Perdere Sherlock è stato come affogare: il respiro muore, la vita fugge, ed il cuore si spegne.
I giorni si sono succeduti senza criterio, folli di sofferenza e ricchi di solitudine.
Perdere Sherlock è stato come divenire ciechi di colpo: niente più baci scambiati tra il Sole ed il profilo dell’orizzonte con cui emozionarsi, niente colori da ammirare, niente viso non scalfito dalla bellezza da amare.
A volte si è troppo stanchi anche solo per piangere, e poi si piange ancora un po’.
Perdere Sherlock è stato come divenire improvvisamente sordi: niente più risate con cui rallegrarsi, niente più dichiarazioni d’amore scambiate nell’impeto della passione, niente più corde di un violino sfiorate con dita tremule nel cuore della notte ai confini dell’udito.
Le lacrime non finiscono mai. Sono lì, sempre pronte a ricordare quanto è facile soffrire.
Perdere Sherlock è stato come essere costretti a smettere d’amare: niente più sorrisi timidi, niente più polpastrelli delicati che sfiorano un corpo come se stessero suonando le note di un brano, niente più occhi di smeraldo in cui perdersi.
Quando Sherlock è morto, John è morto con lui.
Quando Sherlock è tornato, John ha ricominciato a vivere.
E a respirare.
E a vedere.
E a udire.
E soprattutto ad amare.