolarmente azzeccato visto che la fiction tratta il tema del nuovo inizio, della ripartenza (quasi) da zero dopo un periodo molto difficile che ha messo seriamente alla prova il rapporto d'amore, quindi tanto della consolazione dalle vecchie ferite quanto della speranza in un futuro più roseo.

Ringrazio ella anche per avermi permesso di continuare la sua tradizione di sfruttare il linguaggio dei fiori per le fiction che parlano di questa coppia, dato che l'ho trovata fin da subito troppo tremendamente azzeccata per riuscire a farne a meno.

 

ErikaSabrina

Bucaneve

 

Appariva diversa. Profondamente diversa. E non solo per i capelli violacei un tempo lunghissimi e ora sbrigativamente tagliati all'altezza delle spalle, in ossequio alle rigide regole igieniche in vigore nelle carceri. E nemmeno per il vestiario: lei, Sabrina, l'inflessibile, severa e oscura Capopalestra Psico di Zafferanopoli, essendo in procinto di essere rilasciata non aveva certo fatto caso al fatto di indossare un paio di pantaloni bianchi e una canotta rosa che decisamente non avevano nulla né di severo né di oscuro. No, quei seppur evidenti particolari non erano certamente i più importanti in quel cambiamento radicale che si avvertiva in lei già a prima vista. Un segnale avrebbero forse potuto darlo quelle brutte cicatrici rimaste in corrispondenza dei polsi, frutto della stretta morsa delle manette cilindriche che fungevano da inibitori psichici, da portare ventiquattr'ore su ventiquattro sì da evitare che potesse usare i suoi poteri mentali per mettersi telepaticamente in contatto con qualcuno, piegare le sbarre o semplicemente teletrasportarsi via. Un segnale, per l'appunto, ma anche quelle brutte cicatrici non erano tutto.

Le avevano proprio fatto di tutto, al fine di ingabbiarla per bene. Come se avesse voluto scappare, poi. Non l'avrebbero mai catturata, se lei non l'avesse voluto. Come non avrebbero mai catturato anche l'uomo che era appena stato assolto assieme a lei dall'accusa di associazione a delinquere all'interno del Team Rocket. Un'assoluzione assolutamente ingiusta, pronunciata per mera mancanza di prove, dato che lei e Lt. Surge di Aranciopoli erano effettivamente stati due terzi del Trio Rocket, i tre generali dell'armata di criminali che per anni aveva tenuto la regione di Kanto ostaggio di un persistente terrore.

Ed eccoli lì, dunque, i due ex criminali, ciascuno con in spalla un borsone contenente le loro poche cose, pronti a varcare il portone dell'istituto di detenzione per riassaporare quella libertà che non avrebbero mai meritato. Quando si erano incrociati all'ingresso si erano limitati a scambiarsi un paio di occhiate eloquenti, entrambi consapevoli che ci sarebbe stato ben poco da dire che entrambi già non avessero saputo. Ed erano entrambi altrettanto consapevoli di cosa li avrebbe aspettati dall'altra parte di quel portone: per Surge con tutta probabilità una vera e propria parata militare pronta a riaccoglierlo festante, per Sabrina... una persona. Una sola, unica persona. Ma ci avrebbe scommesso che non sarebbe assolutamente mancata, quella persona, per niente al mondo. E la sola idea di rivederla era per lei al tempo stesso dolcissima e straziante, come poteva esserlo una dose letale di una droga irresistibile per una tossicodipendente in astinenza, ben consapevole che l'avrebbe portata in paradiso sia in senso metaforico che in un senso decisamente più terreno.

Varcarono insieme le soglie del mondo libero, ciascuno spingendo un'anta del portone. E proprio mentre i loro occhi venivano nuovamente colpiti dai raggi del sole, le sensibili orecchie di Sabrina captarono quello che era un vero e proprio sussurro da parte del tenente:

« Get your life back. »

Già, fosse stato così facile. Fu questo il suo unico pensiero prima che i suoi occhi, accecati dal bagliore solare, si riadattassero ad esso. In altre parole, prima di scorgere quella figura inconfondibile. Lì per lei, proprio come aveva sempre pensato, proprio come non aveva mai dubitato.

 

...

Lo scandalo era stato tale che il suo riverbero aveva percorso in un attimo l'intera regione senza permettere che si parlasse d'altro per tanto, tanto, tantissimo tempo. Sabrina e Lt. Surge, Capopalestra di Zafferanopoli ed Aranciopoli, due fra le città più grandi e popolose di Kanto, arrestati con l'accusa di aver fatto parte del Team Rocket. Un mandato di cattura era stato emesso anche per Koga di Fucsiapoli, accusato di essere il terzo membro del trio di Generali Rocket (anch'egli a ragione), ma il ninja era risultato essere non rintracciabile.

Non era un'illusa, sapeva esattamente che sarebbe andata a finire così nel momento in cui Giovanni aveva sciolto il Team Rocket chiedendo loro di tornare alle rispettive palestre. Non poteva certo essere passata inosservata la loro assenza, coincisa con il periodo di massima attività criminale dell'associazione. Era inevitabile che sarebbero stati indagati, eppure nessuno dei due si era sottratto al loro destino. Non era mai stata una semplice criminale, Sabrina: se si era unita al Team Rocket era perché credeva fermamente nella loro causa, nella realizzazione di un mondo dominato dalla forza ma senza più alcuna ipocrisia, scevro da tutte quelle contraddizioni che le erano sempre più insopportabili, anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. Una volta che il capo in persona aveva ordinato lo smantellamento del Team non aveva quindi più avuto motivo alcuno per continuare ad essere una criminale, e non era certo così vigliacca da continuare a vivere alla macchia per paura di affrontare il giudizio di quel mondo che aveva sempre respinto, rigettato, odiato.

Una volta arrestata era stata ovviamente posta sotto custodia cautelare, visto che i suoi poteri psichici rendevano quanto mai plausibile un'eventuale fuga. La sua breve permanenza in cella era stata piuttosto tranquilla: pur non essendo ufficialmente in isolamento di fatto era come se lo fosse, dato che le altre detenute avevano timore di avvicinare qualcuno come lei, che già si era fatta la nomea di strega e che per giunta era rinchiusa con l'accusa di essere stata un Generale Rocket. Così, nel momento in cui le era arrivata la notizia che qualcuno aveva addirittura richiesto una visita dall'esterno, Sabrina non aveva avuto il benché minimo dubbio sull'identità di quel qualcuno. C'era solo una persona che avrebbe potuto desiderare di parlare con lei in una situazione del genere. Sempre una sola, singola persona.

Eppure, nonostante la certezza assoluta a proposita della sua identità, quando se la trovò effettivamente dall'altra parte del vetro che divideva detenuti da visitatori il suo sguardo rifuggì la sua vista, colpevole. Quel dolce faccino tondo ed innocente, quei capelli a caschetto neri, quegli occhioni scuri solitamente così allegri, così vitali... come impedire che alla vista di Erika, della sua Erika, il suo cuore venisse scosso, sconquassato, trafitto da mille aghi ghiacciati forieri di amarezza, di rimorso, ma anche di una passione bruciante e mai nemmeno lontanamente sopita?

Dall'altra parte di quel dannato vetro che le divideva, Erika non se la stava certo passando meglio. Anzi, vedere Sabrina, la sua Sabrina in quelle condizioni aveva fatto sì che il suo povero cuore saltasse ben più di qualche battito, costringendola a portare una mano proprio in corrispondenza della cassa toracica. Non era tanto l'aspetto sciupato, no, in fondo era reclusa solo da pochi giorni, e certo nemmeno lo shock di vederla per la prima volta con i capelli ad una lunghezza normale. No, ciò che l'aveva impressionata era il fatto che a Sabrina sembravano essere crollati addosso tutto d'un tratto almeno una decina d'anni: il suo volto pallido, serio e severo sembrava infatti più quello di una donna matura, stanca e provata dalle insidie della vita, che quello di una ragazza che aveva solo un paio d'anni in più di lei, con quel suo faccino dolce, gioviale e quasi infantile. Se fossero state accanto forse avrebbe potuto sembrare addirittura sua madre. Già, se fossero state accanto...

Notò subito come lo sguardo della cosiddetta "strega" avesse rifuggito il suo. Abbassato, quasi colpevole. Qualcosa che non era certamente da lei, orgogliosa e testarda com'era. Erika la conosceva fin da quando erano entrambe ragazzine, da quando Sabrina l'aveva aggredita e lei aveva risposto con un dolce, caldo, irresistibile abbraccio. Da lì era cominciato qualcosa... qualcosa di ben più profondo di una semplice amicizia. Qualcosa che nemmeno il Team Rocket aveva saputo spezzare.

« Ciao, Evil Queen... »

Strappare un sorriso ad una come Sabrina era una vera e propria impresa, degna di essere commemorata con una medaglia. A maggior ragione in un momento come quello. Eppure Erika seppe guadagnarsi la sua meritata medaglia, l'ennesima di quella che in tanti anni era diventata praticamente una collezione sterminata. Evil Queen... quel soprannome gliel'aveva dato proprio lei, dopo essere stata chiamata Biancaneve per la prima volta, ironizzando su quella sua apparenza da cattiva delle fiabe che non aveva mai nascosto e che anzi, in un certo qual senso si compiaceva di esasperare. I suoi occhi cremisi, inquieti ancor più che inquietanti, per un attimo si fermarono in corrispondenza dello sguardo della Capopalestra Erba:

« Ciao, Biancaneve. »

Voce che avrebbe voluto essere atona, svuotata d'ogni emozione, eppure alla morettina non era certo sfuggito come avesse tremato leggermente. Lei invece non fece assolutamente nulla per nascondere l'ansia, la vera e propria angoscia che trapelava dalla sua voce:

« Come... come stai? »

Sabrina portò la mano alla sua spalla destra, in cerca dell'infinita coda di capelli che era solita accarezzare e portare sul davanti quando voleva fingere indifferenza... peccato che le sue dita strinsero il nulla. Non li aveva più, quei lunghi e fluenti capelli che tanto l'avevano caratterizzata.

« Una favola. »

Rispose con un filo d'ironia, quanto mai adeguata visti i nomignoli con cui si erano appena apostrofate. Erika la squadrò con quella sua aria serenamente severa che tante volte l'aveva fatta impazzire, così simile ad un genitore paziente pronto a perdonare le bravate del figlio ma al tempo stesso ben deciso a fargli capire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.

« Cos'hai intenzione di fare? »

Bella domanda. Cos'aveva intenzione di fare, lei? Rispose dopo un'attesa che parve interminabile:

« Accetterò il mio destino. »

Rispose semplicemente. Il che poteva voler dire tutto e niente. Non credeva nell'ipocrita concetto di "giustizia" elaborato da quel mondo che non aveva mai accettato e che non l'aveva mai accettata. Non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione di una confessione. Ma non sarebbe nemmeno diventata ipocrita a sua volta con il solo fine di salvarsi. Non avrebbe mai rinnegato gli ideali che l'avevano animata, non avrebbe in definitiva mai rinnegato la sua stessa natura.

« Guardami. Negli occhi. »

Non era un ordine. Era una richiesta, pronunciata peraltro con tono fermo ma dolce, cortese. Eppure alle orecchie di Sabrina risuonò proprio come un ordine, qualcosa al quale non avrebbe potuto assolutamente resistere. Alzò dunque finalmente le proprie iridi scarlatte, incontrando quelle castane di Erika. E trovandole umide, luccicanti come un cielo stellato percorso da stelle cadenti. Già, cadenti... l'aggettivo era quanto mai adeguato. Uno sguardo malinconico, triste, struggente... ma anche dolce. Tremendamente, irresistibilmente dolce.

« Non è solo il tuo. È anche il nostro destino. »

Disse semplicemente, appoggiando i palmi aperti delle mani contro il vetro che le divideva. Proprio come se avesse voluto a tutti i costi stringerle la mano proprio in quel momento, in quell'istante. Un gesto semplice, ma che sciolse il cuore di ghiaccio di Sabrina come fosse stato esposto al più bruciante dei soli estivi. Non disse nulla, si limitò ad alzare a sua volta le braccia, pur appesantite dai pesanti cilindri di metallo che le serravano i polsi per inibire i suoi poteri psichici, e andò ad appoggiare i palmi delle mani proprio in corrispondenza di quelli della compagna di una vita. Se solo non ci fosse stato quel maledetto vetro a dividerle...

Rimasero così, a guardarsi occhi negli occhi, con l'illusione di potersi stringere la mano. La fine dell'orario destinato alle visite arrivò troppo, troppo, troppo presto. Per entrambe.

 

Era dunque alfine arrivato il giorno del processo. I due imputati ci erano arrivati in condizioni pressoché opposte: se da un lato Surge poteva godere della tutela diplomatica e del fatto che la popolazione di Aranciopoli lo adorasse, dall'altro Sabrina era completamente sola e il suo rapporto con la città di Zafferanopoli era sempre stato piuttosto teso. Era venuta da fuori, la strega, con quel suo carattere scostante, equivoco, scontroso, e aveva letteralmente sottratto la Palestra al precedente Capopalestra, un giovane di Zafferanopoli bello, forte, coraggioso e stimato da tutti.

Era proprio sulla base di queste considerazioni che il suo avvocato difensore (ovviamente d'ufficio) aveva tentato di convincerla ad addossare tutte le colpe proprio al tenente, sì da riequilibrare la loro situazione. Che verme. Era dunque questa l'ipocrisia di quella che veniva solitamente chiamata giustizia? Non aveva preso in considerazione l'idea neppure per un solo istante, limitandosi a fare scena muta a tutte le domande. Era indubbiamente una persona malvagia, ombrosa, asociale, egoista, una criminale incallita... ma tutto il male che aveva fatto era sempre stato finalizzato ad un ideale, a dei principi, ad una precisa visione del mondo che lo rendeva, se non giusto, quantomeno inevitabile. Non avrebbe mai potuto tradire un compagno che aveva condiviso le sue medesime idee. Sarebbe stato come tradire sé stessa.

Li avevano ovviamente tenuti separati per tutto il tempo. Lo aveva rivisto solo alla sbarra, nel giorno dell'udienza, imputato come lei. Era tranquillo, perfettamente rilassato. Sapeva che lei non l'avrebbe mai venduto. E la medesima certezza animava Sabrina, sicura che anche a lui qualcuno avesse fatto un discorso simile. Giusta o sbagliata che fosse la loro causa, sarebbero rimasti compagni d'arme fino alla fine.

E poi, dopo le solite inutili, vuote, sfibranti chiacchiere di rito, erano arrivati i testimoni. La prima era stata proprio lei. Erika, Capopalestra di Azzurropoli, leader dei pochi Capopalestra che avevano resistito alla malia del Team Rocket. Il suo visino angelico sembrava un po' turbato, chiaramente a disagio in una situazione come quella. Eppure, nonostante tutto, nonostante la situazione, nonostante quel suo profondo senso di giustizia diametralmente opposto a quello di Sabrina, nonostante la sua fiducia nel prossimo e nelle leggi di quello che veniva chiamato mondo civile... la deposizione di Erika era stata chiara, precisa e puntuale, e andava tutta in un'unica direzione. In una direzione che escludeva qualsiasi responsabilità penale. Sia per lei che per il tenente Surge, e perfino per Koga. Sabrina non riuscì a mascherare tutto il suo stupore e finì per alzarsi in piedi, osservando la compagna di una vita con sguardo attonito. Quest'ultima le destinò un breve ma intensissimo sguardo, sorridendole con quella sua aria angelica, dolce e spensierata, capace di scaldare il cuore anche (e soprattutto) quando si trattava di un blocco di ghiaccio come quello di Sabrina.

Un sorriso che sembrava aver stregato non solo lei, ma anche l'intera corte. Come si sarebbe mai potuto dubitare delle parole di una creatura tanto dolce, innocente e pura? Eppure dopo di lei anche altre persone avevano deposto, tutte più o meno conosciute. E tutte avevano confermato la sua versione. Tutte. Perfino Blaine, l'unico (ex) generale che aveva effettivamente tradito il team Rocket, staccandosene quando era ancora operativo. Perfino Misty, quella ragazza così intimamente amica di Erika da aver più e più volte suscitato le sue più intense, folli e possessive scenate di gelosia. Tutti quanti, pur essendo consapevoli di essere dinnanzi a due colpevoli, avevano voluto scagionarli. Entrambi. Come non avvertire in tanta perfezione un piano machiavellico ordito da quella secchiona della Capopalestra Erba, che con l'arma micidiale del suo sorriso sarebbe stata tranquillamente in grado di convincere chiunque, davvero chiunque, a dar loro una seconda possibilità?

L'aveva salvata. Ancora una volta. L'ennesima.

 

« Get your life back. »

Non aveva mai detto a Surge quanto profondo fosse il suo rapporto con Erika, del resto non avevano mai avuto quel tipo di confidenza. Eppure le aveva sempre viste insieme fin da ragazzine, tanto che proprio la sua palestra era stata la prima nella quale si erano fermate quando avevano fatto assieme il loro viaggio per Kanto al fine di migliorarsi come Allenatrici. Sicuramente si era fatto un'idea. Non poteva essere una coincidenza.

Ed eccola lì, dunque, her life. Mentre il tenente veniva come da previsione letteralmente sequestrato dai suoi commilitoni, le due stettero a fissarsi senza dire assolutamente nulla per qualche lunghissimo istante, perse l'una negli occhi dell'altra. Ancora una volta, proprio come durante la visita, fu la dolce Erika a prendere l'iniziativa. Le corse incontro con commovente trasporto, abbracciandola forte e allungandosi in punta di piedi, in modo da colmare l'abissale differenza d'altezza fra le due e poter posare la sua testolina proprio sulla spalla di Sabrina. Quest'ultima restò shockata da quel contatto fisico dolce e spontaneo, da quel calore diffuso che man mano si trasferiva da un corpo all'altro, perfino da quella lacrima salata che avvertì sulla guancia di lei e che finì per bagnare la sua, di guancia. Da quanto tempo... non provava simile sensazioni? E quanto stupida era stata, a privarsene?

Quei pensieri le fecero salire un sordo magone. No, non poteva semplicemente far finta di nulla, non poteva accettare tutto il bene che Erika le stava facendo in maniera tanto appassionata ed incondizionata. Non senza mettere le cose in chiaro. Altrimenti sarebbe stata ipocrita proprio come tutta quella moltitudine di gentaglia cui lei regalava sempre sorrisi, tempo e disponibilità senza che nessuno meritasse alcunché. No, lei non era così. L'aveva ferita, tradita, delusa... ma non ingannata. E non avrebbe certo cominciato, né in quel momento né mai. Si allontanò dunque quel tanto che bastava per rimirarla occhi negli occhi, pur guardandosi bene dal sciogliere l'abbraccio. Forse sarebbe stato... più onesto, ma semplicemente non ne era in grado.

« Ascoltami un po', Biancaneve. Davvero credi che... possa tornare tutto come prima? Come se nulla sia mai successo? »

« Perché no? »

La replica era arrivata così, semplice, con gli occhioni della morettina spalancati in un'espressione sinceramente sorpresa, eppure al tempo stesso il tono non mancava di una certa decisione che Sabrina aveva imparato a conoscere molto bene in tutti quegli anni. Sospirò, la Aapopalestra Psico, affrontando suo malgrado il campo minato che minacciava di continuare a separarle:

« E me lo chiedi, anche? Ti ho delusa, ferita, tradita. Mi sono unita ad un'organizzazione criminale da cui mi avevi messo in guardia all'indomani del giorno in cui ci siamo conosciute. Ma soprattutto... non sono minimamente pentita. Non rinnego un singolo istante di quell'esperienza. Sono tuttora convinta che avessimo ragione, che la nostra causa fosse giusta. »

Perché le veniva così dannatamente difficile dire quelle cose dinnanzi a quegli occhioni grandi, dolci, quasi infantili? Perché avrebbe tanto voluto perdervicisi senza indugiare oltre, in quegli occhi? Continuare fu un vero e proprio tormento:

« Lo sai. Io non sono te. Anzi, sono diversissima da te. Sono il tuo opposto. La tua ombra. La tua nemesi. Non posso semplicemente fingere che tutto ciò non sia mai esistito, oppure che mi sia improvvisamente convertita... perché non è così. Anzi, cos'è cambiato alla fine? Che non ho più la mia divisa con la R, che non ho più un capo e che al posto di un esercito intero ho alle mie dipendenze solo quei quattro psicopatici della palestra? Il mio animo resta oscu... »

« Che siamo insieme. Ecco, cosa è cambiato. »

Quante volte gliel'aveva detto che odiava essere interrotta nel bel mezzo dei discorsi?! E quanto poteva essere odiosa in particolare proprio quella risposta, quell'interruzione... pronunciata in tono incredibilmente deciso e delicato al tempo stesso, come solo lei poteva essere in grado di fare?! Quanto poteva essere frustrante non riuscire in alcun modo a replicare a quel suo sorriso e a quel misto di dolcezza angelica e ferrea determinazione che trasmetteva?! Quanto poteva urtarla... essere messa all'angolo, in definitiva?

« Ma... »

« Niente “ma”. Avrai anche ragione, sarai oscura, malvagia, maledetta, tutto quello che vuoi. Lo sei sempre stata... »

Sorrise. Un sorriso delicato, appena accennato eppure bellissimo, come un fragile fiorellino bianco appena sbocciato in una rigida notte invernale.

« ... e proprio così io ti ho sempre amata. E sempre ti amerò. »

Proprio come un ostinato bucaneve che si faccia largo fra la neve sciolta e l'erba sferzata dal vento gelido, allo stesso modo quelle parole attecchirono nel cuore di Sabrina, vi piantarono le proprie radici e fiorirono, ostinate ed implacabili, incuranti dell'ambiente tutt'altro che accogliente.

Era rimasta senza parole. Non la comprendeva, assolutamente. Forse non l'avrebbe mai compresa. L'aveva salvata così tante volte, senza mai chiedere nulla in cambio, senza mai perdere il sorriso, senza mai neanche solo incupirsi, senza perdere nessuna delle caratteristiche che l'avevano fatta innamorare di lei quando ancora erano due ragazzine sprovvedute senza alcuna esperienza del mondo. Niente e nessuno sembrava in grado di scalfirla, di rovinarla. Neppure lei.

Cosa avrebbe mai potuto la sua malvagità, la sua oscurità, il suo egoismo contro un potere tanto terrificante? Nulla, assolutamente nulla. Le radici del bucaneve si erano piantate troppo in profondità nel suo cuore, traendo nutrimento da quel vero e proprio veleno celato nelle sue profondità, risucchiandolo e trasformandolo in un piccolo, grazioso ma bellissimo fiorellino. Uno spettacolo dinnanzi al quale era totalmente impotente.

Non rispose. Non replicò. Non a parole, almeno. La sua risposta arrivò infatti chiara e precisa ad Erika proprio nel momento in cui la strega ruppe gli indugi e si avvicinò tanto da unire le loro labbra. Un bacio del tutto inedito, da parte sua: delicato, dolce, casto, come se in qualche modo fosse ancora incerta sul fatto che di meritare lei e le sue attenzioni, come se ancora non riuscisse a credere a quel vero e proprio sogno, troppo bello per essere vero. Erika le destinò dunque un'occhiata furbetta, quasi maliziosa, altrettanto inedita per lei... e cercò di salire il più possibile in punta di piedi, in modo da allacciarle le braccia dietro al collo e baciarla in modo decisamente più focoso, appassionato, addirittura cercando di infilare la lingua fra le sue labbra, quasi a volerla provocare. Una provocazione alla quale Sabrina non seppe (e nemmeno volle) resistere. Restarono così, unite, a lungo, a lunghissimo, annullando praticamente tutto del mondo attorno a loro.

Quando finalmente diedero i primi cenni di sciogliere il bacio (anche perché Erika non avrebbe potuto resistere oltre a quell'altezza, tappina com'era!) Sabrina, come non ancora soddisfatta, prese entrambe le mani nelle proprie. Se ne godette il calore, istante dopo istante, ripensando alla struggente scena che le aveva viste protagoniste mentre lei era ancora detenuta. E infine ci riuscì, in qualche modo, ad esprimere la sensazione che provava ora che un intero prato di bucaneve era cresciuto nel suo cuore:

« Non importa quante volte possa calare il crepuscolo su di me, finché ho la certezza che ogni volta il sole sorgerà all'alba. E il mio sole... sei tu. »

Erika strinse forte le sue mani, guardandola con quei suoi occhioni che sembravano semplicemente troppo dolci per essere veri:

« Non importa quanto possa durare la notte, finché ho la certezza che la luna piena mi illuminerà il cammino. E la mia luna... sei tu. »

Sabrina sospirò, sinceramente imbarazzata. Non era mai stata il tipo da troppe smancerie, anche se stando assieme ad una come Erika non poteva non far emergere anche il lato più gelosamente nascosto del suo carattere, di tanto in tanto. Certo è che... sentirsi oggetto di certe cose... la spiazzava, la lasciava senza fiato. Restò per qualche istante ad osservarla, imbambolata, salvo poi decidere che era decisamente il caso di riportare la situazione sul pianeta Terra:

« Va bene, si è capito che sei dolce. Ora, possiamo rintanarci un po' da qualche parte, io e te? Non vedo proprio l'ora di assaggiare una delle tue tisane bollenti... »

Forse l'unica cosa al mondo in grado di farle rimpiangere il pessimo rancio della mensa carceraria. Erika lo sapeva, e proprio per questo non riuscì a trattenere una risata allegra: bere quegli intrugli malefici era forse una delle prove d'amore più spassionate che Sabrina le avesse mai offerto!

« Agli ordini! »

Sabrina sorrise, ormai totalmente e intimamente felice. Sì, la sua vita era davvero tornata. E non se la sarebbe più fatta sfuggire per nulla al mondo.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Aiacos